venerdì 30 dicembre 2022

"Insieme, senza saperlo"

Non so se il vago chiarore del cielo, nella foto qui accanto, sia quello di un tramonto oppure il primo baluginare di luce dell'alba.
So che questa immagine presa dal web mi è piaciuta subito per la grande intimità che ci regala, l'incanto della neve e la suggestione del silenzio che avvertiamo come se per quel sentiero bianco ci potessimo incamminare piano, in totale solitudine. Solo il suono ovattato dei nostri passi, forse un lieve refolo di vento o forse neppure quello a turbare la magica immobilità del paesaggio, la piena immersione nel respiro rigenerante della natura. E in fondo al sentiero, l'albero illuminato a segnare la direzione, a ricordare il Natale, sottolineando la bellezza circostante e aprendo intorno squarci di ombre e di sogno.

La foto mi richiama alla mente l'incipit di un meraviglioso e celebre racconto di Dino Buzzati intitolato "Inviti superflui". Lo scrittore vi descrive le stagioni di una storia d'amore forse finita, i tratti di un ricordo che, se pure in lui vive ancora intenso, non trova però il medesimo riscontro nella donna amata. Ma al di là della vicenda venata di una vaga amarezza che nel racconto possiamo poi intuire, qui mi basta riportare solo il brano d'inizio per la sua suggestione onirica, i suoi accenti di toccante poesia e la sua atmosfera da fiaba: 

"Vorrei che tu venissi da me una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi, per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento." 

Al di là della solitudine delle strade buie e gelate, le parole di Buzzati sono ricche di grande calore mentre disegnano i tratti di una tana protettiva in cui trovare rifugio sull'onda dei ricordi. Ci riportano infatti a un mondo lontano nel tempo e forse anche nello spazio, un mondo misterioso e fatato come quello dei bambini che tutti siamo stati: una suggestione nella quale ritrovare la parte più segreta di noi stessi lasciando che affiori con antico stupore.
Ma l'espressione più magica del brano mi pare quell' insieme senza saperlo che lo
scrittore torna a ripetere quasi esistesse una bellezza, un paradiso terrestre, una favola che tutti abbiamo vissuto e poi dimenticato, una sorta di archetipo che ci portiamo dentro e che ricompare ogni tanto qua e là, per improvvisi sprazzi di luce. Segno di una vita che tesse trame segrete spesso al di là della nostra fantasia e che solo chi ha l'animo di poeta - come in questo caso Buzzati - sa cogliere e rivelare.

Mi fermo qui. Mi piace arrivare a fine anno così, senza clamore, ma con questa immagine ricca di intimità e di un calore ancora natalizio. Del resto, quante cose può evocare una semplice foto invernale con gli abeti carichi di neve, il cielo che si tinge di rosa, il buio e il silenzio...
Allora, insieme agli auguri per il tempo che verrà, vi regalo un brano di Arcangelo Corelli (1653 - 1713)
: il mirabile "Adagio - Allegro - Adagio" del Concerto grosso op.6 n.8 "Per la notte di Natale". Si tratta di un pezzo che - a dire il vero - ho già pubblicato nientemeno che undici anni fa...ma trovo che il suo splendore si armonizzi bene sia con la foto del paesaggio innevato che con le magiche parole del racconto di Buzzati.
Come si vede dall'indicazione, tre sono le sezioni in cui si articola questo
movimento del Concerto: la prima e la terza simili nella loro lenta e struggente dolcezza, mentre quella centrale è più vivace e animata sul piano ritmico, quasi preannunziasse una trepida gioia da gustare poi in soavissima quiete.

Buon ascolto e Buon Anno! 

 

domenica 25 dicembre 2022

Buon Natale!!!

 

 

 















 

 

 

Hans Memling (1430 - 1494) : "La Natività" - Colonia, Wallraf Richartz Museum.

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) : "Oratorio di Natale BWV 248" - "Sinfonia".

martedì 20 dicembre 2022

Piccole storie di fiori

Vi ricordate la mia azalea, inclito dono del consorte per il mio compleanno?
Ne avevo scritto qui mesi fa, parlando
del mio impegno per farla sopravvivere una volta sfiorita, spostandola di stanza in stanza o di balcone in balcone per darle temperatura e luce giusta ad ogni ora.

