venerdì 31 dicembre 2021

Ricalcola il percorso...

Ringrazio l'amica Cristina che - quale fan della celebre Lucrezia uscita dalla fantasia e dai fumetti di Silvia Ziche - ha pubblicato su Facebook la vignetta che vedete. Una figura simpatica quella di Lucrezia, fatta di ironia e disincanto, ma non per questo priva di uno sguardo concreto sulle cose e di una sua saggezza.

Mi ha colpito perchè, proprio ieri, in macchina con mio marito nella fitta nebbia padana, per orientarci su strade che in realtà conosciamo come le nostre tasche, abbiamo dovuto usare il navigatore. Confesso che per questo strumento di bordo ho sempre nutrito una proverbiale allergia anche quando parla con suadente voce femminile. Tuttavia, devo riconoscere che ci ha portato alla destinazione giusta perchè, ogni volta che con tono soave diceva una cosa mentre noi ingannati dalla nebbia ne facevamo un'altra, rimodulava prontamente l'itinerario.
È stato allora che la frase con la quale dava l'ordine - "Ricalcola il
percorso" - mi è risuonata dentro in modo nuovo, quasi potesse rivestire un senso capace di andare al di là della necessità momentanea. 

Ricalcolare il percorso in effetti può significare tante cose: far fronte a un imprevisto, optare per un cambiamento, esercitare una forma di autocritica, ma anche ridefinire scopi e mete da raggiungere valutando equipaggiamento, tempi, risorse e limiti del viaggio.
Ricalcolare il percorso può anche indurre a scelte non facili e forse è un esercizio che abbiamo già compiuto altre volte. Ma se capita che ci si
perda per strada, o si proceda nella nebbia, o che tanti sogni debbano essere ridimensionati come sta accadendo da quasi due anni a questa parte, il navigatore continua a suggerirci che la strada per arrivare alla nostra meta può essere ancora ricalcolata. C'è speranza insomma!
Poi, tornata a casa, ho scoperto la vignetta di Silvia Ziche pubblicata dalla mia
amica. Coincidenze? Forse. Così ora sono qui a condividerla con voi in questo scorcio di fine anno come augurio per quello nuovo.

E per sottolineare in musica questo passaggio, ho scelto un brano corale che ho nel cuore da tempo. Si tratta del mottetto a quattro voci "Exultate justi in Domino" di Ludovico Grossi da Viadana (1564 - 1627), compositore spesso ricordato col solo nome del suo luogo di nascita.
A dire il vero, il canto - che riprende i versetti iniziali del Salmo 33 - è spesso eseguito in occasione della festa dei Santi e, ad essere
rigorosi, non è adatto a una fine d'anno per la quale sarebbe più consono un "Te Deum".
Ma, ricalcolando appunto il percorso, ho deciso di variare l'itinerario musicale
concedendomi una piccola trasgressione: allora eccolo qua.
Il mottetto è vivace e animato come una danza e, con la sua bellezza, ci suggerisce la
meta su cui fissare l'attenzione e verso la quale orientare il cammino. Affascinante il modo in cui le voci si avvicendano e s'intrecciano gioiose, nell'invito a cantare e suonare moltiplicando la lode a Dio.
Un brano capace di far fiorire in noi il sorriso e, magari, di indicare la strada per il futuro radioso cercato dalla Lucrezia della vignetta, e certo anche da tanti di noi.

Buon ascolto e Buon ANNO!

(La foto è presa dal web)

 

sabato 25 dicembre 2021

Buon Natale!!!



















Federico Barocci (1535 - 1612) : "Natività" - Madrid, Museo del Prado.

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) : "Gloria sei dir gesungen" dalla Cantata BWV 140.

mercoledì 22 dicembre 2021

Inverni

Giunti alle soglie dell' inverno, anche se meteorologicamente il freddo è già arrivato da giorni, oggi mi piace ricordare alcune composizioni musicali dedicate proprio a questa stagione.

