mercoledì 30 gennaio 2019

Il volo di una giga

Piet Mondrian: "Melo in fiore"  (foto presa dal web)
Nella mia navigazione musicale ormai quasi quotidiana, mi è capitato recentemente di riascoltare una composizione della quale - tempo fa - avevo pubblicato proprio qui una piccola parte. 
Si tratta della "Suite orchestrale n.4 op.61" detta "Mozartiana" di Piotr Ilic Tchaikovsky, pezzo la cui singolarità - come si evince dal titolo - sta nel fatto che l'autore riprende in esso vari brani di MozartSi va da alcune sonate per pianoforte solo, fino al celebre "Ave verum", ma anche alla rielaborazione che il compositore salisburghese aveva fatto di un'aria di Gluck. E la parte pubblicata qui a suo tempo era proprio una Variazione - la n.9 - tratta da quest'ultimo movimento.

Tuttavia, riascoltando l'intera composizione, stavolta è stato il primo tempo a colpirmi, una Giga, e due particolari mi hanno invogliato a risentirla. 
Innanzitutto mi ha incuriosito il fatto che sia stata posta da Tchaikovsky in apertura del brano mentre, nelle suites del periodo barocco, è sempre nel finale; ma poi il termine mi ha riportato a Bach e a Haendel ai quali varie volte Mozart ha fatto riferimento.
Così, dopo aver ascoltato la suggestiva e scintillante orchestrazione di Tchaikovsky che dilata le sonorità del pezzo, sono andata a cercare l'originale mozartiano: la "Giga in Sol maggiore K.574".

La giga è un'antica danza il cui splendore sta sempre nel ritmo della sua costruzione in terzine e nella sua vivacità. Per questo, tra le tante esecuzioni offerte da youtube, ne ho scelta una per pianoforte che sapesse conciliare la morbidezza mozartiana evidente in alcuni passaggi conclusivi, con l'andamento concitato e veloce del pezzo. 
Ma benchè Mozart ne abbia ricalcato la consueta struttura presente nelle varie suites del passato, l'ho trovata sorprendente.
Infatti - anche in un'interpretazione come questa, non eccessivamente spinta rispetto ad altre - singolare per me resta il ritmo che, nonostante sia sempre giocato su di un tempo di 6/8, tuttavia a tratti - esattamente a 0,45 e a 1,12 dall'inizio - sembra perdersi chissà dove...
È solo un' impressione: forse una questione di accenti che, nel vortice della musica, se prima si sentivano nettamente cadere sulla prima nota di ogni terzina, qua e là si smarriscono in una sorta di caos giocoso e leggero. 
Per qualche battuta infatti, pur senza perdere la propria armonia, la danza pare scomporsi quasi la regolarità del suo andamento ritmico venisse meno e si traducesse in una corsa o in un volo un po' funambolico e - a mio avviso - modernissimo.
Semplici dettagli - presenti anche nella versione orchestrale di Tchaikovsky, ma non così evidenti - che mi parlano della meraviglia dell'inventiva mozartiana e insieme della sua straordinaria capacità di precorrere i tempi.

Così, mi piace associare al brano di Mozart la riproduzione che vedete qui sopra: s'intitola "Melo in fiore" ed è un delicatissimo dipinto dell'olandese Piet Mondrian (1872 - 1944) conservato a l'Aja presso il Gemeentemuseum.  
L'opera s'inserisce nella serie di alberi che l'artista ha realizzato partendo da una figura ben delineata e arrivando a una progressiva stilizzazione delle forme che - in seguito - semplificherà ulteriormente avviandosi verso la pittura astratta geometrica.  
Un dipinto dove anche l'immagine sembra scomporsi con leggerezza di tratti e di colori, mantenendo tuttavia intatta - come nel brano di Mozart - la propria armonia.

Buon ascolto!

giovedì 24 gennaio 2019

Dall'Inghilterra barocca ai videogiochi giapponesi.

