domenica 30 settembre 2018

A tu per tu con l'opera d'arte

Ci sono dipinti famosi che ricordiamo ancora dai tempi della scuola, che abbiamo ammirato sui libri, o magari in seguito cercato anche sul web. 
Ma contemplare un'opera d'arte dal vivo resta sempre un'esperienza impagabile, soprattutto se non ci aspettavamo di vederla.
Così quando - poco più di un mese fa - ho avuto la possibilità di visitare la National Gallery di Londra, è stata una gioiosa sorpresa scoprire in una delle prime sale "Il battesimo di Cristo" di Piero della Francesca (1416 ca. - 1492).

Non ricordavo fosse conservato lì e ritrovarlo all'improvviso mi ha comunicato quel senso di familiarità che si prova quando, a distanza di tempo, s'incontra una vecchia conoscenza. Conoscenza fatta in questo caso negli anni di liceo, quando la nostra bravissima insegnante di Storia dell'Arte ce ne aveva illustrato i caratteri: la costruzione matematica dello spazio, la centralità della figura di Cristo, la colomba dello Spirito Santo in posizione prospettica e il paesaggio di fondo che traspare simile a un intarsio dove s'intravvedono alberi, campi, strade e castelli. 
Lo splendore insomma di una rappresentazione a misura d'uomo, verso la quale si era ormai avviata la pittura del Quattrocento, dove l'equilibrio e il rigore della geometria si fondono con una realtà multiforme e l'episodio evangelico è inserito nel contesto coevo al pittore.

Ma trovarsi a tu per tu con un'opera d'arte è anche avere la possibilità di leggerne altri aspetti, soprattutto se - come in questo caso - la grandezza della tavola permette, per così dire, di entrare in essa cogliendo dettagli che altrove possono sfuggire.
Sono tanti gli elementi che mi hanno colpito: dalle dolci anse del fiume che riflettono le nuvole e le figure in secondo piano, all'atmosfera dove tutto sembra risplendere di luce propria, fino alla leggiadrìa dei tre angeli a lato e all'atteggiamento dei due protagonisti al centro.

Proprio su quest'ultimo aspetto vorrei soffermarmi perchè vi ho letto una sorta di piccolo contrasto. 
Quanto infatti appare solida e robusta, composta e sicura la figura del Cristo, altrettanto mi sembra invece più leggera e quasi esitante quella di Giovanni. Sfumature certo, indubbiamente dovute al fatto che l'uno è fermo mentre l'altro è in movimento. 
Tuttavia l'atteggiamento del Battista, nel suo versare l'acqua sul capo di Gesù, sembra esprimere una riverenza che lo induce quasi a trattenere il gesto, nella consapevolezza di trovarsi di fronte a chi è più grande di lui. Lo colgo dalla sua figura meno plastica rispetto a un Cristo più maestoso e d'impronta masaccesca.

Ma soprattutto me lo dice la sua mano sinistra, una bellissima mano dalle giunture nodose della quale vediamo lo spessore e intuiamo la forza, aperta ma quasi contratta in un gesto che può esprimere rispetto, meraviglia, pudore o forse una lieve esitazione.
Una mano che non esce neppure dal margine della veste, come se nell'atto in cui battezza il Cristo, Giovanni volesse farsi da parte di fronte a chi gli è superiore.
Sembra quasi che l'autorevolezza che ha sempre caratterizzato la sua figura e che altri artisti - per esempio Giotto, Bellini, El Greco o Tintoretto - trattando lo stesso tema hanno espresso dipingendolo più in alto rispetto a Gesù, qui venga meno limitandosi a un gesto pacato.
"Bisogna che egli cresca e io diminuisca": ecco le parole evangeliche (Gv.3,30) che l'immagine mi ha riportato alla mente e che potrebbero aver ispirato nel pittore tale rappresentazione. 

Ma ad affascinarmi è stata anche un'altra scena di questo dipinto.
Se la soavità ha un volto o un luogo prediletto, Piero della Francesca l'ha ricreato nel particolare delle tre figure angeliche: nella grazia delle acconciature e dei panneggi, nelle fronde dell'albero che quasi scendono ad accarezzarle e nel paesaggio di fondo che traspare tra loro.
Caratteri che l'artista sembra aver preso anche dall'antichità classica - come l'abito dell'angelo al centro simile a un peplo greco - e che ha fuso con la propria ispirazione.
Un'immagine appartata e silenziosa come silenzioso è lo stupore dipinto sui volti, accresciuto dalla luce piena e dalla chiarità dei colori pastello. Una dolce conversazione, un dialogo di sguardi rivolti anche a noi che osserviamo, quasi un invito a entrare nella scena; un angolo di paradiso inquadrato tra le colline toscane dove il pittore è nato.

