martedì 26 luglio 2022

Geografia del presente

Tutte le sere, quando nel mio nido d'altura prima di andare a dormire chiudo porte e finestre, non tralascio mai di sostare per qualche momento sul balcone che guarda verso il Gran Paradiso.
Di questa stagione fa chiaro fino a tardi e non è raro che, anche dopo le dieci di sera, i ghiacciai del massiccio riflettano ancora l'ultima luce, mentre intorno - nonostante di giorno il caldo arrivi anche qui - si leva un'aria fresca che ricrea. Ma non è solo per questo.

Ciò che in realtà più di ogni altra cosa mi suggestiona è il silenzio circostante insieme al buio che - al di là dei lampioni che illuminano il paesetto - avvolge tutta la vallata e sale, lungo i versanti fitti di abeti scuri, su su fino al pallido chiarore dei ghiacciai.
Così, mi affaccio per qualche istante al mio balconcino a rivolgere un saluto serale alla montagna: se vogliamo, una sorta di piccolo rito al quale sono affezionata perchè è come se un impulso segreto mi spingesse a farlo per prendere consapevolezza fino in fondo della fortuna di essere qui. E non si tratta solo della possibilità di sfuggire alle temperature di un'estate torrida, ma dell'esigenza di rendermi conto, aiutata dal maestoso silenzio della sera, dello splendore in cui sono immersa da ogni lato. Ed esserne grata. 

C'è talora, infatti, una sfasatura tra l'essere materialmente dentro a eventi, situazioni o luoghi, e il sentirsi davvero presenti ad essi. Manca a volte una corrispondenza profonda con ciò che viviamo, come se portassimo in noi un puzzle in cui alcune tessere sono andate fuori posto. Ne bastano poche che non hanno trovato la giusta collocazione e faticano ad inquadrarsi nello spazio a loro destinato e senza che ce ne accorgiamo creano un disagio oscuro. Magari abbiamo confuso l'azzurro del cielo con quello del mare, o le foglie degli alberi col verde del prato, o la neve di una pista da sci con quella che ricopre i tetti: sono esperta di puzzle, mi sono sempre piaciuti e so che è facile confondersi.
O ancora capita che in noi qualcosa non quadri come quando, da bambini, facevamo il gioco del quindici...qualcuno se lo ricorda? A me non riusciva mai e restava sempre una casella fuori posto!

Ecco, il mio saluto serale serve anche a questo, a recuperare la consapevolezza del presente, quando tante sfasature magari inconsce ci portano lontano, nella geografia non sempre chiara del nostro intimo, inducendoci a dimenticare che esiste un'altra geografia concreta e visibile che, qui e ora, non smette di parlarci.
La contemplazione del paesaggio, infatti, con il coinvolgimento dei sensi che essa
comporta, sa spesso ricucire i lembi dell'anima ricostruendo la sintonia di noi con noi stessi, azione esercitata con strumenti diversi ma ugualmente efficaci anche dalla musica.
Allora, sull'onda di questi pensieri oggi vi regalo un brano che mi pare possa fare da colonna sonora a queste mie sere in montagna.

Si tratta del "Larghetto"  dalla "Sinfonia n.2 in Re maggiore op.36" di Ludwig van Beethoven (1770 - 1827), pezzo dal carattere soavissimo e al tempo stesso maestoso, nel quale il compositore alterna ricordi della tradizione settecentesca a passaggi malinconici e talora solenni nei quali è già evidente l'impronta originale della sua ispirazione. Mi pare che la direzione di Karl Böhm metta in particolare evidenza tali aspetti, sottolineando da un lato le sfumature e la dolcezza di queste note insieme a qualche tocco di garbo salottiero, e dall'altro la maestosa solennità di alcuni passaggi - per esempio a 7.11 dall'inizio - o la delicatezza dello splendido finale. 

Un brano intriso di serenità che - come già mi è occorso di osservare per altri compositori e a testimonianza del potere catartico della musica - nasce in uno dei periodi più bui della vita di Beethoven, amareggiato da una delusione amorosa e dalla sordità che andava facendosi più acuta.
A noi regala invece un senso di riposante e soffusa leggerezza, a somiglianza del respiro fresco del vento nel magico silenzio della sera in montagna.

