lunedì 31 luglio 2023

"Les feuilles mortes"

Il titolo e la foto di questo post faranno forse ipotizzare che il mio pensiero sia già oltre la folle estate che stiamo attraversando e che ha portato caldo bruciante da un lato e tanti disastri dall'altro.
Ma il mio non è un inquieto desiderio di
autunno e - anche se si tratta della stagione che amo di più - spero ancora contro tutte le previsioni dei meteorologi che il tanto amato anticiclone delle Azzorre risorga dalle sue ceneri portandoci giornate estive in cui le carezze del sole e del vento possano essere solo piacevoli.

Motivo di questo post è invece il fatto che - tra le mie svariate passioncelle musicali - ne nutro una tutta particolare per Richard Galliano, celebre fisarmonicista di cui ho parlato in tempi recenti e del quale ho pubblicato alcuni brani quasi agli esordi di questo blog. Un musicista versatile, capace di guardare ai grandi del passato - Bach, Vivaldi e Mozart in primis - ma anche di collaborare con autori contemporanei a iniziare da Astor Piazzolla.
Di Galliano non solo mi affascinano le composizioni, ma anche certi arrangiamenti di pezzi famosi rivisitati con quel tocco di struggente intensità che il musicista sa trarre con maestrìa dal suo strumento. Si parla infatti di un prima e un dopo Galliano, a significare il modo in cui ha valorizzato la fisarmonica a proposito della quale lui stesso ha affermato: "Era il mio desiderio più caro: dare un giusto spazio a questo strumento ingiustamente qualificato come il "pianoforte dei poveri", mentre la mia fisarmonica è sempre stata uno "Steinway con le cinghie".

Il brano di oggi, rivisitazione del celebre "Les feuilles mortes" - o "Autumn Leaves" nella versione inglese - composto da Joseph Kosma nel 1946, ci riporta al clima di tanta musica francese anche per il testo di Prévert, le interpretazioni di Edith Piaf, Ives Montand e molti altri che l'hanno reso più che famoso.
È proprio in questo clima che Galliano affonda le radici unendo l'anima un po' jazz e un po' crepuscolare del
brano con le proprie divagazioni. Ma non sono da dimenticare gli altri tre componenti del Tangaria Quartet, tra i quali mi sento di sottolineare la bravura di Sebastien Surel al violino per il suo modo accattivante di duettare con la fisarmonica.
Un' interpretazione affascinante che esplora il pezzo facendone emergere un
ventaglio di svariate suggestioni e interessanti richiami. Non ultimo quello che mi riporta alla celebre "Moon over Bourbon street" di Sting, inducendomi a pensare che il cantautore inglese - nonostante il clima del suo brano sia molto più noir che nostalgico - in certi passaggi possa essersi ispirato al famosissimo pezzo di Kosma. Ma il motivo della mia scelta non si ferma qui.

Ascoltate bene "Les feuilles mortes", coglietene la struttura, le frasi musicali di quattro note che si ripetono in tonalità diverse e ne costituiscono il tema. Magari canticchiatevelo piano se non lo avete già fatto! Sentite che ci sono delle progressioni? Che cosa vi ricordano?
Tante cose probabilmente perchè, su certe strutture musicali o su di una simile base
accordale è facile impostare un tema o delle variazioni sia melodiche che ritmiche. Ma tra queste, è quasi immediato riandare a Bach!

Tranquilli...lo so che qualcuno penserà che con la ricerca di derivazioni bachiane per ogni dove sono un po' fissata, ma stavolta ho dalla mia la voce autorevole di un Maestro. Dopo aver ascoltato il pezzo nella versione di Galliano, prendetevi il tempo per guardare anche il secondo video che vi ho allegato. Si tratta di un breve stralcio di una puntata de "La Gioia della Musica", trasmissione televisiva condotta da Corrado Augias che, avvalendosi della competenza di alcuni direttori d'orchestra - Speranza Scappucci e Aurelio Canonici - e di svariati strumentisti dell'Orchestra Sinfonica della RAI, presenta ogni volta un brano di classica in alcuni suoi caratteri. 

Nel video riportato, relativo ai legami tra musica jazz e Bach - e che si apre tra l'altro con pochi secondi di un'esibizione dei miei amatissimi Swingle Singers! - il Maestro Canonici ci fa ascoltare un tema barocco tipicamente bachiano e lo trasforma poi, variandone il ritmo, in un pezzo d' impronta jazz. Ma sul piano della melodìa che cosa ne viene fuori?...
Lo sentirete e giudicherete voi.