Insomma, grata per la mia costante attenzione, la pianta è sopravvissuta, superando per di più un'estate non facile. Ammetto che a questo avrà contribuito anche la musica di Rossini -  il "Passo a sei" dal Guglielmo Tell - che a suo tempo le avevo dedicato. Ma le mie cure, insieme a quelle della vicina di casa alla quale l'avevo affidata durante le vacanze, sono state fondamentali.

Bene. Iniziato settembre e ricollocata in mansarda, la pianta, per quanto rigogliosa, non ha dato luogo ad altre fioriture, ma neppure ha iniziato a perdere le foglie o ad appassire. È rimasta per mesi sotto la finestra più luminosa della stanza in una situazione di apparente stand by, impassibile.
Di solito, è mio marito a bagnare i fiori sistemati lì; a volte però, se
le sue innaffiature mi sembrano scarse, intervengo io con una razione in più, col risultato che - dopo un po' - abbiamo dovuto accordarci per evitare che la pianta rischiasse di annegare per eccesso di cure.
A dire il vero però, l'azalea non ne ha risentito. È rimasta sempre uguale a se
stessa, oserei dire ingessata in una sorta di letargo, se non temessi di offenderla. Ogni tanto mi chiedevo quando si sarebbe risvegliata, ma pensavo che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe stato a primavera.

Invece, a dicembre inoltrato, è accaduto il prodigio.
Un giorno, nel mio consueto andirivieni, passandole accanto ho notato piccoli
getti, minuscoli germogli chiari un po' ovunque due dei quali, già semiaperti, andavano colorandosi di rosa...Potete immaginare la mia sorpresa: l'azalea mi sta rifiorendo in pieno inverno! Proprio per Natale! Evviva!
Subito una vocetta interiore mi ha ricordato che Natale non cade in pieno inverno
non siamo neanche al solstizio, ma non ho lasciato che il mio entusiasmo sfumasse per così poco perchè Natale e l'inverno non sono semplici date sul calendario, ma tempi del cuore, e se la mia piantina si è risvegliata ora è stato proprio per farmi un regalo.

Naturalmente ho dato il lieto annunzio ai quattro venti sentendomi un po' come mia mamma quando comunicava festante alle amiche che le era fiorita la clivia. Poi, per capirci qualcosa, sono andata a consultare i sacri testi di giardinaggio e la scoperta eclatante è stata che, nel nostro modo di curarla, avevamo sbagliato tutto: temperatura, innaffiature, posizione ed esposizione, tutto! Doveva stare lontana da fonti di calore e invece era accanto a un termosifone, non doveva prendere sole diretto e dalla finestra più vicina al mattino entrava proprio il sole: insomma, peggio di così...
Ma è rifiorita ugualmente!!! Eccola nella foto, è proprio lei! E oltre ai due già
aperti, ci sono tanti altri fiorellini in boccio: li vedete, vero???

Bene. Da questa piccola storia potrei forse trarre una morale natalizia secondo la quale non dovremmo mai abbandonare la speranza anche quando una situazione sembra difficile e magari ci capita pure di sbagliare.
Gli antichi Greci, per concludere, avrebbero scritto "o μύθος δελοι οτι..." : la favola
insegna che...Solo che questa non è una favola, ma una storia vera, piccola come le tante storie quotidiane che ci accadono o ci passano accanto. Allora lascio che a ricavarne un senso sia chi legge, ognuno a suo modo come meglio crede.

Io mi limito ad aggiungere la musica con un brano che, alla fine di un anno così travagliato, possa suonare rasserenante a somiglianza di una fioritura inattesa e al tempo stesso ci introduca alle festività natalizie.
Si tratta del "Preludio" che apre il celebre "Oratorio di Natale op.12" di Camille Saint-Saëns (1835 - 1921)
, pezzo che, nelle intenzioni del compositore, ha il suo riferimento ideale in Bach e nel suo stile. È infatti una pastorale col tempo di 12/8 che, per certi aspetti, può ricordare la "Sinfonia" dell'Oratorio di Natale bachiano che mi riservo di pubblicare qui tra non molto.
Tuttavia, la morbidezza e il timbro orchestrale ravvisabili in questo Preludio e soprattutto nei
movimenti successivi, hanno già quell'afflato romantico tipico del periodo in cui Saint-Saëns scrive. Ce lo suggerisce l'introduzione iniziale dell'organo che ci fa immaginare anche l'eco di una zampogna, seguita  dall'attacco degli archi con la sua mirabile apertura.
Un brano ricco di serenità e una punta di malinconia, dove il disegno ritmico del tema, con le sue ripetizioni, è simile a una soave ninna nanna.

