venerdì 30 novembre 2018

Una solennità che arriva da lontano

Solo tre minuti di musica oggi, ma sufficienti ad avvolgerci in un'atmosfera rarefatta, ad aprire sorprendenti squarci d'infinito e di soavità, in un clima di grande ampiezza e respiro.
Tuttavia - almeno geograficamente - dobbiamo volare lontano dagli autori che siamo soliti frequentare, perchè ci recheremo fino in Giappone ad ascoltare le note di due compositori contemporanei.

Si tratta di Yoko Kanno, classe 1964, e del marito Hajime Mizoguchi, nato nel 1960. Nomi forse in Occidente non conosciuti da tutti, ma in Oriente molto famosi: lui per essere violoncellista e compositore, ma soprattutto lei per aver scritto, suonato e arrangiato nel corso di una carriera trentennale, prima musiche per videogiochi e poi alcune tra le più memorabili colonne sonore di film di animazione giapponesi. 
Yoko Kanno si è trovata infatti a lavorare con registi della levatura di Shoij Kamawori prima e Shinichiro Wanatabe poi, dando prova di grande genialità nell' immedesimarsi in personaggi e situazioni attraverso la musica. 
Ma è stato su "I cieli di Escaflowne" - serie tv del 1996 in ventisei episodi, divenuta poi film di animazione - che Kanno ha dimostrato una spiccata disinvoltura nel catturare sensazioni e muoversi tra generi musicali diversi, dote divenuta in seguito uno dei suoi caratteri distintivi.

Confesso che non sono mai stata attratta da pellicole di fantasia e fantascienza, con storie di mondi alieni e dispositivi robotici da combattimento, anche se qui la lotta tra il bene e il male si conclude con la speranza che l'amore possa neutralizzare la tendenza dell'uomo alla guerra. 
Non mi aspettavo quindi una colonna sonora come questa che - invece - mi ha sorpreso e affascinato per la bellezza e la varietà dei brani che riecheggiano stili differenti conducendoci da un'epoca all'altra.
Yoko Kanno si muove infatti dall'orchestrazione classica all'elettronica, da pezzi romantici a brani dove aleggiano ricordi ora di musica araba, ora celtica, mentre altrove ci riporta al jazz o - indietro nel tempo - alla suggestione del gregoriano. Aspetti che testimoniano una formazione poliedrica che si allontana dalla tradizione esclusivamente giapponese, per accostarsi alla musica d'impronta occidentale rielaborandola liberamente.
Per questo, è stata definita dai critici un "camaleonte musicale", capace in modo insuperabile di cambiare genere aprendosi a ritmi e melodie diverse. 

Il brano che desidero condividere qui s'intitola "Eyes", tratto dall'album "Escaflowne - Over the Sky", primo cd della serie che la musicista ha realizzato in collaborazione con Hajime Mizoguchi.
Un pezzo di forte e immediata suggestione, dalla struttura peraltro molto semplice che si può suddividere in tre parti: il delicato tema iniziale in Do Maggiore, il passaggio centrale più maliconico dove affiora la voce acuta del violino solista, e il finale che riprende l'aria d'inizio con crescente intensità orchestrale.
Una musica che, se da un lato ci riporta echi tardoromantici, passaggi ora più intimi e ora più profondi che spalancano in noi squarci di mistero, dall'altro - come si osserva dallo spartito nel riquadro - presenta la struttura polifonica di un antico corale e di questo mi sembra abbia pure la solennità. 
Una solennità che ci accompagna fino alla conclusione dove il brano si chiude su di un accordo di tonica che risuona a lungo, pacatamente, mentre un profondo senso di pace va a pervaderci il cuore.

