mercoledì 9 luglio 2025

Le rose e la Tour Eiffel

Ho sempre pensato - e chissà quanti di voi si sono trovati a fare la stessa considerazione - che gli oggetti che ci circondano, da quelli di uso quotidiano ad altri più significativi, non siano in realtà semplici oggetti, ma si carichino talora del nostro vissuto per restituircelo. 
Possono essere soprammobili, stoviglie o magari
indumenti che si sono legati a noi per un particolare ricordo insito in loro o relativo alla circostanza per cui ne siamo venuti in possesso.

Così anche una sciarpa, un piatto o un grembiule possono assumere valenze inusitate che ci riportano non soltanto a un evento registrato nella memoria, ma proprio all'intensità del nostro vissuto e allo stato d'animo che la loro presenza ci consente di ripercorrere. In realtà, sono percezioni nate dalla soggettività della nostra esperienza che proiettiamo su di essi, ma talora fanno sì che tali oggetti ci accompagnino nel nostro quotidiano con una sorta di segreto sorriso che sa davvero rendere vivo anche il passato.

Tutto questo per dire che ho un grembiule da cucina che indosso in particolari occasioni e soprattutto quando, appunto, ho bisogno di tornare a sorridere. 
Ti basta così poco? dirà qualcuno. No, non basta, però un oggetto ha una tale
immediata concretezza che a volte può dissipare qualche piccola nube e insieme predisporre alla gioia.

Ha il fondo chiaro il mio grembiule - ne vedete un dettaglio nella foto - e porta disegnata sopra una grande Tour Eiffel grigia con accanto un mazzo di sgargianti rose rosse, insieme al frontespizio di una delle prime copie del quotidiano francese "Le journal de Paris". 
Ma per quale motivo mi piace tanto? Perchè è legato al luogo e al momento in cui lo
 avevo acquistato diversi anni fa: un grande magazzino di oggetti per la casa nel centro di Milano dove vado spesso e dov'ero passata anche quella sera, sotto Natale.
Ero sola, avevo tempo e così, con la mente alle cene delle vicine feste,
avevo comprato una bella tovaglia bianca con ricamo à jour e poi, girellando tra gli scaffali, avevo adocchiato il grembiule. In realtà non mi serviva, ma costava poco e appagava lo sguardo insieme a qualcosa di più. Sono sempre stata un tipo sobrio, ma quella vivacità sgargiante e un po' originale colmava un desiderio segreto di più aperta allegria, quasi la serenità che covavo in cuore quella sera avesse bisogno di manifestarsi all'esterno concretizzandosi in un oggetto che la esprimesse.  

Così, senza esitazione lo avevo comprato ed ero uscita dal negozio piena di gioia, nell'atmosfera di vivace animazione che precede le vacanze di Natale nella quale mi ero immersa senza fastidio per la confusione, ma col mio piccolo bagaglio orientato a preparare la festa.
Poi, nel tempo, pur tenendolo un po' da conto l'ho usato diverse volte e anche ora, a distanza di alcuni anni,
 è come se mettendomelo potessi in qualche modo indossare la gioia di quella sera d'inverno. 

E proprio la Tour Eiffel che giganteggia sul grembiule mi ha ispirato il pezzo di oggi, una musica francese naturalmente. Così sono tornata a Charles Gounod (1818 - 1893) e alla dolcezza accattivante delle sue composizioni scegliendo "Les Nubiennes", primo brano della Suite per balletto aggiunta nel 1869 alla versione originale del "Faust"
Si tratta di un valzer delicato e ricco di freschezza che, pur nella sua semplicità, si fa trascinante e riesce a portarci via con sè nel suo ritmo di danza. Il tema ha un andamento talora ripetitivo, ma direi che proprio questo suo carattere, lungi dal creare monotonia, ci consente di entrare nel vivo della musica con progressiva
intensità. 
E mi ci vedo mentre seguo il ritmo di queste note avvolta in quel grembiule,
volteggiando elegantemente per la cucina col mestolo in mano e inanellando sogni che solo la musica può regalare. 

Buon ascolto!

(Ovviamente la foto è mia) 

 

lunedì 30 giugno 2025

Annunci, stravaganze e sberleffi

Prendo spesso il treno, chi mi conosce lo sa.
L'ho scritto alcune volte anche in questo blog
dicendo che nella dimensione del viaggio mi sono sempre ritrovata come a casa mia. Sarà perchè mio nonno paterno - che purtroppo non ho conosciuto - era capostazione, ma qualcosa da lui devo aver ereditato se il mondo delle ferrovie mi è così familiare. 

Ciò non toglie che di questi tempi - tra scioperi, ritardi e cancellazioni improvvise - viaggiare non sia sempre piacevole. Ma al di là di tali disagi, a volte mi capita di notare anche alcune incongruenze, cose da poco in realtà che però francamente non so motivare. Si tratta di annunci un po' strani. Ve ne riporto due il primo dei quali risale a qualche mese fa.

"Il treno delle 13,21 per Pavia partirà dal binario 1 invece che dal binario 4."

Dove mai sta l'incongruenza? mi direte. L' avviso è chiaro e preciso quanto basta. Peccato però che venisse diramato alle nove del mattino...e tutti i santi giorni in cui mi trovavo in stazione a quell'ora, sentivo l'altoparlante annunciare immancabilmente il cambio di binario per chi intendesse partire alle 13,21. 
Ora mi chiedo quale idea abbiano le ferrovie dei propri passeggeri. Forse quella di soggetti ans
iosi che, per timore di perdere il treno, si recano in stazione minimo quattro ore prima? Ce ne sono, per carità: un mio zio, ultimo nato del nonno capostazione, era così, ma mica tutti...

Oppure le ferrovie ci considerano tanto disimpegnati e svagati da non consultare un orario o da fare una sola cosa al giorno: di conseguenza, se oggi prenderò il treno, tutta la giornata dovrà ruotare attorno a questo considerevole evento e allora non è affatto strano che alle nove del mattino si venga informati di un cambio di binario alle 13. Questa sì che è solerzia, che dite?...Dev'essere proprio così, altrimenti qualcosa non torna.

