domenica 31 ottobre 2021

Un Haendel più che mai festoso

Non sono abituata a rileggermi dopo aver pubblicato un post.
Lo faccio prima invece e ripetutamente, perchè l'esperienza mi insegna che c'è sempre qualche errore di battitura che sfugge, qualche
svista in agguato.
Ma dopo basta: una volta pubblicato, lo lascio al suo destino perchè - al contrario dei brani musicali che riascolto spesso - è come se una sorta di pudore mi trattenesse dal ritornare su ciò che ho scritto.

Succede però che lo faccia magari a distanza di parecchio tempo. Talora rileggo qualche articolo a caso per rispolverarmi la memoria dato che - incredibile ma vero! - questo blog ha la bellezza di undici anni; ma insieme mi piace controllare se, per usare un'espressione musicale, tiene ancora la nota. 

Così, oltre a svariati post nei quali mi ritrovo, ho notato invece che ce ne sono altri - i più vecchi - un po' troppo sommari, forse perchè all'inizio, se pure ero partita con la gioiosa intenzione di condividere musica, non avevo un'idea precisa di come farlo. In realtà, alcuni aspetti si sono andati configurando negli anni, man mano che la mia passione per questo angoletto di web si faceva più viva, come capita per tante attività che si modificano nel tempo sulla base delle esigenze che via via emergono.

E rivedendo appunto i post più vecchi, mi sono accorta che il più sbrigativo è proprio quello dedicato a un brano che - invece - adoro da sempre e ancora oggi mi parla. Si tratta del celebre "Arrivo della Regina di Saba" dall' Oratorio "Solomon HWV 67" di Georg Friederich Haendel (1685 - 1759) che avevo pubblicato qui...Un po' brevino, vero? Era giusto una giornata di fine ottobre anche allora e alla musica chiedevo di rischiararne l'atmosfera.
Così, contravvenendo alla mia abitudine di non ripetermi - ma anche per farmi
perdonare dal suo autore! - oggi ho deciso di riproporvelo, con qualche piccola considerazione in più sulla sua bellezza.

Il pezzo apre il terzo atto dell'Oratorio "Solomon" ed è una Sinfonia per oboe e archi. Va precisato che qui il termine Sinfonia - proprio in italiano, come tanta terminologia musicale - ha il significato di brano orchestrale posto ad introdurre opere e cantate, come accadeva nel periodo barocco. Sarà solo più tardi, infatti, che passerà a indicare quelle composizioni autonome, di solito in quattro movimenti di ampio respiro, che tutti conosciamo.

È la festosa vivacità del ritmo, scintillante e a mio avviso modernissimo, la caratteristica precipua di questo brano. Un Haendel di stupefacente leggerezza, talora persino ammiccante quasi giocasse a nascondino, che commenta in note un evento narrato dalla Bibbia, ma riportato anche da altre fonti e reso famoso da numerose opere d'arte. Basti ricordare i dipinti di Piero della Francesca ad Arezzo, le formelle del Ghiberti sulla Porta del Paradiso a Firenze, insieme ad altre creazioni di artisti italiani e stranieri.
Il pezzo ha avuto nel tempo immensa fortuna quasi al pari del celeberrimo Hallelujah, tanto da uscire dal contesto
per il quale era nato ed entrare - come ricordavo a suo tempo - nella colonna sonora di diversi film e nelle musiche delle celebrazioni nuziali, motivo per cui è stato oggetto di svariate trascrizioni.
Insieme alla versione
orchestrale, allora, ve ne riporto una per organo che mi pare particolarmente pregevole. E se le due esecuzioni ci offrono sonorità differenti, in entrambi i casi affiora da esse la mirabile energia di Haendel in uno dei brani più gioiosi e brillanti di tutta la sua produzione.

Buon ascolto! 

(Le foto, prese dal web, riportano nell'ordine le seguenti opere:

- Konrad Witz : "Re Salomone e la Regina di Saba" - Gemaldegalerie, Berlino.
- Piero della Francesca : "Incontro tra Salomone e la Regina di Saba", particolare degli affreschi sulle "Storie della Vera Croce" - Chiesa di San Francesco, Arezzo.
- Lorenzo Ghiberti : "Salomone incontra la Regina di Saba", particolare della Porta del Paradiso - Museo dell'Opera del Duomo, Firenze.)

