martedì 30 giugno 2020

La Grivola

La "Grivola", m.3969, Massiccio del Gran Paradiso - (Foto presa dal web)
Primo pomeriggio di un giorno d'estate. 
La casa è immersa nel silenzio, ho schermato le finestre della mansarda per mantenere un minimo di frescura e guardo al computer le foto delle mie montagne, quelle in mezzo alle quali passo di solito le vacanze.

Quest'anno non sono ancora partita e, per quanto nei mesi scorsi lo abbia intensamente desiderato, ora che da giorni ormai i confini tra le regioni sono stati aperti e l'emergenza sanitaria sta diminuendo, stento a ingranare.
Sento che, prima di andar via, ho ancora bisogno di tempo, ma non si tratta della sindrome della capanna di cui hanno parlato esperti e psicologi. 
Benchè il virus non sia scomparso nè in Italia, nè tantomeno all'estero, la mia non è paura di uscire o ansia, e neppure bisogno di restare ancorata alle abitudini acquisite durante la quarantena. Anzi!
E allora? 
Allora forse dipende da questo periodo che tanti hanno definito "sospeso", con un'espressione un po' abusata ma in fondo vera. Siamo stati e siamo ancora pieni di interrogativi, in attesa che l'emergenza finisca, mentre in vacanza vorrei andare con l'animo libero, lontano da quella tensione oscura che mi strattona altrove impedendomi di vivere in pienezza il presente.
Qualcuno mi esorta a non preoccuparmi: saranno certo il silenzio e lo splendore delle mie montagne a risintonizzarmi con la pace che cerco. 
Ma io so che a farmi problema è anche lo scorrere del tempo che quest'anno - complice la pandemia - colgo con maggiore intensità, sensazione appunto non nuova che mi prende ogni volta che saliamo al mio paesetto. 

Mi accade proprio durante il viaggio. Quando, ormai verso la fine del percorso, si abbandona la pianura e dopo una serie di tornanti si entra in una vallata laterale, questa a un certo punto si stringe. Per qualche chilometro si sale ancora, poi a un tratto la strada scende e sembra inabissarsi in una forra, un cono d'ombra in mezzo a montagne alte e selvagge, mentre a lato scorre impetuoso il torrente. 
È allora che, alzando lo sguardo da quella profondità, stagliata nel cielo si scorge la Grivola con la sua forma a piramide, la punta sbreccata e il ghiacciaio che si apre a semicerchio come un teatro.

Ogni volta, arrivati a quel punto il cuore mi salta un battito perchè è lì che ho la sensazione tangibile del tempo che passa, inesorabilmente, quasi una voce mi dicesse: "Sei di nuovo qui, un altro anno è passato!" Ma se tornare può essere motivo di gioia, insieme avverto la corsa travolgente dei giorni e la percezione che il cuore non è pronto, come avessi lasciato dietro di me qualcosa di incompiuto prima di partire. E mi sento sospesa anch'io.
Il fatto è che ogni ritorno alla Bellezza - e uso volutamente la maiuscola - non può essere sbadato o distratto come capita per altre cose della vita. Non ci si può avvicinare a ciò che è sacro da turisti svagati o col cuore ingombro di pensieri, perchè lì è come se la natura - insieme alla sua - ci svelasse in modo ancor più manifesto anche la nostra sacralità.

Allora, per preparare il cuore, occorre un brano che ci conduca in alto dolcemente e senza strappi.
Così, oggi ho scelto il secondo movimento, "Largo", dal "Concerto in sol minore op.10 n.8" di Tomaso Albinoni (1671 - 1751), un pezzo che ci mette in sintonia con lo splendore in modo graduale, quasi le note ci prendessero per mano su di un sentiero tranquillo, dove il respiro non diventa affannoso e la contemplazione del paesaggio offre ristoro.
Nonostante il primo tempo del concerto sia in sol minore, il "Largo" si apre sulla luminosità del si bemolle maggiore. Ma bellissimo, a poche battute dall'inizio, il passaggio sulla dominante - fa maggiore - che ci regala il soffio di un'aria nuova, come se salissimo ad ammirare il panorama da un punto più alto.
Una musica che disegna paesaggi esteriori quindi, ma che sa accompagnarci anche per i tornanti del nostro cammino interiore.

