sabato 29 ottobre 2022

"Partly sunny"

Da qualche tempo, ogni tanto il mio computer parla inglese.
Non ho ancora capito perchè e con quale criterio,
ma siccome sono convinta da sempre che il mio pc sia vivo, penso che dovrò decidermi a chiedergli conto di tale comportamento.

Non accade per fortuna all'interno dei vari siti, ma solo nella barra posta sotto alla schermata del desktop, dove ci sono le icone dei vari programmi, browser e via dicendo. Qui, siccome il mio è un computer che negli anni si è - diciamo così - evoluto, ha anche l'indicazione del tempo, quello atmosferico intendo, il meteo, the weather, e come vedete mi adeguo al suo linguaggio. Così, vicino ai simboli del sole o delle nuvole o dell'ombrello aperto sotto la pioggia, compare una scritta esplicativa che a volte è in inglese.

Ma perchè mi ha colpito? Un po' per certi suoi anacronismi, e un po' la particolarità di tali simboli. Volete un esempio? Qualche giorno fa, mentre qui da me al mattino c'era già un nebbione fitto come d'inverno, il mio computer, fresco fresco e con aplomb squisitamente anglosassone, annunciava partly sunny, parzialmente soleggiato. Ma va?...

Non ci credete? Eccovi la foto!
Ma c'è dell'altro. Se avete notato, nella figura ci
sono più nuvole che sole il quale è ridotto a una minuscola fettina. Sarà certo questione di clima e può darsi che in Inghilterra, sovrastati come sono - almeno secondo la tradizionale gorgrafia - da un cielo più grigio del nostro, basti forse una spera di luce per generare speranza nel bel tempo. Fossi stata io, avrei messo prevalentemente nuvoloso e, se vogliamo disquisire sul bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, il dettaglio della foto è interessante per il suo intento di sottolineare il positivo anche se è solo un piccolo indizio.

Del resto, anche una delle più famose colonne sonore delle previsioni del tempo italiane in video ci parla di questa incrollabile speranza.
Si tratta del brano intitolato "Under the Trees of Hope" dall'album "Kriptos" del
compositore e arpista svizzero Andrea Vollenweider, classe 1953.
Se volete, potete ascoltarlo qui e, passate le prime battute - a 0.37 dall'inizio - vi
accorgerete subito di quanto vi sia familiare questa musica, peraltro una delle tante colonne sonore dei vari meteo succedutisi nel tempo. Se poi avrete la pazienza di sentirla fino in fondo, vi renderete conto che, talora, vi riecheggia il celebre "Canone" di Pachebel e inoltre si avverte qua e là l'uso della scala pentatonica.
Ma a parte questo, suggestivo è proprio il titolo del brano, perchè dire sotto gli alberi della speranza è come una sorta di parzialmente soleggiato anche in un cielo pieno di nuvole, non vi pare?
Allora per cogliere quella spera di sole che c'è anche quando si nasconde dietro la nebbia
o le nubi, vi propongo un pezzo di musica che ci porta lontano dalla colonna sonora, sia pure piacevole, di Vollenweider perchè è un tema con variazioni. E cosa c'è di più variabile del meteo?

Si tratta della "Chaconne in Sol maggiore HWV 435" di Georg Friedrich Haendel (1685 - 1759) col quale torniamo a rendere omaggio all'Inghilterra perchè, per quanto non ci sia nato, è lì che il compositore ha costruito la propria fortuna.
La ciaccona, in origine danza spagnola di ritmo ternario, poi divenuta forma strumentale autonoma, è stata molto usata nella musica barocca, a cominciare da Bach di cui tutti ricordiamo quella per
violino solo.
Qui, Haendel espone un tema sul quale costruisce 21 variazioni, le più numerose
in tonalità maggiore e poche, più malinconiche, in minore: alcune vivaci e brillanti, altre più dolci e pacate, come in una giornata in cui il sole si alterna alle nuvole. Il pezzo va concludendosi poi con un crescendo sempre più acceso nel quale lascio a voi la libertà di sentirci un temporale o una giornata piena di sole ma anche di forte vento. E mi pare che l'interpretazione del pianista Alon Petrilin, più delle altre offerte da youtube, sappia mettere in luce le sfumature delle diverse sezioni del brano, ora lievi e sommesse, ora energiche e sfolgoranti.