 

sabato 23 ottobre 2021

Preziosa quotidianità

Un pomeriggio impegnato che si trasforma in uno spazio di riposante respiro.
Una lezione di musica che, dalla mia preoccupazione iniziale - non ho studiato abbastanza, di sicuro sbaglierò e lamentazioni varie! - si fa sempre più coinvolgente e serena sull'onda di un brano suonato a quattro mani, nel
sorriso dell'amicizia.
Poi la gioia che mi afferra a contatto
con strumenti nuovi a scoprirne le sonorità, mentre il desiderio di provare altri pezzi per due pianoforti si fa più vivo.
Infine, la sensazione impagabile di essere
dentro la musica!

Ringrazio la mia giovane e bravissima insegnante che, col suo rigore attento e la sua gioiosa energia, sempre un passo più avanti ad esplorare possibilità nuove, mi aiuta da anni a superare incertezze regalandomi entusiasmo.
Sì perchè, anche se lei ha tante e ancora tante primavere meno di me, qui
l'allieva sono io! Ed è bellissimo questo capovolgimento di ruoli e prospettive per me che - praticamente per una vita - nella scuola sono stata, diciamo così, dall'altra parte della barricata, senza contare il fatto che trovarmi alla mia età nella condizione di chi può imparare, è una ricchezza senza fine.

Ma non c'è solo questo. Il bello è anche uscire dalla lezione con l'animo leggero, percorrere senza fretta le vie del centro di una cittadina che - benchè non ci abiti - frequento da anni e ogni volta mi restituisce angoli e atmosfere in cui mi ritrovo. È il cotto delle sue chiese antiche che si fa dorato nella luce dei pomeriggi di ottobre, come in questa mia foto di qualche anno fa; ma sono anche le piazze tranquille e le vie piene di negozietti davanti ai quali è riposante indugiare mentre, con calma, vado a prendere il mio treno.

Abitudini di altri tempi, squarci di preziosa quotidianità che, forse, durante questo
lungo periodo di pandemia avevo dimenticato, come se l'esperienza del Covid avesse tracciato una linea di demarcazione tra un prima e un poi inevitabilmente diversi. E - a pensarci bene - è proprio così, perchè in qualche modo gli eventi ci hanno cambiato e talora è ingannevole voler ritrovare ad ogni costo certe atmosfere del passato.
Tuttavia, il senso di disorientamento che magari ci ha colto in questo
periodo peraltro non ancora concluso, può dissolversi se la musica - o un luogo che portiamo dentro - ci aiuta ad attingere a quel nucleo segreto in cui vive, intatta, una parte di noi stessi. E io sento spesso di appartenere ai luoghi.

Allora, per celebrare quel pomeriggio di serenità, oggi vi regalo proprio un pezzo per due pianoforti...No, non quello che ho provato con la mia insegnante, ma un altro che lei mi ha proposto di suonare e che magari in futuro - chissà! - riusciremo a mettere insieme.
Si tratta del primo dei "Sei Studi in forma di canone op.56" composti da Robert
Schumann (1810 - 1856) inizialmente per pianoforte con pedaliera - tanto che vengono eseguiti spesso anche all'organo - ma poi trascritti nella versione a quattro mani e due pianoforti.

Sono brani di atmosfera diversa che ci conducono in mondi molto differenti tra loro: alcuni più movimentati e accesi, altri più malinconici e meditativi, ma tutti accomunati dalla struttura a canone, antico modulo compositivo tipico della polifonia che qui Schumann riprende fondendo il rigore della tradizione alla sua morbida creatività.
Lo Studio N.1 che ho scelto di pubblicare è uno di quelli in cui la struttura
contrappuntistica risulta subito evidente. Bellissime le due voci che si inseguono vivaci e splendido il caleidoscopio di sfumature con cui s' intreccia la tonalità di Do Maggiore, a iniziare dal Do basso iniziale che la sinistra suona per cinque battute sostenendo il tema della destra anche quando l'armonia cambia.
Ma insieme a tale rigore che ci riporta indietro nel tempo, Schumann fa fiorire
una gioia fresca e scorrevole che mi restituisce la serenità di una lezione di musica e di un tranquillo giro in città, nella dolcezza di un pomeriggio di ottobre.