Buon ascolto!

 

martedì 13 dicembre 2022

Stanze - 12

E. Hopper (1882 - 1967) "Stanze sul mare" Yale University Art Gallery, New Heaven.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Giunta alla fine della carrellata di stanze che ha caratterizzato alcune mie scelte di quest'anno, per la dodicesima lascio la parola a un grande. 
Si tratta del Maestro Ezio Bosso (1971 - 2020), del quale riporto alcune considerazioni di vita vissuta, talora anche crude nella loro verità, che offro a chi legge insieme alle note di un brano tratto dal primo album di pianoforte solo del compositore, intitolato "The 12th Room".
 
“Si dice che la vita sia composta da 12 stanze. 12 stanze in cui lasceremo qualcosa di noi, che ci ricorderanno. 12 le stanze che ricorderemo quando saremo arrivati all’ultima. Nessuno può ricordare la prima stanza dove è stato, ma pare che questo accada nell’ultima che raggiungeremo. 
Stanza significa fermarsi, ma significa anche affermarsi. La "libertà che riprende stanza" è un modo dire. Quando abbiamo trovato finalmente un posto dove fermarci abbiamo inventato le stanze. E gli abbiamo dato nomi, numeri e significati. La stanza dei giochi. La stanza della musica. Le stanze della memoria. Sono infinite le stanze. Ma non ci pensiamo mai. Sono così comuni nella nostra vita che le releghiamo ad essere vane chiamandole vani. Poi ci sono le stanze con un carattere. Le stanze della gioia o del dolore. E stanze in cui rifugiarsi e quelle in cui recludersi. Per ogni stanza che percorriamo apriremo una porta che ci porterà dentro e fuori da esse. Le stanze sono vuote o piene e siamo noi a deciderlo. Come se le nutrissimo.

Ho dovuto percorre stanze immaginarie, per necessità. Perché nella mia vita ho dei momenti in cui entro in una stanza che non mi è molto simpatica detto sinceramente. E’ una stanza in cui mi ritrovo bloccato per lunghi periodi, una stanza che diventa buia, piccolissima eppure immensa e impossibile da percorrere. Nei periodi in cui sono lì ho dei momenti dove mi sembra che non ne uscirò mai. A volte si trova in un ospedale a volte a casa ma diventa sempre la stessa stanza. E’ una stanza talmente buia che anche gli affetti fanno fatica ad entrarci. Lo avverto, me lo hanno detto.
Ma anche lei mi ha regalato qualcosa, mi ha incuriosito, mi ha ricordato la mia
fortuna. Mi
ha fatto giocare con lei, mi ha fatto cercare il significato di stanza, mi ha fatto incontrare storie di stanze. E delle stanze dentro al lavoro degli uomini. Che ne condizionano le scelte o ispirano loro malgrado. Quasi tutte le creazioni dell’uomo avvengono in una stanza. Che la vita quindi non è un tempo ma uno spazio. Infinito. E mi ha fatto ridisegnare il concetto di stanza. 

La mia stanza antipatica mi ha insegnato che Chopin scrisse i suoi Preludi dopo che avevano bruciato la sua stanza a Mallorca, che Cage compose stanze, che Bach fu il primo compositore ufficiale di stanze. Lo sapevate che le canzoni prima si chiamavano stanze? Si, perché la stanza è anche una poesia. E poi che Orfeo entrò nelle stanze infernali per fare il patto, che Rachmaninov si chiuse in una stanza e ne uscì suonando un brano di Sgambati su Orfeo e altro ancora. E così ho imparato a inventare stanze da percorrere e mi ha dato la possibilità di scrivere queste 12 stanze nascoste, di costruirle. Mi ha fatto diventare oltre che compositore meteorologo, compositore pneumologo o compositore oceanografo anche un compositore carpentiere”.