Il secondo esempio è di questi ultimi giorni. L'annuncio stavolta arriva di pomeriggio, nell'ora sonnolenta in cui preferirei abbioccarmi sul divano e invece a volte sono in stazione sperando che il mio treno sia puntuale, per fiondarmici dentro a dormicchiare sotto il tiro di un'aria condizionata da ghiacciaia. Ma prima che il mio locale arrivi, in mezzo ai vari avvertimenti, dall'altoparlante risuona sempre la seguente informazione:

"Il pullman sostitutivo del treno delle 14,30 per Cremona è previsto in partenza dalla postazione in cui è stato previsto".

Chiaro, eh??? La prima volta sono rimasta un attimo interdetta chiedendomi se avessi sentito bene. Nei giorni successivi mi sono resa conto che l'avviso è registrato quindi sempre uguale, incongruenze comprese: non un indirizzo, una via, un banale dal piazzale della stazione giusto per chi fosse nuovo del posto, anche se un pullman si vede...Alla fine però ho riso perchè mi è venuto in mente il film con Totò e Peppino a Milano e la famosa battuta: 

"Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?".  

Ecco, più o meno siamo lì e quell'avviso potrebbe essere la risposta adeguata alla stravaganza della domanda. 

Così, agli annunci incoerenti e alla disimpegnata divagazione che vi ho ammannito oggi, adatta solo a una giornata torrida come questa, ho scelto di associare un altrettanto bizzarro brano di Mozart. 
Si tratta dell'ultimo tempo, "Presto", dal Divertimento in Fa Maggiore "Ein musikalischer Spaß K.522
", detto anche "I musicanti del villaggio". Sì, proprio uno spasso, uno scherzo musicale che rimanda alla vena ludica del Mozart più leggero. Ma non è solo gioco, qui ci sono anche ironia e sarcasmo. Infatti il compositore fa il verso ad alcuni suoi colleghi enfatizzando banalità, sentimentalismi, goffaggine ed errori di tanti gruppi orchestrali di paese.

Vi confesso che questo brano NON mi piace. È scandalosamente ripetitivo, gli archi e gli ottoni a volte sono calanti, altre volte sparano troppo, e se riuscite ad arrivare alla conclusione senza tentazioni omicide nei miei confronti, sentirete gli accordi finali così stonati che più non si può. 
Allora perchè lo pubblico? Perchè c'è aria di vacanza, fa un caldo spaventoso e soprattutto - lo
avrete già capito - questo di oggi è un post demenziale.

Ma insieme mi piace testimoniare che, nella poliedricità del suo genio, Mozart ha scritto anche brani parodistici: ironie e sberleffi fatti da chi della musica aveva però una conoscenza perfetta. Il Presto infatti per le sue trovate armoniche potrebbe essere anche un pezzo di bravura, ma proprio perchè lo scopo è una presa in giro, è volutamente esagerato e privo di quel misurato equilibrio che è la cifra dello splendore mozartiano in tante altre opere, divertimenti compresi. 

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web) 

 

lunedì 23 giugno 2025

Se lo sguardo è femminile - 6



 

Elegante e sofisticata la protagonista del dipinto di oggi, anche se un po' lontana da noi come certe immagini di copertina patinate che ammiriamo sì, ma con un certo distacco. Eppure, è senza dubbio ricca di fascino la donna che vediamo ed efficacissimo questo "Autoritratto sulla Bugatti verde" di Tamara de Lempicka (1898 - 1980), artista di madre polacca e padre russo, come russo sarà il primo marito dal quale prenderà il cognome. 
Da San Pietroburgo poi, per sfuggire alla rivoluzione del 1917, la vita la porterà in
esilio a Parigi dove verrà a contatto con i movimenti e le avanguardie del primo Novecento.

Della pittrice tanto è stato già scritto, come del dipinto che vedete, uno dei più rappresentativi, commissionatole nel 1929 da una rivista tedesca per celebrare l'immagine della donna moderna e attualmente conservato in Svizzera presso una collezione privata. 
Sul piano stilistico vi si legge 
l'influsso del Cubismo nelle volumetrie così come nella geometrizzazione delle forme, mentre il tema della donna al volante ci riporta al Futurismo con l'automobile e il mito della velocità. Ma a parte questo, è proprio la rappresentazione della figura femminile a colpirmi, perchè si distacca nettamente da quella dei pittori di fine Ottocento. 

Se consideriamo la donna vista fuori dalle mura domestiche, per esempio nel dipinto di Mary Cassatt "In the lodge" che risale a cinquant'anni prima e che vedete qui a lato, nonostante l'aria di nonchalance della protagonista, essa ci risulta familiare e nel suo gesto di osservare col binocolo gli spettatori a teatro, in fondo, ci riconosciamo. 
Di atteggiamento più indipendente è quella raffigurata da 
Corcos nel 1896, nel famoso dipinto intitolato "Sogni" che trovate sempre qui accanto. 

Ma nonostante questo, il contesto in cui è inserita non presenta elementi di novità o di rottura rispetto al passato. Significativa è la presenza dei libri che indicano in lei una lettrice, ma non si tratta di un dato di per sè nuovo nel tempo.

La donna di Tamara de Lempicka, nella quale la pittrice rispecchia se stessa, è invece molto diversa: è pienamente al pari con la sua epoca in cui già da vent'anni si era affermato il Futurismo e in qualche modo più lontana dalla quotidianità. Non è solo sicura ed emancipata, ma ci appare quasi altera nello sguardo e nell'eleganza raffinata e curatissima: dal rossetto sgargiante al casco da guida allacciato sotto il mento, ai morbidi guanti che salgono oltre il polso.

E soprattutto non è al volante di una macchina qualsiasi, ma di un'automobile da corsa, una Bugatti, azienda fondata - guarda caso! - proprio nel 1909, anno di nascita del movimento futurista che della velocità dell'automobile fa uno dei miti da contrapporre all'arte antica ritenuta obsoleto vecchiume.

Così pure, i tratti di pennello nelle compatte campiture di colore delle superfici, nella plasticità delle forme e nella brillante gradazione di verde della carrozzeria dell'auto, ci riportano all'Art Déco che proprio negli Anni Venti celebra il lusso e le innovazioni del nuovo secolo.

Quindi, un'immagine spregiudicata di potere e di ostentata ricchezza. E tuttavia, osserviamo il volto di questa donna perchè mi colpisce l'espressione del suo sguardo.

