giovedì 31 ottobre 2019

Scrittura musicale

Bach: pagina da "L'arte della fuga". (Foto presa dal web)
Credo che a quanti hanno familiarità col mondo della musica, oltre alla bellezza con cui ci affascina, non sfugga lo splendore del suo linguaggio e quindi della sua scrittura.
Essa infatti è costituita da una serie di elementi che non comprendono soltanto - si fa per dire! - un insieme di note sul pentagramma, ma anche tutti quei segni che di esse determinano la tonalità, il tempo, le pause, il legato o lo staccato, il crescendo o il diminuendo e molto altro ancora.

A una prima occhiata, può darsi che tale scrittura risulti a volte ingannevole.  
Può capitare che un brano tanto denso di note fitte e veloci, di arpeggi e di alterazioni in chiave da far paura, all'atto pratico si dimostri magari meno difficoltoso del previsto; mentre accade talora che una melodia lenta, dalla struttura più semplice, riveli invece problemi esecutivi che ad uno sguardo affrettato non erano evidenti.
Beethoven: pagina dal "Trio op.70". (Foto presa dal web).
In ogni caso, un testo musicale è sempre affascinante perchè, a somiglianza di ogni altro linguaggio, ci apre un mondo che si svelerà a poco a poco all'interno del dialogo tra la nostra sensibilità e quelle particolari note.
Del resto, è il processo che si compie ogni volta che ci si accosta ad un ambito poetico: la costante frequentazione di una scrittura musicale infatti non solo ci comunica i tratti, i ritmi e l'andamento di un brano col suo impianto armonico ma - al di là dei dati strettamente tecnici - può consentirci di cogliere in esso l'anima del compositore.

Mozart: pagina dalla "Sonata K.331". (Foto presa dal web)
A maggior ragione se il testo è un manoscritto originale, perchè allo splendore delle note si aggiunge allora l'unicità del tratto grafico che, nei suoi caratteri grandi o minuti, nervosi o distesi, ci svela il temperamento del suo autore. 
Pensate - per esempio - agli autografi dal segno tormentato di Beethoven, alla scrittura elegante e ordinata di Bach (o della moglie Anna Magdalena come sospetta qualche critico...) e alla nitida chiarezza di alcuni brani di Mozart composti talora di getto senza correzioni nè cancellature!

Ma se anche la grafia dei singoli ci colpisce con più toccante intensità, la versione a stampa non perde per questo la capacità di introdurci nel cuore del musicista svelandone, di volta in volta, il fuoco o la dolcezza.
Un testo rispecchia infatti uno stile e - che sia uno spartito per singolo strumento o una partitura orchestrale - a somiglianza della parola scritta ha una sua sintassi, una sua costruzione, un ritmo, una grammatica e direi persino una punteggiatura. Sono pause, riprese, temi e successivi sviluppi che s'intrecciano come proposizioni principali e dipendenti. 
Tutto riconduce così a una struttura sintattica che spesso - soprattutto in ambito polifonico e orchestrale - si realizza su due dimensioni contemporanee, diacronica e sincronica: il progressivo snodarsi di una melodia in orizzontale e insieme, in verticale, il suo spessore armonico battuta per battuta.

Ecco perchè mi piace pubblicare un brano corredato del manoscritto originale che possiamo seguire sulla clip-video, quasi nelle sue note e nei diversi passaggi ravvisassimo i lineamenti di un volto amico.
Si tratta di Bach e del primo movimento, "Allegro", del "Concerto n.1 in re minore per clavicembalo e orchestra BWV 1052", composto intorno al 1736 sullo schema di un precedente concerto per violino la cui partitura è andata perduta.
È un pezzo che all'inizio ci sorprende per il piglio ritmico acceso e un fascino timbrico che, se in alcuni passaggi può richiamare il carattere dei celebri Brandeburghesi, per altri versi ci conduce a Vivaldi e a quello stile italiano che Bach ben conosceva. Nonostante sia in tonalità minore, il brano ha una notevole ricchezza di sonorità segnate da prorompente energia e una vivacità che possiamo apprezzare in tutto il suo andamento fino alla vibrante cadenza che precede la conclusione.
Vi lascio quindi all'ascolto e alla contemplazione della partitura: un mondo di note in cui addentrarsi con gioia come in un paesaggio dai tratti familiari, del quale esplorare sentieri e anfratti. Ma anche un linguaggio che ci consente di scandagliare lo spazio dentro di noi con la sensazione che ci riserverà un cammino affascinante e sconfinato.