Buon ascolto!

 

venerdì 15 ottobre 2021

In cerca di leggerezza - 10

O. Rosai: "Via San Leonardo" (1948)  - collezione privata.



















Da mesi ho in computer le immagini che vedete e che riproducono alcuni dipinti di un artista del quale - anni fa - avevo parlato brevemente qui, pubblicando tre delle sue opere più conosciute: "Via Toscanella", "Vicolo" e "Case nel sole".
Lo avrete già indovinato: si tratta del fiorentino Ottone Rosai (1895 - 1957)
che, oltre a una nutrita serie di ritratti di amici e personaggi di primo piano nella cultura del suo tempo, nella sua produzione ha rappresentato più volte le vie della Firenze nella quale abitava ed aveva lo studio.
Desideravo da tempo ritornare
sulle sue opere, ma mi ha trattenuto la difficoltà di reperire il luogo in cui sono conservate. Parecchie infatti, risultano nei cataloghi di varie case d'asta o di mostre temporanee, ma spesso manca la collocazione attuale. Così è anche per quelle che vedete e suppongo quindi che - come il quadro riportato qui in alto - facciano parte di collezioni private.

Sono molti i motivi per cui è interessante la figura artistica di Rosai e già in passato ricordavo alcuni caratteri del suo stile, primo fra i quali la semplicità che affonda le radici nella tradizione pittorica toscana, a partire prima da Giotto e poi da Masaccio.
Uno stile semplice e insieme
corposo che - risalendo nel tempo - può avvicinare l'artista per certi aspetti a Cézanne, al cubismo e successivamente a Carrà.

C'è infatti nelle sue opere una particolare
attenzione ai volumi e agli incastri architettonici, a un accostamento di elementi rettilinei e curvilinei per cui case e muretti sono assimilabili a una nitida geometria dalle tinte ora più ombrose, ora più luminose. E la muratura continua degli edifici, privi di decorazioni o di aperture, ci offre - a mio avviso - un senso di pace.
Rosai si sofferma infatti su scorci tranquilli, angoli della Firenze minore degli anni
Cinquanta, dove protagonisti sono vicoli e strade di periferia, a cominciare dalle tante versioni di Via San Leonardo, segnate da una dolce alternanza di luci e ombre a sottolineare spazi e volumi.
Sono brevi percorsi affondati tra due muriccioli dai quali sporgono spesso ulivi e cipressi, in un accostamento di colori sfumati e in una solitudine che rende intima la rappresentazione.

Come osservavo in passato, da queste immagini mi è difficile ipotizzare nel gesto pittorico dell'artista quell'ansia o quel pessimismo di cui parlano i critici, motivandolo col suo carattere aspro o come riflesso degli eventi talora drammatici della sua vita.
Mi pare al contrario di cogliervi uno sguardo
che si posa pacato sulla realtà e mi regala un respiro di profonda leggerezza.
Quello che il pittore raffigura è infatti un
mondo di solitudine e di essenzialità dove, in pacificante contemplazione, possiamo entrare a percorrere vicoli dei quali - peraltro - non vediamo il prosieguo, ma solo
una svolta. Sempre. E anche questo aspetto, cui nel vecchio post avevo dedicato solo un cenno, mi pare cosa non trascurabile.

