lunedì 25 dicembre 2023

Buon Natale!!!


 


 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Giorgione (1478 - 1510) : "Adorazione dei pastori" (particolare) - National Gallery of Art - Washington.

 

Georg Friedrich Haendel (1685 - 1759): "And the Glory of the Lord" dal "Messiah HWV 56".

domenica 17 dicembre 2023

Le mie città - 12


 

 

 


 

 

 

 

 

Alla fine di questa breve serie sulle città che sento più significative nel mio cammino, non può mancare Roma che ho visitato per la prima volta da adolescente. Lo so, non si può ridurre un luogo così ricco di storia, arte, fede e tante svariate vicende a un articoletto di poche righe; ma quella che desidero celebrare è la Roma filtrata dai miei occhi di ragazzina perchè vi ha lasciato un'impronta indelebile.
Non avevo ancora sedici anni la prima volta che mi ci sono recata: un viaggio di
gruppo di cinque giorni organizzato dalla mia parrocchia appositamente per i giovani, durante le vacanze di Natale: un'occasione di amicizia, riflessione e apprendimento al seguito di ottimi maestri che ci facevano da guida.
Un viaggio cui se ne sarebbero aggiunti molti altri.

Davanti ai miei occhi si era dispiegata una Roma fastosa e scenografica, nelle piazze, nelle fontane, nei gruppi scultorei, nella multiforme ricchezza artistica e nella bellezza di tanti angoli riposti davanti ai quali fioriva lo stupore. Una città spesso spazzata dal vento che rendeva più nitido il profilo delle tante cupole stagliate nel suo cielo e più suggestivi i tramonti al Parco degli Acquedotti. Ma interessante anche il colore locale, dalle bancarelle natalizie di piazza Navona ai presepi sulla scalinata di Trinità del Monti. 
Il primo anno, cuore della visita era stata la
città romana e paleocristiana, con i Fori Imperiali, le grandi basiliche e le catacombe. Ma il secondo anno - quello del quale ho un più vivo ricordo - il programma comprendeva la Roma rinascimentale e barocca: un meraviglioso itinerario tra le opere di Michelangelo, Bernini, Borromini e Caravaggio.

Come dimenticare la lezione affascinante e appassionata che il nostro insegnante di lettere del liceo - sì, a questi viaggi partecipava anche lui! - ci aveva fatto alla Galleria Borghese, di fronte al capolavoro del Bernini che rappresenta "Apollo e Dafne" ?
E poi di fronte all' "Estasi di Santa Teresa" in Santa
Maria della Vittoria e a quella della "Beata Ludovica Albertoni" in San Francesco a Ripa?
O nella chiesa di Sant'Agostino davanti alla "Madonna dei pellegrini" del Caravaggio? O ancora contemplando "San Matteo e l'angelo" in San Luigi dei Francesi?
Esperienze indelebili in luoghi che, negli anni, avrei poi
ripercorso più volte cercando di risvegliare in me, ma anche in altri, quel fuoco che mi era stato regalato allora, da ragazzina.
Roma, infatti, è stata la scoperta della Bellezza con la
maiuscola: non solo studiata sui libri, ma gustata dal vivo, nutrita dallo stupore e dal contatto bruciante con la passione altrui. 

Una scoperta non disgiunta da quel movimento interiore col quale si inizia a guardare in se stessi, intuendo i tratti della propria personalità in un'età e in un contesto in cui innamoramenti, amicizie, studio, arte, tutto si fonde in un unico appassionato moto dell'anima.

Già iniziavo ad amare la musica e il primo viaggio - oltre a Bach - aveva avuto in me la colonna sonora del "Largo" di Haendel che stavo ascoltando proprio in quel periodo.
E sempre di Haendel, a sorprendermi, erano state le note del "Messiah", la prima volta in cui eravamo
entrati in Santa Maria in Aracoeli, in un'atmosfera di sacralità che aveva riempito tutti di meraviglia. Ma anche altri compositori mi avrebbero suggestionato nel mio cammino ad esplorare il cuore della città.


 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

La giravamo molto spesso a piedi, talora non tutti ma solo un manipolo di fedelissimi dietro la ferrea guida e il passo da alpinista del nostro insegnante. E a sera, mentre i romani alle nove ancora cenavano, noi eravamo di nuovo a spasso per una Roma quasi vuota, allegramente padroni della città. Ma oltre ai momenti di ascolto, di riflessione e all'arte, c'era anche il divertimento: dopo averci sfinito a furia di camminare...il nostro prof. ci portava a mangiare il gelato da Giolitti! E non mancavano mai occasioni di baldoria.

Una sera, in piazza san Pietro avevamo fatto un girotondo! Mi sembra che non ci fossero ancora transenne e non ci era parso vero che lo spazio fosse tutto nostro.
Quella volta eravamo in ottanta (!)... e
avevamo formato due cerchi concentrici che si muovevano l'uno in senso contrario all'altro. Danzavamo cantando una famosa filastrocca: "La fuente de Tororò". Ve la ricordate ? La sanno anche i bambini. Ebbene, quella! Rigorosamente in portoghese! In mezzo al cerchio un solista canta, poi sceglie la damigella, ballano insieme mentre tutti battono le mani, infine al centro rimane lei e il gioco riprende.   
Solo che, dopo neanche un quarto d'ora...era arrivata la polizia a farci sloggiare! Si era alla vigilia del Sessantotto e un assembramento così chiassoso sotto le finestre del Papa aveva creato qualche sospetto.

Insomma, la mia Roma è stata questa: gioia di imparare e insieme di tuffarmi nella piacevolezza del vivere; contatto con il respiro di una città dai mille volti e una bellezza che oltrepassa i secoli per parlarci ancora.
Quanto stupore davanti alla "Pietà" di Michelangelo in San Pietro,
o ammirando - naso all'insù - la lanterna di Sant'Ivo alla Sapienza con la sua originalissima struttura a spirale!
Quale incanto ci avevano regalato i marmi
sinuosi e movimentati dei gruppi scultorei così come la pietra degli edifici più antichi! E tra le tante statue viste, non poteva mancare quella di Stefano Maderno che rappresenta "Santa Cecilia", nell'omonima chiesa in Trastevere.