Buona visione e buon ascolto!

mercoledì 23 ottobre 2019

Divina proporzione

Non sempre ottobre è ottobrata. 
Così, la pioggia e il grigiore di questi ultimi giorni m'inducono a desiderare più intensamente la luminosità di certi pomeriggi e la dolcezza del sole sulla campagna ormai dorata.

Ma al tempo stesso mi ricordano alcune gite in Toscana fatte negli anni scorsi, appena prima che la stagione volgesse al brutto. E a riportarmi lì è anche il calendario che ho in cucina, in alto vicino alla finestra, ricco di scorci della campagna o delle più affascinanti città - per l'appunto - toscane.
Allora desidero condividere con voi la foto che mi offre proprio il mese di ottobre, sulla quale il mio sguardo si sofferma, sia pure di corsa, ogni volta che vado e vengo dal balcone di casa.

Sì, è Pienza! Immagino ne abbiate riconosciuto subito la piazzetta con uno scorcio della facciata del Duomo e di Palazzo Piccolomini, cuore della città rinascimentale ideata da Papa Pio II.
C'ero stata per la prima volta in gita scolastica al liceo, ma nonostante la guida esperta della nostra bravissima insegnante di Storia dell'Arte, di quell'uscita ricordo soprattutto la stanchezza e il freddo. 
Eravamo arrivati a Pienza in un tardo pomeriggio di maltempo, era quasi buio e, mentre la prof. illustrava i vari monumenti, nonostante fosse aprile si era messo persino a nevicare...
Ma ci sono tornata poi, in diverse altre occasioni. 
In seguito - e alla luce del sole - ho potuto apprezzare meglio il luminoso silenzio dell'interno del Duomo, lo splendido cortile di Palazzo Piccolomini e il loggiato retrostante aperto sui giardini e sulle colline della Val d'Orcia, uno dei panorami più dolci che la Toscana ci offra.

Al di là di questi ricordi però, la foto del calendario mi attira soprattutto per quello scorcio prospettico che mette in evidenza dimensione e proporzioni degli edifici e, ogni volta che vi passo davanti, è il loro equilibrio formale a colpirmi, insieme alla serenità che da tale equilibrio promana. 
A crearlo è l'impianto geometrico delle architetture nei loro rapporti misuratissimi e nei numerosi richiami classicheggianti: cerchi, semicerchi, colonnine, lesene, archi a tutto sesto, elementi rettilinei e curvilinei che - lungi dal comunicare un senso di freddezza come può capitare altrove - si sposano qui con nitida simmetria. 
Ma sono anche le dimensioni raccolte della piazza, il colore caldo della muratura del Palazzo o ancora quella elegantissima vera da pozzo a darci la percezione di uno spazio a misura d'uomo, in linea con i canoni di bellezza dell'Umanesimo.

Siamo infatti in pieno Quattrocento e la realizzazione del progetto urbanistico di Pio II, volto a creare un esempio di città ispirata agli ideali umanistici, è di Bernardo Rossellino (1409 - 1464), architetto che - negli edifici che vedete - fa riferimento a Leon Battista Alberti e all'armonia di forme che nasce dall'uso della sezione aurea applicata alla geometria solida. 
A ben guardare infatti, il Duomo e Palazzo Piccolomini possono ricordare rispettivamente il "Tempio Malatestiano" a Rimini e "Palazzo Rucellai" a Firenze: opere dell'Alberti ed esempi di quella "divina proportione" che, di lì a poco, sarebbe stata oggetto del trattato di Luca Pacioli, ma che già era stata anticipata nel mondo romano da Vitruvio.

Richiami classici dunque, che ci regalano un senso di armonia come il brano di Mozart che mi piace associare alle immagini. 
Si tratta del secondo movimento, "Andante, un poco adagio", dal "Concerto per pianoforte n.6 in Si bemolle maggiore K.238".
Quella che si snoda piano è una melodia delicatissima e dolcemente ritmata, così da sembrare nelle battute iniziali quasi una danza e ricordare, per certi aspetti, il più famoso "Andante" del "Concerto in Do maggiore K.467"
Il pezzo infatti, nonostante sia stato scritto dal compositore a soli 20 anni, ha già in sè molti caratteri distintivi del suo stile.
Un Mozart che qui mi pare proprio espressione di classicismo e armonia, nell'equilibrio del dialogo tra pianoforte e orchestra, nell'elegante semplicità del tema con i suoi abbellimenti e nel tempo di 3/4 che ne sottolinea grazia e leggiadrìa.
Una divina proporzione creata questa volta non da misure, prospettive e spazi visivi, ma da note, ritmi e spazi sonori che ci offrono la percezione di una serena bellezza della quale riempirci l'anima.

