domenica 30 giugno 2019

Portando a spasso il cane...

G.Balla (1871 - 1958): "Dinamismo di un cane al guinzaglio"
Orecchiabile il brano di oggi, orecchiabile al punto che ci resterà dentro per un po' come un simpatico tormentone - provare per credere! - ma insomma, stavolta è così.
Il fatto è che, dopo aver dato il benvenuto qui a George Gershwin col pezzo pubblicato otto giorni fa, me ne sono andata un po' a zonzo tra le sue note.

Conosciamo tutti "Rapsodia in blu", "Un americano a Parigi", le musiche per l'opera "Porgy and Bess" tra cui "Summertime" per citare alcuni dei suoi brani più famosi, senza dimenticare il celebre "Concerto in Fa". Tuttavia, la produzione del compositore americano, nonostante sia vissuto solo 38 anni, è molto più vasta e poliedrica. Se la volta scorsa ho pubblicato un pezzo scritto da Gershwin a soli 19 anni, quello di oggi manco a farlo apposta è uno degli ultimi, composto un anno prima della sua morte per la colonna sonora del film "Shall We Dance".

Si tratta di "Promenade - Walking the dog", brano nato per clarinetto e orchestra e poi oggetto di svariati arrangiamenti.
È una musica scorrevole, ritmata e spensierata che sembra proprio voler riprodurre l'atteggiamento talora meditabondo, talaltra un po' svagatello di chi porta a spasso il cane: un'abitudine che consente infatti di abbandonarsi ai propri pensieri, ma anche di lasciar correre l'occhio intorno cogliendo tanti particolari della realtà circostante.
Lo dimostra la gustosissima sequenza tratta proprio dal film che citavo, con protagonisti Fred Astaire, Ginger Rogers e...i cani appunto, dove la musica di Gershwin - nell'adattamento per piano solo fatto successivamente da Jack Gibbons - s'innesta all'azione scenica in modo che la mimica degli attori, cani compresi, si fonda perfettamente con l'andamento delle note.

Ma al di là della simpatica sequenza del film, confesso che mi prende molto anche l'interpretazione del brano per clarinetto e pianoforte. 
È il solista a modulare il tema sull'onda di un' accattivante ispirazione jazz, mentre il piano lo fa riecheggiare sottolineandone marcatamente il ritmo un po' scanzonato. Una musica grintosa, ma non priva di qualche parentesi più languida, che ci conduce - per così dire - un po' qua e un po' là, come seguendo il fiuto di un cane che corre dietro a svariate sollecitazioni.
Un brano leggero ma irresistibile, che testimonia quanto sono vari gli argomenti che la musica può interpretare, soprattutto se si tratta della colonna sonora di un film del quale - come in questo caso - deve seguire la trama mettendone in luce il sorridente umorismo.
Una melodia che, nel suo ironico e ammiccante intreccio di note, è ricca di armonia imitativa e al tempo stesso di quella svagata spensieratezza che fa bella la vita.

Buona visione e buon ascolto!

sabato 22 giugno 2019

Il tocco di Jeffrey

(Foto presa dl web)
Mi perdonerà il Maestro Jeffrey Biegel - se mai un giorno dovesse trovarsi a passare di qui - per la confidenza con cui nel titolo l'ho chiamato per nome!
Ma dalla volta in cui ho avuto occasione di ascoltarlo dal vivo, ne ho colto non solo la straordinaria bravura da vero virtuoso del pianoforte, ma anche l'umanità trasparente, unita ad un'accattivante cordialità nel suo modo di accostarsi alla musica.
È stato verso la fine del 2017, al Teatro Dal Verme di Milano, dove ne ho potuto apprezzare le doti di finissimo interprete nell' esecuzione del "Piano Concerto n.1" di Giovanni Allevi, che tra l'altro ha anche inciso.

Sempre il modo di avvicinarsi alla musica e di farla nostra rivela chi siamo: vale per tutti i compositori, ma anche per gli interpreti che, suonando, ci regalano certamente il senso profondo delle note di un altro autore, filtrandolo però attraverso la propria sensibilità e il proprio modo di dialogare con le note. 
Una dimensione soggettiva ineliminabile anche in coloro che, con la bravura e la finezza di cui sono dotati, sanno immergersi in un testo musicale fino a farne una riproduzione fedele e a rispettarne l' originalità.
Ma la passione, il gusto di suonare e il tocco restano assolutamente personali.