Grande suggestione mi veniva dalla nascita di nuove percezioni e in questo anche la musica aveva avuto un ruolo essenziale. In quel periodo, oltre ai pezzi che ho già ricordato, stavo ascoltando il "Concerto n.1 in sol minore op.26 per violino e orchestra" di Max Bruch (1838 - 1920) e alcuni momenti del viaggio sono rimasti segnati in me attraverso le sue note.
Si tratta di una composizione d'impronta tardoromantica - forse la più celebre del musicista tedesco - della quale tanti anni fa ho pubblicato il primo tempo, ricordando, tra l'altro, proprio questa mia esperienza romana.
È tumultuoso e insieme dolce il brano iniziale:
un "Allegro moderato" che fa da introduzione al successivo "Adagio", alternando passaggi orchestrali di grande intensità a melodie delicate che si ripetono come se la contemplazione della bellezza non dovesse aver mai fine.
Così, sono andata a rileggere il post di undici anni fa e mi
perdonerete se oggi ripubblico la stessa musica e se, per illustrare ciò che ha suscitato in me, invece di cercare parole nuove riprendo quelle che avevo scritto allora. Ma non saprei esprimermi diversamente. Eccole :

"Mi rivedo ancora mentre - nella magnificenza di una piazza, col vento sul viso - le sue note mi risuonavano in cuore con un'ebbrezza che era quasi una percezione d'infinito. Gli accordi che mi riecheggiavano dentro, infatti, con la loro intensità, nel contesto di quella Roma incantata e grandiosa avevano toccato corde tanto profonde da farmi percepire l'alitare di una vita segreta e sconfinata al di là delle apparenze. Ed era stata per me una nascita interiore, un autentico afflato di primavera.

Ma anche al di là della mia piccola esperienza, sta davvero in un respiro di giovinezza lo splendore di questo concerto, un respiro che si va delineando non solo nella delicata melodia del violino e nel suo sviluppo dai toni struggenti, ma anche nel ritmo dei bassi, quasi battiti di un cuore pulsante sui quali lo strumento solista inanella le sue variazioni.
E da ultimo, nell'irruente e grandiosa apertura orchestrale verso la fine: un'onda intensamente romantica prima che il brano - che in realtà non ha conclusione - sfumi dolcemente nel successivo
Adagio."

Buon ascolto!

Le foto, tutte prese dal web, rappresentano nell'ordine:

1) Acquedotto Claudio 2) Fontanone dell'Acqua Paola 3) "Apollo e Dafne" del Bernini 4) "Estasi di Santa Teresa" del Bernini 5) Veduta aerea di Roma 6) Piazza San Pietro 7) "Pietà" di Michelangelo 8) Lanterna di Sant'Ivo alla Sapienza del Borromini 9) Veduta aerea di Piazza del Campidoglio.

venerdì 8 dicembre 2023

Il silenzio di Maria

Non tutti i periodi sono uguali, e possono esserci momenti in cui la nostra ricettività subisce cambiamenti e oscillazioni.
Dopo oltre 700 brani pubblicati nel blog in quest
i anni, ci sono giorni in cui - nonostante la musica scritta nel tempo sia un mare infinito - non mi è sempre facile trovare un pezzo nuovo che mi susciti un scatto di stupore immediato tale da renderlo mio.
Di conseguenza, capita a volte che la mia ricerca
 si faccia più difficile, dato che non pubblico mai un pezzo solo perchè è bello o universalmente celebrato. Deve prima toccarmi col suo splendore, giungendo a dissipare l'opacità che talora mi porto dentro.

Per contro, ci sono periodi in cui la musica mi parla invece con viva intensità e sono parecchi i pezzi che, già di prima mattina, mi si affacciano alla mente e al cuore - come ho scritto altre volte - "in gioiosa lista d'attesa" chiedendo con insistenza di essere pubblicati.
È proprio il caso del brano e del dipinto di oggi che avevo pensato di tenere in serbo
per Natale, ma - perdonatemi! - non ce l'ho fatta. A prendermi è stata prima l'immagine che vedete sopra e poi la musica di Rheinberger: due universi lontani nel tempo, ma che mi piace accostare qui.

L'immagine è un particolare della tavola riportata a lato: la "Madonna col Bambino, San Girolamo, Santa Caterina d'Alessandria e Angeli" del senese Matteo di Giovanni di Bartolo (1430 - 1495), conservata presso la National Gallery of Art di Washington.
Nonostante sia stata realizzata intorno al 1470
e l'artista mostri altrove capacità prospettiche già rinascimentali, qui il fondo oro e la dolcezza sinuosa delle linee rivelano la sua appartenenza all'antica tradizione pittorica senese. Raffinatezza ed eleganza, infatti, sono i caratteri predominanti dell'opera che possiamo cogliere sia nella sottigliezza del tratto che nella finezza di tanti particolari.

È stato il viso della Vergine ad affascinarmi subito per la soavità del suo profilo nitido e luminoso, dell'ovale appena sfumato e degli occhi dal taglio sottile in un' espressione di muto raccoglimento: quello di una giovane donna che contempla il Figlio, assorta e delicatamente compresa in se stessa.
Ma splendido è anche il copricapo: un velo impalpabile - quasi un pizzo che le
incornicia la fronte - e il manto scuro, elegantissimo, di una consistenza che sembra avere la morbidezza del velluto. Un'immagine di rara preziosità, come preziosa è l'aureola che appena intravvediamo e che rivela la conoscenza da parte dell'artista delle opere di alcuni miniatori a lui contemporanei.

Un'immagine che può indurci a ricordare anche la molteplicità di musiche dedicate nel tempo alla Vergine. Così, tra i numerosissimi brani e inni molti dei quali universalmente conosciuti, ho deciso di pubblicare la toccante "Ave Maria" di Joseph Gabriel Rheinberger (1839 - 1901), tratta dalla "Messa in Si bemolle maggiore op.172".
Anche in questo caso, è stato un irrefrenabile impulso del cuore a guidare la mia
scelta. Appena l'ho ascoltata infatti, come per il dipinto di Matteo di Giovanni sono stata sorpresa dalla sua bellezza, uno splendore polifonico che l'esecuzione del coro finlandese "Valchia" - a mio avviso - sa valorizzare.

Certo, diversi secoli separano l'opera del musicista da quella del pittore. Tuttavia, se da un lato il canto affidato alle voci maschili mostra un carattere di robustezza, dall'altro non viene meno la loro grande trasparenza. Inoltre, le modulazioni e le dinamiche del brano si snodano seguendo il significato del testo, ora venato da qualche ombra nell'intensità dell'invocazione, ora ricco di luminose aperture.
Ma è soprattutto la delicatezza estrema di alcuni pianissimo in cui le voci digradano
fino a spegnersi, a comunicarmi una soavità simile a quella con cui è raffigurata Maria nel dipinto: una giovane donna avvolta nel silenzio, un'immagine da contemplare a lungo in questi giorni che precedono il Natale.

