Mi ha incantato questa foto di Franco Battiato bambino o forse appena adolescente, un'immagine che già conoscevo ma che ora - dopo la sua morte - mi restituisce ancora più intensamente quella dimensione di verità che sta nel profondo, all'origine di ognuno di noi.
Un' immagine d'altri tempi, se vogliamo: un ragazzino in posa per il fotografo, in giacca e cravatta col vestito della festa, le labbra che accennano appena un sorriso, mentre i grandi occhi scuri tradiscono un lampo di malinconia.
Forse ad affiorare è l'indole pensosa dell'artista insieme a quell'attitudine contemplativa tipicamente mediterranea che induce a osservare la realtà esterna senza perdere mai di vista un proprio riferimento interiore. Al di là dei capelli corti e delle orecchie un po' a sventola, è infatti lo sguardo - vivo e tuttavia discreto - a renderlo riconoscibilissimo e a regalarci quel filo che lo legherà poi al Battiato adulto, figura poliedrica di cantautore, musicista, pittore, filosofo.
E se la fisiognomica è quella disciplina che dai caratteri somatici vuol dedurre la psicologia di un individuo, a mio avviso non poteva esserci foto di copertina migliore per il titolo di questo disco.
Si tratta appunto di "Fisiognomica", album del 1988 da cui è tratto "Nomadi", il brano che oggi vi propongo, forse non altrettanto popolare e celebrato come "La cura", "Prospettiva Nevsky", "E ti vengo a cercare", "Centro di gravità permanente" o altri ancora, ma ugualmente suggestivo e profondo.
Il pezzo, in realtà, è stato scritto dal cantautore Juri Camisasca e Battiato ne è solo l'interprete. Tuttavia il testo - che poi vi riporto - si sposa bene con la spiritualità del musicista siciliano e con i contenuti tipici delle sue canzoni.
Già il titolo, "Nomadi", ci rimanda al tema del viaggio, all'inquietudine dell'andare e del cercare ripresa da termini come camminatore, viandanti, e poi ancora straniero e forestiero. Vi avvertiamo infatti un costante senso di straniamento e al tempo stesso il bisogno di una ricerca che spinge ad essere nomadi nello spazio ma anche nel tempo, perchè è alla fine della strada che si entrerà in quella dimensione insondabile cui ogni essere umano aspira.
Ma vi si coglie anche la solitudine di fronte all'immensità dell'universo e agli interrogativi esistenziali, perchè non possiamo delegare ad altri la ricerca di un senso che è soltanto nostro. Vengono in mente per certi aspetti i versi di Quasimodo nella poesia "Ed è subito sera" : "Ognuno sta solo sul cuor della terra..."; ma anche quelli di Ungaretti in "Girovago": "In nessuna / parte / di terra / mi posso / accasare (...) E me ne stacco sempre / straniero.".
Soli e forestieri dunque, come se ciò che chiamiamo casa fosse altrove, e tuttavia animati dalla speranza che, alla fine della strada, un risveglio ci aprirà ad un altro cammino verso ciò che ora è insondabile mistero.
Un testo pervaso da profonda spiritualità e da quell'attenzione all'esperienza interiore di cui Battiato si farà straordinario interprete per tutto il corso della sua vita e che andrà a permeare il suo pensiero e - inscindibile - la sua musica.
"Nomadi che cercano gli angoli della tranquillità
nelle nebbie del nord e nei tumulti delle civiltà
tra i chiari scuri e la monotonia
dei giorni che passano
camminatore che vai
cercando la pace al crepuscolo
la troverai
alla fine della strada.
Lungo il transito dell'apparente dualità
la pioggia di settembre
risveglia i vuoti della mia stanza
ed i lamenti della solitudine
si prolungano.
Come uno straniero non sento legami di sentimento
e me ne andrò
dalle città
nell'attesa del risveglio.
I viandanti vanno in cerca di ospitalità
nei villaggi assolati
e nei bassifondi dell'immensità
e si addormentano sopra i guanciali della terra.
Forestiero che cerchi la dimensione insondabile
la troverai, fuori città
alla fine della strada."
Buon ascolto!