Buon ascolto!

venerdì 23 novembre 2018

Il bambino col tamburo

Francisco da Silva Romao (1834 -1895): "S.Cecilia"
Mi perdonerà Santa Cecilia, patrona della musica e dei musicisti, se tardo di un giorno a festeggiarla. Ma cercavo un' immagine che - al di là di quelle pubblicate negli anni scorsi - mi affascinasse davvero.
Infine ho trovato questa che vedete, opera di un artista brasiliano che ha rappresentato la Santa con tratti di particolare leggiadria e insieme di semplicità.
Qui, Cecilia è una fanciulla che suona con naturalezza e un'espressione mirabilmente assorta nel seguire la musica sullo spartito. Non ci sono aureole nè angeli, ma la Santa ha un serto di rose sul capo che ne sottolinea la grazia.

Oltre all'immagine però, cercavo anche un video che esprimesse la gioia che la musica sa offrire non solo ai professionisti del settore e agli appassionati, ma anche a chi passa per strada per caso e all'improvviso viene sorpreso e catturato dalla magìa dei suoni. Un video che testimoniasse il piacere di chi, magari, non ha mai frequentato una sala da concerto; di chi è ancora piccolo ma desideroso di imparare e di quei tanti che - pur non suonando - ascoltano facendo propria, attraverso la loro sensibilità, la forza comunicativa delle note.
Poichè infatti va al di là delle parole, il linguaggio dei suoni ci raggiunge tutti indistintamente e tocca corde profonde, simile a un potente catalizzatore che attiva in noi afflati di vita ancora nascosti o impensati.

L'ascolto, dunque.
Per questo, in omaggio a Santa Cecilia, ho scelto un video un po' particolare.
Si tratta di un flash mob dove un gruppo di musicisti - esattamente i componenti dell'australiana "Queensland Symphony Orchestra" - interpretano il "Bolero" di Ravel. Il brano, splendido e famosissimo, è interamente basato sull'esposizione di due temi che non hanno sviluppo, ma si ripetono per ben 18 volte a cominciare dal flauto, cui seguono gli altri strumenti che via via si sovrappongono fino agli ottoni e alle percussioni. Base ritmica è l'ostinato del tamburo che si allarga poi gradatamente a tutta l'orchestra in un progressivo crescendo fino al dissonante accordo finale.

Tuttavia non è sulla musica in sè che desidero soffermarmi, ma sulle reazioni che essa suscita in chi suona e in chi ascolta.
Avete visto che sorrisi sui volti dei vari interpreti e che trascinante entusiasmo su quello del loro direttore? E la risposta delle persone circostanti? 
È una piccola folla cosmopolita quella che si raduna ad ascoltare il concerto improvvisato. Certo c'è anche chi guarda e passa via, ma quasi sempre la musica prende, cattura, illumina, inducendo chi ascolta a partecipare con gioia, condivisione o anche semplice divertimento. 
Guardate i bambini, sensibili soprattutto al ritmo e subito pronti a lasciarsi coinvolgere con serietà e perseveranza! Osservate in particolare il primo che, all'inizio, tenta di imitare con qualche incertezza proprio il ritmo del tamburo. Poi però...
Poi però non perdete la conclusione, e non intendo quella del brano musicale, ma quella del video che va visto fino all'ultimo secondo!

Buona visione e buon ascolto!

venerdì 16 novembre 2018

Forse una tempesta...

J.Turner: "Tempesta di neve." - Londra, Tate Gallery.
Non mi capita spesso di andare a rileggere i post che ho già pubblicato.
Tuttavia, quando lo faccio e riascolto le musiche dei vari compositori, mi rendo conto sempre più di quanto l'andamento di questo blog sia altalenante. 
Non segue infatti una cronologia, nè un tema preciso e neppure un filo se non quello del cuore, della passione o delle mie scoperte musicali del momento. Ultimamente poi, vola dal passato remoto al presente o viceversa, da pezzi rinascimentali e barocchi ad altri dei nostri giorni, oscillando un po' proprio come un' altalena.