Ecco. Del Maestro Jeffrey Biegel - americano, classe 1961 - ho avuto l'impressione di un interprete capace di associare grande padronanza del pianoforte ad altrettanta semplicità, pronto a regalare al pubblico, con rigore e insieme leggerezza, tocco sicuro e al tempo stesso delicato, le più diverse meraviglie del mondo delle note.
Si tratta infatti di un musicista versatile: non solo pianista, considerato tra i più talentuosi e brillanti di questi anni, ma anche compositore, arrangiatore e insegnante. La sua formazione classica lo ha condotto a realizzare numerosi progetti per contribuire alla conoscenza degli autori del passato, ma non gli ha impedito di dedicarsi anche alla musica contemporanea valorizzando i più recenti compositori insieme a brani dei generi più svariati. 
Insomma, un'attività dalle mille sfaccettature.

Proprio tale versatilità dimostra qui Biegel nell'esecuzione di un pezzo di George Gershwin (1898 - 1937). 
Il nome del compositore statunitense ci riporta subito non soltanto al mondo della classica, ma anche a quello del jazz, del blues, del musical e del ragtime
A quest'ultimo genere, in particolare, si riferisce il brano che ho scelto oggi: "Rialto Ripples", scritto da Gershwin a soli 19 anni, un rag in cui il musicista -  rifà un po' il verso a Scott Joplin.
Si tratta infatti di una musica ballabile, pervasa da una contagiosa e scanzonata vena di allegria, ottimo rimedio per i momenti un po' così...per quelle mattine che stentano a partire, quando - ma diciamolo piano perchè non ci sentano! - neppure Bach e Mozart possono nulla e urge un piano B per far decollare la giornata!
Di tale vivacità, non priva di qualche ammiccante punta di umorismo, Biegel mette sapientemente in luce i tratti. La sua interpretazione sottolinea infatti i contrasti tra forte e piano, facendone risaltare col suo tocco ritmica e accenti. Un'esecuzione dalla quale traspare la matrice classica del pianista e che di conseguenza risulta - a mio avviso - più misurata rispetto ad altre.
Ma insieme alla capacità di Biegel di padroneggiare le differenti dinamiche del testo, è evidente anche il gusto con cui suona. 
La sua è infatti una comunicativa sobria ma non per questo meno efficace, che ci restituisce il senso di un dialogo con la musica fatto di partecipazione attentissima e talora divertita.

Buon ascolto!

venerdì 14 giugno 2019

I ponti di Hopper

"Le bistrot"
C'è spesso in tanti pittori - al di là dei principali caratteri iconografici che li hanno resi celebri - qualche motivo ricorrente, talora un semplice dettaglio secondario, che tuttavia si ripete come parte integrante del loro modo di rappresentare la realtà.
Ricordate il treno nei dipinti di De Chirico? 
Quel trenino sbuffante che compare all'orizzonte di tante sue piazze famose, in apparenza senza alcun nesso col resto, ma che rimanda a un dato autobiografico? Ecco! Ma potremmo citare anche Ottone Rosai con i suoi vicoli sempre il curva, o Cézanne con il Mont Sainte-Victoire e altri ancora.

"Pomeriggio di giugno"
Così, nell' attenzione verso le opere di Edward Hopper (1882 - 1967) che mi ha portato a scrivere già tempo fa un paio di post, non avevo mai fatto caso ad un particolare che invece ricorre spesso nei suoi dipinti.
Conoscevo Hopper come pittore della solitudine metropolitana e di quella sospensione esistenziale che si traduce in attesa, di quel senso di provvisorietà che gli fa riprodurre squarci di vita incompleti come partenze, treni, strade o finestre, che rimandano a un dentro e un fuori, un prima e un dopo e attendono un compimento.
Ma non avevo mai notato che, nei panorami che l'artista delinea sia quando raffigura il tessuto urbano che altrove, vi sono spesso anche dei ponti.

