venerdì 30 dicembre 2022

"Insieme, senza saperlo"

Non so se il vago chiarore del cielo, nella foto qui accanto, sia quello di un tramonto oppure il primo baluginare di luce dell'alba.
So che questa immagine presa dal web mi è piaciuta subito per la grande intimità che ci regala, l'incanto della neve e la suggestione del silenzio che avvertiamo come se per quel sentiero bianco ci potessimo incamminare piano, in totale solitudine. Solo il suono ovattato dei nostri passi, forse un lieve refolo di vento o forse neppure quello a turbare la magica immobilità del paesaggio, la piena immersione nel respiro rigenerante della natura. E in fondo al sentiero, l'albero illuminato a segnare la direzione, a ricordare il Natale, sottolineando la bellezza circostante e aprendo intorno squarci di ombre e di sogno.

La foto mi richiama alla mente l'incipit di un meraviglioso e celebre racconto di Dino Buzzati intitolato "Inviti superflui". Lo scrittore vi descrive le stagioni di una storia d'amore forse finita, i tratti di un ricordo che, se pure in lui vive ancora intenso, non trova però il medesimo riscontro nella donna amata. Ma al di là della vicenda venata di una vaga amarezza che nel racconto possiamo poi intuire, qui mi basta riportare solo il brano d'inizio per la sua suggestione onirica, i suoi accenti di toccante poesia e la sua atmosfera da fiaba: 

"Vorrei che tu venissi da me una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi, per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento." 

Al di là della solitudine delle strade buie e gelate, le parole di Buzzati sono ricche di grande calore mentre disegnano i tratti di una tana protettiva in cui trovare rifugio sull'onda dei ricordi. Ci riportano infatti a un mondo lontano nel tempo e forse anche nello spazio, un mondo misterioso e fatato come quello dei bambini che tutti siamo stati: una suggestione nella quale ritrovare la parte più segreta di noi stessi lasciando che affiori con antico stupore.
Ma l'espressione più magica del brano mi pare quell' insieme senza saperlo che lo
scrittore torna a ripetere quasi esistesse una bellezza, un paradiso terrestre, una favola che tutti abbiamo vissuto e poi dimenticato, una sorta di archetipo che ci portiamo dentro e che ricompare ogni tanto qua e là, per improvvisi sprazzi di luce. Segno di una vita che tesse trame segrete spesso al di là della nostra fantasia e che solo chi ha l'animo di poeta - come in questo caso Buzzati - sa cogliere e rivelare.

Mi fermo qui. Mi piace arrivare a fine anno così, senza clamore, ma con questa immagine ricca di intimità e di un calore ancora natalizio. Del resto, quante cose può evocare una semplice foto invernale con gli abeti carichi di neve, il cielo che si tinge di rosa, il buio e il silenzio...
Allora, insieme agli auguri per il tempo che verrà, vi regalo un brano di Arcangelo Corelli (1653 - 1713)
: il mirabile "Adagio - Allegro - Adagio" del Concerto grosso op.6 n.8 "Per la notte di Natale". Si tratta di un pezzo che - a dire il vero - ho già pubblicato nientemeno che undici anni fa...ma trovo che il suo splendore si armonizzi bene sia con la foto del paesaggio innevato che con le magiche parole del racconto di Buzzati.
Come si vede dall'indicazione, tre sono le sezioni in cui si articola questo
movimento del Concerto: la prima e la terza simili nella loro lenta e struggente dolcezza, mentre quella centrale è più vivace e animata sul piano ritmico, quasi preannunziasse una trepida gioia da gustare poi in soavissima quiete.

Buon ascolto e Buon Anno! 

 

domenica 25 dicembre 2022

Buon Natale!!!

 

 

 















 

 

 

Hans Memling (1430 - 1494) : "La Natività" - Colonia, Wallraf Richartz Museum.

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) : "Oratorio di Natale BWV 248" - "Sinfonia".

martedì 20 dicembre 2022

Piccole storie di fiori

Vi ricordate la mia azalea, inclito dono del consorte per il mio compleanno?
Ne avevo scritto qui mesi fa, parlando
del mio impegno per farla sopravvivere una volta sfiorita, spostandola di stanza in stanza o di balcone in balcone per darle temperatura e luce giusta ad ogni ora.

Insomma, grata per la mia costante attenzione, la pianta è sopravvissuta, superando per di più un'estate non facile. Ammetto che a questo avrà contribuito anche la musica di Rossini -  il "Passo a sei" dal Guglielmo Tell - che a suo tempo le avevo dedicato. Ma le mie cure, insieme a quelle della vicina di casa alla quale l'avevo affidata durante le vacanze, sono state fondamentali.

Bene. Iniziato settembre e ricollocata in mansarda, la pianta, per quanto rigogliosa, non ha dato luogo ad altre fioriture, ma neppure ha iniziato a perdere le foglie o ad appassire. È rimasta per mesi sotto la finestra più luminosa della stanza in una situazione di apparente stand by, impassibile.
Di solito, è mio marito a bagnare i fiori sistemati lì; a volte però, se
le sue innaffiature mi sembrano scarse, intervengo io con una razione in più, col risultato che - dopo un po' - abbiamo dovuto accordarci per evitare che la pianta rischiasse di annegare per eccesso di cure.
A dire il vero però, l'azalea non ne ha risentito. È rimasta sempre uguale a se
stessa, oserei dire ingessata in una sorta di letargo, se non temessi di offenderla. Ogni tanto mi chiedevo quando si sarebbe risvegliata, ma pensavo che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe stato a primavera.

Invece, a dicembre inoltrato, è accaduto il prodigio.
Un giorno, nel mio consueto andirivieni, passandole accanto ho notato piccoli
getti, minuscoli germogli chiari un po' ovunque due dei quali, già semiaperti, andavano colorandosi di rosa...Potete immaginare la mia sorpresa: l'azalea mi sta rifiorendo in pieno inverno! Proprio per Natale! Evviva!
Subito una vocetta interiore mi ha ricordato che Natale non cade in pieno inverno
non siamo neanche al solstizio, ma non ho lasciato che il mio entusiasmo sfumasse per così poco perchè Natale e l'inverno non sono semplici date sul calendario, ma tempi del cuore, e se la mia piantina si è risvegliata ora è stato proprio per farmi un regalo.

Naturalmente ho dato il lieto annunzio ai quattro venti sentendomi un po' come mia mamma quando comunicava festante alle amiche che le era fiorita la clivia. Poi, per capirci qualcosa, sono andata a consultare i sacri testi di giardinaggio e la scoperta eclatante è stata che, nel nostro modo di curarla, avevamo sbagliato tutto: temperatura, innaffiature, posizione ed esposizione, tutto! Doveva stare lontana da fonti di calore e invece era accanto a un termosifone, non doveva prendere sole diretto e dalla finestra più vicina al mattino entrava proprio il sole: insomma, peggio di così...
Ma è rifiorita ugualmente!!! Eccola nella foto, è proprio lei! E oltre ai due già
aperti, ci sono tanti altri fiorellini in boccio: li vedete, vero???