È proprio altero o vagamente annoiato? O entrambe le cose? 
Nei tratti quasi scolpiti della sua fisionomia come
 nel taglio degli occhi e nel disegno sottile delle sopracciglia, compare certo un senso di freddezza e di distacco; ma vi si legge anche una sorta di segreta malinconia. 
Non sorride Tamara in questo autoritratto, ma la
 donna moderna che essa qui rappresenta sembra esprimere un senso di noia o di vago scontento, emanando un fascino iconico forse proprio per questo suo mistero.

Un'immagine curatissima anche nell' elegante drappeggio della sciarpa sul collo e in quella ciocca di capelli che fuoriesce dal casco di pelle. Dettaglio vezzoso ad accrescere lo charme di un'acconciatura alla moda o segno calcolato di noncurante negligenza? 

Chissà!... A me però, nonostante si tratti di contesti molto lontani e molto diversi tra loro, quel piccolo particolare fa affiorare dalla memoria il riferimento a un'altra donna del passato dalla vicenda travagliata narrata dal Manzoni, quasi a suggerirmi la strada percorsa nei secoli in termini di emancipazione.

E quale musica associare all'autoritratto della Lempicka? Confesso che la ricerca non è stata facile e alla fine mi sono orientata su di un brano nato in un contesto diverso dal mondo della pittrice. 
Si tratta del "Preludio n.1 in Si bemolle Maggiore"
 di George Gershwin (1898 - 1937), brevissimo pezzo per pianoforte solo, composto nel 1926 e che ho scelto per il piglio sensuale e al tempo stesso grintoso che mi pare in sintonia con l'immagine del dipinto. 

È stato proprio l'esordio del preludio a prendermi, con quelle note scivolate e accattivanti che vedete qui accanto e che costituiscono il tema, prima veloci e poi più lente nell'indugiare della corona
E subito dopo accordi fortissimi e scattanti, passaggi ribattuti che ricordano un po' la "Rapsodia in blu": una grinta, insomma, che in qualche modo si accorda 
con l'atteggiamento disinvolto e sicuro della donna al volante, consapevole del proprio fascino sensuale. 
Una musica che unisce un motivo blues all'atmosfera jazz col suo ritmo sincopato:
note che possono addentrarsi ora insinuanti e morbide, ora più irruenti, nell'enigmatico sguardo della pittrice.

Buon ascolto! 

(Le foto sono prese dal web) 

 

sabato 14 giugno 2025

Estatica contemplazione

In tanti anni di blog, quando mi è stato possibile, navigando su youtube ho cercato di pubblicare esecuzioni dal vivo perchè mi è sempre parso importante non solo ascoltare la musica, ma vedere insieme quanto essa si disegni sui volti degli interpreti rivelandone una ricca gamma di emozioni. 
Non sempre ho potuto farlo per svariati motivi:
registrazioni disturbate o imperfette, performances non proprio eccellenti o meno significative rispetto ad altre e via dicendo. Dove però youtube me ne ha dato l'opportunità, le ho pubblicate perchè le riprese in video sono spesso fascino aggiunto a fascino.

Interessante osservare chi dirige ora con gesto imperioso, ora pacato o talvolta solo con lo sguardo e un cenno del capo; chi usa la bacchetta e chi invece il movimento delle mani. Coinvolgente cogliere la partecipazione degli esecutori nelle espressioni dei loro visi spesso concentrati e immersi a tal punto nella musica da diventare una cosa sola con essa. 
Se poi il brano è cantato, chi mette in gioco la propria voce talora ci offre
un'empatia ancora più profonda. Vedere la Callas o Pavarotti mentre cantavano ci dà molto più del semplice ascolto. Ma spesso sono anche i gruppi corali a farci entrare nel cuore di un brano, condividendo con intensità le emozioni che esso fa affiorare in loro. Se ne avete voglia, guardatevi i due video seguenti, a questo riguardo uno più bello dell'altro: nel primo, coro e fedeli cantano un inno natalizio nella cattedrale di Londra, e nel secondo Marc Minkowsky dirige orchestra e coro in un pezzo sacro di Haydn.

Che dire poi delle reazioni del pubblico? A volte è serio e compassato quasi fosse - come dice una mia amica - nell'anticamera del vescovo; altrove, complice un insieme di fattori quali l'indole, le abitudini e il luogo, si scatena in un entusiasmo da stadio sfrenato e contagioso come nel Mambo di Leonard Bernstein diretto da Dudamel. 

Tutto questo discorsino per presentare il video di oggi che, nell'esecuzione di una melodia di Jean Philippe Rameau (1683 - 1764), ci mostra anche i volti degli interpreti sui quali si disegna una gamma di emozioni pacatissime e profonde ma non meno incantevoli di altre. 
Si tratta dell'aria "Tendre Amour" da "Les Indes galantes", celebre opera del compositore francese che
rappresenta una serie di racconti ambientati in luoghi esotici sempre diversi tra loro, ma legati da un tema. Nel caso della melodia di oggi, il tema è l'amore cantato nella sua dimensione spirituale ma anche sensuale, in un'atmosfera delicata e insieme ricca di passione che esalta il sentimento con dolcezza struggente.

Ma al di là delle splendida musica della quale avete le note iniziali nella foto in alto, quello che mi colpisce e che il video mette in evidenza è la serie di espressioni che cogliamo sui volti di coristi e strumentisti a cominciare dal direttore. La lunga introduzione orchestrale prima che esordisca il coro ci consente di osservarne gli atteggiamenti. Nella varietà degli sguardi che esprimono ora dolcezza, ora concentrazione, ora una compresa serietà o - qua e là - lievi sorrisi d'intesa, emergono differenti fisionomie, ma da ciascuna di esse affiora il senso di una musica profondamente interiorizzata.
Complice anche la posizione del coro e del direttore che le riprese ci mostrano
molto vicini gli uni agli altri, cogliamo lo splendore di un gruppo unito dalla gioia pacata e profonda del far musica insieme.

E mentre la melodia sale e le diverse voci si sovrappongono, quello che avvolge ciascun corista - e che anche noi percepiamo - è un senso di estatica contemplazione.