Buon ascolto!

 

martedì 23 giugno 2020

Boogie-woogie???...

(Foto presa dal web)
Non è mia abitudine scrivere post di carattere celebrativo in occasione di particolari ricorrenze: mi sembrano a volte un po' forzati e formali. 
Inoltre - come chi mi legge avrà certo constatato - nella scelta degli argomenti e dei brani preferisco affidarmi alla spontaneità, saltando allegramente di palo in frasca per seguire l'impulso del momento.
 "Va' dove ti porta la musica" si potrebbe infatti intitolare questo blog, se volessi parafrasare il titolo di un famoso romanzo di Susanna Tamaro.

Del resto, se dei vari musicisti mi soffermassi a celebrare date di nascita o di morte, centenari, bicentenari e via dicendo, non mi basterebbe il calendario. Dovessi farlo però, inizierei da Bach col quale - lo sapevate? - condivido gioiosamente il mese di nascita! E a dire il vero non soltanto con lui, ma anche con Vivaldi, Haydn, Chopin, Smetana, Rimsky-Korsakov, Ravel e Piazzolla solo per citarne alcuni!
"Ma che?...Sei andata a cercare le date di tutti e inalberi queste coincidenze come un blasone di nobiltà???" - sento qualche vocetta un po' sconcertata. 
Perchè no???...Con alcuni compositori condivido addirittura giorno di nascita e segno zodiacale - vorrà pur dire qualcosa! - senza contare poi che ci sono quei musicisti che a marzo, invece di nascere, sono passati a miglior vita.

È tra questi ultimi che figura nientemeno che Ludwig van Beethoven e - a parte gli scherzi - proprio per lui oggi ho deciso di fare un'eccezione scrivendo un post celebrativo. I motivi sono due.
Il primo è appunto un anniversario: ricorrono nel 2020 i duecentocinquant' anni dalla nascita del compositore, venuto alla luce esattamente il 16 dicembre 1770 e morto il 26 marzo 1827. Ma il secondo motivo è musicalmente più goloso e accattivante. Per gli esperti non sarà certo una novità, ma per me che esperta non sono è stata una sorprendente e magnifica scoperta. Mi spiego.

Lo sapevate che è Beethoven l'inventore del boogie-woogie? E in qualche modo anche del jazz e del ragtime?
Ebbene, se per caso avete qualche dubbio, ve ne convincerete subito dopo aver ascoltato il brano di oggi che riporta alcuni passaggi dal secondo movimento della "Sonata per pianoforte in do minore n.32 op.111".  
Si tratta dell'ultima delle sue sonate, scritta in quella fase finale del suo itinerario compositivo, in cui dalle note emergono suggestioni e ritmi nuovi rispetto al passato classico-romantico in cui la sua musica s'inquadra. Suggestioni e sonorità che, se non hanno sempre ricevuto il plauso dei contemporanei del musicista - convinti talora che quel magma di suoni fosse incomprensibile e frutto della sua sordità - sono state invece apprezzate in seguito come vertiginose anticipazioni del futuro.

Se già è straordinario il fatto che il compositore abbia costruito armonie facendole riecheggiare soltanto nella sua mente senza poterne ascoltare il suono, ancor più unica è - nel suo caso - la conseguenza della sordità. 
Forse proprio questa, infatti, gli ha concesso una più profonda sensibilità insieme al bisogno di dare libero sfogo alla propria anima, facendone sgorgare ritmi e accordi al di là delle regole compositive della sua epoca. 
Del resto, intuizioni del futuro e sfaccettature innovative si ritrovano anche in altri lavori dell'ultima produzione beethoveniana, dalla mirabile "Sonata op.106" - che potete ritrovare qui - ad alcuni Quartetti. Ma veniamo al brano.