Buona visione e buon ascolto!

(La foto è presa dal web)


 

lunedì 24 luglio 2023

Le mie città - 7

Norberto Proietti : "La Basilica superiore"

 








 

 

 


Ci sono città la cui particolare atmosfera non è solo quella che cogliamo all'interno
della loro cinta urbana o nei diversi quartieri, ma è un'aura che si estende anche al territorio circostante fondendosi col carattere di altri borghi vicini e con la natura della regione. Sono aspetti ricorrenti come fili che legano architetture, paesaggio e ritmi di vita in un insieme inscindibile. E se ciò può essere vero per tanti luoghi, penso che lo sia in modo particolare per molte località umbre che - per quanto tra loro differenti - offrono tutte allo sguardo e all'anima uno spettacolo di inimitabile pace con la pietra antica dei loro edifici immersa nel verde e nel silenzio.

Allora, tra le mie città, come non annoverare Assisi e insieme ad essa centri minori quali Spello, Trevi, Montefalco, Bevagna e altri? Sono piccoli borghi talora arroccati sopra un colle, talaltra affondati nel verde di boschi di lecci e ulivi, ma sempre ricchi di un fascino che spesso cresce e si diversifica col mutare della natura e dei suoi colori nelle varie stagioni.

"Senza titolo"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono stata la prima volta ad Assisi che ero più o meno diciottenne, incantandomi di fronte agli affreschi di Giotto e non solo nella Basilica di San Francesco, ma anche percorrendo vie e scalinate tra le più riposte chiesette romaniche. Ho in mente tra le altre Santo Stefano col campanilino a vela e San Giacomo de Muro Rupto, nascosta all' interno di un monastero e dalla quale si sbucava direttamente sulle mura della città. Ci sono tornata poi in diverse occasioni, ma mi piace ricordarne una in particolare.

"Festa al villaggio"

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
Io e la compagna di università con la quale studiavo ci eravamo prese una settimana di vacanza-studio proprio ad Assisi per preparare un esame, latino se non erro: era stata una full immersion nella letteratura antica e nel silenzio, alternata a qualche passeggiata dentro e fuori città. Era giugno e ho ancora negli occhi il tappeto di ciclamini che ricopriva il terreno del bosco di faggi e di lecci, la mattina in cui a piedi eravamo salite all'Eremo delle Carceri : un sogno!
Ancora una volta, ad affascinarmi era l'Assisi più riposta e fatta di solitudine, dove
la semplicità della pietra romanica si fondeva all'incanto della natura e al vento che soffiava dal Subasio. Un luogo in cui sostare a lungo nel segno della quiete francescana tra colori e atmosfere forse uniche al mondo.

"Le stelle"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Atmosfere antiche e anche un po' fiabesche che ho ritrovato nelle opere di uno splendido artista. Si tratta di Norberto Proietti (1927 - 2009) conosciuto anche solo come Norberto, originalissima figura di pittore e scultore che ha posto Assisi e in generale il mondo umbro al centro del proprio interesse pittorico, essendo nato e vissuto per parecchi anni a Spello. Vi riporto qui alcune immagini nelle quali l'artista ci offre la sua visione di quel mondo con una tecnica che, se da un lato ricorda lo stile naïf, dall'altro lo supera sostanziandolo di nuova profondità.

"Il vento"

 

 

 

 

 

 

 

  


È la natura con i suoi ritmi a scandire il tempo in questi dipinti.
La luna, le stelle, la neve, il vento, prati verdi e alberi insieme ai lavori della
campagna sono dati ricorrenti in mezzo ad architetture che colgono l'anima semplice di tanti borghi, rocche e chiesette diroccate come quella del secondo dipinto riportato, che forse vuol riprodurre l'antica San Damiano.
Le case addossate le une alle altre, tipiche dell'urbanistica medioevale, formano
incastri di figure solide dove archi, linee rette e oblique s'intrecciano a creare spazi di affascinante profondità, come nei tre qudri riportati qui sotto: "Senza titolo", "Fontanella" e "Struttura". Architetture spoglie e massicce che ci dicono quanto Norberto abbia assorbito la lezione dei pittori del passato - da Giotto al Pinturicchio - dei quali aveva visto le opere proprio tra Assisi e Spello.