Buon ascolto!

giovedì 30 novembre 2023

Jogging mit...

Sapevo da tempo che esistono raccolte di musiche rilassanti per favorire la meditazione, il sonno, la concentrazione, lo studio, ma anche per respirare meglio o ridurre lo stress. Youtube, a questo proposito, offre esempi in quantità.
Sono a volte brani classici opportunamente
scelti o altri che riproducono i suoni della natura, dallo scorrere dell'acqua fino al vento o al cinguettìo degli uccelli.

Non sapevo invece che esistessero pezzi selezionati appositamente tra quelli dei più celebri compositori per ritmare il passo di chi pratica jogging!

Oh bella...ti sei data allo sport??? Non proprio, però capisco bene il piacere di muoversi col sottofondo di una colonna sonora perchè, per quanto non sia una runner, anche solo camminando come faccio spesso, mi canticchio un brano per conto mio. È una sorta di riflesso involontario che si attiva quando esco di casa: appena fuori, automaticamente qualcosa in un angoletto del mio cervello clicca play e parte una musica. Ne avevo già parlato qua e là, perciò non mi dilungo.

Ho trovato interessante che esistano album già predisposti a tale scopo. Indovinate qual è il primo autore nel quale mi sono imbattuta???...
Ma Bach naturalmente con una scelta di brani che vanno dai Brandeburghesi alle
Suites orchestrali! Lo stavo pubblicando, ma poi, se mi è piaciuto il titolo "Jogging con Bach: correre al ritmo del barocco", non mi ha convinto la foto di copertina.
Il nostro amico Giovanni Sebastiano, in lunga livrea rossa e pantaloni corti, corre
sulla riva di un fiume - e già sarebbe stato meglio un ruscello! - con un'espressione svagata e un po' beota - non beata, proprio beota! - nella quale francamente non lo riconosco. Sorride felice, certo, ma di una felicità stereotipata da spot pubblicitario che non sono riuscita ad apprezzare.
Se proprio siete curiosi, andate su youtube a cercarlo.

Allora ho ripiegato - si fa per dire! - su Mozart! La foto che vedete, infatti, ne presenta un compostissimo ritratto accanto a una giovane donna in corsa.
Ma poi, fosse raffigurato anche in veste da runner - diciamocelo - a lui si perdonerebbe facilmente qualche bizzarrìa, qualche
marachella da bambino prodigio, non è così? E allora vada per Mozart!

Musica per jogging, dunque! Perciò deve avere il giusto ritmo: non troppo concitato per non scaravoltarsi in velocità, e neppure troppo lento altrimenti la cosa non ha più senso. Così, ho ascoltato i brani del CD, ma benchè quasi tutte le indicazioni fossero Rondò, Allegretto, Presto, non mi hanno convinto. Pezzi bellissimi, certo, ma non corrispondenti al mio passo, alla pulsazione interiore, alla voglia di guardarmi intorno mentre cammino e alla distensione che cerco. Così ho fatto di testa mia.

Diciamo che ho giocato in casa perchè il brano scelto è tra quelli che ho tentato di suonicchiare di recente, nonostante i miei limiti da eterna principiante. Ma a dire il vero ha anche un andamento che rispecchia quello della sottoscritta quando cammina di buon passo, ma poi s'incanta a guardarsi intorno. Insomma, a corserelle e fermatine.
Si tratta del primo movimento - "Allegro" - della "Sonata n.13 per pianoforte in Si
bemolle Maggiore K.333", pezzo di una serena trasparenza che resta inalterata anche nelle parti in minore, e che potete ascoltare eseguito dalla bravissima Ying Li.
Un'interpretazione affascinante per la leggerezza del tocco che fa emergere la gioia presente in queste note, con un ritmo veloce e
tuttavia meno meccanico di altri pur bravi pianisti. Ne deriva un'esecuzione morbida e sognante, resa da Ying Li ora sfumando piano o al contrario sottolineando certi passaggi, o rallentandoli lievemente pur nel rispetto del tempo di 4/4. Proprio i 4/4 infatti - al contrario di una misura ternaria più adatta a una danza - ritmano meglio il mio andare mentre la musica mi fiorisce dentro.

Così, l'interpretazione della pianista si armonizza non solo col mio passo, ma anche con quello sguardo interiore sulle cose che si attiva in me - e chissà in quanti altri - ogni volta che ci si mette in cammino.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

mercoledì 22 novembre 2023

La speranza di Gounod

Ha un viso bellissimo la "Santa Cecilia" dipinta da Pietro da Cortona (1596 - 1669) nel quadro che vedete, conservato alla National Gallery di Londra.
È un viso ovale
dalla delicata leggiadria di un antico cammeo e dalle proporzioni perfette, incorniciato da un serto di fiori quasi fosse il diadema di una regina.
L'espressione seria, lievemente malinconica, è quella di una fanciulla già consapevole, dolce e insieme sicura di sè.
Spicca questo suo carattere nella luminosa semplicità dei lineamenti e dell'incarnato, in contrasto con
l'opulenza barocca del raffinato panneggio e con l'oscurità dello sfondo.

Come nella tradizionale iconografia in uso dalla fine del Medioevo in poi che vede Cecilia protettrice della musica e alla quale avevo fatto cenno qui, a sinistra troviamo un organo, nelle sue mani uno spartito e la palma del martirio che può ricordare uno stilo per scrivere. Compositrice, dunque? Chissà!...Comunque sia, trovo che questa rappresentazione della Santa sia una delle più affascinanti per vari motivi.
Prima di tutto per il contrasto tra ombra e luce, tipico della pittura barocca di cui
Pietro da Cortona è significativo esponente. Da un lato infatti la luminosità del volto emerge - come scrivevo - dallo sfondo scuro, e dall'altro proprio quello sfondo si apre in una prospettiva più ampia nella quale scorgiamo delle architetture classicheggianti - probabilmente la Roma in cui Cecilia è vissuta - e uno sprazzo di cielo dalle tinte variegate.
Ma a colpirmi è soprattutto la posizione del capo della fanciulla che non guarda lo spettatore come in tanta ritrattistica del passato, ma si volge da una parte, forse assorta in un suo pensiero, forse ad ascoltare l'angioletto che la ispira o fissando fuori dal quadro qualcuno che non vediamo.
Si tratta di un carattere iconografico di
grande eleganza che conferisce intenso spessore psicologico al soggetto rappresentato e ci sollecita ad immaginarne la storia che non si esaurisce nel dipinto. Carattere che, oltre a imprimere movimento alla figura, ha il suo inizio in alcune opere di Leonardo a comiciare dalla celebre "Dama con l'ermellino" identificata in Cecilia Gallerani. Da Cecilia a Cecilia, dunque!