E per lasciarci condurre all'interno di questa rappresentazione, ho scelto un luminoso brano di Mozart: il secondo movimento,"Adagio", del "Concerto per violino e orchestra in Sol Maggiore n.3 K.216". 
È un'aria di grande intimità e purezza melodica quella che si dispiega lenta e serena sull'onda del violino sostenuto dal ritmo degli archi, un'aria tanto suggestiva che - ripercorrendo i numerosissimi brani del compositore salisburghese condivisi qui in passato - mi è parso strano non averla ancora pubblicata. 
Lo faccio quindi oggi anche perchè mi pare in armonia con la soavità delle immagini, insieme a quella fusione di umano e divino che il tema del dipinto ci propone e che la musica di Mozart, per sua prerogativa, sottolinea ed esalta.

Buon ascolto!

sabato 22 settembre 2018

Bach e "il senso dell'avventura"

Avevo in cantiere per oggi un post e un brano ben diversi da questo, ma niente da fare
Ancora una volta, la musica è venuta a sconvolgere i miei piani e a imporsi, suscitando in me all'ultimo momento un desiderio irrefrenabile di pubblicare altro.
Esiste evidentemente un tempo idoneo per ogni cosa e - come scrivevo poco tempo fa - non basta che un pezzo sia bello: occorre che desti in noi anche uno scatto, un soprassalto di entusiasmo, quasi ci sentissimo per così dire interpretati dalle sue note.
È questo il motivo per cui, oggi, torno all'accoppiata Richard Galliano - Gary Burton di cui avete recentemente ascoltato lo splendido arrangiamento della colonna sonora di Bacalov per il film "Il postino". 
Fisarmonica e vibrafono quindi, jazz e musette in un insieme accattivante come sempre, o forse ancor più di sempre perchè stavolta l'autore di riferimento è nientemeno che Bach del quale Galliano è grande cultore.

Tratto dal cd "If You Love Me", il pezzo arrangiato è la "Sinfonia n.11 in sol minore BWV 797", dolcissima invenzione a tre voci che i due interpreti rielaborano con maestria, ricavando dal piccolo gioiello bachiano un pezzo ricco di movimento e - seppur differente - di altrettanto fascino.
Riascoltando la clip audio scoperta due mesi fa, ho sentito quanto quel ritmo jazz mi parlasse ancora, andando perfettamente ad innestarsi nel mio presente. Così ho deciso di pubblicarlo senza indugi.

Voglia di cambiare? Forse. Ma è un cambiamento che non rinnega lo splendore del passato e del mio amore per i grandi a cominciare - appunto - da Bach; ma va se mai ad arricchirlo, facendo scaturire dalle sue note ulteriori dimensioni e sfumature.
Ho sempre amato le rivisitazioni, perlomeno alcune: non per niente - e chi legge questo blog dalle origini lo sa - i primi ad avvicinarmi alla musica bachiana sono stati i mitici Swingle Singers. Ora è Galliano a regalarci una deliziosa rilettura da musicista poliedrico qual è, abituato a frequentare compositori di ieri e di oggi. Da Bach, Vivaldi e Mozart fino a Tchaikovsky e poi a Piazzolla, Rota o alle canzoni di Edith Piaf - solo per fare qualche esempio - il fisarmonicista ha infatti esplorato con passione un repertorio che va dal periodo barocco ai nostri giorni.

Del brano scelto, ho riportato anche la versione originale qui eseguita al pianoforte, una melodia incantevole ricca di una grazia dove il rigore si stempera in dolcezza; ma ascoltiamone l'arrangiamento.
Apre il pezzo il vibrafono con la pura e semplice esposizione del tema bachiano che ha funzione solo introduttiva - almeno così a me pare - perché, in realtà, il vero arrangiamento parte con l'ingresso della fisarmonica sostenuta dal basso e dalla batteria.
È qui che - lo avvertiamo subito - cambia il clima e ci sentiamo presi e condotti in un percorso trascinante: talora nuovo, su su per gli andirivieni di note che s'inseguono in quella sorta di moderno "ricercare" che può essere il jazz, talaltra già conosciuto come certe atmosfere parigine che la fisarmonica sa meravigliosamente evocare. 
Un ritmo nel quale immergersi lasciandosi portar via in un'avventura di spensierata leggerezza, una fusione tra passato e presente ricca di inventiva ma al tempo stesso di equilibrio. I due strumenti solisti si alternano infatti nel rielaborare il tema con passaggi e variazioni in cui, insieme a una straordinaria libertà creativa, lo spirito bachiano resta vivissimo, mentre alla fine vanno a chiudere il pezzo in modo più pacato e vicino all'originale.
E a questo proposito, mi piace ricordare le parole con cui, in un'intervista, Galliano ha motivato la propria predilezione per il compositore tedesco, cogliendo nel suo genio l'inesauribile sorgente del nuovo:

"È Bach oggi che mi dà il senso dell' avventura, il brivido della scoperta. Un esempio ? Suonare le Suites per violoncello con la sola mano sinistra e scoprire che sono una perfetta pagina per fisarmonica. Ma possono anche essere eseguite con un sax. Qui sento tanta libertà e infinita creatività. Senza bisogno di rivoluzioni."