Allora per continuare così, oggi - dopo Bach e Dowland - torno molto più vicino a noi con un concerto scritto nel 1987 che ho scoperto nei giorni scorsi. 
È un brano dal quale sono stata subito affascinata perchè il suo andamento movimentato e nervoso, così come la crescente intensità che lo caratterizza, mi hanno dato la sensazione che l'autore vi abbia quasi riprodotto la furia di una tempesta. 
A dire il vero, non so se questo fosse il suo intento: non è infatti una musica a programma come tanti pezzi classici che - da Vivaldi, Beethoven, Ravel e Smetana - hanno descritto le stagioni, il temporale, dei giochi d'acqua o l'intero percorso di un fiume dalla sorgente alla foce.
No, qui non abbiamo alcuna indicazione in questo senso, ma la suggestione di una bufera che arriva a ondate successive, a mio avviso, rimane forte.

Si tratta del primo movimento del "Concerto per violino e orchestra n.1" di Philip Glass, classe 1937, compositore statunitense dalla produzione vastissima e poliedrica del quale tempo fa ho pubblicato qui tre brani.
Considerato a buon diritto tra gli esponenti più significativi del minimalismo musicale, se ne è poi allontanato tornando a forme più tradizionali come - appunto - quella del concerto i cui caratteri riflettono le radici della sua formazione classica, a cominciare dalla convenzionale suddivisione in tre movimenti.
Non solo. Il pezzo - scritto dal compositore in ricordo del padre - è in qualche modo anche un tributo ai gusti dell'uomo che, pur non avendo ricevuto una specifica educazione musicale, tuttavia amava molto la produzione violinistica dell'Ottocento, da Mendelssohn a Brahms.

Quella di Glass è una musica che ci getta nel dramma in modo immediato. 
Il brano infatti non ha vera e propria introduzione, ma ci coinvolge subito nei suoi accordi in minore pervasi da un senso di attesa, insieme all'andamento arpeggiato e ansimante del violino che - sostenuto da quello ancor più animato dell'orchestra - va esplorando una vasta gamma di possibilità espressive.
È un movimento che cresce per tutto il corso del pezzo, con passaggi ricchi di una concitazione dal ritmo cadenzato, costruito su di una ripetizione quasi ossessionante di accordi, tratto peraltro tipico dello stile del compositore. 
Ne deriva una progressiva intensità dinamica e timbrica che raggiunge momenti di notevole potenza.
Una tempesta? Forse, anche se nei punti in cui il ritmo si fa più acceso e scandito dalle percussioni, il brano potrebbe ricordare una danza sfrenata.
Tuttavia, intrecciato qua e là o alternato a tale movimento, emerge a volte un tema dolente affidato al violino e ripreso dal flauto, quasi un lamento desolato che affiora dove l'intensità orchestrale diminuisce, proprio come quando - nel pieno di un temporale - all'improvviso il vento cade. Così, il ritmo ansioso del brano va a poco a poco perdendosi in un finale molto più sommesso.

Una musica che ci parla con forza perchè, nel suo andamento reiterato e negli arpeggi simili quasi ad onde del mare, può evocare anche tempeste dell'anima. 
Note segnate da un'inquietudine angosciosa e straniante, capaci di interpretare lo sgomento esistenziale del nostro tempo, ma insieme di aprire spazi sconfinati dentro e fuori di noi.

Buon ascolto!

giovedì 8 novembre 2018

"Perchè Bach ci può salvare..."

(foto presa dal web)
Leggo sul "Corriere della Sera" del 6 novembre scorso una bella storia che desidero condividere qui.
Una storia in cui vicenda umana e artistica si intrecciano in modo mirabile, una testimonianza di sofferenza e di coraggio nel nome della musica, che diviene infatti la scintilla capace di dare salvezza anche in condizioni disumane.
È Susanna Tamaro, in un articolo intitolato appunto "Perchè Bach ci può salvare. Storia della pianista internata da Mao", a recensire "Il pianoforte segreto", romanzo di Zhu Xiao-Mei (ed. Bollati Boringhieri).

