domenica 31 marzo 2019

Sfogliando un'enciclopedia...

È in mostra proprio in questi giorni al Palazzo Reale di Milano, insieme ad altre diciotto opere del suo autore, l' "Annunziata" di Antonello da Messina (1430 - 1479), proveniente da Palermo, dalla Galleria regionale della Sicilia.

Si tratta del più celebre dipinto dell'artista, ma è prima di tutto un'immagine che mi riporta alla mia infanzia, in particolare alle pagine di una enciclopedia per ragazzi che aveva una sezione dedicata alla Storia dell'Arte.
Mi limitavo allora a guardare le figure e il dipinto mi aveva colpito non tanto per il suo significato, nè per l'iconografia che naturalmente all'epoca non potevo comprendere, ma per l'atteggiamento della donna rappresentata. 
La sua compostezza, la lieve malinconia dello sguardo e quel manto - ai miei occhi di bambina - di una serietà monacale, mi mettevano infatti soggezione.
Preferivo di gran lunga l' "Annunciazione" di Simone Martini il cui angelo dalle ali variegate e dal panneggio danzante era riprodotto su di una tavola di legno accanto al mio letto: insomma, un'immagine casalinga con la quale la quotidianità mi aveva familiarizzato.
Sull' "Annunziata" di Antonello mi soffermavo invece sfogliando di tanto in tanto l'enciclopedia, ma mi lasciava perplessa quell'aura di riservatezza che la figura emanava e che non riuscivo a sondare. Del mistero che il dipinto intende rappresentare coglievo solo la distanza e quel titolo per me enigmatico.

Ho capito in seguito la singolarità dell'opera in rapporto ad altre sullo stesso tema: sta infatti nell'assenza dell'angelo Gabriele il cui passaggio è adombrato solo dal libro coi fogli mossi da un leggero soffio di vento. 
Del resto, il titolo "Annunziata" - diversamente da "Annunciazione" che si focalizza anche sull'angelo - porta la nostra attenzione su Maria e sul suo modo di vivere l'evento che qui Antonello ci offre in una dimensione tutta interiore, come testimonia lo sguardo assorto e compreso della Vergine.

Ma l'originalità sta anche nello splendore delle mani: una a chiudere con un gesto di lieve pudore il manto - esattamente sulla linea del profilo del viso e della piega della stoffa sulla fronte - e l'altra protesa forse a promettere o a fermare l'angelo...chissà! In ogni caso, una mano in posizione prospettica che deve aver fatto scuola ai contemporanei - basti pensare a Leonardo - ma anche in seguito.
Gesti lievissimi di un'iconografia dove tutto è ricondotto all'essenziale: non una stanza, una cella, un loggiato, un giardino, un'inginocchiatoio come in tanti  dipinti coevi. Solo uno sfondo scuro ad ambientare la scena e pochi arredi a definire lo spazio. Semplicità, ordine e compostezza di un artista che ha fatto sue le novità prospettiche del Quattrocento e l'influsso della pittura fiamminga, ma al tempo stesso ha profuso in quest'opera la propria abilità di ritrattista.

A prenderci è infatti lo sguardo di Maria, serio, pacato, profondo, illuminato da una luce che mette in evidenza la carnagione e lo splendido ovale del viso: una bella figliola siciliana appena distolta dalla meditazione delle Scritture e colta in un atteggiamento misurato che le conferisce - almeno così a me pare - uno spessore di donna adulta e consapevole.
Anche la scelta dei colori, scuri e contraddistinti dall'inusuale contrasto tra il nero dello sfondo e l'azzurro cupo del manto, contribuiscono a creare un clima in cui tutto è pacatamente ricondotto a un vissuto interiore.

Allora mi piace commentare questa immagine con l' "Ave Maria" di Anton Bruckner (1824 - 1896) quasi fossimo noi - mentre ascoltiamo e contempliamo - a prendere il posto dell'angelo che nel quadro non compare.
A somiglianza del dipinto, anche il coro si apre in un' atmosfera pacata che tuttavia si accende, come un' invocazione o più ancora un grido, sul nome Jesus, in corrispondenza del quale le quattro voci che all'inizio avevano cantato separatamente - prima quelle femminili e poi le maschili - si sommano continuando insieme.
Una melodia che, soprattutto nella seconda parte, si dipana alternando la tonalità maggiore a quella minore. E mi pare possa interpretare bene l'atteggiamento pensoso di Maria e il suo sguardo assorto e consapevole.

Buon ascolto!

 

domenica 24 marzo 2019

Come un cristallo

(Foto presa dal web)
Se la musica di ogni compositore ha un suo preciso stile talora riconoscibile al primo ascolto, essa tuttavia si dispiega spesso in una ricchezza di caratteri diversi che ci raggiungono più o meno intensamente in rapporto alla nostra ricettività.
Succede infatti che, di uno stesso autore, in taluni momenti cerchiamo brani che ci sappiano rinvigorire con la loro energia, in altri rasserenare con la loro gioiosa cantabilità o che riescano a placare le nostre ansie con un vero e proprio effetto terapeutico.