Bene. Da questa piccola storia potrei forse trarre una morale natalizia secondo la quale non dovremmo mai abbandonare la speranza anche quando una situazione sembra difficile e magari ci capita pure di sbagliare.
Gli antichi Greci, per concludere, avrebbero scritto "o μύθος δελοι οτι..." : la favola
insegna che...Solo che questa non è una favola, ma una storia vera, piccola come le tante storie quotidiane che ci accadono o ci passano accanto. Allora lascio che a ricavarne un senso sia chi legge, ognuno a suo modo come meglio crede.

Io mi limito ad aggiungere la musica con un brano che, alla fine di un anno così travagliato, possa suonare rasserenante a somiglianza di una fioritura inattesa e al tempo stesso ci introduca alle festività natalizie.
Si tratta del "Preludio" che apre il celebre "Oratorio di Natale op.12" di Camille Saint-Saëns (1835 - 1921)
, pezzo che, nelle intenzioni del compositore, ha il suo riferimento ideale in Bach e nel suo stile. È infatti una pastorale col tempo di 12/8 che, per certi aspetti, può ricordare la "Sinfonia" dell'Oratorio di Natale bachiano che mi riservo di pubblicare qui tra non molto.
Tuttavia, la morbidezza e il timbro orchestrale ravvisabili in questo Preludio e soprattutto nei
movimenti successivi, hanno già quell'afflato romantico tipico del periodo in cui Saint-Saëns scrive. Ce lo suggerisce l'introduzione iniziale dell'organo che ci fa immaginare anche l'eco di una zampogna, seguita  dall'attacco degli archi con la sua mirabile apertura.
Un brano ricco di serenità e una punta di malinconia, dove il disegno ritmico del tema, con le sue ripetizioni, è simile a una soave ninna nanna.

Buon ascolto!

 

martedì 13 dicembre 2022

Stanze - 12

E. Hopper (1882 - 1967) "Stanze sul mare" Yale University Art Gallery, New Heaven.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Giunta alla fine della carrellata di stanze che ha caratterizzato alcune mie scelte di quest'anno, per la dodicesima lascio la parola a un grande. 
Si tratta del Maestro Ezio Bosso (1971 - 2020), del quale riporto alcune considerazioni di vita vissuta, talora anche crude nella loro verità, che offro a chi legge insieme alle note di un brano tratto dal primo album di pianoforte solo del compositore, intitolato "The 12th Room".
 
“Si dice che la vita sia composta da 12 stanze. 12 stanze in cui lasceremo qualcosa di noi, che ci ricorderanno. 12 le stanze che ricorderemo quando saremo arrivati all’ultima. Nessuno può ricordare la prima stanza dove è stato, ma pare che questo accada nell’ultima che raggiungeremo. 
Stanza significa fermarsi, ma significa anche affermarsi. La "libertà che riprende stanza" è un modo dire. Quando abbiamo trovato finalmente un posto dove fermarci abbiamo inventato le stanze. E gli abbiamo dato nomi, numeri e significati. La stanza dei giochi. La stanza della musica. Le stanze della memoria. Sono infinite le stanze. Ma non ci pensiamo mai. Sono così comuni nella nostra vita che le releghiamo ad essere vane chiamandole vani. Poi ci sono le stanze con un carattere. Le stanze della gioia o del dolore. E stanze in cui rifugiarsi e quelle in cui recludersi. Per ogni stanza che percorriamo apriremo una porta che ci porterà dentro e fuori da esse. Le stanze sono vuote o piene e siamo noi a deciderlo. Come se le nutrissimo.

Ho dovuto percorre stanze immaginarie, per necessità. Perché nella mia vita ho dei momenti in cui entro in una stanza che non mi è molto simpatica detto sinceramente. E’ una stanza in cui mi ritrovo bloccato per lunghi periodi, una stanza che diventa buia, piccolissima eppure immensa e impossibile da percorrere. Nei periodi in cui sono lì ho dei momenti dove mi sembra che non ne uscirò mai. A volte si trova in un ospedale a volte a casa ma diventa sempre la stessa stanza. E’ una stanza talmente buia che anche gli affetti fanno fatica ad entrarci. Lo avverto, me lo hanno detto.
Ma anche lei mi ha regalato qualcosa, mi ha incuriosito, mi ha ricordato la mia
fortuna. Mi
ha fatto giocare con lei, mi ha fatto cercare il significato di stanza, mi ha fatto incontrare storie di stanze. E delle stanze dentro al lavoro degli uomini. Che ne condizionano le scelte o ispirano loro malgrado. Quasi tutte le creazioni dell’uomo avvengono in una stanza. Che la vita quindi non è un tempo ma uno spazio. Infinito. E mi ha fatto ridisegnare il concetto di stanza. 

La mia stanza antipatica mi ha insegnato che Chopin scrisse i suoi Preludi dopo che avevano bruciato la sua stanza a Mallorca, che Cage compose stanze, che Bach fu il primo compositore ufficiale di stanze. Lo sapevate che le canzoni prima si chiamavano stanze? Si, perché la stanza è anche una poesia. E poi che Orfeo entrò nelle stanze infernali per fare il patto, che Rachmaninov si chiuse in una stanza e ne uscì suonando un brano di Sgambati su Orfeo e altro ancora. E così ho imparato a inventare stanze da percorrere e mi ha dato la possibilità di scrivere queste 12 stanze nascoste, di costruirle. Mi ha fatto diventare oltre che compositore meteorologo, compositore pneumologo o compositore oceanografo anche un compositore carpentiere”.

Spazi concreti dunque quelli di Bosso, legati ai vari momenti della sua vita, ma al tempo stesso fonti di ispirazione, sogni che salvano, luoghi dell'anima che qui mi piace associare al celebre dipinto di Edward Hopper (1882 - 1967) intitolato "Stanze sul mare".
L'immagine rappresentata è interno ed esterno insieme, ma non vediamo
compiutamente nè l'uno, nè l'altro, presi da quella parete chiara dall'ombra obliqua che funge da elemento di passaggio: una geometria di linee e piani aperti verso uno spazio più ampio, che tuttavia per certi aspetti mi pare inverosimile. I biografi dell'artista dicono che si tratti del panorama che il pittore aveva dal suo studio...Ma l'apertura che sovrasta le onde un po' increspate di quel blu tipico del mare aperto, fa quasi immaginare che non ci si trovi in una casa ma in viaggio su di una nave.
Per questo, più che uno spazio concreto, il dipinto mi sembra rappresenti un luogo dell'anima dove - se pure le stanze sono soleggiate - il vuoto e la solitudine,
accentuati da linee di cui non vediamo la fine, comunicano una sensazione straniante. E il fatto che non vi siano figure umane m'induce a pensare che protagonista sia proprio chi guarda, condividendo la condizione esistenziale che l'immagine suggerisce: l'attesa di un passaggio da un interno a un esterno, e la presenza di un varco che oltrepassi il limite tra realtà e sogno, finito e infinito.