Così, nel giorno che la ricorda, ho deciso di festeggiarla con un brano di Charles Gounod, (1818 - 1893), compositore versatile e aperto a generi musicali diversi che talora si fondono tra loro, come nel pezzo sacro di oggi nel quale riecheggiano qua e là suggestioni operistiche. 
Mi riferisco infatti - come lo corso anno - alla "Messe solennelle de Sainte Cécile CG
56", opera che forse proprio per la sua versatilità, è stata subito accolta con molto favore non solo dal pubblico francese, ma anche all'estero.
Lo testimoniano le parole con cui, a suo tempo, Camille Saint-
Säens aveva descritto il crescendo di impressioni ricevute al suo ascolto:  

"Raggi luminosi, come l'alba su di un nuovo mondo, emanavano dalla 'Messe de sainte Cécile'. Dapprima si rimaneva abbagliati, poi incantati, poi sopraffatti."

Se in passato avevo pubblicato il "Benedictus", ora ho scelto il "Kyrie". Inizia pianissimo il brano e va poi progressivamente arricchendo la propria intensità, insieme al coro a quattro voci che interviene alternandosi ai tre solisti - soprano, tenore e baritono - qui diretti da George Prêtre.
Quella del Kyrie è una preghiera prima sussurrata e sommessa tanto da essere all'inizio quasi impercettibile, poi
gradatamente più forte fino a farsi vero e proprio grido di implorazione per tornare di nuovo pacata nel finale.
Tuttavia, non c'è particolare tristezza in questa musica che, nonostante le varie modulazioni in minore, si apre a toni di luminosa speranza attraverso un andamento che, in taluni passaggi, sembra salire verso l'alto.
E mi sembra da parte di Gounod uno splendido omaggio alla Santa.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

martedì 14 novembre 2023

Le mie città - 11


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è sempre facile parlare del proprio luogo di origine, non perchè manchino i ricordi, ma perchè talora sono anche troppi e ci coinvolgono a più livelli tanto intenso è il vissuto che ci portiamo dentro.
Mille osservazioni potrei fare sullo splendore della mia città natale che sorge in un verde angolo
di pianura, tra il cotto delle pievi romaniche disseminate nella campagna circostante e l'atmosfera raccolta di piazze e chiese che dal Medioevo ci conducono su fino al Rinascimento e oltre.
Sto parlando di Lodi, luogo ricco di storia e di un fascino
da scoprire piano, nell'ombra discreta dei suoi cortili e nella bellezza dei tanti edifici del passato.

Potrei ricordare i suoi più famosi gioielli artistici, dalla Chiesa dell'Incoronata fino alle ceramiche conservate al Museo civico.
Ma anche la campagna che la circonda ha
un suo splendore, a iniziare dalla suggestione del fiume Adda, insieme ai filari di pioppi che ne delimitano le rive, e ai campi che in certe ore della giornata ne fanno un luogo di profonda pace.

Tuttavia, la mia Lodi non è solo questa, ma abita anche in altri spazi. Vi sono nata e vissuta fino a 31 anni, poi mi sono trasferita altrove, non lontano per la verità.
Ma talora basta una piccola distanza a
mettere tra noi e un luogo amato quella nostalgia che allieta ogni ritorno e m' illumina d'immenso come ritrovassi una parte di me ogniqualvolta dalla stazione mi avvio piano verso i giardini pubblici e il centro.

Parlo della viva sensazione di essere a casa che tutti sperimentiamo quando un angolo di mondo ci entra nel cuore, perchè le sue pietre e i suoi tetti, i portici e le case, fino all'acciottolato sassoso di piazze e vie, diventano simili a una grammatica che portiamo scritta dentro e che ben comprendiamo. Ed è proprio questa profonda sintonia, questo dialogo segreto con la città a farla nostra per sempre.

Il mio dialogo con Lodi si è intrecciato quando ero bambina, ma nel tempo si è arricchito della lunga consuetudine con certi angoli per me ricchi di particolare fascino.
Sono alcune vie del centro storico tra le più defilate e nascoste
che amavo talora percorrere in solitudine e che mi svelavano segreti dettagli di bellezza: qui uno scorcio di verde in un cortile appartato, là una cornice in cotto; o ancora una bifora a vento o la semplice eleganza delle facciate delle tante casette di un tempo.
Ma era riposante anche incantarsi davanti al prezioso organo rinascimentale del tempio dell'Incoronata o rifugiarsi tra le prospettive aeree di certi soffitti barocchi, come quello della chiesa di Santa Maria delle Grazie.

C'è un luogo, però, che amo al di sopra degli altri e che negli anni ha fatto di Lodi una città sempre più mia: è la splendida chiesa di San Francesco.
Edificio medioevale che nella struttura fonde stile romanico e gotico, è
celebre perchè custodisce le tombe di alcuni lodigiani illustri - la poetessa Ada Negri, il naturalista Agostino Bassi e il librettista Francesco De Lemene - ma anche per la facciata a vento e i numerosi affreschi dell'interno.

Sono opere che ci guidano in un itinerario pittorico che va dal Trecento al Settecento, talora frutto di mani sconosciute ma non per questo meno pregevoli. Suggestivo entrare in chiesa nelle giornate di sole, quando la luce dorata del pomeriggio gioca sui dipinti delle navate traendone i colori dell'arcobaleno.
Parecchi meriterebbero attenzione, a
cominciare dalle varie raffigurazioni di Maria, tra le quali mi piace ricordare la Madonna col Bambino del cosiddetto Maestro di Ada Negri, esempio di rara espressività e delicatezza che vedete qui a lato.

Ma quello che mi affascina da sempre, e che considero in qualche modo mio tale è l'affetto che mi lega ad esso, è l'affresco che vedete nella foto grande in alto e in un particolare qui sotto.
Raffigura lo "Sposalizio mistico di Santa
Caterina", opera della scuola di Giovannino de' Grassi (1350 - 1398), databile verso la fine del Trecento.
Non lo si vede subito all'interno della chiesa: è infatti
sotto l'arco ogivale della navata destra in corrispondenza della Cappella di San Bernardino e bisogna cercarlo. Ma una volta trovato, si resta incantati dalla sua leggiadrìa.