Buon ascolto!

venerdì 14 settembre 2018

Rughe

Dal mio balconcino di montagna - ormai diversi giorni fa - guardavo il Gran Paradiso in quel clima di fine agosto che prelude già all'autunno.  
Come sempre, quando la stagione declina, è la luce a fare la differenza: una luce che, se spesso rende il paesaggio più nitido quasi lo si potesse toccare, a volte tuttavia ci restituisce tinte smorzate e contrasti meno forti.

Ma anche quando il tempo piega verso il brutto, è bello starsene lì a prendere l'ultimo occhio di sole, mentre sulle cime in fondo alla vallata già si annunzia il temporale o un fiotto chiaro di pioggia copre il paesaggio. E a colpirmi non sono tanto i repentini cambiamenti di tempo - e di temperatura - quanto l'atmosfera che si crea nel giro di pochi momenti: un'aura di solitudine e di silenzio in cui a dominare resta solo il vento.

È stato in uno di questi pomeriggi, mentre le nuvole si addensavano sul Gran Paradiso, che - per l'ennesima volta - mi ha colpito il suo aspetto, sempre splendido e maestoso certo, eppure diverso dalle estati di tanti anni fa, quando i ghiacciai riempivano quasi tutta la conca: a destra quello rotto e tormentato della Tribolazione, a sinistra la colata liscia e scintillante del Money. 
Per chi, come me, frequenta e ama da tempo questi luoghi, è un dispiacere constatare come l'innalzamento delle temperature negli ultimi decenni abbia gradatamente modificato la fisionomia del paesaggio. Ad ogni estate, il grigio della roccia e della morena prevale sempre più sul bianco, inducendomi a desiderare che le prime nevicate, dando al panorama il consueto aspetto invernale, mi illudano che lo splendore dei ghiacciai sottostanti sia ancora intatto.
Così, mi sono chiesta che farei se in futuro le cose dovessero cambiare radicalmente. Amerei ancora questo luogo incantato o le ferite del paesaggio mi resterebbero inesorabilmente anche nel cuore?
Poi, ho considerato ciò che accade a ciascuno di noi quando il passare del tempo incide sulla fisionomia delle persone care: smettiamo forse di amarle perchè una rete di rughe copre il loro viso, il passo si fa incerto o lo sguardo ha perso lo smalto della giovinezza? Certo che no! Anzi, insieme all'inevitabile dispiacere, spesso si fa strada in noi una nuova tenerezza, un legame che tutto comprende, così come le rughe del paesaggio o i sassi di un luogo amato ci sono familiari perchè appartengono alla nostra storia, anch'essi incastonati nel suo misterioso splendore.

Allora, mi piace associare a queste piccole considerazioni un pezzo che mi pare rifletta un po' tali suggestioni. 
Si tratta dell' Ouverture dall'opera "Griselda" RV 718 di Antonio Vivaldi, qui nell'Andante e nel Minuetto - rispettivamente secondo e terzo movimento -   diretti dal compianto Claudio Scimone. 
È l'Andante, in particolare, ad affascinarmi: un brano venato da una sottile malinconia, come quella che può prendere all'appressarsi dell'autunno. 
Eppure vi trovano spazio anche un garbo, una pacata serenità di note cui abbandonarsi con dolcezza, insieme a un ritmo di fondo che - fateci caso - ci accompagna fin dall'inizio, quasi ci fosse un orologio a scandire con i suoi battiti il passo inarrestabile delle ore. Un trascorrere del tempo tuttavia privo di angoscia che ci guida ad accettare i mutamenti delle stagioni sia fuori che dentro di noi, le rughe del paesaggio - come quelle del corpo o dell'anima - in una prospettiva di apertura a ciò che verrà.

Buon ascolto!

lunedì 10 settembre 2018

Buon viaggio, Maestro!!!















Questa volta, prima che nelle note lo splendore della musica abita nelle parole del Maestro Claudio Scimone - scomparso pochi giorni fa - famoso innanzitutto come fondatore e direttore dell'orchestra de "I Solisti Veneti".
Mi piace ricordarlo con questo bel video, dove con rara semplicità si definisce un "eterno studente" e ripercorre alcune tappe del proprio cammino, sottolineando il senso della sua scelta di dedicarsi alla musica.

Buon ascolto!