Buon ascolto!

(Foto di Marco Monticone presa dal web)

lunedì 18 luglio 2022

Stanze - 7












 

Hanno un che di fiabesco gli ambienti che vedete: ci fanno tornare a certe figure antiche viste forse sui vecchi libri del tempo in cui eravamo bambini, o a qualcosa di lungamente sognato. Qualcosa di talmente bello da essersi sedimentato in noi per riaffiorare poi come un possesso ormai nostro.
A regalarci questo effetto sono certo i colori di queste immagini, ora caldi come la decorazione delle volte e delle pareti, altrove più freddi ma sempre vivaci.
Tanti gli azzurri che contrastano con i rossi, e insieme i verdi e i gialli che si dispiegano in una decorazione musiva simile
a una splendida e fantasiosa tappezzeria floreale. Ma a colpirmi è anche lo spessore di archi e pilastri che sorreggono la costruzione e ne articolano gli spazi e le stanze. 

Sì, sono le mirabili stanze che si aprono all'interno della Cattedrale ortodossa di San Basilio a Mosca, quella costruzione con cupole a cipolla e pinnacoli fiabeschi simili a fiamme, che si innalza su di un lato della Piazza Rossa e che tutti abbiamo sempre visto in tante foto.
Una struttura estremamente articolata e un incastro di coloratissima muratura
che, per un gioco di contrasti, fa risaltare le tinte calde di giorno e quelle fredde di notte e che già nella configurazione esterna rivela la grande originalità dell'interno.
Non un edificio a pianta longitudinale e a navate come tanti, ma un complesso
ottagonale con un insieme di cappelle - nove per la precisione - collegate tra loro da un labirinto di passaggi, corridoi, gallerie e scale di soprendente bellezza.

Conosciuta comunemente col nome di Cattedrale di San Basilio - che è Basilio il Benedetto vissuto tra il XV e il XVI sec. e non San Basilio il Grande, vissuto invece nel IV sec.d.C. - l'edificio porta in realtà il titolo di Cattedrale dell'Intercessione della Madre di Gesù sul fossato per la sua ubicazione vicino alla cinta muraria del Cremlino.
La sua costruzione risale al XVI secolo per iniziativa dello zar Ivan il Terribile, ma la chiesa ha subìto rimaneggiamenti e restauri dopo svariati incendi e anni di abbandono in cui - soprattutto sotto il regime stalinista - ha rischiato di essere distrutta.
Oggi le sue stanze, riportate ormai da tempo al primitivo splendore, ci immergono in un'atmosfera fantastica che le immagini rendono solo in parte. Bisogna trovarsi al suo interno per sentirsi letteralmente immersi in un luogo di rara bellezza che costituisce un unicum anche nell'ambito dell'architettura bizantina.

Ho avuto la fortuna e la gioia di visitarlo nel 2014, durante un viaggio di cui ho parlato a suo tempo.  L'impressione che ne avevo riportato è ancora oggi vivissima perchè è uno di quei monumenti che restano nel cuore e dove si vorrebbe tornare per potervi sostare a lungo.
Ma temo che l'attuale guerra tra Russia e Ucraina, con il suo spaventoso seguito di morte e distruzione, mi
impedirà anche in futuro altri viaggi.

Ad affascinarmi - come scrivevo - sono stati i colori e insieme la fantasia della ricchissima decorazione pittorica che copre quasi totalmente gli interni dell'edificio, alleggerendone il grande spessore e che, nella parte floreale, intende rappresentare il giardino celeste.
Nel dedalo di passaggi e di cappelle nelle quali è bello perdersi lasciandosi sorprendere da ambienti sempre diversi e diversamente colorati, si entra in una dimensione nella quale disegno geometrico e ornato si fondono splendidamente così come volumi e valori di superficie. Inoltre, se qui la struttura architettonica è decisamente originale, le pitture parietali che, a somiglianza di numerose altre chiese ortodosse, coprono quasi ogni angolo della muratura, avvolgono il visitatore in un'aura di splendore e di preghiera.