Osservatelo: spiccano i suoi colori e la sua luminosità sul fondo scuro dal quale l'affresco prende risalto. E se anche la figura di Santa Caterina, a destra in basso, non risulta quasi più visibile e se ne scorge solo una mano che sta per essere inanellata da Gesù Bambino, è l'immagine di Maria in mezzo a un aereo corteggio di angeli a costituire la vera grazia del dipinto.
Si china infatti lievemente verso Caterina - ma
anche verso ciascuno di noi - e la leggera curvatura del suo corpo che segue quella del Bambino ha una delicatezza ineffabile. È una giovane, bionda fanciulla che offre il suo Figlio con un' espressione indefinibile che sembra aprirsi al sorriso, ma insieme velarsi di una punta di pensosa mestizia, come si osserva a volte anche in altre raffigurazioni. E ne deriva un effetto di non comune soavità.

Nell'opera, notiamo inoltre una raffinatezza e un'eleganza che non rimandano tanto alla monumentalità giottesca che aveva fatto scuola in quegli anni, ma agli influssi del Gotico Internazionale già diffuso all'epoca anche nell'Italia del nord. Se da un lato infatti l'iconografia colloca la Madonna all'interno di una mandorla secondo moduli del passato, dall'altro la sottigliezza del tratto, le forme allungate insieme alla luminosità dei colori sono caratteri già nuovi che preludono - per esempio - allo stile di Masolino da Panicale, che lavorerà in Lombardia nella prima metà del Quattrocento.

E per esprimere in musica il senso di profonda gratitudine che provo per tutta la bellezza che la vita mi ha messo vicino, ho scelto oggi un brano di Bach che chi frequenta questo blog ricorderà di certo.
Se infatti anni fa ho pubblicato qui l'ultimo dei Sei Corali Schübler per organo, oggi vado all'origine di quel pezzo postando il secondo movimento, "Aria", della "Cantata BWV 137 Lobe den Herren, den mächtigen König der Ehren" (Loda il Signore, potente re di gloria) dalla quale il corale è stato tratto.

Da Bach a Bach quindi. Ma perchè?
Perchè mi è parso interessante vedere come le tre voci che l'organo sintetizza - due suonate sulle tastiere e il tema sulla pedaliera - nella Cantata siano nate invece per tre strumenti diversi. Il violino e il basso continuo infatti, fungono da accompagnamento, mentre la voce del
contralto (o talora del controtenore) fa da solista al quale è affidata la melodia.

Luminosissime e gioiose sono le note del brano nella tonalità di Sol Maggiore e nel loro ritmo un po' danzante, mentre - come già ricordavo in passato - nell'impianto accordale si annuncia già il tema di un'altra Aria più che mai celebre, quella della "Suite n.3 per orchestra BWV 1068" che Bach comporrà qualche anno più tardi.
Ma a prendermi è stato anche il testo cantato: con riferimento ad alcuni Salmi, esso
esprime infatti una costante esortazione alla lode della grandezza divina che guida, sostiene e protegge l'uomo.

Buon ascolto!

(Le foto, prese dal web, rappresentano dall'alto in basso: 1) Sposalizio mistico di Santa Caterina 2) Il fiume Adda a Lodi 3) Dettaglio di Piazza della Vittoria 4) Dettaglio della facciata del Duomo 5) Dettaglio della facciata della chiesa di San Lorenzo 6) Organo del tempio dell'Incoronata 7) Madonna col Bambino del Maestro di Ada Negri 8) Particolare dello Sposalizio mistico di Santa Caterina 9) Facciata della chiesa di San Francesco 10) Bifora a vento della chiesa di San Francesco.

 

martedì 7 novembre 2023

Come una rosa

Sarà forse la suggestione del mese di novembre o ancora il pensiero della splendida Patricia Janečková - come ricordavo giorni fa - così prematuramente scomparsa, a condurmi oggi verso un'altra brillante interprete che da parecchio tempo non è più con noi.

Si tratta della violoncellista britannica Jacqueline du Pré (1945 - 1987), morta a soli 42 anni come si evince dalle date: artista celebre per lo splendore delle sue incisioni, per il sodalizio affettivo e musicale con Daniel Barenboim, ma anche per la sclerosi multipla che l'ha portata precocemente alla fine.

Tuttavia, questo post non vuol essere una triste rievocazione, ma l'omaggio a un'interprete luminosa, come luminoso è il brano che vi propongo insieme alla foto che vedete. Una rosa? Sì, proprio quella che l'azienda florovivaistica inglese Harkness ha dedicato alla violoncellista poco dopo la sua scomparsa, per farne rivivere in questo modo la grazia e il grande talento.
Si legge infatti nelle varie didascalie:

"La rosa Jacqueline du Pré è un elegante fiore dalla bellezza eterea, semidoppio, a coppa aperta, bianco crema con il retro dei petali rosa pallido. La fragranza è molto delicata con sentore di muschio. I fiori sbocciano in mazzi di 3-11 ed appaiono traslucidi nelle giornate grigie e molto luminosi quando splende il sole. La fioritura è precoce e ripetuta. É stata selezionata da Harkness nel 1988 e viene reputata una delle sue migliori rose"

Ma torniamo alla musica. Un'interprete luminosa dicevo, ma insieme appassionata e tenace: basti osservare la freschezza del suo sorriso anche quando era già aggredita dal male, e il suo fondersi con la musica nelle incisioni più celebri, a cominciare da quella del 1965 del "Concerto per violoncello in mi minore op.85" di Edward Elgar (1857 - 1934).
Scritto dal compositore subito dopo la fine della prima guerra mondiale, con uno
stile più contemplativo e meno altisonante di altre sue precedenti creazioni divenute subito popolari, il concerto inizialmente non è stato accolto con favore dal pubblico. Ma a rivalutarlo in seguito dandogli lustro e celebrità è stata proprio Jacqueline du Pré con una performance superlativa rimasta nella storia. Proprio da questa incisione è tratto il pezzo di oggi che è il terzo movimento, "Adagio".