Buona visione e buon ascolto!
 
(La foto è presa dal web) 

 

venerdì 6 giugno 2025

Funambolico Mozart !

Di norma, nella storia della musica, i compositori vengono classificati come rinascimentali, barocchi, classici, romantici ecc. a seconda che la maggioranza delle loro opere s'inquadri nello stile e nel contesto di un certo periodo. Tuttavia, ciò non toglie che ognuno di essi si sia espresso con una libertà che talora esula da catalogazioni libresche per guardare al passato o precorrere invece un futuro ancora sconosciuto.

Per questo motivo, a volte possiamo avere delle sorprese. Qualche esempio? Pensiamo alla sconvolgente modernità dei "Madrigali" di Gesualdo da Venosa vissuto tra il Cinquecento e il Seicento. Oppure al brano introduttivo de "La Creazione" di Haydn che, se non conoscessimo l'autore, saremmo tentati di attribuire ad un musicista di fine Ottocento tanto è ricco di suggestioni nuove. Ma pensiamo anche a Beethoven e alla sua "Sonata op.111" che nel secondo movimento anticipa addirittura il ritmo del boogie-woogie!

Insieme allo stile, tuttavia, sono anche i sentimenti e le emozioni a conferire particolare espressività a certi brani e in questo senso si può affermare che quasi tutti i compositori abbiano nel loro DNA una gamma di sfaccettature molto più ampia dei caratteri in cui vengono abitualmente incasellati. 
Qualche esempio anche qui?

Pensiamo a Rossini celebre per il brio e l'allegria di tante opere, ma se
ascoltiamo il "dum pendebat Filius" del suo "Stabat Mater", troviamo una tragicità che mette i brividi. Pensiamo a Bach che, famoso per la severità e il rigore matematico dei suoi brani, ha pezzi danzanti e in qualche caso addirittura giocosi. Ma non possiamo dimenticare Mozart che ha toccato svariati tasti - è proprio il caso di dirlo - nell'ambito delle nostre percezioni: dalla leggerezza di divertimenti e sinfonie al magico incanto di serenate e concerti, alla malinconia struggente di tanti adagi, fino alla potenza tragica del "Requiem" con i singhiozzi del Lacrimosa. E come talora ha guardato indietro, qualche volta ha anticipato il futuro.

Così almeno mi è parso scoprendo il brano di oggi: la "Piccola Giga in Sol Maggiore K.574", composizione giocosa e funambolica che mi sono meravigliata di non aver mai pubblicato in tanti anni di blog. 
Per prima cosa il pezzo ci riconduce al passato. Il termine giga, infatti, in campo squisitamente musicale indica una
vivace danza in tempo ternario tipica della musica barocca che troviamo in Bach, Haendel e non solo.

Proprio da Haendel pare che qui Mozart abbia preso ispirazione, in particolare dall'ultimo tempo della "Suite n.8 in fa minore HWV 433". Se ci fate caso, l'esordio è simile, anche se poi il compositore salisburghese prosegue con maggiore libertà. Le tre voci che s'intrecciano nel brevissimo pezzo sembrano riprodurre un gioco di bambini che saltellano, s'inseguono in allegria o si lanciano in una danza sfrenata, e l'interpretazione di Alexander Lonquich ne rende con efficacia l'andamento fatto di ritmo, vivacità e leggerezza.  
Anche l'immagine della clip audio - "Il funambolo" di Paul Klee - ci mostra molto
opportunamente un acrobata in equilibrio sul filo mentre lo circondano aeree scale affacciate nel vuoto. 

Altrettanto funambolico è il celebre dipinto di Joan Mirò che vedete in alto e che ho voluto associare alle note di questo brano. S'intitola "La ballerina" e l'autore, nella sua visione surrealista, ne ha reso il movimento attraverso figure geometriche e notazioni musicali. Non c'è una danza, ma l'essenza stessa della danza, rappresentata da sottili cerchi intrecciati e da un corpo stilizzato che può ricordare una chiave di violino dove il ricciolo interno inizia dal cuore. In realtà, nella parte alta mancherebbe un pezzetto...ma lo possiamo aggiungere con la fantasia, non è così?

Bene. Ma, se guardamo alle note, dove esattamente il brano di Mozart anticipa questo movimento un po' bizzarro esprimendosi con tratti più moderni rispetto al classicismo della sua epoca? 
Se fate caso al susseguirsi delle terzine, vi accorgerete che a un certo punto c'è una sfasatura di ritmo perchè gli 
accenti, che di solito vanno sulla prima nota della terzina, si spostano. La cosa è più facile da sentire che da spiegare perchè in alcuni passaggi tale sfasatura è molto evidente all'ascolto. Sembra infatti che per qualche istante il percorso del tema non sia più prevedibile e una certa stabilità venga meno: effetto splendidamente calcolato da un compositore capace di padroneggiare così bene l'equilibrio delle note da permettersi di fingere di perderlo.
Sta proprio qui - a mio modesto avviso - il Mozart più moderno, in questa libertà di
oltrepassare regole che conosce benissimo, in una sintassi musicale giocata sugli equilibrismi proprio come un acrobata che si affaccia sul vuoto. 

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web) 

 

giovedì 29 maggio 2025

Se lo sguardo è femminile - 5












 

 

 

 

 

 

 

 

Lo sguardo femminile di questo mese ci conduce in un teatro d'opera. 
Siamo a Parigi e autrice del dipinto che vedete è Mary Cassatt (1844 - 1926),
artista statunitense trasferitasi a soli 29 anni in Francia. Qui è venuta a contatto col gruppo degli Impressionisti - in particolare con Degas - aderendo alle novità di cui essi erano portatori, tanto da meritare un posto di rilievo tra le pittrici che li attorniavano insieme a Berthe Morisot e a Eva Gonzales.

Come per le altre artiste, oggetto dei suoi quadri è stato spesso l'universo femminile colto non solo all'interno delle mura domestiche e delle relazioni familiari - celebri, a tal proposito, i suoi dipinti incentrati sul rapporto madre-figlio - ma raffigurato anche nei luoghi di ritrovo esterni alla famiglia, nei limiti di ciò che all'epoca era consentito alle donne. Il teatro era appunto uno degli ambienti più frequentati anche dal pubblico femminile e Mary Cassatt vi ha inquadrato diverse opere tra le quali questa che vedete, intitolata "In the lodge" e conservata presso il Museum of Fine Arts di Boston.