J.Closterman: "Ritratto di Purcell" (foto presa dal web)
È sempre interessante scoprire come le musiche del passato siano vive ancora oggi non solo per l'ascolto degli appassionati, ma anche riprese e rielaborate in tante forme che ci capita di sentire magari casualmente.
Possiamo trovarle nella colonna sonora di un film o di una pubblicità televisiva o nell'aria di una canzone; può trattarsi di un brano classico in versione originale o di un arrangiamento, ma sempre il richiamo della sua bellezza ci cattura e non smette di riecheggiare in noi.

Così, oggi mi piace condividere qui un pezzo di musica barocca che ha avuto nel tempo grande fortuna ed è stato ripreso in diversi contesti.
Si tratta del "Rondeau" dalla Suite scritta per l'opera teatrale "Abdelazer" dal compositore inglese Henry Purcell (1659 - 1695), autore di creazioni sia sacre che profane, insieme a brani di carattere celebrativo tradizionalmente eseguiti per l'incoronazione o la morte di monarchi britannici.

La Suite in questione - scritta da Purcell verso la fine della sua brevissima vita - si compone di numerosi pezzi tra i quali il "Rondeau" è divenuto nel tempo il più celebre. A tale successo hanno contribuito compositori moderni come Benjamin Britten che, nella sua "Guida del giovane all'orchestra op.34" - lavoro squisitamente didattico che può ricordare un po' "Pierino e il lupo" di Prokofiev - si basa proprio su questo brano.
Non solo. Ascoltandone il ritmo deciso e al tempo stesso un po' danzante, possiamo tornare al passato ritrovando qualche somiglianza con lo schema armonico della celebre Passacaglia di Haendel: sì, proprio quella dell'intervallo televisivo! E se invece vogliamo correre avanti nel tempo, scopriamo che il "Rondeau" faceva parte del commento musicale di alcune serie televisive inglesi di qualche decennio fa, mentre in seguito il compositore Dario Marianelli lo ha inserito nella colonna sonora del film "Orgoglio e pregiudizio".

Ma, navigando su youtube, mi sembra di aver scoperto casualmente un altro inaspettato riferimento.
Come avrete osservato, da un paio di mesi a questa parte mi diletto ad ascoltare ogni tanto musica giapponese, talora nata per un genere come quello dei videogiochi e a volte trascritta in una veste classica indubbiamente affascinante. Muovendomi in quest' ambito, ho trovato il brano che vi propongo qui di seguito, tratto proprio dalla colonna sonora di un videogioco.
Il pezzo s' intitola "Menuet", ed è parte della Suite sinfonica scritta da Koichi Sugiyama per l'album "Dragon Quest IV - The People are Shown the Way" pubblicato nel 1990. Il compositore - classe 1931 - è famoso per aver creato le musiche dell'intera saga di questo gioco di ruolo e, nel settore, è considerato una sorta di caposcuola. Ma ascoltiamo il brano.

Pur essendo meno scandito e vivace, il suo tema iniziale a me pare molto simile a quello del "Rondeau" e, se pure la parte successiva sembra allontanarsene, in realtà è una sorta di variazione che parte però dalla stessa base. Se vogliamo poi, anche lo stesso titolo "Menuet" è un riferimento alla musica del passato.
Solo una mia impressione?? Non so, ditemi voi. 
Mi piace comunque riportare qui il pezzo non tanto per un suo particolare pregio artistico, ma perchè trovo interessante scoprire che - a distanza di secoli - certe melodie rifioriscono in ambiti dove non ce le aspetteremmo. 
E che un compositore giapponese di musiche per videogiochi si rifaccia allo stile barocco dell'antica Inghilterra mi sembra - ancora una volta - segno della grandezza della tradizione musicale europea e insieme della versatilità culturale del lontano Oriente.

Buon ascolto!

 

mercoledì 16 gennaio 2019

Perseveranza in Fa diesis minore.


Circolo delle quinte (foto presa dal web)
Sappiamo tutti - anche chi con la musica ha a che fare solo sporadicamente - quanto sia significativo in un brano l'uso di una certa tonalità invece che un'altra, per dare al pezzo una sua fisionomia fatta di gioia o di tristezza, di forza o di struggimento.

