giovedì 31 maggio 2018

"The King shall rejoice..."

Canaletto: "L'Abbazia di Westminster"
"The King shall rejoice...": il re si rallegrerà. 
Ispirate ai versetti iniziali del Salmo 20 (21), queste parole costituiscono il titolo e l'apertura del "Coronation Anthem HWV 260" di Georg Friedrich Haendel.
Si tratta del terzo del quattro Inni scritti dal musicista in qualità di compositore della Cappella Reale inglese, per l'incoronazione di re Giorgio II e della moglie Carolina, avvenuta a Londra nell'Abbazia di Westminster nel 1727.

Dunque ancora Haendel, ma dopo l'aria delicata e sublime della volta scorsa, oggi mi piace proporvi un brano di grande energia e vivacità, ricco di fasto come si addice ad una cerimonia d'incoronazione. Del resto, solo Haendel tra i musicisti dell'epoca poteva vantare uno stile capace di adattarsi di volta in volta alle esigenze del teatro, della polifonia sacra o di altre celebrazioni. 
E in effetti, qui il compositore si avvale di un organico sia corale che orchestrale di grande ampiezza, probabilmente per la necessità di adattarlo al riverbero spaziale del luogo in cui doveva esibirsi: l'Abbazia di Westminster.

La clip audio che ho scelto comprende i primi due dei quattro movimenti di cui l'Inno si compone. Una lunga introduzione ci conduce subito in un'atmosfera sfavillante, enfatizzata dagli ottoni e dal ripetersi di alcuni passaggi quasi a sottolineare una gioia ridondante, mentre dall'attacco del coro in poi, l'energia e la solennità del canto possono ricordare alcuni squarci del famosissimo "Hallelujah" del "Messiah". E tuttavia, nonostante come brano di apertura il pezzo sia giustamente pomposo, avvertiamo subito l'inimitabile leggerezza delle note di Haendel che ci sollevano dall'ambito puramente celebrativo per riempirci l'anima di luce.
Più pacato invece il secondo tempo che, pur essendo un Allegro come il precedente, ci trasporta in un clima di maggiore morbidezza e cantabilità, segnato com'è da un garbato ritmo di 3/4 che può ricordare un minuetto.

Così, mi piace associare a questa musica il dipinto del Canaletto (1697 - 1768) che vedete nella foto in alto, raffigurante l'Abbazia di Westminster come appariva nel 1749 e come certo l'ha vista anche Haendel. 
Davvero il quadro il cui titolo completo è "L'Abbazia di Westminster e il corteo dell'Ordine del Bagno" - ordine cavalleresco fondato da Giorgio I nel 1725 - ci fa entrare nel clima del tempo per apprezzare una scena di ambiente della quale il pittore ha riportato anche i minimi particolari, quasi fosse una cartolina che ci arriva dal Settecento.
E l'edificio religioso, ieri e oggi luogo delle incoronazioni dei sovrani britannici, insieme al Salmo da cui Haendel ha preso spunto ci ricorda l'antica dottrina secondo la quale la legittimazione dell'autorità del re viene da Dio. 

Riporto qui il testo dell'Inno:

"Il re si rallegrerà nella tua forza, o Signore! 
L'hai colmato di felicità per la tua salvezza!
Gloria e adorazione hai posto su di lui.
 
Gli sei venuto incontro con benedizioni eccellenti, e gli hai posto in capo una corona d'oro finissimo.
Alleluja."

Buon ascolto!

giovedì 24 maggio 2018

Fascino inglese

Cappella di San Giorgio - Windsor
Sarà che sto sognando le vacanze, che ho negli occhi foto di castelli, parchi dal fascino inglese, nonchè matrimoni reali e quanto di inglese in questi ultimi giorni ci è stato offerto in tv...sarà frutto dell'effetto d'insieme, ma oggi sono tornata a Haendel.

Per quanto infatti il compositore sia tedesco di origine, ha trascorso buona parte della sua vita in Inghilterra, tanto da diventare musicista della famiglia reale per la quale ha scritto brani sontuosi.
Scintillante, maestoso e solenne, nei suoi numerosi pezzi celebrativi ha saputo entrare nel vivo degli eventi da interpretare in note, tanto da farne scaturire l'intima gioia. Il suo stile è infatti festoso e fastoso: dalla "Musica sull'acqua" alla "Musica per i reali fuochi d'artificio", dal "Dettingen Te Deum" ai quattro "Coronation Anthem" primo dei quali è il famoso "Zadok the Priest".  
Ma è anche ricco di una vitalità che possiamo cogliere, tra l'altro, in diversi brani del "Messiah" a cominciare dal celeberrimo "Hallelujah", o dell'oratorio "Solomon". Certo ricorderete - tratta proprio da quest'ultimo - la sinfonia intitolata "L'arrivo della regina di Saba", una delle creazioni più esaltanti che la musica barocca ci possa offrire. Ed è solo un esempio.