Che cosa rappresenta?
In primo piano, ritratta di profilo, vediamo una donna elegante in abito scuro che, appoggiata alla balconata del palco, osserva col binocolo ciò che ha davanti; ma insieme, sullo sfondo, si apre un ampio scorcio di pubblico dove, in uno degli altri palchi, un signore sembra a sua volta puntare il binocolo su di lei.
Una raffigurazione di ambiente, ma in realtà
un gioco di sguardi che può avere molteplici sottintesi: interesse o semplice curiosità da una parte, indifferenza dall'altra, ma forse anche il piacere di guardare ed essere guardati, chissà! E la scena coinvolge anche noi che - sia pure dall'esterno - la osserviamo tentando di annodare fili di ipotetiche storie e addentrandoci nella sostanziale novità di tale iconografia.

Bella, raffinata e sicura ci appare la donna, certo esponente dell'alta borghesia, nel suo abito scuro, gli orecchini lucenti e il ventaglio nella sinistra. Con la destra regge il binocolo mentre il suo sguardo attento sembra tradire un lievissimo sorriso, quasi stia appagando una sorta di curiosità sottile, segreta e un po' golosa.

Viene il dubbio che oggetto della sua attenzione non sia lo spettacolo che si svolge sul palcoscenico, ma l'insieme degli spettatori o qualcuno di essi in 
particolare.

Oltre alla capacità di introspezione psicologica dimostrata dalla Cassatt, nell'opera è proprio quest'ultimo aspetto a colpirmi: il fatto che l'attenzione della pittrice sia focalizzata solo sul pubblico. Ma anche ipotizzando che la protagonista del dipinto stia davvero guardando la rappresentazione, non vediamo comunque ciò che accade sulla scena e ne deriva un esempio accattivante di spettacolo nello spettacolo. 
Insieme alla tecnica pittorica dal tratto sintetico ma
espressivo che si osserva nel dettaglio qui a lato, dalla lezione impressionista la Cassatt ha preso dunque la tendenza a rappresentare il pubblico di un evento più ancora che l'evento stesso. Tendenza realistica che fa balzare in primo piano la classe borghese della seconda metà dell'Ottocento, colta nei suoi luoghi di ritrovo, nelle sue abitudini e nei suoi svaghi.

Lo notiamo in diversi altri esempi da Renoir a Manet del quale - a tale proposito - è rappresentativo "Il balcone" che vedete qui a lato e che precede di una decina d'anni
 il quadro della Cassatt. 
Anche in quest'opera - ispirata peraltro a un dipinto di Goya - Manet non ha 
raffigurato ciò che una delle due donne sembra osservare avidamente e che immaginiamo possa essere un corteo o una parata nel boulevard sottostante, ma ha incentrato il dipinto proprio sulle persone al balcone: sui loro sguardi, sugli atteggiamenti e - perchè no? - sull'esibizione di un abbigliamento elegante che mette in evidenza la loro posizione sociale. 
Il salotto di casa si apre così ai viali della città dove vedere, ma soprattutto essere
visti, diventa una sorta di must del momento nella società che i pittori dell'epoca rappresentano.

È a questo clima un po' mondano e salottiero che si ispira la musica di oggi: la "Valse nonchalante in Re bemolle maggiore op.110" per pianoforte solo di Camille Saint-Saëns (1835 - 1921). Si tratta di un pezzo molto amato dal compositore che lo aveva scritto nello stile dei brani da caffè-concerto, una melodia seducente e dall'architettura lieve che è stata oggetto di varie trascrizioni anche orchestrali. Il tema si apre lento per animarsi con leggerissimi arpeggi e divenire più agitato, alternando poi a parti colme di passione altre più pacate che digradano infine verso il pianissimo. Un valzer che ci avvolge in un vortice di accattivante dolcezza con un passaggio a 2,48 dall'inizio che, sia pure lontanamente, può ricordare Chopin.

Tuttavia, al di là del carattere un po' frivolo del brano, ad orientare la mia scelta non è stato solo un dato musicale, ma insieme l'aggettivo nonchalante presente nel titolo. Trovo infatti che il termine che Saint-Saëns traduce in note si adatti molto bene all'immagine della donna col binocolo: il suo atteggiamento rivela infatti quella sicura e disinvolta noncuranza che la rende attraente e fa in buona parte la bellezza di questo dipinto.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

mercoledì 21 maggio 2025

A corserelle e a fermatine...

Scherzeremo anche oggi, come vedrete, ma il brano che vi propongo ha caratteri molto diversi dal precedente che ci ha regalato il fascino dei pizzicati nel movimento di una sinfonia di Tchaikovsky.

Stavolta, si tratta di un pezzo per pianoforte solo di Robert Schumann (1810 - 1856), precisamente il primo dei quattro "Klavierstücke op.32", intitolato appunto "Scherzo". Qui torniamo indietro nel tempo di una quarantina d'anni rispetto al brano di Tchaikovsky ed entriamo in un'atmosfera diversa da quella del compositore russo. E perchè mai lo pubblico? Perchè risponde maggiormente all'idea di scherzo improntata a leggerezza e vivacità cui facevo riferimento la volta scorsa, ma soprattutto per un altro aspetto che lo caratterizza: il ritmo.  

Se durante l'ascolto osserviamo lo spartito, noteremo che il brano, pur essendo tutto nel tempo di 3/4, presenta qua e là un andamento diverso: battute nelle quali qualcosa varia quasi stessimo danzando e a un tratto prendessimo la rincorsa o rallentassimo. Insomma un cambio di passo, quasi le corserelle e fermatine di manzoniana memoria!...
I 3/4, infatti, nella parte iniziale hanno un ritmo puntato e chi conosce la musica sa che
quel puntino dopo una nota significa che se ne aumenta la durata della metà del suo valore; poi dopo la nota più lunga ne troviamo una più breve. Qui all'ottavo puntato segue il sedicesimo e questo conferisce al brano un ritmo saltellante, un procedere a scatti che - i grecisti perdonino la mia illecita invasione di campo! - nelle due battute iniziali del brano mi ricorda la metrica del trimetro giambico: ∪ — ∪ — ∪ — ∪ — ∪ — ∪ —  breve-lunga per sei volte.  Il che non sarebbe neanche fuor di luogo in uno scherzo, dato che il trimetro giambico non era usato solo nelle tragedie ma anche nella commedia e nel dramma satiresco.