Spazi concreti dunque quelli di Bosso, legati ai vari momenti della sua vita, ma al tempo stesso fonti di ispirazione, sogni che salvano, luoghi dell'anima che qui mi piace associare al celebre dipinto di Edward Hopper (1882 - 1967) intitolato "Stanze sul mare".
L'immagine rappresentata è interno ed esterno insieme, ma non vediamo
compiutamente nè l'uno, nè l'altro, presi da quella parete chiara dall'ombra obliqua che funge da elemento di passaggio: una geometria di linee e piani aperti verso uno spazio più ampio, che tuttavia per certi aspetti mi pare inverosimile. I biografi dell'artista dicono che si tratti del panorama che il pittore aveva dal suo studio...Ma l'apertura che sovrasta le onde un po' increspate di quel blu tipico del mare aperto, fa quasi immaginare che non ci si trovi in una casa ma in viaggio su di una nave.
Per questo, più che uno spazio concreto, il dipinto mi sembra rappresenti un luogo dell'anima dove - se pure le stanze sono soleggiate - il vuoto e la solitudine,
accentuati da linee di cui non vediamo la fine, comunicano una sensazione straniante. E il fatto che non vi siano figure umane m'induce a pensare che protagonista sia proprio chi guarda, condividendo la condizione esistenziale che l'immagine suggerisce: l'attesa di un passaggio da un interno a un esterno, e la presenza di un varco che oltrepassi il limite tra realtà e sogno, finito e infinito.

Proprio sulla suggestione che il dipinto mi offre, per passare alla musica ho scelto il brano di Ezio Bosso che apre l'album "The 12th Room" e che mi sembra significativo perchè ci conduce fuori dalla stanza. S'intitola infatti "Following a Bird" (Out the Room).
Qui il compositore si fa anima libera seguendo il volo di un uccello,
dal primo timido battito d'ali fino a quando si dispiega in alto con sicurezza.
A tradurre questo movimento in note è un suono prima sommesso,
luminoso, straordinariamente puro, che ora si carica di energia e ora sfuma in alcuni splendidi pianissimo, poi sempre più martellante e concitato fino a quando sembra di nuovo dissolversi.
Sono pause, dissonanze e ripetizioni che disegnano un percorso, una sorta di parabola
musicale di un'anima che prende il volo. È la sensazione di libertà sconfinata di chi dal chiuso di una stanza esce all'aperto, simile alla suggestione del mare dipinto da Hopper. Ma insieme a questa, è la straniante percezione di ignoto che qui ci comunica la tonalità di re minore e che Bosso fa risuonare ancora più intensa nella Sinfonia n.1 "Oceans".

Buon ascolto! 

(La foto è presa dal web)


mercoledì 7 dicembre 2022

Johannes è un bravo ragazzo...

Era in paziente lista di attesa da parecchi giorni il brano di oggi, perchè cercavo il momento più propizio per riascoltarlo con calma, lasciandomi pervadere da tutta la sua suggestione.
A dire il vero dovrei parlare al plurale
perchè, benchè presi dalla stessa composizione, in realtà i brani sono due: il primo e l'ultimo movimento delle "Variazioni su di un tema di Haydn op.56a" di Johannes Brahms (1833 - 1897).

Mi hanno sempre affascinato i temi con variazioni e ne ho già parlato parecchi anni fa proprio qui, ragion per cui non mi dilungo. Mi limito però a ricordare che i vari autori sono partiti talora da spunti musicali anche molto semplici, riuscendo a sviscerarne ogni possibilità melodica, ritmica o timbrica, facendone affiorare dimensioni nascoste o esasperandone altre alla luce di una sensibilità nuova o di un contesto culturale differente.

Numerosi sono i musicisti che hanno scritto variazioni su opere di altri autori e lo stesso Brahms ne ha composte diverse anche su temi di Haendel, Schumann e Paganini. Del pezzo di oggi ho scelto di non riportare l'intera successione dei movimenti - che potete invece trovare in questo link - ma come scrivevo sopra, solo il primo e l'ultimo, la partenza e l'arrivo, semplice l'una, grandioso e complesso l'altro com' è tipico di tanta musica di Brahms.