Come infatti accade che in diversi pittori vi siano elementi ricorrenti a caratterizzare i loro dipinti - pensiamo al trenino all'orizzonte nei quadri di De Chirico o al monte Sante-Victoire in Cézanne - così i vicoli di Rosai finiscono sempre in curva.
Forse è solo un modo di riprodurre l'andamento
delle strade sui colli toscani, o forse altro: una curva leggera verso la fine del percorso che ci impedisce di vedere oltre. Ma non di sognare.
E nel silenzio immobile dei suoi paesaggi, simili tra loro e al
tempo stesso differenti, l'artista sembra condurci altrove, verso una sorta di Infinito leopardiano in cui è dolce naufragare, così come è rasserenante perdersi tra case chiare, ulivi grigi e muriccioli protettivi quasi ci si muovesse su sentieri di fiaba.

Al tempo stesso, però, la strada della quale non vediamo la fine, nè possiamo intuire le sorprese che ci riserva dietro la curva, è affascinante per le sue risonanze esistenziali.
C'è infatti una leggerezza anche nel non affannarsi a conoscere
cosa porti il domani, nell'abbandono che consente di attraversare in serenità la condizione presente con i suoi cieli ora azzurri, ora cupi, e con l'alternarsi di ombra e luce come nella versione di "Via San Leonardo" riportata in grande.
Un panorama che - a mio avviso più ancora di altri -
con i suoi colori e i suoi tratti sfumati appaga i sensi, regalandoci la percezione di essere immersi in un luogo di sogno dalla pace lungamente desiderata.

Altrettanto sognante mi pare il brano che ho associato ai dipinti: la "Sarabanda" dalla "Holberg Suite per archi op.40" di Edvard Grieg (1843 - 1907), della quale - tempo fa - avevo pubblicato il vivacissimo "Preludio".

Questa è invece una composizione di carattere più tranquillo, un "Andante" di tono raccolto e in taluni passaggi anche solenne, che si anima solo nella seconda parte.
Bellissimo il lieve pizzicato dei violoncelli sullo sfondo, che ci accompagna col passo
lento e ritmato tipico della Sarabanda, danza di origine barocca così come appartiene al periodo barocco la struttura stessa della Suite. In effetti, Grieg aveva esplicitamente dichiarato di averla scritta proprio "in stile antico".
Tuttavia, sia nella versione originale per pianoforte, che
in quella per archi che ho scelto di pubblicare qui, si avverte intensamente il fascino espressivo del compositore norvegese, fatto di garbo, leggerezza descrittiva e di un senso di riposante armonia simile a quello delle pacate immagini di Rosai.

Buon ascolto!

(Tutte le foto sono prese dal web. I dipinti riportati all'interno dell'articolo sono nell'ordine : "Via San Leonardo" (1955) - "Strada fra due muri" - "Via San Leonardo" (1952) - "Paesaggio" - "Strada con case")

giovedì 7 ottobre 2021

Trame e orditi

Strana questa foto, vero?
Penso che abbiate riconosciuto subito  l'inconfondibile profilo di Monteriggioni, l'antico borgo medioevale dalle mura turrite, situato nella splendida campagna senese e qui immerso in una vegetazione dai caldi colori autunnali.

Ma perchè mai questo velo grigio e ombroso che offusca il panorama, come se tra esso e il nostro sguardo si fosse interposto qualcosa ?
Perchè si tratta di un'immagine del mio
calendario che ho fotografato così come la vedo al mattino, col primo sole che filtra dalla finestra della cucina e vi riflette trama, ordito ed altri particolari delle mie tende. È possibile infatti scorgere con chiarezza una serie di trafori, insieme ad alcuni fili più grossi che qua e là punteggiano la struttura del tessuto. E mi sembra una piccola, affascinante immagine di quotidianità.

Come ho scritto anche in passato sempre a proposito del mio calendario, la luce del sole che lo illumina sul muro in alto, vicino alla finestra, esalta i dettagli dei vari panorami e me li fa scoprire meglio regalandomi ombre e riflessi che talora mi incantano.
Un po' come questa foto del mese di ottobre i cui particolari
ci consentono di cogliere i colori dorati delle vigne e degli alberi in primo piano, insieme al verde argenteo degli ulivi, quasi fossero le tinte sfumate di un dipinto, filtrate come sono dal velo della tenda. E se da un lato essa sembra offuscare il panorama, dall'altro il sole che dalla finestra ora occhieggia, ora illumina più ampiamente il paesaggio e la nuvolaglia all'orizzonte, ci offre un respiro d'incomparabile bellezza.