Non è nuovo Haendel a questo genere di composizioni: aveva già scritto un tema con variazioni per certi versi simile a questo nel finale della "Suite n.5 HWV 430" intitolato "Il fabbro armonioso". Ma altri riferimenti alla sua musica affiorano sempre più chiari man mano che si ascolta la ciaccona. A me ricorda la celebre "Passacaglia dalla Suite n.7 HWV 432", quella del vecchio intervallo televisivo per intenderci; poi la famosa "Sarabanda dalla Suite in re minore HWV 437" e così pure l'antico tema della follìa. 

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

venerdì 21 ottobre 2022

Stanze - 10


Sono stanze molto cupe quelle che vi propongo oggi, ma parlano con l'irresistibile
fascino della grande pittura.
Si tratta infatti di opere di Rembrandt van Rijn (1606 - 1669) - o perlomeno a lui attribuite - e ve ne sarete già accorti dai contrasti tra ombre e luci, come da quei
contorni sfumati che conferiscono all'insieme profondità e spessore. Sono stanze alte, immense, per certi aspetti non a misura d'uomo, il quale vi appare isolato in uno spazio talora indefinito dove i contorni delle architetture sembrano sfumare nel nulla, come nel dipinto in fondo al post.

Non è la prima volta che mi lascio prendere dal fascino delle opere del pittore olandese. Anni fa avevo pubblicato una composizione simile a queste sia nel soggetto che nell'iconografia: "Il filosofo in meditazione" che potete rivedere qui. Ma si tratta di un tema che l'artista ha rappresentato più volte.

I dipinti che ho scelto oggi sono: "Filosofo con un libro aperto" e "Filosofo che legge".
Il primo, riportato
in alto e qui a lato, è conservato al Louvre e a dire il vero la sua attribuzione è incerta. Ne è stata infatti assegnata la paternità prima a Rembrandt, poi a un artista del suo tempo, Salomon Koninck (1609 - 1656), tuttavia la questione è ancora dibattuta.
Il secondo invece, sicuramente realizzato da Rembrandt, è conservato
al Nationalmuseum di Stoccolma.
Sia nell'uno che nell'altro, al di là dei tratti dello
stile dell'artista o della sua scuola, a colpirmi in particolare è stata l'ambientazione. In entrambe le opere, il soggetto è un uomo anziano assorto nella lettura o nella meditazione...ma dove si trova? 

Siamo ben lontani dallo studio in cui -  meno di due secoli prima - Antonello da Messina aveva inquadrato ordinatamente e con ricchezza di arredi San Gerolamo, in una tavola che - se volete - potete ritrovare qui. Stanze nitide quelle, a misura d'uomo, dove la solennità della rappresentazione si estendeva a una pluralità di oggetti dal valore simbolico e di spazi che la mente del protagonista, al centro del suo mondo, dava l'idea di saper padroneggiare.

Rembrandt, invece, per definire ambienti e architetture usa luce ed ombra, stanze spoglie anche se non prive di una certa eleganza, elementi curvilinei come gli archi, le volte e la scala a chiocciola; fondo scuro tipico della pittura del Seicento e macchie di luce, impasti dai contorni talora indistinti ma efficacissimi. E intorno il vuoto.

Nel primo dipinto, gli unici arredi sono una sedia, uno scrittoio e un lampadario. E mentre dalla grande finestra entra una luce calda che si riflette sul pavimento, il resto del quadro rimane nell'ombra dove domina quella scala a mio avviso inquietante, insieme a un corridoio sinistro che conduce chissà dove. 