E non manca la musica. All'interno di una delle cappelle, se non erro quella centrale, è facile incontrare un gruppetto di cantori che intonano inni ortodossi, certo anche a scopo turistico e forse con l'intento di pubblicizzare i loro cd.
Ma l'effetto di questa polifonia dai toni ora severi, ora vivaci e appassionati com'è tipico di tanta musica russa, proprio in queste stanze risulta più che mai suggestivo. A ciò si aggiunge il timbro particolarmente scuro del basso profondo la cui voce è prevista spesso all'interno di tali cori di tradizione orientale.

Così, a commento di queste immagini, ho scelto l' "Inno dei Cherubini" tratto dalla "Liturgia di San Giovanni Crisostomo op.31" di Sergej Rachmaninov (1873 - 1943).
Si tratta di un brano adatto alla meditazione, solenne e pacatissimo, che esordisce in modo quasi simile a que
llo forse ancora più famoso di Tchaikovsky. Ma sono soltanto le prime note, poi il pezzo si dipana diversamente, sia pure nella stessa lentezza e intensità contemplativa. Tuttavia, nella parte finale, come già troviamo anche in altre composizioni dello stesso tipo - per esempio nell'Inno dei Cherubini di Bortniansky - dopo una pausa di silenzio la melodia esplode con improvvisa vivacità per poi andare a farsi di nuovo pacata nella lievissima e assorta conclusione.

Una musica che ci conduce in un' atmosfera sublime come le immagini che vedete, immagini che sarebbe bello potessero cancellare con la loro bellezza ogni azione e intenzione di violenza negli esseri umani, oggi e in futuro.

Buon ascolto!

domenica 10 luglio 2022

A passo di musica

Succede a tanti, al mattino, di svegliarsi con in cuore una musica che non è stata pensata, nè scelta e - almeno in apparenza - non ha riferimenti a cose viste o ascoltate di recente.
Sembra invece nata da sola, germinata liberamente dal
sonno e affiorata dalla nostra anima come da un fondale marino ricco di splendore insospettato: un luogo in parte sconosciuto anche a noi stessi dal quale, di momento in momento, si staccano ricordi che giungono poi alla luce della coscienza.

Spesso arrivano da lontano a riecheggiare qui e ora, ma non sappiamo bene perchè, un po' come certi sogni che associano eventi, luoghi e persone in modo del tutto sorprendente. E qui ci vorrebbe la psicologia del profondo per aiutarci a scandagliare questo mondo affascinante e misterioso.

A me capita tutti i giorni: pochi minuti dopo il risveglio - giusto il tempo di alzarmi - mi parte dentro una musica. A volte è Mozart o Bach o Allevi, a volte è un pezzo che sto imparando, ma talora sono brani che affiorano da una grande lontananza e in particolare dal mondo russo: Rachmaninov con il suo celebre Rach 3, ma anche Prokofiev con la Sinfonia classica.
Succede quindi che questa musica diventi una sorta di colonna sonora
che mi accompagna per buona parte della mattinata seguendomi in particolare quando sono per strada. Cammino e musica hanno infatti un elemento che li accomuna: il ritmo. E del resto, affidarsi ai suoni è sempre stato un modo per tenere il passo, sia nel mondo militare che altrove.

Volete un esempio? Lo scorso anno, ho fatto tutte le mie passeggiate in montagna seguita dal Terzo concerto per pianoforte di Beethoven, ma senza che lo cercassi, arrivava e basta. Mi mettevo per strada e come da una radio invisibile partiva la musica, sempre quella.
Avete presente? Do,  Mib,  Sol,  Fa Mib Re Do,  Sol Do, Sol Do... Re,  Fa,  Lab,  Sol
Fa Mib Re,  Mib Re, Mib re...: insomma...provate a immaginarlo, sembrano quasi le battute di un dialogo! Il concerto è in Do minore, quindi è facile trovarne le note seguendo l'aria, e ha un tempo di 4/4 fantastico per camminare: arrivi alla meta che neanche te ne accorgi.  