Tuttavia, a fronte di pezzi esuberanti e grandiosi, nelle composizioni di Haendel troviamo anche una vena intima d'incomparabile dolcezza. Basti pensare al "Largo" dall'opera "Serse" o ad altre splendide arie come "Lascia ch'io pianga" dal "Rinaldo".
Proprio un'aria ricca di singolare fascino ha accompagnato il recente matrimonio del Principe Harry con Meghan Markle, e in particolare l'ingresso della sposa nella cappella del Castello di Windsor.

Sì, ho visto anch'io alcune riprese di questo evento che ha suscitato clamore, curiosità e spesso anche gossip, ma devo dire che - se pure la cosa inizialmente non aveva destato in me particolare interesse - le immagini poi mi hanno affascinato. Incantevole certo la cornice ampia e verdissima del parco, la severa eleganza del castello, così come la gotica Cappella di San Giorgio - divenuta nel tempo simile a una cattedrale - che si affaccia su di una piazzetta raccolta, un piccolo borgo di case a graticcio. 
Ma incantevole anche la schietta festa delle tante persone convenute e splendidi gli sposi nella loro gioia e - mi è parso - nella loro spontaneità: insomma un evento solenne di grande suggestione, a cominciare dall'appassionato sermone del Vescovo Michael Curry.

Naturalmente, però, la mia curiosità si è appuntata sulle musiche che hanno accompagnato la cerimonia, un vero e proprio concerto con brani classici di ieri e di oggi: da Tallis a Fauré, da Schubert a Rutter, solo per citarne alcuni; e insieme, pezzi gospel come il conosciutissimo "Stand by me" di Ben E. King.
Ma non poteva mancare Haendel! 
È stato infatti il brano iniziale, "Eternal source of light divine", dell' "Ode for the Birthday of Queen Anne HWV 74" ad accompagnare - come scrivevo - l'ingresso della sposa nella Cappella di San Giorgio. Ed è proprio questo che desidero condividere con voi oggi.
Si tratta del pezzo di apertura di una cantata profana scritta dal compositore nel 1713, in occasione del compleanno della Regina Anna di Gran Bretagna che aveva favorito la ratifica della Pace di Utrecht stipulata nello stesso anno. Proprio la celebrazione della pace è il tema del testo dell'Ode, composta da sette strofe ognuna delle quali si conclude lodando "il giorno che donò alla luce la grande Anna, colei che ha concesso una pace duratura sulla terra".

Il brano, un'aria di rara leggiadria caratterizzata da un incedere lento e ricco di fascino, è interpretato qui da Elin Manahan Thomas, la stessa soprano che lo ha cantato durante la cerimonia nuziale. Una voce di insuperabile luminosità e nitidezza che sembra ora dialogare, ora fondersi con quella degli strumenti, conducendoci in un'atmosfera di sempre più alto splendore.

Buon ascolto!

giovedì 17 maggio 2018

Musica in un interno

Da tempo, avevo tra i miei documenti in computer la foto di un'opera di Silvestro Lega (1826 - 1895), artista appartenente al movimento dei Macchiaioli.
Si tratta del celebre dipinto intitolato "Il canto dello stornello", conservato a Firenze presso la Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti: un'immagine che mi ha sempre preso per il fascino che da essa promana, ma che qualcosa mi aveva trattenuto finora dal pubblicare.

L'opera rappresenta un pacato quadretto di vita familiare in cui l'artista ha raffigurato al pianoforte la giovane cui era sentimentalmente legato e - dietro di lei - le sue sorelle una delle quali intenta a cantare. 
La pianista è al centro del dipinto e le altre due un poco più appartate; tuttavia le loro figure sembrano assumere un rilievo quasi plastico in rapporto allo sfondo della stanza. 
A destra fa da cornice un tendone e a sinistra la linea obliqua della tastiera ci conduce all'aperto, verso un paesaggio di dolci colline. Potrebbe essere maggio, coi primi caldi primaverili e la campagna - là fuori - marezzata di una luce che illumina anche l'interno, offrendoci un'immagine pacata e ariosa.