Non è infatti la classica cartolina, ma un'immagine che - pur nella sua casalinga semplicità - ha un che di sognante: da un lato più ridente, dall'altro più cupa e quasi plumbea, ma per me sempre ricca di suggestione.
È quella percezione di intimità che si avverte quando si contempla il mondo esterno dal tessuto segreto del proprio cuore - anch'esso fatto di una trama e di un ordito - magari nella magia di un momento di silenzio o nel baluginare di luci ed ombre del dormiveglia.

Ma l'immagine mi regala anche una
luminosa sintonia con quella bellezza antica che talora il vivo seme di un ricordo fa germogliare in noi prima ancora che da una veduta esterna. Sono stata due volte a Monteriggioni: una in tempi recenti, mentre la prima si perde nella mia fantasia di adolescente, quando ogni angolo di mondo è una scoperta incantata. E forse è là che mi riconduce questo paesaggio velato dalla tenda, facendo rifiorire in me un inesausto desiderio di bellezza.

Proprio sull'onda di tale suggestione, allora, oggi torno a Georg Friederich Haendel (1685 - 1759) per proporvi il mirabile "Adagio" iniziale della "Suite n.2 in Fa Maggiore HWV 427" della quale poco tempo fa ho pubblicato il vivace "Allegro - Fuga" conclusivo.

Si tratta di un brano raffinatissimo per la dolcezza della melodia, il ritmo lento segnato dalla mano sinistra e - affidati alla destra - i numerosi abbellimenti che fanno fiorire il tema con eleganza.
Il pezzo si apre con tratti di sorridente luminosità, ma si fa poi più meditativo,
come uno sguardo che si apre anche su di un panorama interiore, a somiglianza di chi - con passo lieve - attraversa ombre e luci di un paesaggio ma al tempo stesso della propria anima. Me lo suggeriscono alcuni passaggi della melodia dal tono sempre più intimo, sottolineati da un' interpretazione attenta a rendere con delicatezza ed efficacia tale intimità.
Un Haendel pacatissimo, una musica simile a una tenda leggera, a velare di sogno
un paesaggio antico.

Devi allontanare tutte le tue preoccupazioni,
chiedendoti come le tue pene sono state alleviate
e disdegnando di compiacerti
finché Aletto liberi i morti dalle loro catene eterne,
finchè i serpenti cadano dalla sua testa
e la frusta dalle sue mani.
https://lyricstranslate.com
Devi allontanare tutte le tue preoccupazioni,
chiedendoti come le tue pene sono state alleviate
e disdegnando di compiacerti
finché Aletto liberi i morti dalle loro catene eterne,
finchè i serpenti cadano dalla sua testa
e la frusta dalle sue mani.
https://lyricstranslate.com

Musica per un po'.

Devi allontanare tutte le tue preoccupazioni,
chiedendoti come le tue pene sono state alleviate
e disdegnando di compiacerti
finché Aletto liberi i morti dalle loro catene eterne,
finchè i serpenti cadano dalla sua testa
e la frusta dalle sue mani.
https://lyricstranslate.com

Musica per un po'.

Devi allontanare tutte le tue preoccupazioni,
chiedendoti come le tue pene sono state alleviate
e disdegnando di compiacerti
finché Aletto liberi i morti dalle loro catene eterne,
finchè i serpenti cadano dalla sua testa
e la frusta dalle sue mani.
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Musica per un po'.

Devi allontanare tutte le tue preoccupazioni,
chiedendoti come le tue pene sono state alleviate
e disdegnando di compiacerti
finché Aletto liberi i morti dalle loro catene eterne,
finchè i serpenti cadano dalla sua testa
e la frusta dalle sue mani.
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Devi allontanare tutte le tue preoccupazioni,
chiedendoti come le tue pene sono state alleviate
e disdegnando di compiacerti
finché Aletto liberi i morti dalle loro catene eterne,
finchè i serpenti cadano dalla sua testa
e la frusta dalle sue mani.
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Buon ascolto!