È un palazzo nobiliare? Una chiesa? Un monastero? Un eremo? O un'architettura immaginaria dove a prendere forma - come in certi sogni - è l'inconscio dell'artista?
Nel secondo dipinto, l'unico mobile è il tavolo con
una pesante tovaglia, ma intorno le pareti vanno confondendosi con gli archi della copertura: un ambiente rustico e diroccato, poco più che una grotta al punto che potrebbe sembrare un'opera non finita, e forse per questo ancora più suggestiva.

Buio, vuoto e solitudine dunque: elementi che ci parlano di essenzialità, quasi a sottolineare il senso della meditazione dei protagonisti. Attraverso queste opere dove i due filosofi sono pacatamente immersi nella lettura, Rembrandt sembra infatti condurci nei segreti e insondabili recessi dell'anima, come se tali ambienti oscuri fossero una sorta di rappresentazione dell'interiorità col suo mistero cui la meditazione sa dare accesso.

E se nel primo dipinto la scala a chiocciola e il corridoio possono simboleggiare una profondità anche emotiva, nel secondo la muratura priva di contorni definiti, con la sua indeterminatezza fa pensare al capovolgimento del rapporto tra uomo e realtà circostante che la rivoluzione copernicana aveva già delineato. Una realtà che qui sovrasta l'essere umano, ormai piccolo in relazione ad un universo che si scopre infinito, misterioso, arcano, come queste stanze dove lo spazio - come scrivevo in passato - ci parla quasi più delle figure stesse.

Allora, per passare alla musica, mi piace associare a queste immagini un brano di Chopin che da tempo mi affascina.
Si tratta del "Preludio in si minore
op.28, n.6": pezzo dall'incedere lento e molto suggestivo, privo di particolari difficoltà sul piano tecnico, ma la cui delicata bellezza è affidata più che altro all'interpretazione.
È appunto questa che deve farne fiorire
ogni sfumatura, sottolineandone il clima intensamente meditativo.

Interessante l'inversione di ruolo delle  mani: il tema del brano infatti si dipana sulla sinistra, mentre la destra ripete con lentezza ma in modo quasi ossessivo gli accordi di accompagnamento, alternando suoni a silenzio come lievi rintocchi di campana.
Una melodia che è un prodigio di
splendore, triste e profondissima, ma non priva di qualche apertura nei passaggi ascendenti del tema, a somiglianza delle stanze oscure di Rembrandt che lasciano tuttavia trasparire sprazzi di una luce ora più viva, ora più soffusa.

Buon ascolto!

giovedì 13 ottobre 2022

Interessanti scoperte

Il mondo della musica - e non solo quello - è sempre pieno di sorprese, soprattutto per una persona come me che, seppure decisamente appassionata, ha però conoscenze specifiche solo su alcuni autori e periodi a scapito della completezza dell'argomento.
Certo, adoro Bach
e il barocco, la polifonia, poi Mozart, Haydn, Chopin e tanti altri compositori che ora non sto ad elencare.

Tuttavia ci sono diversi generi - per esempio jazz, blues e rock - sui quali ho conoscenze ancora limitate, anche se alcuni pezzi mi possono piacere.
Lo stesso vale per certi autori vissuti tra Ottocento e Novecento che non ho mai
ascoltato a fondo. Ma siccome sono curiosa, navigando su youtube ogni tanto mi piace fare qualche piccola incursione proprio tra questi.

Così, sono rimasta piacevolmente sorpresa scoprendo Edward Mac Dowell (1860 - 1908), compositore e pianista statunitense del quale oggi voglio condividere un brano che mi è parso non solo gradevole, ma anche molto interessante sul piano dei riferimenti. 
Le date ci parlano di un artista contemporaneo al tardo romanticismo, quello di
Liszt e di Brahms per intenderci, solo per citare alcuni dei musicisti del periodo. Certo, la sua formazione iniziale è sulla musica americana. Tuttavia, va ricordato che essenziale sarà il suo viaggio in Europa dove frequenterà il conservatorio e verrà poi a contatto con diversi musicisti tra cui - appunto - Liszt dal quale riceverà anche grandi apprezzamenti.