Si tratta di un libro-documento in cui l'autrice - nata a Shangai nel 1949 e oggi pianista di fama mondiale - racconta la propria vita a partire da quando, giovanissima studentessa di conservatorio, si trova ad affrontare gli anni della rivoluzione culturale di Mao Tse Tung. 
Colpevole di appartenere ad una famiglia borghese di intellettuali, è costretta a fare autocritica e, in un primo tempo, travolta dal regime non riesce a sottrarsi al plagio collettivo diventando così complice del movimento. 
In seguito, caduta in disgrazia, è internata per cinque anni in vari campi di lavoro e di "rieducazione". Qui sperimenta la durezza ma soprattutto la coercizione psicologica per cui è indotta a tradire valori, affetti, relazioni e rinunziare a tutto ciò che appartiene alla cultura occidentale.

Gliene deriva una disperazione di fronte alla quale tuttavia reagisce e si salva, attaccandosi con coraggiosa caparbietà alla sua passione per la musica. 
Riesce infatti a farsi portare - camuffato da credenza - il vecchio pianoforte di casa ormai scordato e a procurarsi degli spartiti col pretesto di imparare i canti consentiti dal regime. Approfittando dell'ignoranza dei suoi guardiani, riprende invece a suonare Bach e Chopin, nelle cui note attingerà la forza per resistere e per ritrovare se stessa. 
Potrà allontanarsi dalla Cina soltanto nel 1980. Oggi vive a Parigi ed è considerata una delle più grandi interpreti di Bach, in particolare delle "Variazioni Goldberg".

C'è un miracolo nella musica che ci tocca nel profondo. 
La storia di Zhu Xiao-Mei testimonia proprio quanto essa - così come altre forme di arte - sia nutrimento essenziale dell'anima, fonte di rinascita spirituale capace di salvare dall'abbrutimento, poichè va a risvegliare quell'armonia segreta che risuona in ognuno di noi.
È a questo proposito che Susanna Tamaro sottolinea l'attualità dell'esperienza  narrata in questo libro e auspica che esso venga letto nelle scuole per combattere il pericolo - vivissimo anche oggi - che la vita dell'uomo sia ridotta alla sola dimensione materiale e all'esclusiva soddisfazione degli istinti primari. A conclusione del suo articolo, parla infatti della cultura come della vera ricchezza che consente, in tempi bui, di illuminare il cammino.
Ma riporto direttamente le sue parole:

   "Pensando proprio al libro di Zhu Xiao-Mei possiamo trovare il coraggio di dire che l'assenza di cultura è una delle più grandi forme di povertà. Essere poveri di parole, di pensieri e di sentimenti vuol dire essere poveri nelle proprie relazioni e nella comprensione della realtà. La storia della pianista cinese dimostra con esemplare chiarezza che la storia ci può privare di tutto, della nostra cultura, della libertà, della dignità, spingendoci a vivere al limite dell'umano, ma non può spegnere l'anelito alla bellezza che è nascosto in ogni persona che abbia la forza d'animo di seguire la propria coscienza. Primo Levi è sopravvissuto ad Auschwitz grazie anche alle poesie imparate a memoria, Zhu Xiao-Mei non si è fatta sopraffare dalla bestialità dei campi di lavoro grazie alla musica di Chopin e a Bach che continuava a risuonare dentro di lei. Nell'opacità di questi tempi, forse è bene ricordare che solo l'arte e il riverbero della bellezza riescono a illuminare i momenti più bui della storia."

Nel video, interpretati mirabilmente proprio da Zhu Xiao-Mei, trovate - nell'ordine di esecuzione - alcuni pezzi tratti dai seguenti brani delle "Variazioni Goldberg BWV 988":   
- Aria 
- Variazione n.20 
- Variazione n.25 
- Variazione n.9.
Note bachiane ora piene di luminosa pace, ora di scintillante energia, ora di intensa meditazione.

Buona visione e buon ascolto!