Si tratta di un brano ora soave, ora più vibrante nel fascino della tonalità di Si bemolle Maggiore: una musica ricca di squarci e di aperture luminose dove il delicatissimo tema va ripetendosi con progressiva intensità, insieme a passaggi soffusi di malinconia, simili a sospiri.
Jacqueline du Prè si addentra in queste note facendole sue con passione e dolcezza per scoprir
ne ogni segreto palpito. Ma l'aspetto a mio avviso più pregevole della sua interpretazione è la capacità di far emergere il grande stupore e il senso di crescente attesa presenti nel brano fin dall'esordio, e reiterati poi in diversi punti come pure in alcune pause.
Sembra quasi che l'atmosfera in cui la musica ci introduce sia quella di una notte che si apre verso l'alba, con una delicatezza che può ricordare proprio una rosa quando i suoi petali si schiudono piano verso la luce.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

lunedì 30 ottobre 2023

Molteplice fascino di una Toccata

Quando in campo musicale ricorre il termine Toccata, penso che - giustamente - tanti l'associno prima di tutto a Bach, a cominciare dalla sua "Toccata e Fuga in re minore BWV 565", certo la più famosa ma non l'unica creazione del compositore strutturata in tal modo.
Ce ne sono infatti molte altre: provate ad asco
ltare, per esempio, la BWV 540 in Fa Maggiore o la BWV 564 in Do Maggiore - che, tra l'altro, ai due movimenti canonici inframmezza eccezionalmente un incantevole Adagio - e avrete un'idea della sua funzione.

Con questo termine s'intende infatti un brano introduttivo, una composizione strumentale vivace e movimentata, una sorta di brillante pezzo di bravura costruito con scale e arpeggi in cui gli esecutori possono dar prova della loro abilità e - appunto - della bellezza del loro tocco.
Nata nel periodo rinascimentale prima per fiati e successivamente per liuto, la Toccata viene poi
scritta per clavicembalo e in seguito per organo.
Ma è l'epoca barocca a darle il maggiore risalto, sia per le numerose
creazioni bachiane, sia per il suo stile libero e quasi improvvisativo, simile a una sorta di antico e fantasioso ricercare che prelude alla Fuga, ma talora indipendente da essa e più vicina a un tema con variazioni.
Ricordo, tra le altre, le Toccate di Buxtehude, di Alessandro Scarlatti ma
soprattutto - conosciutissima - quella di Paradisi, resa poi celebre del vecchio intervallo televisivo ed eseguita all'arpa.
Il periodo romantico vede invece un uso meno frequente di questa forma musicale, anche
se nel corso dell'Ottocento non mancano esempi tra i quali la Toccata dalla "Sinfonia n.5 in fa minore op.42" di Charle-Marie Widor, brillante pezzo organistico eseguito spesso durante i matrimoni reali.

Proprio della fine dell'Ottocento - precisamente del 1895 - è il brano di oggi col quale dò il benvenuto in questo blog al compositore e organista francese Léon Boellmann (1862 - 1897). Si tratta della Toccata che questa volta non apre, ma conclude la sua "Suite gothique op.25".
Perlomeno nella parte iniziale, non è un brano dalle sonorità luminose e festanti
come quello del contemporaneo Widor, anche se qualche punto di contatto non manca. Questo di Boellmann infatti si apre nella tonalità di do minore su di un tema semplice e un po' cupo che va ripetendosi, ora suonato dalla pedaliera mentre la tastiera fa da accompagnamento, ora viceversa.

Gli aspetti che mi affascinano maggiormente sono quattro: prima di tutto la straordinaria energia sprigionata da queste note, poi il ritmo spesso variato. Si potrebbe dire infatti che il brano non abbia particolare sviluppo, ma alterni momenti diversi con variazioni più che altro ritmiche. Ora infatti si dipana a somiglianza di una marcia cadenzata dove accordi e tema sono scanditi con regolarità sulla prima nota di ogni quartina; ora invece il tema s'innesta sulla terza nota delle varie quartine creando così una sorta di sfasatura ritmica che - a mio modesto avviso - è il bello di questa creazione.
Il terzo elemento che mi ha colpito è la successione di cromatismi che modulano su altre tonalità a 2.16
dall'inizio. Infine, la bellissima conclusione dove, dopo che la melodìa in minore viene ripresa a ottave sulla pedaliera, si passa progressivamente ad un brillante e fragoroso accordo di Do Maggiore che tutto illumina con la sua energia!
Un pezzo affascinante e insieme impegnativo che, come la maggioranza delle
composizioni organistiche, non solo richiede il tocco giusto, ma anche perfetta sincronia tra tastiere e pedaliera.

Buona visione e buon ascolto!

(La foto è presa dal web. Per chi volesse seguire il brano sullo spartito, questo è il link: https://www.youtube.com/watch?v=XzU5xbZ4QEA )

 

domenica 22 ottobre 2023

Con la voce di Patricia

Non troppe parole oggi, perchè non esistono espressioni sufficienti a deplorare la guerra tra Hamas e Israele, deflagrata giorni fa con un orrore senza pari, come se non bastassero i conflitti presenti nel mondo, dall'Ucraina a quelli di cui più nessuno parla. Una sorta di terza guerra mondiale combattuta a pezzi, come l'ha definita Papa Francesco.

Nella situazione attuale, straziante, ma insieme confusa e contraddittoria, mentre l'obiettivo della pace si fa sempre più lontano, questo post vuol essere un piccolo ricordo dedicato alle vittime. Tutte, senza distinzione.
E lo faccio attraverso un brano di Andrew Lloyd Webber, compositore britannico
classe 1948, conosciuto soprattutto per i suoi musical tra i quali Jesus Christ Superstar, Cats ed Evita solo per citarne alcuni.

Il pezzo che ho scelto è l'invocazione di pietà che ci viene dal toccante "Pie Jesu" del suo "Requiem", seguito dall' "Agnus Dei" e cantato da una voce di eccezione spentasi proprio il primo ottobre scorso a soli 25 anni(!), a seguito di un tumore che non le ha dato scampo.
Si tratta della slovacca Patricia Janečková, splendida promessa della lirica che tempo fa
avete visto qui nella scintillante interpretazione di un pezzo di Offenbach. Una giovanissima ma già straordinaria cantante che mi auguro venga ascoltata a lungo nelle varie registrazioni che ci ha lasciato.
Una voce che,
attraverso le note di Lloyd Webber, mi pare significativa a ricordare i tanti che come lei - in modo diverso ma non meno lacerante - hanno attraversato la soglia della morte.

Buon ascolto!