Il primo è la riproposizione di un antico tema conosciuto come "Corale di Sant'Antonio", secondo tempo di un "Divertimento in Si bemolle maggiore" attribuito ad Haydn ma forse dell'allievo ignaz Pleyel o di autore proprio ignoto. In effetti all'epoca il nome di Haydn, già celebre, veniva talora riportato dagli editori anche su partiture non sue, perchè le vendite fossero assicurate.
La melodia originaria per strumenti a fiato, semplice ma cadenzata e solenne, può
ricordare un canto di pellegrini in processione e ci c'introduce in un'atmosfera di sacralità. Brahms la rielabora facendone in un primo momento un pezzo per due pianoforti e successivamente un brano per orchestra, ampliando l'organico del Corale e aggiungendo gli archi. Nelle otto variazioni, il compositore dà inoltre prova della propria abilità nell'usare forme del passato come il contrappunto o il siciliano che troviamo - solo per fare qualche esempio - in Bach e in Mozart.

Il Finale che poi vi propongo è un Andante che, nonostante si apra su toni lenti e intensi, sale subito verso un culmine di straordinaria grandiosità, preludio all'ampio respiro delle Sinfonie che Brahms comporrà di lì a poco.
Il tema vi affiora prima con i fiati e poi esplode gioioso e potente con l'intera
orchestra, aprendo l'originario Corale ad una maestosità nuova: dall'antica semplicità ad una costruzione davvero imponente, dove dolcezza ed energia si fondono in una sorta di oceano sconfinato. Bellissimo.

Ma il motivo per cui questa composizione mi ha colpito è anche un altro. Ascoltando e riascoltando il primo brano, la melodia mi suggerisce alcuni riferimenti che probabilmente molti di voi avranno già colto. A parte qualche passaggio intermedio che qua e là riecheggia la Marcia nuziale di Mendelssohn, il tema principale mi rimanda al celebre  "Sanctus"  della "Deutsche Messe D872" di Schubert, e poi alla parte conclusiva del poema sinfonico "Les préludes" di Liszt (il tema d'amore, qui a partire da 12.10 dall'inizio del video). Ma non manca Beethoven con il brano orchestrale intitolato "La vittoria di Wellington"  (in particolare la Marcia Marlborough a 1.53 dall'inizio).

Certo, modi differenti di coniugare un tema dettati dal contesto più romantico o più marziale, dal genere di composizione sacra o profana e dalla sensibilità del musicista. Somiglianze che a volte ritroviamo nella vera e propria melodia, altre volte nell'impianto accordale. Ma non è finita qui.
Tutti questi pezzi me ne ricordano un altro, una sorta di ritornello divenuto celebre in
varie lingue. Se vi dico che l'avrete sentito in alcuni filmetti americani canticchiato alle feste di compleanno - "Perchè è un bravo ragazzo, perchè è un bravo ragazzo..." - lo ricorderete subito, ma penserete anche che in questo momento Johannes Brahms si stia rivoltando nella tomba.

E invece io dico di no perchè la canzoncina - che non riporto, tanto la sapete - è tutt'altro che americana. Nasce in Europa nientemeno che agli inizi del Settecento o forse ancor prima da un antico ritornello. In origine ne esistevano due versioni, una francese e una inglese che, sia pure in modi differenti, facevano riferimento al duca di Malborough - il bravo ragazzo, appunto - e alle sue imprese militari. Ma ben presto è diventata un motivetto molto popolare che ha poi girato il mondo e al quale talora sono state adattate parole diverse.
Ebbene, che non sia questo ritornello - coniugato ora in ambito sacro, ora profano - il vero
tema all'origine delle musiche che vi ho proposto oggi???

Lascio l'interrogativo in sospeso, con buona pace di Johannes Brahms. Intanto godetevi i due pezzi riportati e, se aprite il link con il brano completo, non lasciatevi sfuggire la Variazione n.7 ("Grazioso"), dal dolcissimo ritmo di siciliano. Il nostro amico Johannes - bravo ragazzo anche lui - sarà contento.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)