"Senza titolo"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E in mezzo a questo, tanti fratini operosi ora al lavoro, ora intenti al gioco come in "Festa al villaggio" dove sembrano addirittura pattinare sul ghiaccio! Un'attitudine gioiosa fatta di francescana letizia in un'atmosfera nella quale, non sempre ma spesso, i frati sono le uniche presenze umane ad animare il paesaggio in una compagine in cui neppure la tempesta di neve fa paura - osservate il dipinto intitolato "Il vento"! - ma è parte di un universo di fiaba.

"Fontanella"

 


Una visione del mondo forse ingenua ma meravigliosamente incantata. E mi piace commentare le immagini di Norberto con le parole di Vittorio Sgarbi che colgono  con particolare chiarezza l'essenziale della poetica dell'artista:

"Il Medioevo fa da sfondo fisico, temporale e spirituale ai dipinti dell'artista. Non è un Medioevo propriamente storico o filologico, ma è una categoria dell'anima alla quale Norberto attribuisce il merito di aver conseguito la perfetta equazione tra uomo, Dio e natura. Il Medioevo metafisico di Norberto è il migliore dei mondi possibili. È un'Umbria sublimata in un magico Eden quella del pittore (con l'assidua presenza dei fratini, piccoli e attivissimi come formiche), al cui confronto la vera regione, pur bellissima, sembra una copia naïve".  E ancora:

"...se il Medioevo metafisico dell'Umbria sublimata è il paradiso in terra, i monaci esprimono la condizione ideale attraverso la quale l'uomo può mettersi in relazione con esso per godere correttamente dell'armonia mundi. Ora et labora, pregare e lavorare, onorare la natura con la devozione religiosa e l'operosità manuale. E Francesco d'Assisi è il suo più alto modello morale e intellettuale E' questa la vera, unica santità a cui aspira il pacifico mondo di Norberto che non conosce dolore e peccato."

"Struttura"

Naturalmente ho pensato a lungo a quale musica associare a tali dipinti. Un mondo come quello umbro dal profondo afflato religioso forse richiederebbe un brano per organo o la pace di un Adagio barocco.
Ho spaziato così tra vari autori
, ma non mi convincevano non perchè i pezzi non fossero belli, ma perchè qui, insieme alla quiete francescana, mi pare che le immagini ci regalino anche una limpida gioia e un incanto simili a quelli di un bambino.

Così sono approdata a Franz Joseph Haydn (1732 - 1809) che, tra Andantini e Serenate, in fatto di limpidezza la sa lunga e ho scelto un pezzo da un Divertimento, forma musicale in voga già nell'epoca barocca, usata spesso a scopo celebrativo e costituita da brani di grande leggerezza.
Un Divertimento?... qualcuno si chiederà forse un
po' stranito...Certo! Nell'apparente austerità di alcune architetture, c'è in realtà una gioia segreta espressa da quei fratini ora fermi e assorti, ora in movimento. Ma li avete visti mentre pattinano sulla neve e mentre, anche quando lavorano, sembrano danzare? Ecco!
Allora dedico a loro e a Norberto il bellissimo "Adagio" dal "Divertimento n.6 in Do
Maggiore Hob III: 6", brano conosciuto anche come "Quartetto per archi in Do maggiore n.6 op.1". Si tratta di una musica che, fin dalle prime battute, ci introduce in un clima di grande distensione e serenità sul dolce ritmo scandito dal violoncello. Un Haydn che talora arieggia qualche passaggio del celebre "Andante" della sua Sinfonia detta "La pendola" e altrove invece sembra Mozart.
In ogni caso, sempre ricco di un fascino che ci conduce in un mondo
sognante, ricco di quell' armonia mundi che Vittorio Sgarbi ravvisa nei dipinti del nostro artista umbro.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web. I dipinti di Norberto Proietti sono conservati a Spello nel Museo dedicato all'artista, ad Assisi presso la Galleria d'Arte San Francesco e in varie collezioni private.)

domenica 16 luglio 2023

Di chitarra in chitarra...

Ogni promessa è debito, e mi sono accorta che - nonostante sia passato parecchio tempo - non ho ancora pubblicato il terzo movimento di un brano del quale vi avevo gioiosamente regalato i primi due.

Si tratta del "Preludio, Fuga e Allegro BWV 998" del nostro amico Bach, come certo avrete già arguito dalla sigla che indica la catalogazione delle sue opere: Bach Werke Verzeichnis. Un brano nato per liuto o per cembalo, come recita l'indicazione dello stesso compositore, ma poi interpretato anche al pianoforte, all'organo o alla chitarra. Del primo tempo avevo pubblicato due versioni - per liuto e per organo - e del secondo solo quella per chitarra; oggi per l'Allegro conclusivo torno all'interpretazione della bravissima Ana Vidovic: dunque, ancora chitarra.