Perchè mai? Che cosa lo ha condotto verso tale rappresentazione? 
Forse l'immagine inconscia di un luogo familiare, un ambiente visto e sognato che ritorna magari attraverso un semplice richiamo, o tutto ciò sottintende un senso più profondo? 
"Scompartimento C, Carrozza 293"
Non lo so con certezza, ma non mi pare un dettaglio trascurabile, data la frequenza con cui ricorre non solo nei dipinti esplicitamente dedicati a questo tema, ma anche in opere in cui è una semplice citazione en passant - ma proprio per questo ancor più significativa - come nel paesaggio che appare dal finestrino nel quadro qui a lato. 
Sembra infatti che Hopper, nel delineare la realtà circostante, lo inserisca con naturalezza quasi inconsapevole, come se la presenza del ponte facesse parte del suo immaginario.
"Le Quai des Grands Augustins"
Molteplici potrebbero essere le considerazioni sul significato di questa immagine: spazio di collegamento e insieme metafora di apertura e di incontro tra esseri umani, ma anche luogo di sogni romantici così come di oscure tentazioni. 
Tuttavia non intendo addentrarmi in un discorso che mi porterebbe lontano, ma solo osservare i ponti che l'artista ha raffigurato nei loro colori, forme ed effetti.

Per quanto i dipinti che vedete qui - ad eccezione di "Manhattan Bridge" che è successivo - siano stati realizzati nel corso di pochi anni, dal 1907 al 1913 a seguito di alcuni viaggi del pittore a Parigi, vi si possono ravvisare caratteri diversi che lasciano sensazioni del tutto differenti.
"Le Pont des Arts"
Dalla luce al colore, fino alla struttura stessa del ponte e dei suoi materiali, vi sono mutamenti notevoli. 
Troviamo ponti di pietra dal massiccio spessore e strutture in ferro più aeree e snelle che Hopper rappresenta con tratto veloce; vi sono colori chiari e forme semplici, così come costruzioni più articolate e pesanti dove l'ombra prevale sulla luce.
Si va dalla levità di alcune opere come "Le bistrot", "Pomeriggio di giugno" e "Les Pont des Arts", fino alla cupa atmosfera di "Bridge in Paris".
"Bridge in Paris"
Se infatti nelle prime è evidente un certo influsso dell'Impressionismo non tanto nel vibrare della pennellata, ma più che altro nella chiarità dei colori e nell'idea di una pittura en plein air, "Bridge in Paris" sembra invece contraddire tutto ciò e creare un ponte sotto le arcate del quale ci si addentra come nel buio arcano di un tunnel. 
Rispetto agli altri, oltre al colore e ai materiali, cambia infatti anche il punto di vista che, dal basso, ce ne offre una visuale diversa e carica di mistero.
"Bridge on the Seine"
Sono opere nelle quali, al di là delle suggestioni ricevute da Hopper nei suoi soggiorni parigini - e la capitale francese nei primi decenni del Novecento è un incrocio di fermenti culturali - domina la visione dell'artista con quel senso di solitudine e sgomento che la caratterizza.
Osserviamo, per esempio, il bellissimo "Le bistrot". Al di là delle due figurette intente a bere in un angolo, è proprio la solitudine a campeggiare nel paesaggio totalmente deserto. Colori chiari, certo, ma anche un clima di indefinita malinconia e un orizzonte quasi vuoto: la strada, il fiume, il ponte con quei quattro alberelli (cipressi?...) agitati da un vento leggero e un taglio obliquo che mi ricorda un po' i quadri di Munch nella loro inquietudine.
"Queensborough Bridge"
Un taglio in realtà fotografico che ritroviamo pressocchè in tutti i dipinti qui riportati e che riproduce in tal modo solo una parte - a volte più ampia, a volte ridotta a uno scorcio - dei vari ponti che risultano così incompleti. 
Ma del resto, un ponte è già di per sè un elemento incompleto perché la sua presenza rimanda ad altro: ad acqua che scorre sotto le sue arcate, a necessità di collegamenti e al fermento di vita sulle rive che esso unisce.
"Manhattan Bridge"
E mi pare che il taglio di tali rappresentazioni, accrescendone il senso di incompiutezza, rimandi anche in questo caso a quella "tranche de vie" - per dirla alla francese nonostante Hopper sia statunitense - che il pittore ha sempre raffigurato dipingendo, come scrivevo sopra, strade, finestre, treni e attese.

Allora, in omaggio al clima di queste opere e insieme a quanto di parigino alcuni dipinti rappresentano, oggi vi propongo un brano di un compositore francese.  
Si tratta di Erik Satie (1866 - 1925), precursore del minimalismo e iniziatore di quella che viene chiamata musica d'ambiente poichè l'atmosfera da essa creata viene considerata quasi più importante della musica stessa. 
Il genere è nuovo e avrà poi fortuna nel corso del Novecento: famosissime a questo proposito le sue "Gymnopedies" e le "Gnossiennes" inserite anche nella colonna sonora in alcuni recenti film.
Il pezzo che ho scelto è la "Gnossienne n.1 in fa minore" prima di una serie di sette composizioni per piano solo. Resta un po' un mistero l'origine di questo titolo coniato dallo stesso Satie, forse con riferimento al termine greco gnosi.  
Si tratta di una delicatissima melodia dal procedere lento e dal tono malinconico vagamente orientaleggiante, ricca di trilli e caratterizzata da una serie di contrasti tra il piano e il forte
La sua struttura è semplice, ma il tono minore, le frequenti ripetizioni del tema e alcune affascinanti dissonanze possono lasciare una percezione di smarrimento e di indefinita malinconia.