Quest'anno invece ancora non so: ogni mattina la musica è diversa e mi sorprende sempre. Qualche volta - lo confesso - è un passo di danza, nonostante di questi tempi ci sia ben poco da danzare; o capita che talora faccia capolino Rossini con una delle sue più festanti Sonate, quasi si affacciasse da una porta a dirmi: "Embè...mi hai dimenticato?".
Ma spesso a scandire i miei passi arriva anche Couperin con quello splendido
brano che è "Les barricades mysterieuses" che mi riporta a una giornata di tanti anni fa, in giro per Venezia, con una giovanissima amica dallo sguardo limpido. Qui, il ritmo della musica sembra proprio seguire quella che era stata la nostra andatura ora lenta, ora più veloce, il soffermarsi a guardare un rio o la facciata di una chiesa mentre si parlava in scioltezza e serenità.

E oggi? Stamattina mi sono svegliata con Mozart. Un brano che, a dire il vero, ho già pubblicato nel lontano 2012 e - lo sapete - non mi piace ripetermi. Ma oggi mi suonava così e allora lo ripubblico. Del resto, nel vecchio post mi ero soffermata su altri aspetti della melodia e sull'interpretazione elegante e ariosa di Maria Tipo, lasciando in secondo piano il ritmo del pezzo. Ora invece camminiamo con Mozart.

Si tratta del terzo movimento, Allegro, del "Concerto per pianoforte e orchestra n. 27 in Si bemolle maggiore K.595".
Il brano si apre subito senza alcuna introduzione orchestrale sul tema enunciato
dello strumento solista, un tema che più ritmato di così non si può: garbato, spensierato, leggero, saltellante, giocoso, una melodia di quella semplicità tipicamente mozartiana che incanta. Una musica che vi fa camminare e ogni tanto fare una giravolta, un passo davvero danzante come dimostra il tempo di 6/8 e la struttura a terzine su cui il brano è costruito.
Ma talora vi fa prendere anche la rincorsa, e allora via a perdifiato in una velocissima fioritura di note!

Del resto, basta osservare il piglio brioso e la partecipazione con cui Maria Tipo lo
interpreta dialogando con gli altri strumenti per gustarne ogni passaggio, dal più energico al più delicato. E anche quando, nella cadenza a 6.20 dall'inizio e poi in quella finale, la melodia rallenta fin quasi a fermarsi, sempre il tema di fondo riappare col suo passo giocoso ed elegante, vertice della magica armonia mozartiana in questo concerto scritto - come ricordavo in passato - lo stesso anno della morte del compositore.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

domenica 3 luglio 2022

Fare del buon pane...

Sì, l'avete riconosciuta!
È lei, Maria
João Pires: pianista portoghese classe 1944, da sempre una delle più delicate interpreti di musica classica del nostro tempo. Delicata nel tocco, nel fraseggio, nella sua capacità di equilibrare energia e dolcezza e di far cantare le più piccole sfumature di uno spartito.

Bambina prodigio e concertista in giovanissima età, ha suonato con le
orchestre più prestigiose al mondo e la sua carriera è segnata da numerosi riconoscimenti e mirabili incisioni di autori tra i quali spiccano Chopin, Mozart, Schubert e Bach.

Di lei, splendida donna ieri e oggi, mi hanno sempre colpito la discrezione e la riservatezza, ma più ancora quella capacità di vivere interiormente la musica che - se pure è dote insita in ogni autentico musicista - affiora dal suo sguardo in modo ancora più intenso e immediato. È un processo di interiorizzazione che si trasmette alle note e che fa delle sue interpretazioni un vero e proprio fluire d'anima.
All'apparenza fragile e minuta, a me è sempre parsa tuttavia una di quelle donne fatte di fil di ferro, dotate di un' energia prodigiosa e capaci di fronteggiare ogni imprevisto. Il più famoso, registrato in un video divenuto virale che vi riporto qui, si è verificato durante un' esibizione ad Amsterdam, se non erro nel 1999.