Non si tratta solo della grande suddivisione in modi maggiori e minori che - ascoltando musica - tutti facilmente avvertiamo: i primi positivi e vitali, gli altri malinconici e cupi o venati di ombre. 
A conferire un certo carattere a un pezzo è anche la specifica tonalità che ha sue peculiarità sonore, secondo la scala usata e la conseguente presenza di diesis o bemolle, come si osserva dallo schema riportato qui sopra.
L' argomento è vasto quanto problematico perchè, nel cogliere certe differenze, talora entra in gioco anche la soggettività della percezione. 
Tuttavia, se è vero che all'altezza di ogni nota corrisponde una determinata frequenza e una particolare vibrazione, si comprende quanto la tonalità in cui un pezzo è stato composto abbia sempre un suo preciso carattere che, cambiando scala, in qualche modo si perde.

Mai capitato a nessuno di giocare a rendere più facile un brano trasportandolo in tonalità diversa? Mai provato - ad esempio - a suonare in Do naturale, azzerando allegramente i sette diesis, il "Preludio n.3 BWV 848" del primo libro del "Clavicembalo ben temperato" di bachiana memoria? 
Lo so, gli esperti si stracceranno le vesti perchè - se tecnicamente tutto diventa più facile - in realtà non è la stessa cosa, perchè cambia il paesaggio sonoro con le sue sfumature di colore. Non per niente si parla di scala cromatica.
Lo si avverte ancora meglio in un coro: capita a volte che si sia tentati di abbassare magari di un solo semitono certi brani troppo alti. Ma, talora, un po' di quell' aura di bellezza che li contraddistingue si perde e l'effetto non è più lo stesso. La scelta di una determinata tonalità infatti è intimamente legata al carattere del pezzo e a ciò che l'autore in esso intende esprimere.

Tutto questo discorso per introdurre un brano che mi ha colpito non solo per la sua costruzione musicale, ma anche per la corrispondenza che vi avverto proprio tra argomento e tonalità.
S' intitola "No more tears", ed è una composizione per piano solo tratta dal doppio cd "Equilibrium" di Giovanni Allevi, uscito nel 2017.
È un pezzo vibrante e drammatico che, dopo pochi e netti accordi introduttivi, si apre con un tema dolente affidato alla mano destra e sostenuto dalle quartine della sinistra che, nel loro rigore, gli conferiscono la severità di uno studio bachiano. 
Nonostante qualche apertura in maggiore, le successive riprese si caricano di  una pulsazione ansiosa - peraltro non nuova nelle creazioni di Allevi - e di una progressiva, sofferta intensità che sembra dilatare le sonorità del pianoforte. 
E le note spesso staccate o talora ribattute, mentre altrove potrebbero risultare quasi giocose, qui invece ci parlano di un dramma. 
Il titolo è infatti "No more tears" : non più lacrime.
Perchè mai?
È stato il compositore stesso a spiegarlo in diverse occasioni, rivelando di aver composto il pezzo dopo un' operazione a un occhio per un grave distacco di retina al quale tuttavia l'intervento non ha potuto porre rimedio. 
Il brano riflette l'abisso di questa dolorosa consapevolezza e al tempo stesso la ferrea volontà del musicista di non lasciarsi domare dagli eventi, ma di reagire con coraggio, disciplina e - appunto - senza più lacrime.
A mio avviso, ce lo dicono proprio quelle quartine che, nella loro concitazione nervosa e sofferta, sembrano talora sovrastare il tema, ma alle quali è il tema stesso a rispondere con note scandite in assoluto rigore.