Proprio sulla suggestione che il dipinto mi offre, per passare alla musica ho scelto il brano di Ezio Bosso che apre l'album "The 12th Room" e che mi sembra significativo perchè ci conduce fuori dalla stanza. S'intitola infatti "Following a Bird" (Out the Room).
Qui il compositore si fa anima libera seguendo il volo di un uccello,
dal primo timido battito d'ali fino a quando si dispiega in alto con sicurezza.
A tradurre questo movimento in note è un suono prima sommesso,
luminoso, straordinariamente puro, che ora si carica di energia e ora sfuma in alcuni splendidi pianissimo, poi sempre più martellante e concitato fino a quando sembra di nuovo dissolversi.
Sono pause, dissonanze e ripetizioni che disegnano un percorso, una sorta di parabola
musicale di un'anima che prende il volo. È la sensazione di libertà sconfinata di chi dal chiuso di una stanza esce all'aperto, simile alla suggestione del mare dipinto da Hopper. Ma insieme a questa, è la straniante percezione di ignoto che qui ci comunica la tonalità di re minore e che Bosso fa risuonare ancora più intensa nella Sinfonia n.1 "Oceans".

Buon ascolto! 

(La foto è presa dal web)


mercoledì 7 dicembre 2022

Johannes è un bravo ragazzo...

Era in paziente lista di attesa da parecchi giorni il brano di oggi, perchè cercavo il momento più propizio per riascoltarlo con calma, lasciandomi pervadere da tutta la sua suggestione.
A dire il vero dovrei parlare al plurale
perchè, benchè presi dalla stessa composizione, in realtà i brani sono due: il primo e l'ultimo movimento delle "Variazioni su di un tema di Haydn op.56a" di Johannes Brahms (1833 - 1897).

Mi hanno sempre affascinato i temi con variazioni e ne ho già parlato parecchi anni fa proprio qui, ragion per cui non mi dilungo. Mi limito però a ricordare che i vari autori sono partiti talora da spunti musicali anche molto semplici, riuscendo a sviscerarne ogni possibilità melodica, ritmica o timbrica, facendone affiorare dimensioni nascoste o esasperandone altre alla luce di una sensibilità nuova o di un contesto culturale differente.

Numerosi sono i musicisti che hanno scritto variazioni su opere di altri autori e lo stesso Brahms ne ha composte diverse anche su temi di Haendel, Schumann e Paganini. Del pezzo di oggi ho scelto di non riportare l'intera successione dei movimenti - che potete invece trovare in questo link - ma come scrivevo sopra, solo il primo e l'ultimo, la partenza e l'arrivo, semplice l'una, grandioso e complesso l'altro com' è tipico di tanta musica di Brahms.

Il primo è la riproposizione di un antico tema conosciuto come "Corale di Sant'Antonio", secondo tempo di un "Divertimento in Si bemolle maggiore" attribuito ad Haydn ma forse dell'allievo ignaz Pleyel o di autore proprio ignoto. In effetti all'epoca il nome di Haydn, già celebre, veniva talora riportato dagli editori anche su partiture non sue, perchè le vendite fossero assicurate.
La melodia originaria per strumenti a fiato, semplice ma cadenzata e solenne, può
ricordare un canto di pellegrini in processione e ci c'introduce in un'atmosfera di sacralità. Brahms la rielabora facendone in un primo momento un pezzo per due pianoforti e successivamente un brano per orchestra, ampliando l'organico del Corale e aggiungendo gli archi. Nelle otto variazioni, il compositore dà inoltre prova della propria abilità nell'usare forme del passato come il contrappunto o il siciliano che troviamo - solo per fare qualche esempio - in Bach e in Mozart.

Il Finale che poi vi propongo è un Andante che, nonostante si apra su toni lenti e intensi, sale subito verso un culmine di straordinaria grandiosità, preludio all'ampio respiro delle Sinfonie che Brahms comporrà di lì a poco.
Il tema vi affiora prima con i fiati e poi esplode gioioso e potente con l'intera
orchestra, aprendo l'originario Corale ad una maestosità nuova: dall'antica semplicità ad una costruzione davvero imponente, dove dolcezza ed energia si fondono in una sorta di oceano sconfinato. Bellissimo.

Ma il motivo per cui questa composizione mi ha colpito è anche un altro. Ascoltando e riascoltando il primo brano, la melodia mi suggerisce alcuni riferimenti che probabilmente molti di voi avranno già colto. A parte qualche passaggio intermedio che qua e là riecheggia la Marcia nuziale di Mendelssohn, il tema principale mi rimanda al celebre  "Sanctus"  della "Deutsche Messe D872" di Schubert, e poi alla parte conclusiva del poema sinfonico "Les préludes" di Liszt (il tema d'amore, qui a partire da 12.10 dall'inizio del video). Ma non manca Beethoven con il brano orchestrale intitolato "La vittoria di Wellington"  (in particolare la Marcia Marlborough a 1.53 dall'inizio).

Certo, modi differenti di coniugare un tema dettati dal contesto più romantico o più marziale, dal genere di composizione sacra o profana e dalla sensibilità del musicista. Somiglianze che a volte ritroviamo nella vera e propria melodia, altre volte nell'impianto accordale. Ma non è finita qui.
Tutti questi pezzi me ne ricordano un altro, una sorta di ritornello divenuto celebre in
varie lingue. Se vi dico che l'avrete sentito in alcuni filmetti americani canticchiato alle feste di compleanno - "Perchè è un bravo ragazzo, perchè è un bravo ragazzo..." - lo ricorderete subito, ma penserete anche che in questo momento Johannes Brahms si stia rivoltando nella tomba.

E invece io dico di no perchè la canzoncina - che non riporto, tanto la sapete - è tutt'altro che americana. Nasce in Europa nientemeno che agli inizi del Settecento o forse ancor prima da un antico ritornello. In origine ne esistevano due versioni, una francese e una inglese che, sia pure in modi differenti, facevano riferimento al duca di Malborough - il bravo ragazzo, appunto - e alle sue imprese militari. Ma ben presto è diventata un motivetto molto popolare che ha poi girato il mondo e al quale talora sono state adattate parole diverse.
Ebbene, che non sia questo ritornello - coniugato ora in ambito sacro, ora profano - il vero
tema all'origine delle musiche che vi ho proposto oggi???

Lascio l'interrogativo in sospeso, con buona pace di Johannes Brahms. Intanto godetevi i due pezzi riportati e, se aprite il link con il brano completo, non lasciatevi sfuggire la Variazione n.7 ("Grazioso"), dal dolcissimo ritmo di siciliano. Il nostro amico Johannes - bravo ragazzo anche lui - sarà contento.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

 

mercoledì 30 novembre 2022

Modernità di un ritratto

Leggo sul web la notizia che a Milano, all'ultimo piano della Torre PwC nel quartiere CityLife, è stato esposto al pubblico - e lo sarà ancora nei prossimi giorni - un celebre dipinto di Sandro Botticelli (1445 - 1510) : il "Ritratto di Giuliano de' Medici", proveniente dall'Accademia Carrara di Bergamo.
La mostra, intitolata appunto "Sguardi dalla Torre - Botticelli", consente di ammirare il capolavoro rinascimentale inserito qui in una cornice di arte contemporanea com' è appunto il grattacielo progettato da Daniel Libeskind.
Non so se potrò
visitarla, ma colgo l'occasione per soffermarmi su di un ritratto che ha spesso attirato la mia attenzione per la sua straordinaria modernità. 