Anche se, comunemente, ogni musicista viene identificato per un suo precipuo carattere o un certo modulo compositivo - in parole povere, quando si associa Bach a una fuga o Chopin a un notturno - in quasi tutti gli artisti, tuttavia, l'ispirazione presenta una molteplicità di aspetti che vanno ben oltre le varie definizioni. Definire serve certamente a mettere ordine, ma talora può essere limitante, come accade a volte anche nell'ambito relazionale. 
In tutti noi c'è infatti molto più di ciò che coincide con una semplice definizione ed è una ricchezza che non sempre può essere incasellata, ma spesso va al di là di ciò che emerge con maggiore evidenza. E ogni compositore, nella sua versatilità, in fondo è simile a un cristallo ricco di sfaccettature su ciascuna delle quali la luce gioca in modi diversi.

Proprio in Chopin, così celebre per la dolcezza dei suoi Notturni, troviamo insieme la dimensione eroica e patriottica di certi Studi o della "Polacca in La bemolle maggiore op.53", la più famosa. Ma possiamo pensare anche a Mozart, per alcuni versi giocoso e salottiero, ma per altri capace di ricreare - ad esempio nell'esordio del "Requiem" - l'angoscia del pianto e dei singhiozzi.
E se analizziamo la musica di Rossini, famosa per l'allegria movimentata e solare delle sue ouvertures, scopriamo che può essere anche intrisa di una tragicità che mette i brividi, come nel primo tempo dello "Stabat Mater".
Lo stesso si può affermare per Beethoven, Bach, Haydn e tanti altri nei quali troviamo una poliedricità d'ispirazione che consente loro di ricreare in musica ora un clima tragico, ora scintillante, di costruire mirabili architetture sonore o pezzi che ci avvolgono in un'atmosfera di intimità e meditazione. 
In ciascuno di essi si può ravvisare un'evoluzione compositiva legata certo alla storia personale, al carattere, agli eventi esterni, ma prima di tutto alla ricchezza di un genio che ha consentito loro di immergersi in una molteplicità di emozioni e di restituircele in note mirabili. 
Un genio libero che, per quanto sia inserito nei canoni di una determinata epoca, sa muoversi nel tempo scandagliando passato e presente, ma spesso anticipando anche il futuro. Diversamente, certe musiche non parlerebbero al nostro cuore a distanza di secoli.

Per questo oggi, nella strepitosa interpretazione di Valentina Lisitsa, vi propongo un brano dell'ultimo Beethoven, scritto esattamente due secoli fa. 
Si tratta del finale dalla "Sonata n.29 in Si bemolle maggiore op.106", opera grandiosa, armonicamente complessa e irta di difficoltà tecniche nella quale il compositore sembra aver sperimentato ogni possibilità sonora del pianoforte. 
Tale aspetto è evidentissimo proprio nella seconda parte del suo movimento conclusivo: un "Allegro risoluto" che consiste in una monumentale fuga a tre voci, in cui Beethoven fonde la propria conoscenza in fatto di contrappunto con lo schema classico della sonata. 
Passato e presente, quindi, ma non solo.
Chi ha in mente brani come "Per Elisa" o il famosissimo Adagio intitolato "Al chiaro di luna" o alcuni movimenti di singolare dolcezza tratti, per esempio, dalla Sinfonia "Pastorale", può forse restare perplesso davanti a un pezzo simile. Certo, Beethoven è anche quello tempestoso ed eroico di alcune sinfonie e ouvertures, ma qui supera davvero ogni confine verso dimensioni di straordinaria novità.
La fuga viene infatti rielaborata in mille modi, utilizzando tutti gli espedienti polifonici che si possono applicare in questo campo, ma insieme le risorse di un' inesauribile creatività. Così, il tema si sviluppa, scompare e riappare in un magma sonoro di incredibili proporzioni che talora sembra quasi destabilizzarsi anticipando vertiginosamente il futuro.
Un Beethoven più che mai versatile e ricco di sfaccettature innovative, che le mani della Lisitsa ci regalano con una padronanza del pianoforte a dir poco prodigiosa.

Buon ascolto!

sabato 16 marzo 2019

Vento forte in quota

(Foto presa dal web)
Ho sempre avuto un amore spassionato, quasi maniacale, per le previsioni del tempo.
Dagli anni del mitico colonnello Bernacca, faccio il possibile per non perdere l'appuntamento serale col meteo in tv e predisporre l'animo - nonchè l'abbigliamento - al giorno successivo, attenta ad aree cicloniche o anticicloniche, temperature e venti, nebbie o afa. 