Mi ha sempre preso l'atmosfera ottocentesca di questo insieme, il richiamo ad un ambiente di altri tempi evidente nell'abitudine di far musica in famiglia,  nell'abbigliamento e nelle acconciature delle tre donne, fino a particolari come la colonnina tortile e il piccolo candelabro del pianoforte che indicano uno strumento di antica eleganza.
Ma catturano l'attenzione anche le stoffe di abiti e arredi, nell'ampiezza con cui si dispiegano e nella varietà di tessuti che va dalla minuta fantasia del vestito della pianista, ai quadretti della gonna di una delle due giovani e ai grandi fiorami del tendone.
Ne possiamo intuire persino la consistenza, ora più lieve nell'abito intero e quasi impalpabile nella camicetta chiara, ora invece più sostenuta, tanto che vengono in mente stoffe come mussola, crepella, taffetas, piquet, cretonne e via dicendo.
Una rappresentazione particolareggiata e realistica quindi - a ben guardare anche nella somiglianza dei tre profili - ma insieme un'immagine sulla quale indugiare per lasciarsi pervadere da un senso di antica pace.

Tuttavia - ed è questo il motivo per cui avevo esitato a pubblicare il dipinto - ho sempre avvertito un certo contrasto, quasi una sfasatura tra la serietà e la compostezza delle tre protagoniste e il titolo del quadro - "Il canto dello stornello" - che fa pensare invece a un più movimentato e spensierato clima di vivacità. 
Se ingrandendo la foto osserviamo lo spartito, vi scorgiamo certamente la scrittura musicale con la parte del pianoforte e del canto. 
Eppure, il mio pensiero non corre a uno stornello col suo stile talora satirico o scherzoso, ma alla dolcezza di una romanza. 
Me lo dicono i volti soavi e pensosi delle due giovani in piedi, pervasi da una sottile malinconia, quello più serio della pianista e la grande compostezza delle loro figure che ad alcuni critici ha ricordato lo stile di Piero della Francesca: radici toscane che, attraverso i secoli, si richiamano e s'intrecciano.

Così, passando alla musica, per accompagnare questo dipinto ho preferito una delicatissima melodia di un compositore contemporaneo a Silvestro Lega: Charles Gounod (1818 - 1893). 
Si tratta di "Serenade", brano d'impronta intensamente romantica e dal dolce ritmo di berceuse composto su di un testo poetico di Victor Hugo. Sono versi struggenti in cui lo scrittore contempla l'amata quando canta, quando ride e quando dorme e tale contemplazione, dissipando ogni pensiero negativo, diventa fonte di profonda armonia.
Ho scelto qui una versione per voce e pianoforte che mi pare rifletta l'aura di discrezione e pacatezza del dipinto. E davvero, nella realtà, le giovani ritratte da Silvestro Lega avrebbero potuto cantare questa "Serenade", perchè composta da Gounod esattamente undici anni prima del quadro!

Buon ascolto!

 

mercoledì 9 maggio 2018

La schietta gioia della musica

Quando la tecnica è magistrale, essa si traduce ben presto in gusto, lasciando il posto al piacere di far musica, alla pura gioia di suonare che prende l'esecutore e con lui coinvolge gli ascoltatori.
Ne parlavo qui poco tempo fa, in riferimento alla "Fuga alla giga BWV 577" di Bach e al suo bravissimo interprete, ma ritorno oggi sull'argomento, sia pure con un brano diverso. Molto diverso.

Si tratta infatti della famosissima "Czarda" del napoletano Vittorio Monti (1868 - 1922), una composizione che - come certo saprete - prende spunto da una danza diffusasi in Europa a partire dalla prima metà dell'Ottocento. 
La sua origine è popolare e colta insieme: popolare se pensiamo che il temine czarda indicava un ballo da osteria; e colta perchè ad essa si sono ispirate le danze ungheresi d'impronta gitana, rese poi famose da musicisti come Lizst, Brahms e Lehar.
Brio aggiunto al brio insomma: la vivacità insita nello spirito napoletano di Monti unita al trascinante ritmo ungherese e il tutto interpretato qui dal talento di un violinista polacco.

Solista è infatti Mariusz Patyra, già vincitore del Premio Paganini e splendido interprete che i lettori di questo blog ricorderanno per averlo ascoltato in alcune magistrali esecuzioni.
Come scrivevo anche in passato, ho sempre apprezzato non soltanto le sue doti di grande virtuoso del violino, ma soprattutto la straordinaria naturalezza e versatilità con cui fa fluire le note dallo strumento, riuscendo a coinvolgere l'ascoltatore nel gusto profondo della musica.
Ed è un gusto dalle molteplici sfumature, come possiamo osservare dal video dove insieme al rigore, alla concentrazione e all'attentissima coordinazione con le altre voci orchestrali, cogliamo in lui anche l'abbandono alla gioia e alle emozioni che - di passaggio in passaggio - questa musica gli ispira.