Devo confessare che, se si eccettuano gli anni della mia giovinezza, non è uno strumento che nel tempo mi abbia particolamente affascinato soprattutto se confrontato con altri come pianoforte, violino o violoncello. Tuttavia, trovo che il suo timbro e la melodiosità che i vari esecutori ne sanno trarre ben si adattino a determinate musiche e in particolare a quelle barocche. Non è la prima volta infatti che pubblico dei pezzi bachiani nella versione per chitarra, il che conferisce ad essi quel piglio agile e scattante che mi pare possa accordarsi anche con lo stile del nostro Giovanni Sebastiano.

Dicevo degli anni della giovinezza perchè è stato il periodo in cui avere in mano una chitarra e accompagnare una canzone poteva costituire un ruolo, un modo per avere una propria fisionomia in un gruppo. Per questo anch'io desideravo possederne una e imparare a suonicchiarla.
Frequentavo allora il primo anno di università e avevo supplicato mio padre che me la
comprasse. Lui non aveva detto di no, ma aveva posto la condizione che prendessi 30 all'esame di Storia romana, cosa che, considerata la severità del docente, equivaleva a una risposta negativa!
30 in Storia romana??... Ma mai e poi mai ci sarei arrivata!! Ricordo ancora un'amica che una
volta, nel chiostro dell'università, mi aveva additato con ammirazione una ragazza dicendomi sottovoce: "Vedi quella? Ha preso 29 con Garzetti!..." E io mi ero fatta piccola piccola.

Il professor Albino Garzetti - di cui ancora ricordo il rigore, la precisione, il piglio severo e soprattutto la puntualità - faceva lezione tre volte alla settimana alle 8,30 in una delle più belle aule ad emiciclo dell'ateneo.
Guai ad arrivare in ritardo dopo il suono della campanella, si rischiava di essere
freddati dal suo sguardo di acciaio! Perciò, chi entrava in ritardo lo faceva a suo rischio e pericolo, pregando il cielo che i cardini della vecchia porta non cigolassero e acquattandosi nel banco più vicino a mo' di volpe che si rintana.
Così, per non dovermi mimetizzare da volpe, io tre volte alla settimana, dalla mia cittadina di provincia prendevo il treno
delle 7, scendevo a Milano Centrale, mi facevo tre quarti d'ora di tram - la linea 2 del metrò sarebbe arrivata l'anno seguente - e un breve tragitto a piedi per piazzarmi puntuale al primo banco prima del suono della fatidica campana. Il corso era sul'imperatore Tiberio visto attraverso gli scritti di Tacito, di dispense non si aveva notizia, per cui prendevo appunti a manetta con la solerte alacrità di un topo di campagna.

Ora voi direte: ma perchè ci racconti tutto questo? Che c'entra con la chitarra? C'entra invece!!! Perchè contravvenendo a tutti i più funesti presagi, il 30 poi l'ho preso davvero!!! Ricordo ancora la mia sorpresa mentre, incredula, firmavo il voto! Incredula sì, perchè nell'emozione del momento non mi era parso di aver fatto una prova particolarmente brillante. E mi è rimasta sempre una convinzione: che il voto, più che l'esito dell'esame, avesse voluto premiare quel diligente topo di campagna che ero allora, puntuale ad ogni lezione, senza mai un'assenza per tutta la durata del corso.

Così la chitarra è stata mia! Nessuno pensi però che i miei genitori, per aver posto quella condizione, non fossero generosi! Tutt'altro! Credo che avessero avuto solo timore che uno strumento musicale come quello, ricco di una leggerezza che invitava a stare in compagnia, mi potesse distogliere dallo studio, niente di più. E l'esito del mio esame li aveva rassicurati.
Volete sapere se poi l'ho suonato? Certo che l'ho suonato, imparando i più comuni
giri di accordi e cimentandomi, quando ero in vena, nel celebre Giochi proibiti - solo la prima parte però - che adoravo! Poi dopo qualche anno, la chitarra è rimasta a prendere polvere in un angolo della mia stanza. Soltanto più avanti avrei scoperto che esistevano altre splendide composizioni per questo strumento, a cominciare da quelle di Joaquin Rodrigo e dalle Variazioni su di un tema di Mozart di Fernando Sor.