Il dipinto è stato realizzato tra il 1478 e il 1480, probabilmente dopo la morte di Giuliano de' Medici ucciso nel corso della Congiura dei Pazzi e, oltre a questa, ne esistono altre due versioni in parte differenti e di incerta attribuzione, conservate l'una a Berlino e l'altra a Washington.
A colpirmi è la grande semplicità dell'opera che vedete, nitida e già moderna per
la sua epoca nel tratto disadorno e sottile, nelle ordinate campiture di colore e nella sua essenzialità spoglia ma elegantissima, capace di cogliere l'interiorità del protagonista rendendola viva.
Botticelli vi ha raffigurato Giuliano leggermente di tre quarti, gli occhi bassi
dall'espressione un po' altera o forse triste e pensosa, come di persona compresa in se stessa. Il suo capo è stagliato sul fondo azzurrino di un'apertura squadrata totalmente priva di ornamenti, dalla quale non si scorge alcun segno di paesaggio; altrettanto spoglio e severo è l'abbigliamento dell'uomo, una sorta di guarnacca rosso scuro fitta di pieghe che ritroviamo anche nelle opere del Mantegna e di Antonello da Messina.

Il dipinto, infatti, per alcuni caratteri iconografici, può ricordare certa ritrattistica coeva, ma qui mi pare che il Botticelli, rispetto ai suoi contemporanei, esalti maggiormente i valori di superficie, tanto che la testa di Giuliano sembra quasi intarsiata sullo sfondo. Inoltre, la linea che individua il profilo e i capelli ha un che di nervoso, una sorta di sinuosità angolosa, se mi si passa quest'espressione un po' contraddittoria. Ma ciò non turba l'aura dignitosa e solenne del ritratto.

Una rappresentazione di rara efficacia che non sarei lontana dal pensare possa aver ispirato anche artisti del Novecento.
Mi rendo conto che il mio è un riferimento azzardato, ma
ogni volta che vedo la bellissima "Maternità" realizzata da Gino Severini nel 1916 riportata qui a lato, non riesco a non pensare che, per qualche aspetto, l'artista possa essersi ispirato proprio al ritratto del Botticelli.
Il riferimento potrebbe non essere frutto di una chiara
consapevolezza da parte di Severini, ma solo un ricordo emerso dal passato, cultura che un giorno si è sedimentata in lui per tornar poi a rifiorire liberamente.
Qui, infatti, il tratto è più morbido, ricco di
plasticismo e di luce, così come differente è l'espressione nel viso della donna. Tuttavia, la linea nitida e pulita, lo sfondo spoglio e la scura chioma di capelli mi suggeriscono tale richiamo testimoniando - tra l'altro - il ritorno dell'artista alla tradizione figurativa del passato dopo l'adesione al Futurismo.

E per passare alla musica, ho cercato un brano che alla severa compostezza del dipinto del Botticelli unisse l'aura morbida del quadro di Severini, rispecchiando l' eleganza di entrambe le opere, la prima giocata sul prevalere del linearismo, l'altra su forme più plastiche.
Così ho scelto la "Romanza n.1 in Sol Maggiore op.40 per violino e orchestra" di
Ludwig van Beethoven, scritta ai primi dell'Ottocento e spesso eseguita in coppia con quella in Fa Maggiore op.50, forse un po' più famosa per i numerosi arrangiamenti.
Questa in sol - tra le due la mia preferita - è un Andante dal ritmo
lento e solenne dove protagonista è subito il violino con una melodia semplice di grande cantabilità cui l'orchestra conferisce poi maggiore ampiezza e intenso spessore. Ma nel corso delle successive riprese, il tema si anima attraverso una sempre più ricca fioritura di note da parte dello strumento solista.
Una fioritura delicatamente sinuosa, ora più serena, ora più acuta e struggente, che nel finale si stempera in un largo respiro di pace.

Buon ascolto! 

(Le foto sono prese dal web)

martedì 22 novembre 2022

Un "Benedictus" per Santa Cecilia

Arrivo puntuale, quest'anno, a celebrare Santa Cecilia nel giorno preciso in cui ricorre la sua festa, e lo faccio prima di tutto con un dipinto di Bernardo Daddi (1290 - 1348).
Si tratta di un pittore fiorentino seguace di Giotto, ma non lontano dalla raffinatezza degli artisti di scuola senese, per l'uso del colore e una cura più dettagliata dei tratti.

L'immagine della Santa che vedete qui in un particolare, faceva parte del "Polittico del Carmine" realizzato dall'artista nella prima metà del Quattrocento, poi nel corso dei secoli smembrato, e ricomposto solo nel 2009 ad opera del Museo Diocesano di Milano dove è conservato. 

Daddi vi raffigura Cecilia con la palma del martirio, ma non ancora con gli strumenti musicali ai quali è stata poi tradizionalmente associata a partire dal tardo Medioevo. È d'allora infatti che la Santa è considerata protettrice della musica e di coloro che vi si dedicano, forse per il significato del testo latino dell'antifona d'ingresso nella Messa a lei dedicata ("Cantantibus organis, Cecilia virgo in corde suo soli Domino decantabat ..."), testo peraltro di controversa interpretazione e sul quale non sto a dilungarmi.
Ma se anche in questo dipinto non compaiono strumenti musicali o cori angelici,
l'immagine mi colpisce ugualmente per la sua soavità. Un lieve sorriso aleggia sul viso della Santa e raffinato è il ricamo sulla scollatura dell'abito, così come il serto di fiori che ferma i capelli. A questo si aggiunge la ricca aureola che spicca sul fondo oro della tavola a impreziosirla ulteriormente.

A Cecilia dedico allora un brano di altrettanta soavità, che è stato per me un vero e proprio amore al primo ascolto.
Si tratta del "Benedictus" dalla "Messe solennelle de Sainte Cécile CG 56" di
Charles Gounod (1818 - 1893), compositore famoso per la ricchissima produzione di carattere religioso, ma non solo. Spazia infatti dalla musica sacra - nell'ambito della quale spiccano la celeberrima "Ave Maria" e la "Marcia pontificale" divenuta Inno nazionale della Città del Vaticano - fino all'opera lirica: e chi non ricorda le meravigliose melodie del suo "Faust" ?
A questo si aggiungono svariate composizioni per voce e pianoforte o per
orchestra: arie ora delicate, ora solenni, ma anche intensamente romantiche a somiglianza di tanta musica francese dell'Ottocento.
Ma non manca neppure un brano di tono un po' grottesco e caricaturale come la
"Marcia funebre per una marionetta" divenuta poi sigla dei telefilm di Hitchcock di tanti anni fa. I meno giovani la ricorderanno senz'altro. Ebbene sì, è proprio Gounod e la potete risentire qui.