Il secondo tempo della Sonata da cui il pezzo di oggi è tratto porta l'indicazione di "Arietta - Adagio molto semplice e cantabile" e si sviluppa come un tema con variazioni. Inizia lento, simile a una ninna-nanna dolce e malinconica, di seguito un poco più animata, per culminare poi in una sezione molto accesa e tornare infine a un andamento più tranquillo in cui il tema viene riesposto con delicatezza di trilli e cromatismi.
Si tratta di un brano che meriterebbe ben più ampio spazio di considerazioni. 
Ma quello che mi interessa sottolineare qui oggi è il passaggio dalla seconda alla terza variazione dove, sul tempo di 12/32, inizia una serie di arpeggi dal ritmo puntato che suonano come vere e proprie anticipazioni jazzistiche. Certo è la velocità, ma sono soprattutto gli accenti e l'andamento sincopato che ce lo dicono, riportandoci - ascoltare per credere! - al ragtime di Scott Joplin, allo swing o alla scatenata vivacità del boogie-woogie. 
Un Beethoven quanto mai versatile, in cui avvertiamo tutta la conoscenza del passato rielaborata con prodigiosa spregiudicatezza e libertà creativa, soprattutto se pensiamo che la "Sonata op.111" è del 1822, in largo anticipo quindi sui generi musicali citati che nasceranno tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, peraltro non in ambito europeo.
Insomma, un grandioso "Va' dove ti porta la musica" questo di Beethoven, ricco di tempestosa e potente energia, a dispetto della totale sordità o forse - chi lo sa?! - proprio per questa!!!
 
Nella clip-audio trovate le battute finali della seconda variazione e poi - a 0.29 dall'inizio - il passaggio alla terza che ci conduce in maniera marcata ed inequivocabile alla ritmica del jazz. Se invece volete ascoltare l'intero secondo tempo della Sonata per avere una visione d'insieme del suo sviluppo, eccovi il link: https://www.youtube.com/watch?v=4JojN1ffvSE.

Buon ascolto!

martedì 16 giugno 2020

Donne col libro - 6

C.V.Holsøe: "Asleep" - coll. privata (foto presa dal web)





















È la terza volta che, in queste mie brevi divagazioni tra i pittori, torno al danese Carl Vilhelm Holsøe (1863 - 1935), ma tra le varie rappresentazioni di donne col libro, non volevo tralasciare il dipinto che vedete, a mio avviso incantevole sia per il fascino dello stile che per una certa sua singolarità.
Si tratta di un'opera intitolata "Asleep" - Addormentata - e se non rischiassi di essere banale, oserei dire bella addormentata, tale è la pacata dolcezza di quest'immagine che rappresenta così bene il riposo.

Il dipinto raffigura infatti una donna giovane - o così a me pare - che sta dormendo, scivolata nel sonno mentre stava leggendo, e lo dimostra quel libro ancora aperto, abbandonato nelle sue mani.
Una rappresentazione di estremo fascino e per la semplicità dell'ambiente - la parete spoglia, pochi oggetti sul comodino e due sole tinte a far da contrasto al chiaro che campeggia al centro del quadro - e per i larghi tratti di pennello che si allontanano un po' da altre opere di Holsøe dal disegno più minuzioso e definito.
Una semplicità che - come osservavo in passato - diventa sinonimo di eleganza e lo cogliamo da svariati particolari: la nitidissima ampolla piena d'acqua col bicchiere, e il pizzo che orna il polsino della camicia da notte della donna dal tessuto finissimo, che ha insieme la lucentezza della seta e la levità dell'organza.