Buon ascolto!

(I dipinti di Hopper qui riportati sono tutti conservati presso il "Whitney Museum of American Art" di New York, ad eccezione di "Scompartimento C, carrozza 293" che si trova alla Collection IBM Corporation e "Queensborough Bridge" in una collezione privata) 
N.B. Se avete l'impressione che la musica non si senta, niente paura! Il brano comincia a 0,24 dall'inizio della clip video. Occorre un pochino di pazienza, ma poi questa interpretazione ci ripaga. Grazie!!!

 

mercoledì 5 giugno 2019

A piccoli passi

N.Lancret (1690 - 1743) : "Minuetto".
Nonostante ami molto la musica di Mozart insieme a quella degli autori suoi contemporanei, non ho mai nutrito una particolare predilezione per la forma del minuetto che, proprio nell'arco del Settecento, trova gli esempi più famosi.
Nato un secolo prima in Francia in ambiente popolare, è divenuto poi  ballo di corte e si è diffuso anche altrove, reso famoso da compositori quali Lully, Boccherini, Mozart, Haydn e il giovane Beethoven, mentre successivamente la sua fortuna andrà diminuendo. 
Lo troviamo quindi inserito, in un primo momento, all'interno delle varie suites barocche e più avanti nelle sonate o nelle sinfonie dell'epoca classica, sostituito poi dallo scherzo.
Il termine minuet deriva dal francese pas menu, passo minuto, e si riferisce proprio al modo di incedere a piccoli passi che caratterizza questa danza dal ritmo ternario, pacata e ricca di garbo. Graziosa e galante sono i primi aggettivi che mi vengono in mente per definirla: una danza di coppia fatta di inchini, cerimonie e riverenze, quasi una sorta di rito di corteggiamento dove però si mantengono le distanze e manca l'appassionata vivacità di altri balli. 
Una danza misurata insomma, come misurati sono i piccoli passi, ora a destra, ora a sinistra, avanti e indietro, che richiedono da parte di chi li esegue molta attenzione perché venga rispettata una perfetta sincronia.

Dicevo appunto che il minuetto non mi ha mai particolarmente attirato, forse per questo suo tono tipicamente salottiero e talora un po' lezioso al quale ho preferito spesso altri generi, o perché richiama un po' la musica d'occasione.
Tuttavia - proprio nell'arco dell'Ottocento, quando la sua fortuna va a svanire - si possono trovare esempi ricchi di notevole fascino.
È il caso del brano di oggi: il "Minuetto" dalla "Suite n.2 dell'Arlesiana" di Georges Bizet (1838 - 1875), già scritto dal compositore per l'opera "La jolie fille de Perth", e dopo la sua morte, inserito da Ernest Guiraud nelle musiche di scena di questa Suite
Si tratta di una melodia luminosa, un "Andantino quasi allegretto" dal ritmo riposante ma vivo, dal procedere sostenuto ma non troppo, e ricco di passaggi che indugiano nel sottolinearne la dolcezza. Ce lo dicono anche il diminutivo e il vezzeggiativo dei due termini con quell'allegretto attenuato dal quasi, che sottintende una vivacità smorzata e una musica soffusa di particolare grazia.

Qui è il flauto di Emmanuel Pahud a regalarci lo splendido tema del brano: un'aria di grande leggiadrìa scandita con leggerezza nelle sue successive fioriture e - dopo un intermezzo orchestrale più deciso e solenne - ripresa con nitida luminosità fino alla conclusione.
Una melodia fatta di piccoli passi rasserenanti, note talora ribattute e qualche lieve passaggio più lento a sottolinearne l'eleganza. 
E mentre qua e là risuona un'eco della mozartiana "Aria di Papageno" del primo atto del "Flauto magico", la dolcezza carezzevole del tema rispecchia invece i caratteri squisitamente romantici della musica francese dell'Ottocento.

Buon ascolto!