Buon ascolto!

 

mercoledì 16 ottobre 2019

Librarsi in volo

A.Scheffer (1795 - 1858) : "Ritratto di F. Liszt"
Ancora una volta per pianoforte il brano di oggi, ma di una leggerezza che ci consente di librarci in volo, incontro ai nostri sogni.
E ancora una volta a catturarmi è l'interpretazione del bravissimo Daniil Trifonov che avete ascoltato non molti giorni fa in un pezzo di Schumann.

Ho l'impressione che il mondo musicale romantico sia particolarmente congeniale a questo giovane pianista russo: dolcissimo infatti il suo Chopin, come poi Schumann e ora il brano di Liszt che sentirete. Certo, nel suo repertorio trova posto anche Bach, ma riletto da Brahms e da Rachmaninov, il che la dice lunga sulle sue passioni e i suoi gusti.

Il pezzo di oggi è appunto una celeberrima composizione di Franz Liszt (1811 - 1886): lo "Studio n.3 in Re bemolle maggiore" intitolato "Un sospiro", tratto dai "Tre studi da concerto S.144".  
Ho impiegato parecchio tempo per sceglierne l'interpretazione tanti e tali sono i pianisti che si sono cimentati nel suonarlo. Ma alla fine sono tornata ancora a Trifonov. Senza nulla togliere alla meravigliosa esecuzione della Lisitsa o a quelle certo pregevoli di Arrau o di Hamelin, la sua mi è parsa più toccante e suggestiva. La melodia è infatti scandita in modo particolarmente nitido sopra un'ininterrotta sequenza di arpeggi che si susseguono come onde del mare o simili a un vento che solleva in volo. Arpeggi prima affidati alla mano sinistra e poi alla destra, mentre l'esecuzione sottolinea - ora con energia, ora con morbidezza - la continua alternanza di crescendo e diminuendo.
  
In effetti, Liszt ha creato qui un tema cantabile accompagnato da una prodigiosa ricchezza espressiva che, tra l'altro, mi pare vada ben al di là del titolo - "Un sospiro" - dato poi al brano.
In esso il compositore sembra invece aver scandagliato tutto il magma di sentimenti che un semplice sospiro può celare, alla ricerca di una segreta dimensione del cuore che - sia nella luminosità del tono maggiore che nella malinconia di quello minore - si fa sempre più intensa e incantevole.
Sono note che paiono alla continua ricerca di un'essenza che sfugge o che si rivela per brevi illuminazioni nello splendore di certi passaggi di tonalità, restando tuttavia sempre un po' oltre. Basterebbero a dimostrarlo le numerose indicazioni agogiche che suggeriscono lo stile espressivo, dalle quali possiamo seguire l'andamento del pezzo e al tempo stesso cogliere in esso tale ricerca: "armonioso", "cantando", "dolce con grazia", "appassionato", "impetuoso", "sottovoce", "languendo", "leggerissimo volante"...

Un brano squisitamente romantico dunque, ma talora anche aperto al nuovo perchè - poco dopo la metà, quando la parte più animata va a spegnersi - Liszt vi anticipa qua e là armonie dissonanti e inusitate che saranno poi tipiche della musica impressionista a cominciare da Debussy. La melodia infatti è giocata su di una serie di accordi che si fanno progressivamente più sfumati, come se il compositore avesse voluto esplorarne ogni possibile effetto cromatico, quasi al confine di quella che - nel XX secolo - sarà la musica atonale.
Un pezzo di difficoltà forse non inferiore a quella dei famosissimi "Studi trascendentali" e tecnicamente complesso per la necessità di incrocio delle mani, ma ricco di un incanto che Daniil Trifonov coglie e valorizza in pieno con la propria maestria e insieme con straordinaria passione.

Buon ascolto!

martedì 8 ottobre 2019

Irresistibile

Claude Monet: "Mare grosso ad Étretat" - Parigi, Museo d'Orsay.