È in programma un concerto di Mozart ma, alle prime note dell'introduzione, la pianista si accorge con terrore che l'orchestra sta suonando un pezzo diverso da quello per cui si è preparata e del quale non ha con sè neppure lo spartito. Tenta di farlo intendere al direttore che è Riccardo Chailly il quale la incoraggia con calore a suonare lo stesso: si tratta infatti di un concerto che lei stessa ha eseguito nella stagione appena precedente e certo sarà ancora vivo nella sua memoria. Così - in apparenza calma, ma possiamo immaginare con quale tumulto in cuore - la Pires inizia a suonare e porta a termine una interpretazione perfetta, senza errori nè il minimo vuoto di memoria.
Memoria quindi, ottime capacità interpretative, ma anche prontezza di spirito e nervi
saldi all'ennesima potenza!

Da qualche anno la pianista ha ridotto la sua attività concertistica e ha scelto di dedicarsi all'insegnamento della musica e del canto corale ai più piccoli e più svantaggiati. Sulle motivazioni di tale scelta e sul significato che ha per lei la musica, mi piace riportare qualche stralcio di un'intervista fattale da Giuseppe Videtti e pubblicata su Repubblica il 13 luglio 2018. Alle domanda su quali rinunce la pianista ha dovuto affrontare per diventare una delle più acclamate interpreti del mondo la Pires risponde:

«Non parlerei di sacrifici ma di sforzi. Ho lavorato sodo per uno scopo: la ricerca del mio mondo spirituale; la musica è il solo mezzo che ho per entrare in contatto con me stessa, qualcosa che va oltre il pubblico, il palcoscenico, la standing ovation; la musica è il confine tra il materiale e il soprannaturale, il linguaggio che mi aiuta a decifrare l’inconosciuto».

E più avanti:

«L’istruzione è l’unica risorsa che il genere umano ha per salvarsi. Ho sempre pensato che sia indispensabile investire nelle scuole, l’ho sentito come un dovere. Viviamo in un mondo sempre più materiale in cui i valori traballano, le tradizioni sono trascurate, la storia dimenticata, le arti relegate a una élite o strumentalizzate a fini commerciali. Dobbiamo aprire gli occhi e renderci conto che questo ci condurrà al disastro. Investire sulle scuole e sui bambini vuol dire lavorare per un mondo popolato da cittadini consapevoli».

E ancora:

Dobbiamo insegnare ai bambini a lavorare per la loro felicità prima che per il profitto. E ai giovani artisti, insegnare a trovare la libertà all’interno dei propri limiti. È un percorso spirituale, non materiale».

Una donna dai valori saldi, ma al tempo stesso capace di far fronte ad aspetti pratici della vita. Dicono che nella fattoria dove attualmente risiede, in Brasile, sappia fare anche dell' ottimo pane. Del resto, lei stessa ha dichiarato:

«Fare del buon pane e suonare bene è un po’ la stessa cosa».

Ed è bellissimo che il far musica sia paragonato all'offerta di un nutrimento cosi essenziale!

Allora ascoltiamola in un brano di Franz Schubert (1797 - 1828) che molti conosceranno magari per averlo suonato. Si tratta del celebre "Improvviso in Mi bemolle maggiore n.2 op.90 D 899": pezzo molto vario nel suo andamento, che si apre con una leggerissima fioritura di note, un andirivieni degno di un moto perpetuo, ma che va facendosi poi drammatico rivelando il tormentato mondo interiore del musicista. Un brano considerato talora dai contemporanei di Schubert come pezzo di puro intrattenimento o finalizzato solo allo studio e non all'attività concertistica, mentre in realtà ha un'intensità e un afflato romantico che vanno ben al di là del semplice esercizio.

Poichè in passato - qualche volta e indegnamente - ho tentato di suonicchiarlo, ho sempre ascoltato su youtube varie esecuzioni di questo Improvviso, senza trovarle però pienamente soddisfacenti: ora tecnicamente perfette ma troppo accademiche, ora buttate un po' là con sonorità a volte eccessive.
L' interpretazione di Maria
João Pires invece - a mio modesto avviso - da un lato riesce a tradurre la leggerezza in un soffio di note lieve come un respiro e, dall'altro, sa arricchire i passaggi più sonori con calibrata energia e profonda intensità drammatica.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)