Ma ancor più significativa - e qui arriviamo al punto - mi sembra la tonalità scelta da Allevi per il brano: Fa diesis minore.
Mi pare infatti che essa sappia esprimere in pieno il suo stato d'animo, perchè al clima ombroso e mesto del Fa minore aggiunge un diesis che - almeno in parte - ne va a modificare l'effetto. 
Mi rendo conto che è un dato del tutto soggettivo e fondato unicamente sulla mia percezione. Ma il diesis - che nella scala cromatica rispetto al Fa naturale sale di un semitono - mi parla di quella perseveranza che consente al compositore di attraversare la difficoltà senza abbattersi. Vi sento infatti non un segno di molle abbandono, ma un elemento che conferisce al Fa minore un carattere di energico riscatto.
Una percezione che la musica mi restituisce con immediatezza e che m' induce ad amare questo brano intensamente.

Buon ascolto!

martedì 8 gennaio 2019

Nostalgia d'amore

Caravaggio: "Suonatore di liuto", particolare. (foto presa dal web)
Riscoprire antiche musiche e restituirle al pubblico in chiave di attualità senza tuttavia privarle della loro aura di pregio, è operazione lodevole che svariati compositori e cantanti hanno compiuto nel tempo.
Tra questi Sting che ha ripreso spesso melodie del passato, facendo riferimento ora a Bach, ora a Purcell, ora a Prokofiev, ora tornando invece al Rinascimento.
Così oggi, per inaugurare il nuovo anno, mi sono lasciata prendere dal fascino con cui il cantante interpreta un brano di John Dowland (1563 - 1626), autore che chi frequenta questo blog già conosce e del quale ho pubblicato la canzone "Now, o Now I needs must part..." che potete ritrovare qui.

Questa volta si tratta di "Come again", altro celebre madrigale del compositore inglese, inserito sempre nella prima raccolta dei suoi canti del 1597.
A somiglianza di tanti suoi pezzi, il tema del brano è pervaso di malinconia ed è stato ripreso nel tempo in differenti interpretazioni: per voce solista e liuto, per coro polifonico, ma anche in rivisitazioni più moderne.
In questa che vi propongo, Sting duetta con il violino di Joshua Bell che - sia nell'introduzione che nel corso del brano - s' inanella in una fioritura di abbellimenti e variazioni che accompagnano e commentano la melodia.

Il testo - di autore anonimo - è il lamento di un amante abbandonato che supplica l'amata di fare ritorno presso di lui e al tempo stesso sogna di poterla di nuovo abbracciare con una passione che va a coinvolgere progressivamente anche i sensi. Ma la donna è sorda alle sue richieste: nè la fedeltà, nè le lacrime dell'uomo riescono a scalfire il suo cuore di pietra e a lui non resta che il pianto e lo struggimento d'amore.
Interessante l'ultima strofa nella quale - come nei congedi delle antiche ballate - il protagonista non si rivolge più all'amata, ma all'Amore in persona che sta preparando i suoi dardi per trafiggere il cuore della donna. Ma l'uomo, ormai sconsolato, prevede che ogni tentativo sarà vano poichè di quel cuore ha già saggiato la durezza.
Un testo intriso di nostalgia, ma anche di una sensualità sottolineata musicalmente dai vari crescendo, dove il timbro un po' roco della voce di Sting ora contrasta, ora si fonde in mirabile duetto con quella melodiosa e acuta del violino, tesa ad esprimere ciò che le parole solo adombrano.

Ma del brano mi piace aggiungere anche una versione per coro polifonico tratta dall'album "Fine Knacks for Ladies" del "Collegium Vocale Bygoszcz", quartetto polacco specializzato in musica medioevale e rinascimentale. 
Mi pare che il pezzo, armonizzato con splendida grazia, metta particolarmente in luce il contrasto tra la delicatezza e la trasparenza dei passaggi iniziali di ogni strofa e l'intensità con cui poi la melodia si accende di passione.

Interpretazioni differenti, ma - a mio avviso - ricche entrambe di un fascino capace di parlarci della medesima Bellezza, sia pure con accenti e sfaccettature diverse. Note che provengono da un passato remoto ma ancora oggi vivissimo, grazie alla loro magia e all'incanto di queste voci che lo rendono meravigliosamente presente al nostro cuore.

Buon ascolto e Buon Anno!