Col pezzo di oggi torniamo invece in un'atmosfera soffusa di delicatezza e di solennità. Incantevole la voce solista e suggestivo il coro che interviene poi in modo dolcemente sommesso: l'indicazione di dinamica della partitura è infatti un pianissimo molto morbido che - a mio avviso - conferisce al canto una bellezza da brividi soprattutto a poche battute dall'inizio, quando dalla tonalità di Si bemolle maggiore si passa sulla dominante.
Ma il brano mi ha preso subito anche per una sensazione che vi avverto qua e là sia pure in modo impercettibile. È 
un'aura che ritrovo nel particolare timbro di certi passaggi polifonici della seconda parte, tesi più a suggerire che a dire esplicitamente e che - nonostante Gounod operi in un contesto diverso - mi riportano alla suggestione di alcuni canti ortodossi.
Ad essi mi riconduce anche l'Osanna finale del brano: una fortissima esplosione di
voci che, se da un lato contrasta col tono del coro prima così pacato, dall'altro mi rimanda al finale dell'Inno dei Cherubini di Bortniansky strutturato allo stesso modo.

Non so se Santa Cecilia concorderà... ma spero che - dall'alto del Paradiso dei musicisti dove è certo in lieta conversazione anche con Gounod - accetti questo piccolo omaggio.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

lunedì 14 novembre 2022

Stanze - 11


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è la prima volta che mi lascio affascinare dai dipinti del danese Carl Vilhelm Holsøe (1863 - 1935). Ne ho già parlato infatti qualche tempo fa, in due post nei quali riportavo alcune opere dove l'artista ha raffigurato le stanze della propria casa, per anni oggetto privilegiato della sua attenzione, e che - se volete - potere ritrovare qui e ancora qui.  

Si tratta di ambienti tranquilli, dall'atmosfera sempre pacata sia che si trovino in piena luce che in penombra; arredi che possiamo riconoscere di volta in volta: dal lucido legno dei mobili ai vasi di fiori o alle porcellane; dai quadri alle pareti fino al candore di un tovaglia o alla tastiera di una spinetta.
Ambienti in cui è riposante entrare anche
solo con la fantasia, per sostarvi immersi nella lettura di un libro o intenti ad un lavoro di cucito, magari nella luce dorata del primo pomeriggio, nell'ora in cui i pensieri si dipanano senza affanno e il silenzio intorno è un'aura di pace.
Sono proprio "Visioni di
assorta tranquillità" quelle di Holsoe, come recita il titolo di uno dei miei vecchi articoli, e per questo non ho resistito al desiderio di parlarne ancora, anche se - naturalmente - ho scelto dipinti diversi rispetto al passato. 

Certo, lo stile e l'atmosfera complessiva delle stanze nelle quali ci muoviamo non cambiano, e così pure i mobili e le tante nature morte raffigurate qua e là sulle quali mi sono già soffermata a suo tempo; tuttavia ci sono altri caratteri ricorrenti che mi piace sottolineare.
Quali?
La luce prim
a di tutto, poi le finestre, i colori nelle loro sfumature e il modo in cui gli ambienti sono inquadrati.

Dolcissima quella luce che inonda le varie stanze scendendo a fiotti, riflettendosi sul pavimento e illuminando senza ferire lo sguardo ogni angolo della casa. Forse luce del mattino nei dipinti in cui è più nitida e trasparente; o del pomeriggio dove ci appare lievemente più calda.
Ma probabilmente anche luce del tramonto, nella suggestiva immagine che vedete qui a lato, dove i raggi del sole disegnano riquadri sul muro creando un'atmosfera di profonda intimità.

Bellissime, poi, le finestre chiare, presenti in
parecchi quadri e tutte molto simili nel loro garbato stile inglese. Oltre al tocco di grazia dei vasetti sui davanzali, vi traspare la vegetazione esterna con tratti talora appena accennati e sfumati da luminose pennellate a olio. Proprio la luce, infatti, dà rilievo e corpo alle sfumature di colore e anche se, in alcune opere, ci sono contrasti tra il chiaro e lo scuro dei mobili e dell'abito della donna, la tonalità di fondo è spesso quella di un beige luminoso, ora più caldo, ora più rosato.
In certe immagini poi, sembra quasi che Holsøe abbia giocato ad accostare varie gradazioni di bianco e di beige per farne risaltare tutte le somiglianze, ma anche le differenze dovute ai diversi materiali, quasi dovesse realizzare una sorta di pezzo di bravura sull'uso del colore.
Osserviamo, per esempio, il particolare del
dipinto qui a lato: "Interno con donna al tavolo".
Vi troviamo, l'uno accanto all'altro, il chiaro della tovaglia
e quello della porcellana, delle tende, dei fiori, delle cornici di porte e finestre: materiali diversi che - oserei dire - prendono rilievo e leggiadrìa proprio da tali accostamenti. Basta osservare come la maestria del pittore - pur nella patina un po' sfumata con cui rappresenta gli oggetti - riesce a rendere con efficace realismo la differente consistenza dei tessuti della tovaglia e delle tende: più compatto il primo, più impalpabile e leggero il secondo.

Ma trovo affascinante e singolare anche il modo in cui Holsøe ha inquadrato alcune stanze, cogliendo talora solo piccoli scorci e insieme aprendo prospettive verso altri spazi della casa.
Come osservavo in passato, si tratta di uno
schema iconografico ricorrente che potete vedere in questo particolare così luminoso qui a lato, nel quale semplicità e raffinatezza si coniugano meravigliosamente.

Ne è un chiaro esempio anche il dipinto nella foto grande in alto, intitolato semplicemente "Interno".
È la rappresentazione di un'intera stanza?
No, il punto in cui la muratura e le direttrici prospettiche
convergono è solo un angolo, sia pure anch'esso arredato con un tavolino, quadri e soprammobili. Tuttavia non  si tratta di uno spazio in sè completo, ma di un luogo di passaggio in cui la nostra attenzione è attirata dalle finestre e dalla porta aperta.
E sempre di passaggio è la stanzetta che si apre a sinistra, col soffitto più basso e la finestra più piccola: forse un pianerottolo o un disimpegno, ma ricco di una grazia che il pittore non manca di sottolineare: basta guardare come ha rappresentato le tendine raccolte in lieve trina di festoni.

Incantevole anche lo spazio che si dilata in nuove prospettive all'interno della casa, nel dipinto riportato qui accanto e intitolato "Lettura. La moglie del pittore". Dopo quella in primo piano, Holsøe vi individua infatti almeno altre due stanze, mostrando con tale iconografia non solo un'attenzione al mondo reale, ma anche la conoscenza della pittura olandese del Seicento, a cominciare dalle opere di Pieter De Hooch.

Mi fermo qui, anche se gli esempi - in apparenza simili, ma in realtà sempre diversi - si potrebbero moltiplicare attingendo alla ricca produzione di questo splendido artista. Ma lascio a chi legge, se vorrà, la gioia di approfondirne la conoscenza.

E per passare alla musica, ho cercato un brano che potesse rispecchiare l'atmosfera pacata di tali stanze, insieme alla dolcezza dei riflessi del sole sulle tende o al tocco della luce sui vari arredi: così, sono tornata al mio amato Franz Joseph Haydn (1732 - 1809).