Ma la suggestione più forte, a mio avviso, viene dalla luce sulla parete chiara, dello stesso colore del cuscino, del lenzuolo, della camicia da notte e delle pagine del libro che la donna ha in mano. 
Bianco???...Sì e no, perchè in realtà è una tinta variegata, fatta di tanti colori in cui, nelle larghe pennellate che talora sembrano intersecarsi, si mescolano bianco e grigio, azzurro e rosa, a sottolineare ombre e riflessi nelle pieghe della stoffa e a costruirne lo spessore. 
Bellissimo, a questo riguardo, anche il cuscino che, tra luce e penombra, accoglie con la sua morbidezza la testa della donna. Ci consente infatti di percepire quasi fisicamente il suo abbandonarsi a quella profondità del sonno che avvolge i sensi e ne prende gradatamente possesso.

Un riposo sereno o vagamente accorato? 
Sul suo viso che a me pare di un'incantevole soavità, quasi in sotterranea armonia con la trasparenza dell'acqua e il bianco circostante, possiamo cogliere pace e insieme sfinimento, quiete ma forse anche il velo di una sottile, recondita angoscia che va dolcemente placandosi.
  
Certo, per comprenderne meglio lo stato d'animo, dovremmo tornare al libro, ma non sappiamo che cosa la donna stesse leggendo e le nostre possono essere solo ipotesi.
Non sembra un libro nuovo: forse un diario, o un testo letto e sfogliato più volte. Ci sono storie alle quali si ritorna di tanto in tanto per lasciarsene portar via: descrizioni o intrecci che ci prendono per mano immergendoci non solo con la mente e col cuore, ma con tutti i sensi in un'atmosfera che all'improvviso scopriamo profondamente nostra. La lettura, infatti, ci riporta ad un angolo segreto del cuore ed è bello che ciò accada nei momenti che preludono al sonno, come nel dipinto riportato. 
Forse in quel libro la donna ha cercato consolazione, forse ricordi, lontane suggestioni o forse ancora vi ha trovato una pacificante sintonia, come quando un testo rivela magicamente noi a noi stessi. E mi piace immaginare che quelle pagine si siano inoltrate nel suo vissuto magari sofferto, andando a lenire stanchezza o angoscia e consentendole un riposo più sereno.

Così, a questa immagine di soave abbandono ho associato la musica di Piotr Ilic Tchaikovsky (1840 - 1893). Quello che ho scelto, tuttavia, non è un brano da  "La bella addormentata" come avevo pensato all'inizio, ma dalla "Sinfonia n.6 in si minore op.74", la celebre "Patetica".
Si tratta della prima parte del quarto movimento, "Adagio lamentoso - Andante", un pezzo che, per il suo procedere lento e la malinconia che lo caratterizza, è stato talora definito funereo e considerato quasi un presagio della morte del compositore. 
Tuttavia, al di là di questo, quella che vi avverto è un' atmosfera onirica che sembra affiorare dall'inconscio, insieme a una grande intensità orchestrale che si allarga progressivamente in ondate di commozione che ci accompagnano sempre più forti e struggenti. Sensazioni che forse solo il sonno e il sogno sanno farci vivere, ma che queste note riescono ad ampliare e a restituirci ora in passaggi lenti e angosciosi, ora in tratti in cui la musica sale invece con impeto e straordinaria potenza evocativa. 
  
Buon ascolto!
(Potete trovare qui la seconda parte del brano: https://www.youtube.com/watch?v=nmxrRJfdmxI )

lunedì 8 giugno 2020

Nuvolaglia

(Foto prese dal web)
Guardo la nuvolaglia del mattino, rimasta in cielo dopo il temporale.
Promette o inganna? 
Dà speranza o prelude a nuove minacce? 
Segna la fine della tempesta o è soltanto un'illusione?
Chissà!...
Anima però i tratti del paesaggio, consentendoci di coglierne aspetti grandi e piccoli, la vastità insieme a certi dettagli della sua bellezza che diversamente passerebbero inosservati. E anche questo è vita.

La nuvolaglia si specchia nelle pozzanghere, apre inusitati sprazzi di azzurro, sveglia più nitidi i colori, ricordando i cieli che si vedono in prossimità dell'oceano. E non importa se magari da noi il mare non c'è, perchè disegna prospettive sognanti, ci invita ad alzare gli occhi ed evoca i poeti: "...Nuvole in viaggio, chiari/reami di lassù! D'alti eldoradi/malchiuse porte!...".