Tra le sue composizioni che comprendono brani per pianoforte, per orchestra e per coro, ho scelto il primo movimento, "Praeludium", della "Modern Suite n.2 op.14": un "Andante maestoso" che mi ha molto colpito. Perchè mai?
Senza dubbio per le grandi sonorità - proprio maestose -
e l'andamento ricco di energia a cominciare dai fortissimi accordi iniziali che fungono da introduzione al tema. Un tema di grande fascino nel suo ritmo inquieto e quasi ansimante, bellissimo, che a mio avviso potrebbe egregiamente fare da colonna sonora all'atmosfera di un film un po' noir. Un tema che si ripete con dolcezza e va facendosi poi più impetuoso come un mare agitato o una sorta di magma interiore cui le note intendono dar voce.

Ma questo brano mi lascia anche la suggestione di musiche già sentite altrove e di svariati riferimenti. Come scrivevo, lo stile è quel tardo romanticismo ricco di virtuosismo pianistico molto amato dal pubblico d'oltreoceano che ha applaudito Mac Dowell tributandogli onorificenze anche dopo la morte, o perlomeno fino a quando in America non si è affermato un filone musicale innovativo come il jazz. Si può dire quindi che il compositore concluda un'epoca e le sue creazioni, più che alle novità degli inizi del Novecento, guardino ancora al passato.

Quale passato, allora? Per rispondere, occorrebbe ascoltare l'intera "Modern Suite" e non solo il primo tempo. Già il fatto che si tratti di una forma come la Suite la dice lunga sulla conoscenza della musica antica da parte dell'artista, a cominciare da quella barocca. E basterebbe sentire il secondo movimento - "Fugato" - per pensare subito a Bach e a certi pezzi del suo "Clavicembalo ben temperato" anche se rielaborati molto, molto liberamente.
Ma torniamo al "Preludium".

Il brano mi riporta a quel pianismo sinfonico che può ricordare Liszt, Brahms e Saint-Saëns al quale non a caso la Suite è dedicata. Ma altri due compositori mi risuonano dentro.
Il primo
è Chopin, in particolare col  "Notturno in do minore op.48 n.1". La "Suite" di Mac Dowell - sia pure in tonalità diversa e in modo molto più energico - ne riprende gli accordi iniziali, ma il compositore americano potrebbe aver preso spunto anche dalla tempestosa irruenza della seconda parte del Notturno. Con ciò non intendo stabilire un confronto impossibile tra Mac Dowell e il genio inarrivabile di Chopin, ma solo sottolineare quanto quest'ultimo sia stato un faro di luce per molti artisti successivi.

Il secondo è Rachmaninov. Ma se al musicista polacco si può fare riferimento con tranquillità, la cronologia non lo consente per il russo che, nel 1883 quando la "Suite" è stata composta, aveva solo dieci anni. E allora?
Allora potrebbe essere accaduto il contrario, ed essere stato Rachmaninov ad
ispirarsi al compositore americano, soprattutto scrivendo brani come il celebre "Preludio in do diesis minore op.3 n.2", o in alcuni tratti del suoi "Concerti per pianoforte" a cominciare dal secondo.
E comunque sia stato, Mac Dowell resta per me una scoperta interessante.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

mercoledì 5 ottobre 2022

Quasi una danza

Girovagando giorni fa nel mio computer, ho ritrovato l'immagine che vedete qui: una foto che non ho scattato io, ma riporta un paesaggio a me molto familiare.
Rappresenta i colori caldi dei vignet
i valdostani nella stagione autunnale, lungo un itinerario che si snoda qualche chilometro più in su di Aosta: una strada dei vini che, se qui segue un percorso di dolci colline, in altri punti della vallata s'inerpica su pendii ripidi dove il lavoro degli agricoltori è davvero ammirevole.