Quello che vi propongo è il terzo tempo - "Adagio" - dal "Quartetto per archi in fa minore op.20, n.5".
Siamo nel 1772, il compositore ha 40 anni e i
suoi Quartetti op.20, se da un lato riprendono forme care alla musica barocca come - per esempio - la fuga, dall'altro si staccano dal tono talora troppo salottiero e galante che caratterizzava certa musica d'intrattenimento per dar luogo invece a melodie di più intenso spessore.
Lo dimostra questo pezzo: un siciliano che
ci accompagna con dolcezza nel suo ritmo ternario di 6/8. Qui, i due violini si sovrappongono e s'intrecciano in un delicatissimo dialogo, l'uno enunciando il tema e l'altro impreziosendolo di virtuosistiche variazioni.
Ne deriva una melodia riposante, pensosa e ricca di
suggestione a somiglianza delle luci ed ombre delle stanze di Holsøe.

Buon ascolto!

(I dipinti qui riportati, conservati in collezioni private, nell'ordine s'intitolano: "Interno" - "Alla finestra del soggiorno" - "Sole in salotto" - "Interno con giovane donna che legge in una stanza illuminata dal sole" - "Interno con donna al tavolo" - "Lettura.La moglie del pittore" - "Aspettando alla finestra" - "Ragazza che legge accanto a una finestra aperta")

(Le foto sono prese dal web) 

domenica 6 novembre 2022

Per gentile concessione

C'è talora, nella vita di tanti se non di tutti, un' alternanza tra periodi fecondi di idee, progetti o iniziative, e altri nei quali, invece, nessuno spunto sembra adatto all'umore, alle circostanze e niente ci tocca tanto per cui valga la pena dedicarvi attenzione.

Ma capitano anche momenti in cui idee e iniziative sono così numerose e ricche di attrattiva che, proprio per questo, ogni decisione si fa difficile e l'imbarazzo della scelta ci può bloccare.

È quello che, a volte, accade a me con questo blog.
Certo, il campo della musica è vastissimo e anche andassi avanti cent'anni, non mancherebbe mai un brano da condividere. Tuttavia, non basta che un pezzo di per sè sia bello: essenziale infatti nella mia scelta è che arrivi a toccarmi, a suscitarmi uno scatto di entusiasmo, di gioia, di commozione, che mi parli, altrimenti scrivere qui sarebbe semplice e asettica informazione, e non è questo che m'interessa.
Se infatti la bellezza della melodia o dell'impianto armonico di certe musiche è un dato
oggettivamente incontestabile, perchè esse diventino davvero comunicative e prendano a vivere occorre un fruitore che, con la sua ricettività, ne completi la ricchezza attraverso una corrispondenza del cuore. E del resto, ogni autentica operazione culturale nasce sempre da un incontro.

Tutto questo discorsino per dire che sto attraversando un periodo in cui - grazie al cielo - le musiche che mi parlano, che sto scoprendo o riscoprendo, sono tante. Ma talora sono forse anche troppe e si affollano nella mia testa in turbolenta lista di attesa. Eh sì! Vi immaginate avere tutte le mattine dietro la porta del blog Haendel, Haydn, Bach, Mozart, poi Pietro Antonio Locatelli - violinista barocco tornato a sorridermi dalla mia giovinezza - poi Brahms che in questo periodo sto adorando e altri ancora? Tutti si affannano a bussare col desiderio inquieto di essere pubblicati, adducendo ragioni che ascolto e approvo, ma poi non so decidermi e rimango nell'incertezza.

Così ieri, dopo aver ascoltato per l'ennesima volta quartetti e suites, intermezzi e variazioni su questo e su quello, ho deciso di prendermi una pausa di distrazione e ho acceso la TV. C'erano i cartoni ed è stato lì che, rivedendo per l'ennesima volta e con immensa goduria le avventure di Tom & Jerry, mi ha folgorato un'idea: e se invece dedicassi il prossimo post alle colonne sonore dei cartoni???...Eh???
Dite che i miei amici musicisti si offenderebbero e mi toglierebbero quel saluto mattutino per cui, appena sveglia, mi parte dentro
uno dei loro brani?
Il fatto è che, di pensiero in pensiero e di cartone in cartone, mi sono persa
per mezza giornata ad ascoltare sigle varie, rimembrando i bei tempi passati e incantandomi - tra l'altro - sul tema della Pantera rosa, col suo ritmo un po' dinoccolato e l'accattivante assolo di sassofono tenore che certo ricordate.

E allora, direte voi, alla fine cosa hai deciso? Alla fine ho dovuto chiedere l'autorizzazione ai miei musicisti che, dopo lungo e acceso dibattito dietro la porta del blog, sono pervenuti a una soluzione di compromesso: niente sigle dei cartoni, ma - per gentile concessione - un brano classico che, volendo, vi si possa anche adattare. Del resto la cosa non sarebbe nuova: basti pensare alla colonna sonora della celebre "Fantasia" di Walt Disney, ma anche alla rapsodia di Liszt nel famoso concerto di Tom & Jerry.

Già! Francamente, di primo acchito ci sono rimasta male, ma non mi sono tirata indietro e ho deciso che se la loro era una sfida, dovevo accettarla. Così, ecco la musica di oggi.
Si tratta di un pezzo di Carl Czerny (1791 - 1857), pianista e
compositore austriaco, ma ricordato soprattutto come didatta della musica. I suoi testi, ricchi di esercizi per sciogliere le mani ed acquisire velocità e destrezza, sono stati croce e delizia di generazioni di pianisti. Non si tratta però di studi noiosi come si potrebbe pensare: non dico tutti, ma parecchi, unendo le esigenze della tecnica pianistica a melodie e ritmi ricchi di inventiva, diventano piacevoli composizioni.

Quello che ho scelto è il penultimo esercizio, "Vivace in Sol maggiore n.49", tratto da "L'arte di rendere agili le dita. 50 studi brillanti per pianoforte op.740". Il brano si compone di tre sezioni: la prima e la terza molto simili, secche e vivaci, mentre quella centrale ha un andamento più morbido e ammiccante. Ma al di là di queste differenze, tutto il pezzo è costruito su di un susseguirsi di ottave, fulcro della difficoltà da superare, mentre il tema si dipana alternativamente prima sulla mano sinistra e poi sulla destra. 

Perchè l'ho scelto? Perchè la velocità e la vivacità inarrestabile di queste note mi sembrano adatte alla contagiosa allegria dei miei cartoni e spero che, in alto loco, i miei musicisti possano approvarne la pubblicazione.
Insomma, ve li vedete Tom e Jerry che, al ritmo di questa musica, corrono,
s'inseguono, si fanno mille dispetti e si tendono agguati per tornare ogni volta più uniti di prima e ricominciare allegramente il gioco? Io sì!
Eccoli nella foto, e guardate come si divertono!

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

sabato 29 ottobre 2022

"Partly sunny"

Da qualche tempo, ogni tanto il mio computer parla inglese.
Non ho ancora capito perchè e con quale criterio,
ma siccome sono convinta da sempre che il mio pc sia vivo, penso che dovrò decidermi a chiedergli conto di tale comportamento.

Non accade per fortuna all'interno dei vari siti, ma solo nella barra posta sotto alla schermata del desktop, dove ci sono le icone dei vari programmi, browser e via dicendo. Qui, siccome il mio è un computer che negli anni si è - diciamo così - evoluto, ha anche l'indicazione del tempo, quello atmosferico intendo, il meteo, the weather, e come vedete mi adeguo al suo linguaggio. Così, vicino ai simboli del sole o delle nuvole o dell'ombrello aperto sotto la pioggia, compare una scritta esplicativa che a volte è in inglese.