(Nella foto, presa dal web, particolare della "Deposizione" di Benedetto Antelami conservata nel Duomo di Parma.)

 

domenica 15 ottobre 2023

Le mie città - 10

Taddeo di Bartolo: "San Gimignano e storie della sua vita" - Pinacoteca civica di San Gimignano

Non è la prima volta che parlo di San Gimignano su queste pagine.
Avevo pubblicato qualche anno fa un'immagine della sua campagna circostante in
pieno inverno. Era una foto del mio calendario di allora: la neve in primo piano e l'inconfondibile profilo della città sullo sfondo.
Ma se voglio parlare di luoghi che ho nel cuore per la loro bellezza insieme a un legame fatto di ricordi, non posso trala
sciare San Gimignano e l'aura antica che vi ho respirato ogni volta che l'ho visitata, nell'azzurro di una giornata ventosa o avvolta nel grigio delle brume autunnali. 

Le celebri torri e case-torri che la rendono un unicum nel suo genere tanto da averle meritato l'appellativo di Manhattan del Medioevo, mi hanno sempre colpito insieme al particolare impianto urbanistico che ricalca quello di altri centri storici dell'epoca.
Il borgo si snoda con un andamento sinuoso che segue la
morfologia dei colli, con la cinta muraria, le strade strette e curve a spezzare l'urto del vento - o l'irrompere di un invasore - e una pietra di colore uniforme.
Ma più di altri elementi, singolare è il suo
originalissimo profilo visibile da lontano. 

Proprio questo aspetto mi ha sempre attirato più ancora di altri caratteri storico-artistici pure molto pregevoli come - solo per citarne alcuni - gli affreschi di Benozzo Gozzoli e del Ghirlandaio che decorano la Collegiata.
C'è infatti una particolare interazione tra la cittadina e il panorama delle colline circostanti, quasi le molteplici direzioni da cui vi si può giungere, cambiando il punto di vista da cui la si osserva e mutandone la fisionomia, ne accrescano splendore ed eleganza.
Bellissimo avvistarla da lontano, vederla
emergere dalle ondulazioni del paesaggio, mentre il profilo va man mano precisandosi e variando di curva in curva. Ora il centro appare raccolto intorno alle torri, ora si allunga sinuoso lungo il dorso della collina a comprendere antiche frazioni che, nel corso dei secoli, sono state inglobate nel tessuto urbano. Ed è bellezza che si aggiunge a bellezza. 

Così mi torna in mente un ricordo lontano, un viaggio di fine vacanze, quando le prime giornate di settembre avevano già brume mattutine che preludevano all'autunno.
Altri tempi.
A conclusione di un itinerario che ci aveva
portato dal Casentino al Chianti, dalle Crete senesi alla Val d'Elsa, l'ultimo giorno non avevamo trovato da dormire a San Gimignano, ma solo ad alcuni chilometri di distanza.
A tarda sera eravamo arrivati a un casale rustico in piena campagna, a dire il vero piuttosto spartano, ma il panorama che ci
si era presentato dalla finestra la mattina seguente era a dir poco incantevole. Al diradarsi delle prime foschie, erano comparse da lontano le torri come fossero sospese sopra una lieve coltre di nuvole e ci siamo resi conto che eravamo di fronte al borgo nel suo profilo più affascinante, disegnato in fondo a una dolce distesa di vigneti. 

Mi sono chiesta spesso che significhi abitare circondati da un tale splendore.
Cambia la vita uscire al mattino e
spaziare in mezzo alla morbidezza dei colli, tra appezzamenti di terreno che sembrano dipinti da Ambrogio Lorenzetti, lasciando vagare lo sguardo sulla pietra antica che riflette ora il grigio autunnale, ora la calda luce del sole?
Certo che cambia, se non si cede a
quell'abitudine che talora ottunde lo stupore. E se resta vero che la bellezza può annidarsi ovunque, anche nel tumulto di una metropoli di pianura, vi sono tuttavia luoghi dove l'opera dell'uomo e le meraviglie della natura si fondono con incanto tutto particolare. 

Un incanto che deve aver colpito i pittori medioevali come il senese Taddeo di Bartolo (1362 - 1422) del quale vedete, in alto e a lato, alcuni particolari del polittico che raffigura "San Gimignano e storie della sua vita".
Qui il vescovo Geminiano tiene in mano un modellino della
città che da lui ha preso il nome e che l'artista ha dipinto nella sua originalissima fisionomia e negli incastri architettonici, con uno stile che fonde la grazia di Simone Martini con i caratteri tardogotici di Gentile da Fabriano.

E a un antico borgo di così grande fascino - come già in passato - dedico un brano di Mozart: stavolta è il secondo movimento, "Andante", dalla Sinfonia n.35 in Re maggiore K.385 detta "Haffner".
La composizione si basa su di una
precedente e omonima Serenata, opportunamente riadattata in veste sinfonica con modifiche nei tempi e nell'orchestrazione. Un lavoro nel suo insieme scintillante e brioso il cui tempo lento - l'Andante appunto - può ricordare invece il carattere lirico e dolce della composizione precedente, soprattutto nel dialogo tra gli archi e i fiati.
Il brano ci regala infatti la garbata e pensosa serenità di Mozart
. Bellissima la leggerezza dei vari passaggi in cui la melodia si snoda su di una base di note ribattute: un procedere lieve e delicato che induce allo stupore, un po' come le morbide ondulazioni delle colline toscane che ora celano, ora svelano il profilo di San Gimignano in un incanto che non finisce di sorprendere.

La clip video riporta solo la prima metà dell'Andante. Nel seguente link potete trovare tutto il brano, sia pure in un'altra interpretazione:

https://www.youtube.com/watch?v=qEazhsdRMd0 

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

sabato 7 ottobre 2023

Viva il prof. Albrechtsberger !

Si è celebrata nei giorni scorsi, precisamente il 5 ottobre, la Giornata mondiale dell'insegnante.
Confesso che - nonostante il mio passato
nella scuola, o forse proprio per questo - sono allergica a un certo genere di ricorrenze che, a mio modesto avviso, lasciano un po' il tempo che trovano mentre, per valorizzare davvero la funzione docente, occorrerebbe ben altro.
Tuttavia, in questo piccolo angoletto di web
ho pensato di fare un'eccezione. Così oggi mi appresto a ricordare un musicista che, oltre che compositore, è stato proprio insegnante di una nutrita schiera di allievi tra i quali Beethoven e forse Mozart, nonchè autore di trattati di teoria musicale che hanno fatto scuola - appunto - a un gran numero di studenti.