Agitato, impetuoso, irruente, tempestoso come un mare in burrasca percosso da un vento gagliardo e irresistibile. Un vento che tuttavia sembra concedere - qua e là - brevi pause di calma mentre, dopo ondate potenti, le spume si allargano dolcemente sulla riva e il rumore sordo della risacca si stempera in un suono più lieve.
A suscitarmi queste sensazioni è un brano di musica famoso e affascinante: lo "Studio in re diesis minore op.8 n.12" di Alexander Skrjabin (1872 - 1915), pianista e compositore russo del quale forse ricorderete il "Preludio n.8 op.11 in fa diesis minore" pubblicato qui.
Il suo stile si colloca nella fase di passaggio dal tardo romanticismo alle novità della musica atonale. Tuttavia, il pezzo che ascolterete appartiene a quella serie di composizioni che guardano ancora alla tradizione e nelle quali - come osservavo anche nel vecchio post - è possibile ritrovare, tra l'altro, riferimenti a Chopin.
Credo sia facile sentirlo riecheggiare anche in queste note: nella forza improvvisa degli accordi iniziali, ma anche in quei passaggi conclusivi in cui - soprattutto nella celeberrima interpretazione di Vladimir Horowitz - gli accenti si fanno più lievi e il brano ha sfumature d'incomparabile dolcezza.
E vengono in mente ancora una volta alcuni famosi pezzi del musicista polacco: dall'impeto appassionato dello "Studio op.10 n.12" conosciuto col titolo "La caduta di Varsavia", fino alle parti più animate del "Larghetto" del "Concerto n.2 in fa minore op.21".
Sembra che Skrjabin abbia a tal punto interiorizzato le note di Chopin da restituircele ormai fuse con la propria passione, anche se talora ricche di contrasti ancor più accesi e drammatici. Lo "Studio in re diesis minore" in effetti, si conclude con un parossistico crescendo di accordi che può ricordare anche l'irruenza di Rachmaninov. 
Una musica di grande effetto dunque, e non priva di difficoltà tecniche. 
Come si osserva dallo spartito, infatti, la mano destra suona sempre ottave e la sinistra è impegnata in intervalli che talora vanno oltre l'ottava stessa.

E a proposito di mare in tempesta, mi piace associare l'atmosfera e l'impeto del brano di Skrjabin alle onde turbinose e al colore plumbeo, quasi cangiante, del cielo che vedete in queste immagini.
Si tratta di un'affascinante opera di Claude Monet (1840 - 1926) intitolata "Mare grosso ad Étretat".

La celebre scogliera con la falesia a picco sul mare è un luogo che l'artista ha rappresentato spesso, in differenti orari e angolature di luce, un po' come per la famosa serie delle Cattedrali di Rouen.
Ma qui mi pare che bianco, verde, azzurro cupo e grigio, insieme alla tinta scura della spiaggia e della roccia, si accostino tra loro con rara efficacia, dandoci la percezione del dramma che si sta compiendo. 
La tempesta rischia infatti di travolgere un'imbarcazione al largo, mentre le persone radunate sulla riva a scrutare l'orizzonte sembrano rendersi conto del pericolo. 
Si tratta di una burrasca invernale, come si vede dal loro abbigliamento che l'artista ha raffigurato con tratti sintetici ma al tempo stesso efficaci. E benchè i volti non siano delineati, insieme all'urto del vento cogliamo ugualmente la loro incertezza e i timori per la gravità della situazione.

Basterebbe questo solo particolare qui a lato a farne un piccolo quadro nel quadro, un dipinto a sè stante sul dramma di un'attesa.
Ma possiamo osservare la tecnica pittorica dell'artista anche da altri dettagli: dalle spume che si confondono con la roccia alle larghe pennellate di colore, sommarie e quasi materiche, fino alle onde bianche che riproducono il movimento del mare in un affascinante impasto di tinte.
E laggiù in fondo, quella piccola imbarcazione, sola nel suo precario destino. 
Ne riconosciamo la vela e il profilo, preciso pur nella sua indeterminatezza, o forse efficacissimo proprio per questa. 
Sta anche qui la magìa della pittura impressionista: pochi tratti a individuare una situazione, a raffigurare una natura grandiosa e infida, splendida e impetuosa, irresistibile nella sua potenza come queste note di Skrjabin.

Buon ascolto!