Ma perchè mi ha colpito? Un po' per certi suoi anacronismi, e un po' la particolarità di tali simboli. Volete un esempio? Qualche giorno fa, mentre qui da me al mattino c'era già un nebbione fitto come d'inverno, il mio computer, fresco fresco e con aplomb squisitamente anglosassone, annunciava partly sunny, parzialmente soleggiato. Ma va?...

Non ci credete? Eccovi la foto!
Ma c'è dell'altro. Se avete notato, nella figura ci
sono più nuvole che sole il quale è ridotto a una minuscola fettina. Sarà certo questione di clima e può darsi che in Inghilterra, sovrastati come sono - almeno secondo la tradizionale gorgrafia - da un cielo più grigio del nostro, basti forse una spera di luce per generare speranza nel bel tempo. Fossi stata io, avrei messo prevalentemente nuvoloso e, se vogliamo disquisire sul bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, il dettaglio della foto è interessante per il suo intento di sottolineare il positivo anche se è solo un piccolo indizio.

Del resto, anche una delle più famose colonne sonore delle previsioni del tempo italiane in video ci parla di questa incrollabile speranza.
Si tratta del brano intitolato "Under the Trees of Hope" dall'album "Kriptos" del
compositore e arpista svizzero Andrea Vollenweider, classe 1953.
Se volete, potete ascoltarlo qui e, passate le prime battute - a 0.37 dall'inizio - vi
accorgerete subito di quanto vi sia familiare questa musica, peraltro una delle tante colonne sonore dei vari meteo succedutisi nel tempo. Se poi avrete la pazienza di sentirla fino in fondo, vi renderete conto che, talora, vi riecheggia il celebre "Canone" di Pachebel e inoltre si avverte qua e là l'uso della scala pentatonica.
Ma a parte questo, suggestivo è proprio il titolo del brano, perchè dire sotto gli alberi della speranza è come una sorta di parzialmente soleggiato anche in un cielo pieno di nuvole, non vi pare?
Allora per cogliere quella spera di sole che c'è anche quando si nasconde dietro la nebbia
o le nubi, vi propongo un pezzo di musica che ci porta lontano dalla colonna sonora, sia pure piacevole, di Vollenweider perchè è un tema con variazioni. E cosa c'è di più variabile del meteo?

Si tratta della "Chaconne in Sol maggiore HWV 435" di Georg Friedrich Haendel (1685 - 1759) col quale torniamo a rendere omaggio all'Inghilterra perchè, per quanto non ci sia nato, è lì che il compositore ha costruito la propria fortuna.
La ciaccona, in origine danza spagnola di ritmo ternario, poi divenuta forma strumentale autonoma, è stata molto usata nella musica barocca, a cominciare da Bach di cui tutti ricordiamo quella per
violino solo.
Qui, Haendel espone un tema sul quale costruisce 21 variazioni, le più numerose
in tonalità maggiore e poche, più malinconiche, in minore: alcune vivaci e brillanti, altre più dolci e pacate, come in una giornata in cui il sole si alterna alle nuvole. Il pezzo va concludendosi poi con un crescendo sempre più acceso nel quale lascio a voi la libertà di sentirci un temporale o una giornata piena di sole ma anche di forte vento. E mi pare che l'interpretazione del pianista Alon Petrilin, più delle altre offerte da youtube, sappia mettere in luce le sfumature delle diverse sezioni del brano, ora lievi e sommesse, ora energiche e sfolgoranti.

Non è nuovo Haendel a questo genere di composizioni: aveva già scritto un tema con variazioni per certi versi simile a questo nel finale della "Suite n.5 HWV 430" intitolato "Il fabbro armonioso". Ma altri riferimenti alla sua musica affiorano sempre più chiari man mano che si ascolta la ciaccona. A me ricorda la celebre "Passacaglia dalla Suite n.7 HWV 432", quella del vecchio intervallo televisivo per intenderci; poi la famosa "Sarabanda dalla Suite in re minore HWV 437" e così pure l'antico tema della follìa. 

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

venerdì 21 ottobre 2022

Stanze - 10


Sono stanze molto cupe quelle che vi propongo oggi, ma parlano con l'irresistibile
fascino della grande pittura.
Si tratta infatti di opere di Rembrandt van Rijn (1606 - 1669) - o perlomeno a lui attribuite - e ve ne sarete già accorti dai contrasti tra ombre e luci, come da quei
contorni sfumati che conferiscono all'insieme profondità e spessore. Sono stanze alte, immense, per certi aspetti non a misura d'uomo, il quale vi appare isolato in uno spazio talora indefinito dove i contorni delle architetture sembrano sfumare nel nulla, come nel dipinto in fondo al post.

Non è la prima volta che mi lascio prendere dal fascino delle opere del pittore olandese. Anni fa avevo pubblicato una composizione simile a queste sia nel soggetto che nell'iconografia: "Il filosofo in meditazione" che potete rivedere qui. Ma si tratta di un tema che l'artista ha rappresentato più volte.

I dipinti che ho scelto oggi sono: "Filosofo con un libro aperto" e "Filosofo che legge".
Il primo, riportato
in alto e qui a lato, è conservato al Louvre e a dire il vero la sua attribuzione è incerta. Ne è stata infatti assegnata la paternità prima a Rembrandt, poi a un artista del suo tempo, Salomon Koninck (1609 - 1656), tuttavia la questione è ancora dibattuta.
Il secondo invece, sicuramente realizzato da Rembrandt, è conservato
al Nationalmuseum di Stoccolma.
Sia nell'uno che nell'altro, al di là dei tratti dello
stile dell'artista o della sua scuola, a colpirmi in particolare è stata l'ambientazione. In entrambe le opere, il soggetto è un uomo anziano assorto nella lettura o nella meditazione...ma dove si trova? 

Siamo ben lontani dallo studio in cui -  meno di due secoli prima - Antonello da Messina aveva inquadrato ordinatamente e con ricchezza di arredi San Gerolamo, in una tavola che - se volete - potete ritrovare qui. Stanze nitide quelle, a misura d'uomo, dove la solennità della rappresentazione si estendeva a una pluralità di oggetti dal valore simbolico e di spazi che la mente del protagonista, al centro del suo mondo, dava l'idea di saper padroneggiare.

Rembrandt, invece, per definire ambienti e architetture usa luce ed ombra, stanze spoglie anche se non prive di una certa eleganza, elementi curvilinei come gli archi, le volte e la scala a chiocciola; fondo scuro tipico della pittura del Seicento e macchie di luce, impasti dai contorni talora indistinti ma efficacissimi. E intorno il vuoto.

Nel primo dipinto, gli unici arredi sono una sedia, uno scrittoio e un lampadario. E mentre dalla grande finestra entra una luce calda che si riflette sul pavimento, il resto del quadro rimane nell'ombra dove domina quella scala a mio avviso inquietante, insieme a un corridoio sinistro che conduce chissà dove. 