Sono i colori a dare rilievo alle viti e a contrastare con le più lontane cime già spruzzate di neve, e l'immagine mi è parsa così bella che l'ho subito stampata e messa in corrispondenza del mese di ottobre nel mio calendario.
Un calendario del tutto casalingo quest'anno, perchè fatto da me con foto scattate
durante svariati viaggi e da altre - come questa - prese dal web. Panorami che, in alto sul muro della cucina, s'illuminano al sole del mattino che me ne fa scoprire i dettagli e - in questo caso - accende il giallo dei pampini di sfumature ancora più calde.

Mi piacciono le immagini che aprono davanti a noi una via, un sentiero, una strada, un cammino insomma che ci porti più in là, verso la prospettiva dell'orizzonte e del cielo. Questa foto poi è a misura di sguardo e mi pare che regali davvero la sensazione di poterci muovere su quel sentiero marezzato di ombre, circondati dal giallo intenso dei filari, con la tranquillità di chi si lascia abbracciare dallo splendore della natura in un' ariosa giornata di autunno.
Il paesaggio infatti - con la sua luminosità in primo piano e una suggestione di
ombre in lontananza - mi fa pensare alla classica ottobrata e m'induce a riflettere sull'incanto di una stagione che offre i colori più accesi e una grande morbidezza di sfumature proprio nel momento in cui si appresta a digradare verso l'ombra e le brume invernali.

Allora oggi, a commento di questa immagine, vi propongo un brano di Bach che mi piacerebbe avere come colonna sonora in un' ideale passeggiata fra i vigneti della foto. Anche la musica, infatti, qui sembra fondere alcuni aspetti di grande morbidezza e fascino con suggestioni qua e là più ombrose.
Si tratta del secondo movimento, "Aria", del "Concerto per oboe d'amore in Sol
maggiore", creazione molto singolare perchè i suoi tre tempi prendono spunto da tre diverse Cantate sacre del compositore tedesco, qui arrangiate solo per orchestra. In particolare, il primo tempo s'ispira alla BWV 100, il terzo alla BWV 30 e questo che ascoltiamo alla "Cantata BWV 170" intitolata "Vergnügte Ruh, beliebte Seelenlust" (Beato riposo, amato piacere dell'anima) scritta nel 1726 in occasione della festa della Trinità.

È un Bach dolcissimo, ma non privo di qualche tratto di mestizia, un pezzo dove gli archi e l'oboe solista - un oboe d'amore, accordato cioè su di un tono più basso e più caldo rispetto agli altri - ci offrono una melodia composta in origine per contralto. Un'aria dal ritmo di 12/8, pacata e scorrevole come un lieve passo di danza, che sembra riecheggiare la soavità melodiosa del barocco italiano, quello di certi concerti vivaldiani che Bach ben conosceva per aver!i già trascritti.

E tuttavia il brano non è privo di qualche passaggio inquieto che fa trasparire qua e là uno spessore quasi drammatico, come le montagne sullo sfondo della foto e la neve lontana che prelude all'inverno.
Dove? Non nel tema pervaso da grande dolcezza, ma nel timbro orchestrale che
talora va facendosi più scuro appena prima dell'attacco dell'oboe, e insieme nella conclusione dei vari passaggi: un' atmosfera musicale che - per certi versi - può ricordare il clima del brano di apertura della celebre "Passione secondo Matteo".
Non sono nuovi, del resto, tali richiami nelle composizioni per oboe di Bach: basti
pensare al "Siciliano" del "Concerto in Fa maggiore BWV 1053" nel quale - a mio modesto avviso - possiamo ritrovare echi dell' aria "Erbarme dich".
Ma di questo parleremo un'altra volta.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)