Ma torniamo al brano. Qui, dopo una vivacissima sequenza di note ascendenti e discendenti in questo ritmo, prima in tonalità maggiore poi in minore, la musica va invece allargandosi nel passaggio conclusivo della frase, terminando col segno del punto coronato a indicare un suono che dura molto più a lungo del valore della nota.
Segue poi una sezione più lenta, morbida, tra il malinconico e il giocoso - a mio
avviso la più bella! - nella quale la vivacità si smorza e le note puntate, più che movimento, esprimono una sorta di incanto quasi il compositore volesse sostare per qualche attimo a cogliere lo splendore della melodia.
In seguito, il tema iniziale riprende il suo andamento saltellante per mettersi a un
tratto a correre, come sentite per esempio nella battuta a 1.11 dall'inizio dove il ritmo cambia e si susseguono sei ottavi tutti uguali e staccati.

La foto in alto illustra molto meglio delle mie parole la differenza tra questi due ritmi: la prima battuta sia della mano destra che della sinistra, presenta due volte l'ottavo puntato seguito dal sedicesimo. Nella seconda invece, i puntini sono spariti e il passo è più regolare anche se la velocità aumenta: lo sentite dagli accenti che cambiano. Somiglia a una corsa che per un po' procede a saltelli, mentre verso la fine si fa precipitosa.

Così, alternando queste due parti il brano prosegue fino alla conclusione proprio con lo stile di uno scherzo. Ci comunica infatti un'idea di giocosa leggerezza, con qualche punta di lieve malinconia qua e là, dove la musica rallenta per farsi un po' pensosa prima di slanciarsi a riprendere la corsa.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web) 

 

mercoledì 14 maggio 2025

Uno scherzo?...

Sì, oggi sono in vena di scherzi anche se il carnevale è passato da un bel po'.
Mi ha suscitato questo desiderio il dipinto di
Felice Casorati (1883 - 1963) che vedete qui accanto, intitolato "Scherzo: Fiordalisi", attualmente in mostra presso la Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo (Pr) nell'ambito della rassegna "Flora". 

Figura singolare e poliedrica quella di Casorati perchè alla passione per la pittura ha unito l'attività di grafico, scultore, architetto, scenografo, insieme a un notevole interesse per le arti decorative. Ma spicca in lui anche l'amore per la musica che aveva studiato in gioventù, rinfocolato poi dall'amicizia con alcuni compositori tra cui Alfredo Casella.

Nasce così in Casorati la tendenza a interpretare anche l'arte figurativa con sguardo musicale cogliendovi elementi quali l'armonia e il ritmo. Tendenza se vogliamo non nuova nei pittori dalla fine dell'Ottocento al Novecento e che possiamo ritrovare, per esempio, anche in Kandinsky e Klee. Ma basterebbe osservare il linguaggio che caratterizza certe opere per notare uno scambio tra termini pittorici e musicali come se i due piani si fondessero in una sorta di sinestesia.
Qualche esempio? Tra i musicisti,
Chopin scrive i Notturni, Mussorgsky i Quadri di un'esposizione, Debussy gli Arabesques e le Images; mentre tra i pittori Kandinsky compone le Improvvisazioni e Klee la Fuga in rosso.

Con Casorati troviamo lo Scherzo che qui non è burla o gioco ma, nelle intenzioni dell'artista, ha proprio un significato musicale. Il mazzo fiorito diventa infatti una sorta di tappezzeria nella quale la disposizione dei fiordalisi e dei colori ha un suo ritmo particolare. Musicalmente parlando, in passato lo Scherzo era una composizione leggera e vivace - parte di una sonata, un quartetto o una sinfonia - che a volte andava a sostituire il Minuetto. Nel tempo ha poi assunto un carattere più complesso e articolato, come possiamo notare nel secondo movimento della Nona Sinfonia di Beethoven e nei
quattro Scherzi di Chopin per pianoforte solo che sono ormai creazioni autonome. 

Anche sul piano strettamente pittorico, quello di Casorati non è un gioco, ma i suoi fiordalisi indicano un'atmosfera tra la realtà e il sogno.
Certo, vi potremmo vedere un richiamo al passato, quasi una lettura in chiave moderna
delle antiche nature morte con fiori insieme a quel riflesso nel vetro del vaso, dettaglio presente anche in alcuni dipinti barocchi. Inoltre, la fantasmagorìa di colori che emerge dal buio potrebbe ricordare le vetrate di alcune cattedrali.

Tuttavia qui l'atmosfera è diversa, le forme sono stilizzate dalla fantasia dell'artista, mentre il carattere precipuo del quadro è dato dal fascino del colore: un avvolgente punto di blu in cui lo sguardo affonda come in una superficie liquida per riaffiorare individuando piano la sagoma rotonda del vaso che emerge dal buio insieme ai due fiordalisi caduti ai lati.

E per commentare questa immagine, tra i vari Scherzi che il panorama della musica ci offre ne ho scelto uno che, in apparenza, poco ha a che fare col dipinto. Si tratta del terzo movimento della "Sinfonia n.4 in Fa minore op.36" di Piotr Ilic Tchaikovsky (1840 - 1893): un insieme di bizzarri, inafferrabili arabeschi che sembrano nati dalla fantasia del compositore magari in un momento di ebbrezza.
Tuttavia, a prendermi è stato il pizzicato degli archi col suo ritmo ostinato
prima all'inizio e poi nel corso del pezzo, intervallato solo dalla melodia esposta dai fiati; e non solo perchè il pizzicato mi è sempre piaciuto ma perchè, di primo acchito, attraverso di esso qui non è facile individuare il tema portante e dobbiamo entrare nel brano per abituarci all'ascolto.
Esattamente come per il dipinto di Casorati: in mezzo a tutto quel blu che sembra
abbagliarci, la vista si deve abituare per poter discernere poco per volta forme e dettagli arrivando a coglierne originalità e splendore.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)