A.Mantegna: "Adorazione dei pastori" (part.)
La nuvolaglia spalanca l'orizzonte, restituisce profondità, respiro e insegna a guardare lontano, regalandoci la percezione che la vita è immensa e non finisce dove arriva il nostro sguardo. Sollecita l'immaginazione, la fantasia, il cuore, ma ci conduce anche alle soglie di un ignoto che non conosciamo. 
E questo può far paura.

V.Van Gogh: "Campo di grano con cipressi"
La nuvolaglia è volubile, inquieta, pronta ad aprirsi al più luminoso azzurro, ma anche a rabbuiarsi improvvisa o a sfrangiarsi al primo refolo di vento. Ci regala così paesaggi più che mai marezzati di ombre e di luci, angoli cupi come repentini malumori e riflessi di sole che covano speranze.
Ma insieme ci porta a scoprire i tratti più riposti di un panorama: casette in mezzo alla boscaglia o addossate a un pendio, grigi profili di colline lontane, mentre emergono sorprendenti sfumature di giallo e di verde in mezzo ai prati.

Masolino: "Il miracolo della neve" (part.)
La nuvolaglia ricorda le prospettive di pittori antichi e moderni. 
Talora ci conduce fra cieli d'oro o di cobalto percorsi da nubi fiabesche, simili a misteriose presenze extraterrestri. 
Ma insieme ci riporta alla mente l'affascinante leggerezza delle atmosfere di Constable o le nuvole corpose e avvolgenti di Van Gogh, fantasiose figure che sembrano ghermirci, riassorbendoci nel quadro quasi anche noi ne fossimo parte.

C.Monet: "Il bacino di Argenteuil"
Corre veloce nel vento la nuvolaglia, come in un dipinto di Monet: a volte impeto gioioso che ci fa tendere al lontano orizzonte, ma talora pungente e recondito desiderio di casa, quasi che gli elementi della natura sapessero parlarci nel profondo, rivelandoci chi siamo e dove stiamo andando.
Evocano infatti - quelle nuvole - mille vite non vissute, remoti luoghi della nostra infanzia, scenari perduti o magari soltanto sognati, e forse per questo ancor più veri di quelli reali.
   
J.Constable: "Cloud Study"
La nuvolaglia è simile a un cuore inquieto, a una preoccupazione che rode segreta, ma dopo il temporale fa nuovo il paesaggio, turbinosa e animata come le note di un concerto di Rachmaninov.
Ed è proprio un famoso brano del compositore russo che ho scelto da associare a queste immagini: il primo movimento - "Moderato" - dal suo "Concerto in do minore n.2 op.18 per pianoforte e orchestra".
Si tratta infatti di una pagina molto conosciuta, percorsa da una vibrante passionalità tardo-romantica che si dispiega nel susseguirsi e nell'intrecciarsi dei due temi: il primo energico e maestoso ma in tonalità minore - il do appunto - e il secondo più dolcemente sfumato nella relativa maggiore, il mi bemolle.

Il pezzo si apre con accordi iniziali di grande drammaticità e, al contrario di ciò che ci si potrebbe aspettare, il tema è annunciato dall'orchestra mentre l'accompagnamento è affidato agli arpeggi del pianoforte.
Subito dopo tuttavia, lo strumento assume via via un ruolo preponderante fino a diventare protagonista assoluto, anche per la scrittura irta di difficoltà tecniche, lirica e virtuosistica insieme. 
Un brano in cui le note attraversano una ricca gamma di emozioni, ora tempestose, ora pervase da struggente malinconia, ora aperte a sprazzi di luminosità. Note che ci offrono un paesaggio musicale movimentato e mutevole, proprio come nuvole portate dal vento che animano il cielo dopo un temporale.
 
Buon ascolto!