Sto parlando dell'austriaco Johann Georg Albrechtsberger (1736 - 1809), garbatissimo musicista del quale tempo fa ho pubblicato un delizioso brano per arpa e orchestra e che, come vedete subito dalle date, si muove tra Barocco e Classicismo. Autore - come ricordavo in passato - di numerosissime fughe, esperto di armonia e contrappunto, proprio di questi temi si è occupato nelle sue opere di carattere didattico sulla composizione.

Bene. Allora, dedicato in particolare a tutti coloro che insegnano musica, di Albrechtsberger oggi ho scelto un brano che, come mi accade ormai spesso, mi ha colpito per alcuni riferimenti che certo anche a voi suoneranno familiari. Si tratta della "Fuga" per il "Quartetto d'archi in Do maggiore", pezzo che porta l'indicazione di "Allegro moderato", nonostante i tanti passaggi che piegano verso tonalità ombrose arricchendone lo spessore. 

Ma il motivo della mia scelta è che, appena l'ho ascoltato, il brano mi è risuonato dentro come cosa non nuova, e ho continuato a risentirlo a mo' di tormentone per il desiderio di dare una fisionomia precisa al mio ricordo. Quasi tredici anni di blog sono tanti ed è dura ripercorrere tutta la musica che ho pubblicato nel tempo; d'altra parte di Albrechtsberger finora ho postato un solo pezzo...e allora dove ho già sentito queste note?
Ascolta e riascolta...a un certo punto ho capito!
A colpirmi non è stato solo il ritmo della fuga col successivo sovrapporsi delle voci, il loro intreccio e i cromatismi che lo caratterizzano, ma alcuni passaggi - a partire da 1.28 dall'inizio - che mi ricordano il tema del "Cum Sancto Spiritu" nel "Gloria" della "Grande Messa in do minore K.427" di Mozart. Anche in questo caso il brano ha una struttura fugata molto simile e, se volete, potete trovarlo qui.

Mozart, dunque! In effetti il riferimento non è fuori di luogo se pensiamo che – come ricordavo in passato - i due musicisti non sono stati semplicemente contemporanei,
ma pare anche amici.
La "Grande Messa K.427" è del 1783 e, non conoscendo la data di composizione di
questa fuga, non so quale dei due abbia preso ispirazione dall'altro. Ma potrebbe trattarsi di quel reciproco scambio e di quella condivisione che avviene talora, oltrepassato un certo livello, tra insegnante e allievo, o magari quando l'allievo supera il maestro. Del resto, non è l'unico pezzo di Albrechtsberger in cui risuona il tema mozartiano di quel "Cum Sancto Spiritu": lo si ritrova infatti anche in altre fughe, in brani per organo, simile a un filo che collega i due compositori insieme al grande garbo che li accomuna.

Buon ascolto!

(Nella foto, presa dal web, particolare da "La lezione di musica" di Johannes Vermeer.)

 

sabato 30 settembre 2023

Un soavissimo Mendelssohn

Nel cercare su youtube alcuni brani di atmosfera autunnale, nei giorni scorsi mi sono imbattuta in un pezzo di Felix Mendelssohn Bartholdy (1809 - 1847) che ricordavo vagamente di aver ascoltato in un concerto di Rai 5, ma sul quale non mi ero mai soffermata. Invece, stavolta ha subito catturato il mio interesse.

Alla musica del compositore mi sono accostata per la prima volta a diciassette anni, ascoltando il "Concerto per violino in mi minore op.64", uno dei capolavori della letteratura violinistica dell'Ottocento, del quale mi sono subito innamorata. La composizione mi aveva parlato soprattutto col suo Andante, pezzo di mirabile dolcezza, oggetto di svariati arrangiamenti il più celebre dei quali, che potete ritrovare qui, è addirittura all'interno di un'opera rock.
Poi di Mendelssohn ho sempre ascoltato volentieri alcune "Romanze senza parole" tra le più ricche di efficacia pittorica, e qualche pezzo corale. Delle Sinfonie mi piace molto l'Italiana, con la sua luminosità mediterranea e il piglio vivace che riecheggia qua e là certi ritmi della nostra tradizione popolare.
Ma raramente sono andata oltre.

Giorni fa invece, a incantarmi è stato il terzo movimento - Adagio - della "Sinfonia n.3 in la minore op.56" detta "Scozzese" perchè nata dopo un viaggio in Scozia dal quale il compositore ha preso ispirazione anche per l'ouverture "Le Ebridi".
La Scozzese, frutto di lunga elaborazione, segue l'Italiana di nove anni e ci introduce in un clima molto diverso,
originato dalla suggestione del paesaggio nordico, da una luce differente così come da differenti colori.
Quelle di Mendelssohn sono impressioni simili a diari di viaggio che il
compositore oltre che sulla tela - si dilettava infatti anche di pittura - fermava in note. Qui, tali impressioni si dipanano quasi senza soluzione di continuità nei quattro tempi della sinfonia: lo dimostra l'apertura di questo Adagio che somiglia al prosieguo di un discorso già iniziato e ci introduce piano al delicatissimo tema. 

Prendetevi del tempo e ascoltatelo senza fretta, in un momento tranquillo.
C'è un' impagabile soavità in questa melodia, accompagnata al suo esordio
dal pizzicato degli archi, mentre nelle riprese successive è sostenuta da una più ricca e articolata orchestrazione.
È un'aria di grande morbidezza e intensità, che ora declina verso sonorità dissonant
i e crepuscolari, ora si apre alla luce a somiglianza di certe immagini della campagna scozzese con tinte sfumate e atmosfere nordiche, spazi immensi e solitudini sconfinate. Un'aria che si dipana dolcemente andando a culminare in alcuni splendidi intervalli di settima maggiore (la - sol#) - il primo dei quali a 1,48 dall'inizio - ripresi poi nel corso del brano a ricreare riposanti aperture di paesaggio con un respiro musicale più ampio.

Alternate alla dolcezza di questo primo tema, vi sono tuttavia alcune parti di atmosfera decisamente diversa, caratterizzata da toni cupi e funebri, insieme a ritmi molto più energici e cadenzati. Un contrasto di fronte al quale suona ancor più significativa, nella sua delicatezza, la melodia iniziale coniugata in mille sfumature espressive, come se Mendelssohn avesse inteso trasporre in note la morbidezza della sua abilità di acquerellista.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web.)