martedì 6 maggio 2025

Il soffio ludico della creazione

Credo di averlo detto altre volte: nutro una profonda gratitudine per Franz Joseph Haydn (1732 - 1809).
Ma lo ribadisco ancora perchè le
sue note continuano a regalarmi una percezione che mi restituisce a me stessa, insieme a uno sguardo entrando nel quale posso cogliere lo splendore dell'esistenza. E lo fanno con quella intensa e gioiosa energia che sa volgere in positivo uno stato d'animo cupo o incerto, esercitando una vera e propria terapia interiore.
Certo, ciò accade con i tanti altri musicisti che negli anni ho apprezzato a cominciare da Bach e Mozart.
Ma vale anche per Haydn che mi è stato materialmente compagno di viaggio in diverse occasioni. Ne avevo già parlato qui, ma oggi mi permetto di aggiungere cosa a cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Torno così a quel monumento musicale che è "La Creazione" che ho ascoltato assiduamente in anni lontani e della quale avevo già scritto in questo post.
Come dicevo in passato, si tratta di un oratorio per soli, coro e orchestra in cui
Haydn ha musicato un testo che fa riferimento al racconto biblico della Genesi, ad alcuni Salmi e al "Paradiso perduto" di Milton. Oggi desidero condividerne con voi altri due brani e in particolare il Trio "In holder Anmut stehn" e il successivo Coro "Der Herr ist groß in seiner macht" presi dal quinto giorno della creazione.

Purtroppo, pur essendo pezzi vicini non ho trovato un'unica clip che li riportasse insieme, così ne ho pubblicate due. Ma in entrambe, la splendida voce di Kathleen Battle sotto la direzione di Levine ci restituisce una morbidezza rara che dell'evento ci fa percepire la grandezza e al tempo stesso la mozione gioiosa.

Ma perchè ho scelto questi brani? Che cosa mi ha suggestionato in essi?
È una storia che nasce da lontano, dal giorno in cui mi sono imbattuta nel Salmo 104 in cui si loda Dio artefice del creato nella sua magnificenza di acque, terre, astri, monti, piante, animali e via dicendo. Ma al versetto 26, a proposito del mare grande e immenso, si dice: 

"Là viaggiano le navi e nuota il Leviatano che hai creato perchè vi si diverta".

È qui che sono rimasta con tanto d'occhi: nuota il leviatano che hai creato... PERCHE' VI SI DIVERTA???...Ma ho letto bene??? Ho cercato allora un'altra traduzione, ma diceva addirittura: "...PER  SCHERZARE  IN  ESSO" e ancora "il Leviatàn che tu hai plasmato PER  GIOCARE  CON LUI" !!!

Ora, sappiamo tutti - senza scomodare la lettura in chiave politica di Hobbs o altre interpretazioni allegoriche - che, nella tradizione biblica e non solo, il Leviatano è il feroce mostro marino simbolo del male, del caos primordiale, della potenza senza controllo, identificato talora con un dinosauro o un coccodrillo o un drago. Qualcosa insomma che incute il massimo del terrore, quasi fosse la bocca dell'inferno spalancata come appare in alcune miniature medioevali.
Scoprire invece che le parole del Salmo 104 ci dicono che Dio lo domina con una
tranquillità senza paragoni è stata per me fonte di profondo stupore, non perchè avessi dubbi sull'onnipotenza divina, ma perchè nel Salmo quest'idea è espressa con sorridente, ludica leggerezza, quella di chi ha vinto la paura!!!

Certo, ci muoviamo in un contesto in cui le parole del salmista non hanno pretesa di scientificità, ma quella che ci offrono è la prospettiva di un credente. I cenni al divertimento del Leviatano e a tale aspetto ludico della creazione hanno infatti lo scopo di sottolineare la potenza divina e il suo pieno controllo su ogni cosa, tanto da lasciare che le creature esistano con tranquillità, ciascuna a suo modo.
Ed è proprio questa incredibile larghezza di cuore - non saprei come definirla altrimenti - che mi ha folgorato perchè io da un mostro, dentro o fuori di me, sarei terrorizzata e lo terrei dietro le sbarre chiuso a doppia mandata di chiave. Il salmista invece afferma che Dio lo domina al punto da lasciarlo essere, senza paura alcuna. Fantastico!

Naturalmente, ho pensato subito in quale musica avrei potuto trovare una descrizione simile a quella del Salmo 104 e sono approdata così ai due pezzi dalla Creazione di Haydn che vi riporto. Il primo - il trio dove cantano a turno i tre arcangeli Gabriel (soprano), Uriel (tenore) e Raphael (basso) - elenca le opere create da Dio: colline, acque, uccelli, pesci, ciascuno con la propria bellezza. E a un certo punto, come recita il testo, "Vom tiefsten Meeresgrund Wälzet sich Leviathan Auf schäumender Well' empor" : dal profondo del mare emerge Leviatan sull'onda schiumosa.
Qui, dopo la morbida voce della soprano e quella energica del tenore, spetta a
quella più profonda del basso far risalire il Leviatano dall'abisso e sono proprio le note a darcene la viva percezione a 2,46 dall'inizio. 

Interessante notare la scala ascendente che indica l'affiorare del mostro in superficie, seguita subito dal salto di ottava discendente per significare che viene dal profondo. Come potete osservare, è proprio sulla parola Leviathan che si raggiunge la nota più alta per poi scendere mentre, se ci fate caso, l'orchestra riproduce il fremito delle acque mosse dall'emergere del mostro. Magnifico! E il senso di tale magnificenza ce lo offre la dolcezza con cui i tre arcangeli commentano subito dopo le opere create da Dio, Leviatano compreso: "Wie viel sind deiner Werk', o Gott! Wer fasset ihre Zahl?", quante sono le Tue opere, oh Dio! Chi può enumerarle? 

A questo punto, come risposta immediata a tale domanda si apre il secondo brano in cui solisti e coro prorompono in un vivacissimo inno di lode sulle parole "Der Herr ist groß in seiner Macht, Und ewig bleibt sein Ruhm": il Signore è grande nella Sua onnipotenza e la Sua gloria rimane per sempre.
Ascoltatelo e lasciatevene entusiasmare perchè - come scrivevo all'inizio - è ricco di
quel soffio di gioiosa energia capace di dissipare la tristezza cambiando il nostro sguardo interiore. 