A maggior ragione d'estate, quando sono nel mio paesetto di montagna dove il tempo cambia con facilità. Ma lì i valligiani sentono i mutamenti a pelle e basta loro uno sguardo al cielo per dirti come evolverà la giornata, a volte indicando anche l'ora precisa in cui pioverà o tornerà il bello.
Al di là delle capacità dei singoli però, c'è in centro, vicino a uno storico negozio di articoli sportivi, una bacheca dove viene affisso un foglio col meteo della settimana, un angoletto spesso affollato e che naturalmente frequento anch'io.
A dire il vero i fogli sono due: uno stampato da un sito web con le previsioni per l'intera valle, ma l'altro - un po' più casalingo - con quelle specifiche del mio paesetto. E sono sempre le più affidabili. 
Vi sono le indicazioni del tempo nei vari momenti della giornata - caldo, freddo, sereno, passaggi nuvolosi, temporale, ecc. - poi il livello dello zero termico e l'intensità del vento che, in montagna, non manca mai.
Sono dati desunti della centralina meteorologica locale, ma riportati in semplicità e privi di grafici o altri schemi. Ma quello che mi piace e rende quel foglietto più attendibile ai miei occhi sta nel fatto che è scritto a mano, con una grafia chiara e un po' tondeggiante che mi regala un senso di familiarità.

Sarà per questo che stamattina, quando navigando sul web ho trovato la foto che vedete in alto, mi è subito tornata in mente l'espressione "vento forte in quota" che ho letto spesso su quei foglietti. 
È il vento che apre sprazzi di azzurro, ma a volte prepara la tempesta; quello che d'inverno spazza la neve sulle cime e d'estate regala nuvole simili a rapaci sul punto di ghermire la preda o ad angeli, o ad astronavi aliene - nubi lenticolari le chiamano i meteorologi - un po' come quelle della foto.
Vento forte in quota: suona come un avviso non solo ai montanari, ma a tutti noi, viandanti in questo mondo, naviganti nella vita. Forse preludio di uragano, ma anche soffio ristoratore verso un orizzonte ricco di promesse.
E mi vengono in mente i versi di Montale: "Nuvole in viaggio, chiari / reami di lassù! D'alti Eldoradi / malchiuse porte!" che spalancano in noi la suggestione dell'ignoto e insieme di un approdo sognato, di un'alta quota verso la quale indirizzare lo sguardo per individuare un varco.

Allora seguendo queste suggestioni, oggi mi sono lasciata prendere dallo splendore di un brano che, pur non ispirandosi specificamente al vento o alle nuvole, può tuttavia ricordarne il fascino. 
Si tratta del "Capriccio in fa diesis minore" che apre gli otto "Klavierscke op.76" di Johannes Brahms (1833 - 1897). Ora drammatico e impetuoso, ora  delicato e sommesso, ma sempre movimentato e ricco di progressiva intensità, il pezzo si snoda proprio come un vento che sale a folate successive portandoci via con sè in un andamento a volte affannoso, altrove più intimo, ma sempre fortemente appassionato.
In effetti la forma del capriccio, insieme a un'idea di volubilità, lascia una certa libertà compositiva. E Brahms la esprime giocando col tema e con gli arpeggi, talora scambiandone le parti e traendone una musica molto introspettiva, qui splendidamente valorizzata da una magistrale interpretazione.
Un vento interiore che ora sconvolge, ora apre sprazzi di azzurro; una musica d'alta quota per ritrovare, appassionato, il soffio che ci anima.

Buon ascolto!

venerdì 8 marzo 2019

Dissetare l'anima


Mausoleo di Galla Placidia (part.) (foto presa dal web)















Sono tornata, giorni fa, a Ravenna. Non ci andavo da parecchi anni, e rivedere i suoi monumenti mi ha dato un'emozione straordinaria. 
L' arte ravennate, che tutti conosciamo anche solo per averla studiata sui libri di scuola, è infatti qualcosa di unico nel suo genere perchè testimonia un singolare intreccio di civiltà.
Basilica di San Vitale: Giustiniano e la sua corte (foto mia)
Capitale ai tempi di Onorio dell' Impero romano d'Occidente, poi del regno di Teodorico, poi sede dell'esarcato bizantino in Italia, Ravenna è stata al centro di uno straordinario sovrapporsi di popoli e punto di incontro tra Oriente e Occidente.
Anche sul piano artistico, i suoi monumenti testimoniano la fusione di caratteri romani e paleocristiani, insieme a un preziosismo tipico dell'Impero bizantino, anche se qui - e in particolare a Costantinopoli - parte di tali testimonianze è andata poi perduta a seguito della lotta iconoclasta.