Bene. Così oggi torno ad Ana Vidovic e al suo meraviglioso Allegro bachiano: un brano che mette subito di buonumore - non so se anche a voi fa questo effetto - veloce, spigliato e ricco di vitalità. Mi piace la naturalezza dell'interprete, compostissima nella sua capacità di modulare forte e piano dando risalto ad alcune note con l'agilità delle sue mani, come del resto scrivevo anche in passato.
Un Bach di grande freschezza del quale la chitarra fa fiorire la particolare eleganza e dove velocità e ritmo si sposano con garbo.

Buona visione e buon ascolto!

 

sabato 8 luglio 2023

Rivisitazioni

La mia navigazione su youtube mi regala spesso interessanti sorprese soprattutto quando, trovato il brano che cercavo, mi attardo ad ascoltare altri pezzi dello stesso autore, senza peraltro escludere alcuni arrangiamenti.

Ho sempre amato le rivisitazioni dove l'antico si unisce al nuovo, la solennità del passato si sposa a ritmi più vicini a noi e magari l'uso di strumenti diversi da quelli originali conferisce al pezzo un fascino inusitato.
Quanti compositori barocchi sono stati spesso ripresi in
chiave contemporanea! Basterebbe ricordare solo Bach, arrangiato dal jazz, dal rock fino alla breakdance e via dicendo. Certo, non tutte le rivisitazioni sono sempre accettabili, ma trovo che talora ce ne siano di veramente suggestive. 

Provate ad ascoltare, per esempio, il brano di Sting intitolato  "You Only Cross My Mind in Winter" dove il cantante riprende la Sarabanda dalla VI Suite per cello. E come dimenticare poi i miei amatissimi Swingle Singers, celebre gruppo vocale che cantava Bach a tempo di jazz e che mi ha iniziato alla sua musica quando avevo sedici anni? Ma affascinante anche la "Sinfonia n.11 in sol minore BWV 797"  ripresa da Richard Galliano alla fisarmonica e Gary Burton al vibrafono in un duetto davvero intrigante.

Proprio Richard Galliano - del quale ho pubblicato giorni fa l'arrangiamento di una famosa canzone francese - mi ha offerto lo spunto per il pezzo di oggi. È stato infatti navigando tra i suoi brani che ne ho trovato uno in cui, insieme a Paolo Fresu e Jan Lundgren, si cimenta nella rivisitazione di un altro grande della musica: Claudio Monteverdi (1567 - 1643).
Si tratta del madrigale "Sì dolce è il tormento" - splendida quanto
celebre aria barocca dal "Quarto scherzo delle ariose vaghezze SV 332" del 1624 - inserito nell'album "Mare Nostrum II" del 2016. Un bel salto cronologico che testimonia, da parte dei tre arrangiatori, interesse per il passato insieme alla versatilità delle loro scelte e del loro far musica.

Ma iniziamo da Monteverdi. Qui il compositore cremonese ha messo in note un testo poetico del contemporaneo Carlo Milanuzzi che parla del tormento di un innamorato per una donna, ahimè, indifferente. L' innamorato tuttavia persevera tenacemente nel proprio sentimento da un lato sentendosene appagato, ma dall'altro ripiegandosi sulla sofferenza del rifiuto nella sola speranza che, una volta morto, la donna possa pentirsi della propria durezza. Un testo ricco di contrasti a cominciare dall'ossimoro "dolce tormento", e che ricalca i temi della lirica del Petrarca e dei suoi tanti imitatori del Cinquecento.

Se dolcissima nella sua malinconia è la musica con cui Monteverdi dà vita al testo, altrettanto suggestiva è - a mio modesto avviso - la rivisitazione che vi presento. Qui il brano non ha bisogno di parole perchè sono i tre interpreti ad avvicendarsi come solisti: prima la tromba di Fresu, poi la struggente fisarmonica di Galliano e infine il pianoforte di Lundgren. Ma il pezzo prosegue poi con un intreccio nel quale - di volta in volta - i tre strumenti fungono ora da solisti, ora da accompagnatori, alternando ciò che di rigoroso o languido, di severo o dolce questa melodìa offre, fino alla conclusione che la fisarmonica suggella con timbri quasi da organo.

Un brano da ascoltare piano lasciando che la sua sottile malinconia ci pervada, per cogliere quanto di moderno i tre interpreti hanno sviscerato in Monteverdi, da un lato senza alterarne la compostezza, ma dall'altro restando sostanzialmente se stessi nella particolare atmosfera che ciascuno sa trarre dal proprio strumento. E non è cosa da poco.

Vi allego due video: uno con la rivisitazione del brano e l'altro con l'originale.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)