Proprio lo stesso impulso festoso ho trovato nel dipinto del Tintoretto intitolato "La creazione degli animali" che vedete nelle immagini.
L'artista vi ha riprodotto infatti la tensione e l'impeto della corsa di pesci, volatili e
altri esseri viventi che sembrano slanciarsi gioiosamente nell'esistenza come se un vento li spingesse, incoraggiati dalla splendida mano benedicente di Dio Padre.
Il quale Dio ci appare quasi in volo, proteso nel movimento creativo che tutto coinvolge come a
dire: andate, crescete, moltiplicatevi, popolate la terra e - perchè no? - divertitevi!

Buon ascolto! 

(La foto è presa dal web)



martedì 29 aprile 2025

Se lo sguardo è femminile - 4












È opera della pittrice francese Marie Bracquemond (1840 - 1916) il dipinto di questo mese, intitolato "Sotto la lampada" e conservato in una collezione privata. Si tratta di una delle artiste più rappresentative del movimento impressionista, anche se si è formata sotto la guida di Ingres e quindi nel clima del Neoclassicismo. Tuttavia se n'è distaccata per orientarsi con splendidi risultati verso uno stile più autonomo e al tempo stesso più vicino a quello di Manet, Monet e Sisley, nonostante la disapprovazione del marito Felix Bracquemond, col cognome del quale la pittrice è poi divenuta celebre.

"Sotto la lampada" è una delle sue opere più affascinanti che ha come sottotitolo "Sisley e sua moglie cenano dai Bracquemond a Sèvres". In realtà, alcuni critici hanno messo in dubbio che quella raffigurata sia davvero la moglie del pittore. Se infatti la rappresentazione dell'uomo è veritiera e può ricordare il ritratto che di Sisley aveva fatto Renoir, la donna, più che della moglie, ha le fattezze della stessa Marie Bracquemond.

Ma, a parte questo, che cosa vediamo sotto la lampada? Una tavola apparecchiata con semplicità ed eleganza, sopra di essa lo sguardo intenso che Alfred Sisley rivolge alla donna, ma soprattutto cogliamo quell'aura indefinita, quel vibrare della luce talora netto e altrove indistinto che fa man mano affiorare gli oggetti dall'ombra e prender loro forma e consistenza. Proprio quest'aura mi ha affascinato guidandomi nella scelta del dipinto che - tra l'altro - associa due temi ai quali la pittrice ha dedicato numerose sue opere: il ritratto e la natura morta.

Qui infatti, prima ancora delle persone con i loro atteggiamenti, sono stati gli oggetti ad attirare la mia attenzione: dalla pila lucente di eleganti piatti di ceramica bianca e blu alle bottiglie e ai vasi di vetro, al cibo e ad altre stoviglie posate sulla morbida tovaglia chiara, che appaiono quasi più nitide delle persone stesse. Queste infatti sono di lato e se la donna non guarda in viso l'uomo ma sembra volgersi altrove, risulta più al centro l'espressione intensa di Sisley, la cui figura ha però un che di evanescente forse per effetto della luce della lampada o del vapore che sale dalla zuppiera.

Così pure, insieme a lui, sembrano affiorare lentamente dall'ombra anche piatti e quadri appesi alla parete retrostante, dei quali abbiamo percezione solo dopo aver osservato il dipinto con calma, come se anche noi spettatori dovessimo abituarci  a questo tipo di luminosità dai contorni sfumati.

Ma l'atmosfera indefinita e vibrante creata dalla pittrice può anche suscitare sogni ed ipotesi sul rapporto tra Sisley e la donna. Quello di lui - così almeno a me pare - è uno sguardo intenso e vivo, quasi teso a cercarla, e tuttavia non ricambiato. Lei infatti, più riservata o forse a disagio, sembra sfuggire volgendo gli occhi altrove e appoggiandosi alla tovaglia. Chissà!... 

Tuttavia, al di là di queste mie improbabili divagazioni, non può non colpirci anche la prova di bravura che vede accostati in poco spazio, proprio come in una natura morta, materiali diversi tra loro.
Per quanto non siano nuovi tali
accostamenti e fin dall'epoca barocca siano stati realizzati da numerosi artisti, mi pare che qui ci sia una raffinatezza tutta femminile nel cogliere squisitamente ogni minimo dettaglio.

Bellissima la stoffa setosa dell'abito a righe con i polsini bianchi di pizzo, e quella che s'intuisce invece più spessa e morbida della tovaglia! Così pure, splendido l'accostamento del metallo del mestolo, la ceramica della zuppiera, il vetro del bicchiere, il legno del macinino, il pane...oggetti che si valorizzano a vicenda nella diversità dei loro materiali.
Ma ancor più espressiva quella mano rosea appoggiata sulla tovaglia, mano nella quale
possiamo leggere forse una quieta padronanza o forse un senso inconscio di difesa dallo sguardo indagatore dell'uomo.
Ripeto: sono solo divagazioni suscitate dai molteplici aspetti di un quadro che,
pur presentandoci uno squarcio di semplice vita quotidiana, fa sognare. La Bracquemond ha infatti caricato la scena di una dimensione psicologica che la rende ancora più viva soprattutto se è vero che, nel riprodurre la donna, ha in realtà raffigurato se stessa.

E, passando alla musica, mi piace associare al dipinto un pezzo già pubblicato anni fa perchè mi pare adatto a rispecchiare l'atmosfera di queste immagini tra il formale e il familiare, tra riservatezza e sottile galanteria.
Così ho scelto il celebre "Salut d'amour op.12" di Edward Elgar (1857 - 1934). Il
brano, qui nella versione orchestrale, è una composizione squisitamente romantica che il musicista aveva donato alla futura moglie Alice come regalo di fidenzamento. È una melodia che si dipana dolcemente nel sognante andamento degli archi, senza ignorare tuttavia passaggi più animati nei quali la passione sembra quasi sul punto di traboccare per poi tornare a quietarsi.
Una dichiarazione d'amore, dunque, nella ferma luminosità del Mi maggiore,
garbata e galante quanto può esserlo un innamorato.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)