Basilica di San Vitale: abside (foto mia)
Così, a maggior ragione, Ravenna resta esempio unico di un periodo di passaggio tra epoche in cui s'intrecciano elementi preesistenti ad altri nuovi, nelle varie architetture ma soprattutto in una decorazione musiva d'incomparabile splendore.
Rivedere i suoi monumenti è stato quindi un accostarmi alla Bellezza con la maiuscola: luce, colore e uno sfavillìo di mosaici che risalta ancor di più, se paragonato alla semplicità degli esterni dei vari edifici spesso in un cotto severo e spoglio.

Mausoleo di Galla Placidia (part.) (foto mia)
Dal Mausoleo di Galla Placidia alla basilica di San Vitale, dal Battistero dei Neoniani a Sant'Apollinare Nuovo e poi ancora a Sant'Apollinare in Classe, molteplici sono le suggestioni che quest'arte ci offre. 
Si tratta di una ricchezza decorativa e descrittiva evidente sia nei mosaici che raffigurano episodi biblici, che in quelli ricchi di riferimenti storici, come ad esempio - nell'abside della basilica di San Vitale - la celeberrima rappresentazione dell'imperatore Giustiniano e della moglie Teodora circondati dalle rispettive corti.

Mausoleo di Galla Placidia (part.) (foto mia)
Luce e colore, dicevo.
Nel Mausoleo di Galla Placidia, è senza dubbio il blu a incantare: lapislazzuli e oro a regalarci lo splendore del cielo insieme a una decorazione sorprendente per ricchezza inventiva, ma anche per essenzialità. 
Straordinaria, a questo proposito, la raffigurazione delle colombe che si abbeverano alla fonte, semplice e modernissima nelle sue linee; mentre le stelle, ordinate nei loro raggi di luce simili a preziosi ricami, a mio avviso potrebbero aver suggestionato anche Van Gogh quando ha dipinto la sua "Notte stellata", pur così espressionista ed onirica.
Basilica di Sant'Apollinare in Classe (foto mia)
Ma è sul fascino della basilica di Sant'Apollinare in Classe che vorrei soffermarmi.
Entrare in essa è essere avvolti dal silenzio e da un senso spaziale che non ha paragoni. 
È percepire subito una dimensione "altra" non solo per le proporzioni dell'edificio in rapporto alla figura umana, ma soprattutto per quello spazio che si dilata man mano che si procede al suo interno. Più ci si avvicina infatti al grande catino absidale, accompagnati dalla fila di colonne di marmo grigio, più la navata centrale sembra aprirsi nella luminosità discreta delle finestre sul fondo e di quelle laterali.
(foto mia)
Si arriva così a contemplare la grande croce latina che campeggia sopra uno dei più splendidi esempi di paesaggio agrario che la storia dell'arte ci abbia lasciato: alberi, arbusti e agnelli, ordinatamente disposti attorno alla raffigurazione del Santo Vescovo Apollinare e immersi in un prato dalle svariate tonalità di verde.

Imponente eppure semplice, alta eppure raccolta, la basilica - che non differisce nella struttura da quella paleocristiana di Santa Sabina a Roma - ha il suo fascino proprio nella luce. Una luce discreta, creata dal contrasto tra le pareti chiare e la copertura a capriate, ma anche dal clima assorto e dalla straordinaria armonia che vi si respira e che attrae il visitatore.

(foto mia)
I diversi elementi che lungo le navate si ripetono, paiono infatti fargli quasi da guida all'interno dell'edificio, in uno spazio che desta progressivo stupore. 
Ci si ritrova così a percorrerlo con lentezza perchè in esso tutto - dalle decorazioni alle colonne e agli antichi sarcofagi - ha ordine, ritmo e una pace che consente di rientrare in se stessi, in una dimensione interiore di silenzio.

E per commentare queste immagini, ricorro a splendide note da un passato lontano, dando il benvenuto nel blog ad uno dei più celebri compositori di polifonia rinascimentale: Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 - 1594). 
Mi pare infatti che il suo "Jesu Rex admirabilis", mottetto a tre voci tra i più conosciuti, possa rispecchiare l'atmosfera di stupore e di contemplazione che si offre a chi entra in questi monumenti ravennati.  
Sappiamo tutti quanto risuoni diversamente la musica in rapporto alle dimensioni e all'altezza dei vari ambienti. L'interpretazione che ho scelto ci consente di cogliere proprio il riverbero di note che si percepisce talora quando si canta in un ambiente molto vasto. E mi pare possa restituirci quel senso spaziale e quel silenzio contemplativo che avvolge il visitatore all'interno di Sant' Apollinare in Classe.
Un patrimonio di bellezza in cui affondare lo sguardo e dissetare l'anima, uno spazio custode del passato e offerto a chi cerca un profondo senso di ristoro anche per il presente.

Buon ascolto!