In effetti la "Czarda" di Monti è un pezzo molto vario, composto da parti con differenti tempi, tonalità che alternano il re minore al re maggiore, e sezioni lente che si avvicendano ad altre più mosse fino al brioso, vivacissimo finale.  Un classico pezzo di bravura, esuberante e scorrevole che il violinista, accompagnato da una vibrante orchestra d'archi, interpreta con nitidissima intonazione e perfetto tempismo. Una musica ricca di contrasti che l'interpretazione mette sapientemente in luce, giocando tra il forte di certi passaggi e alcuni intensi pianissimo, tra i frequenti glissati e gli staccati dove sembra talora che il canto del violino si faccia una cosa sola col solista fondendosi col suo respiro.
Un'esecuzione strepitosa da gustare fino in fondo in tutte le sfumature del brano come nel crescendo finale, ma segnata soprattutto dal piacere di suonare. Lo leggiamo in viso a Patyra: nel suo sorriso, nel garbo, nell'equilibrio tra entusiasmo e misura e - diciamolo! - anche nel suo schietto divertimento che coinvolge il pubblico, e noi che guardiamo, nel gioioso vortice della musica.

Buona visione e buon ascolto!

martedì 1 maggio 2018

"Dolce paese..."

Sfuma leggera la foschia sulle colline, dove l'azzurro si carica di una tonalità più cupa e il verde contrasta col cielo, la pietra scabra del pozzo e il cespo di fiori rosa, lì accanto.
È l'immagine che offre il mio calendario toscano che ho aggiornato stamattina, inaugurando il mese di maggio.
Dico toscano non solo perchè l'ho comprato lo scorso anno a Lucca per l'esattezza, ma per le foto che riportano angoli, scorci, monumenti o panorami un po' da tutta la regione.

A prima vista, questa che vedete sembra un'inquadratura della campagna senese - o forse anche maremmana - ondulata da dolci colline, con un cerchio di cipressi intorno a un rustico casale: luoghi che mi hanno sempre affascinato per la morbidezza con cui in essi si fondono elementi contrastanti. 
Qui infatti, la pietra rustica della vera da pozzo si sposa col verde del prato che ci regala invece una sensazione vellutata. E al tempo stesso quel verde - fresco come i germogli a primavera - si armonizza con un cielo che quasi prelude al temporale, mentre lo sfondo marezzato di luce ci consente di scoprire particolari di paesaggio che a prima vista non si notano. 
Se infatti ingrandiamo la foto, essa ci svela campi, sentieri, un fumo che biancheggia in lontananza e un lieve profilo di monti che può ricordare i versi carducciani del sonetto "Traversando la Maremma toscana": 

"...pace dicono al cuor le tue colline / con le nebbie sfumanti e il verde piano / ridente ne le piogge mattutine".

E l'immagine mi pare davvero la fisionomia di un "dolce paese" dalla riposante morbidezza, dove ritrovare antiche radici, placare ansie o nostalgie e sul quale fermare - insieme al poeta - uno sguardo rasserenato e commosso.

Ma essa mi riporta anche ad un brano di musica ora delicato come questo paesaggio, ma altrove ricco di contrasti evidenti nei frequentissimi passaggi tra il forte e il piano
Si tratta del primo movimento della "Sonata n.24 in Fa diesis maggiore op.78" di Ludwig van Beethoven, dedicata "A Thérèse von Brunswick", sua allieva e forse destinataria delle famosissime lettere che il compositore aveva dedicato all' "Immortale Amata".
In effetti, leggendo tali lettere - mai spedite e rinvenute tra i documenti del musicista dopo la sua morte - insieme a notazioni di vita quotidiana vi si trovano espressioni traboccanti di amore e sofferenza, speranza e nostalgia, sentimenti che la Sonata n.24 esprime efficacemente, inducendo alcuni studiosi ad ipotizzare che Thérèse sia stata destinataria anche degli scritti.

Questo che ascolterete è un primo tempo in realtà suddiviso in due parti: un "Adagio cantabile" introduttivo di sole quattro battute di accordi ascendenti, e un "Allegro ma non troppo", melodia luminosa, fatta di momenti di dolce intimità alternati ad altri più tempestosi e drammatici dove il tema è ripreso in tono minore.
Contrasti - appunto - come quelli del paesaggio in primavera, che spesso si ricompongono in soavità regalandoci insieme ricordi, nostalgie e tutte le sfumature di un appassionato sentimento d'amore. 

Buon ascolto!