È un palazzo nobiliare? Una chiesa? Un monastero? Un eremo? O un'architettura immaginaria dove a prendere forma - come in certi sogni - è l'inconscio dell'artista?
Nel secondo dipinto, l'unico mobile è il tavolo con
una pesante tovaglia, ma intorno le pareti vanno confondendosi con gli archi della copertura: un ambiente rustico e diroccato, poco più che una grotta al punto che potrebbe sembrare un'opera non finita, e forse per questo ancora più suggestiva.

Buio, vuoto e solitudine dunque: elementi che ci parlano di essenzialità, quasi a sottolineare il senso della meditazione dei protagonisti. Attraverso queste opere dove i due filosofi sono pacatamente immersi nella lettura, Rembrandt sembra infatti condurci nei segreti e insondabili recessi dell'anima, come se tali ambienti oscuri fossero una sorta di rappresentazione dell'interiorità col suo mistero cui la meditazione sa dare accesso.

E se nel primo dipinto la scala a chiocciola e il corridoio possono simboleggiare una profondità anche emotiva, nel secondo la muratura priva di contorni definiti, con la sua indeterminatezza fa pensare al capovolgimento del rapporto tra uomo e realtà circostante che la rivoluzione copernicana aveva già delineato. Una realtà che qui sovrasta l'essere umano, ormai piccolo in relazione ad un universo che si scopre infinito, misterioso, arcano, come queste stanze dove lo spazio - come scrivevo in passato - ci parla quasi più delle figure stesse.

Allora, per passare alla musica, mi piace associare a queste immagini un brano di Chopin che da tempo mi affascina.
Si tratta del "Preludio in si minore
op.28, n.6": pezzo dall'incedere lento e molto suggestivo, privo di particolari difficoltà sul piano tecnico, ma la cui delicata bellezza è affidata più che altro all'interpretazione.
È appunto questa che deve farne fiorire
ogni sfumatura, sottolineandone il clima intensamente meditativo.

Interessante l'inversione di ruolo delle  mani: il tema del brano infatti si dipana sulla sinistra, mentre la destra ripete con lentezza ma in modo quasi ossessivo gli accordi di accompagnamento, alternando suoni a silenzio come lievi rintocchi di campana.
Una melodia che è un prodigio di
splendore, triste e profondissima, ma non priva di qualche apertura nei passaggi ascendenti del tema, a somiglianza delle stanze oscure di Rembrandt che lasciano tuttavia trasparire sprazzi di una luce ora più viva, ora più soffusa.

Buon ascolto!

giovedì 13 ottobre 2022

Interessanti scoperte

Il mondo della musica - e non solo quello - è sempre pieno di sorprese, soprattutto per una persona come me che, seppure decisamente appassionata, ha però conoscenze specifiche solo su alcuni autori e periodi a scapito della completezza dell'argomento.
Certo, adoro Bach
e il barocco, la polifonia, poi Mozart, Haydn, Chopin e tanti altri compositori che ora non sto ad elencare.

Tuttavia ci sono diversi generi - per esempio jazz, blues e rock - sui quali ho conoscenze ancora limitate, anche se alcuni pezzi mi possono piacere.
Lo stesso vale per certi autori vissuti tra Ottocento e Novecento che non ho mai
ascoltato a fondo. Ma siccome sono curiosa, navigando su youtube ogni tanto mi piace fare qualche piccola incursione proprio tra questi.

Così, sono rimasta piacevolmente sorpresa scoprendo Edward Mac Dowell (1860 - 1908), compositore e pianista statunitense del quale oggi voglio condividere un brano che mi è parso non solo gradevole, ma anche molto interessante sul piano dei riferimenti. 
Le date ci parlano di un artista contemporaneo al tardo romanticismo, quello di
Liszt e di Brahms per intenderci, solo per citare alcuni dei musicisti del periodo. Certo, la sua formazione iniziale è sulla musica americana. Tuttavia, va ricordato che essenziale sarà il suo viaggio in Europa dove frequenterà il conservatorio e verrà poi a contatto con diversi musicisti tra cui - appunto - Liszt dal quale riceverà anche grandi apprezzamenti.

Tra le sue composizioni che comprendono brani per pianoforte, per orchestra e per coro, ho scelto il primo movimento, "Praeludium", della "Modern Suite n.2 op.14": un "Andante maestoso" che mi ha molto colpito. Perchè mai?
Senza dubbio per le grandi sonorità - proprio maestose -
e l'andamento ricco di energia a cominciare dai fortissimi accordi iniziali che fungono da introduzione al tema. Un tema di grande fascino nel suo ritmo inquieto e quasi ansimante, bellissimo, che a mio avviso potrebbe egregiamente fare da colonna sonora all'atmosfera di un film un po' noir. Un tema che si ripete con dolcezza e va facendosi poi più impetuoso come un mare agitato o una sorta di magma interiore cui le note intendono dar voce.

Ma questo brano mi lascia anche la suggestione di musiche già sentite altrove e di svariati riferimenti. Come scrivevo, lo stile è quel tardo romanticismo ricco di virtuosismo pianistico molto amato dal pubblico d'oltreoceano che ha applaudito Mac Dowell tributandogli onorificenze anche dopo la morte, o perlomeno fino a quando in America non si è affermato un filone musicale innovativo come il jazz. Si può dire quindi che il compositore concluda un'epoca e le sue creazioni, più che alle novità degli inizi del Novecento, guardino ancora al passato.

Quale passato, allora? Per rispondere, occorrebbe ascoltare l'intera "Modern Suite" e non solo il primo tempo. Già il fatto che si tratti di una forma come la Suite la dice lunga sulla conoscenza della musica antica da parte dell'artista, a cominciare da quella barocca. E basterebbe sentire il secondo movimento - "Fugato" - per pensare subito a Bach e a certi pezzi del suo "Clavicembalo ben temperato" anche se rielaborati molto, molto liberamente.
Ma torniamo al "Preludium".

Il brano mi riporta a quel pianismo sinfonico che può ricordare Liszt, Brahms e Saint-Saëns al quale non a caso la Suite è dedicata. Ma altri due compositori mi risuonano dentro.
Il primo
è Chopin, in particolare col  "Notturno in do minore op.48 n.1". La "Suite" di Mac Dowell - sia pure in tonalità diversa e in modo molto più energico - ne riprende gli accordi iniziali, ma il compositore americano potrebbe aver preso spunto anche dalla tempestosa irruenza della seconda parte del Notturno. Con ciò non intendo stabilire un confronto impossibile tra Mac Dowell e il genio inarrivabile di Chopin, ma solo sottolineare quanto quest'ultimo sia stato un faro di luce per molti artisti successivi.

Il secondo è Rachmaninov. Ma se al musicista polacco si può fare riferimento con tranquillità, la cronologia non lo consente per il russo che, nel 1883 quando la "Suite" è stata composta, aveva solo dieci anni. E allora?
Allora potrebbe essere accaduto il contrario, ed essere stato Rachmaninov ad
ispirarsi al compositore americano, soprattutto scrivendo brani come il celebre "Preludio in do diesis minore op.3 n.2", o in alcuni tratti del suoi "Concerti per pianoforte" a cominciare dal secondo.
E comunque sia stato, Mac Dowell resta per me una scoperta interessante.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)