Se numerose sono le emozioni che, di tempo in tempo, la musica ci ha regalato e svariati i temi in cui si è addentrata, la descrizione della natura è uno di quelli che hanno suscitato più volte l'interesse dei compositori.
C'è infatti un filo che, dal Rinascimento in
poi, attraversa i secoli arrivando fino al Novecento.
È un'attenzione ai fenomeni e ai suoni della natura in un primo momento
riprodotti solo per onomatopea - come fa nel Cinquecento Clément Janequin con "Le chant des oiseaux" - poi ricreati con maggiore ampiezza descrittiva e infine colti nei loro effetti emotivi ed evocativi.
Penso - solo per citarne alcuni - a diversi brani di Vivaldi o di Haendel; al
temporale nella Sinfonia "Pastorale" di Beethoven o all'incanto della sua Sonata "Al chiaro di luna"; allo scorrere dell'acqua ne "La Moldava" di Smetana e in certi brani di Debussy e Ravel; alla "Sinfonia delle Alpi" di Richard Strauss e via dicendo. Brani diversi fra loro proprio per l'intento dei vari compositori ora di descrivere, ora di evocare, ora di tradurre in note la realtà esterna, ora invece di riprodurne l'eco e le risonanze interiori.

Ma l'attenzione alla natura ha preso spesso in considerazione anche il succedersi delle stagioni con gli eventi meteorologici che le contraddistinguono. Celeberrimi a questo riguardo, i quattro Concerti di Vivaldi, esempio di musica a programma in cui, sulla traccia dei sonetti dedicati appunto alle varie stagioni, il compositore ne ha descritto in note i caratteri.
Tuttavia, se pure è il più famoso, Vivaldi non è il solo ad aver affrontato
l'argomento. Ricordiamo dopo di lui Haydn con l'Oratorio "Le stagioni" per soli, coro e orchestra; Tchaikovsky con i dodici brani per pianoforte dedicati ai mesi che portano appunto il titolo di "Stagioni op.37"; e su su fino ad Astor Piazzolla con la suite "Cuatro Estaciones portenas", opera di atmosfera molto diversa dalle precedenti e ispirata al tango argentino.

Oggi però, all' interno di questo tema, desidero soffermarmi in particolare sull'inverno. Ricordiamo a questo proposito Purcell con l'aria "Now Winter comes slowly"; ancora Tchaikovsky con la Sinfonia n.1 intitolata "Sogni d'inverno"; poi l'esuberante "Valzer dei pattinatori" di Waldteufeld fino a una composizione dal clima del tutto differente che è appunto "Invierno porteno" del già citato Piazzolla.
In tali brani, ora è il carattere complessivo della stagione ad essere messo in luce,
ora un singolo aspetto: il ghiaccio, il freddo tempestoso, la neve, il calore del fuoco o l'atmosfera di sogno. A questo proposito, non possiamo dimenticare l'incanto assoluto del "Largo" dell'Inverno di Vivaldi che potete trovare qui, dove il pizzicato dei violini descrive mirabilmente le gocce di pioggia, mentre la melodia ci restituisce un'aura di contemplazione e intimità.

Il brano di oggi, tuttavia, è in netto contrasto con il "Largo" vivaldiano non solo per il differente contesto cronologico e musicale in cui si ambienta, ma anche per la sua tempestosa irruenza. Si tratta dello "Studio in la minore n.11 op.25" di Chopin, chiamato "Winter wind" - Vento d'inverno - che qui ho pubblicato nella magica interpretazione di Maurizio Pollini.
Nati come esercizi per la destrezza, la resistenza e la velocità delle mani, in realtà
gli Studi del compositore polacco - sia dell'op.10 che dell'op.25 - si caratterizzano per la fusione di ardite sfide tecniche da un lato e intensa musicalità dall'altro, cosa che li ha resi subito a pieno diritto veri e propri pezzi da concerto.
Questo che vi propongo è un brano di vertiginosa difficoltà, non solo per la
velocità che - a parte le prime quattro battute - la sua esecuzione richiede, ma per la necessità che, nell'inarrestabile cascata di note, le mani lavorino in modo pressoché indipendente. Dopo le prime quattro lentissime battute, la melodia irrompe impetuosa proprio come un vento sferzante, una tempesta che non dà tregua; e mentre la destra si produce in una sequenza ininterrotta di scale e arpeggi, la sinistra con i suoi accordi riprende il tema delle battute iniziali costruendo la melodia.
Un pezzo di Chopin ricco di impeto romantico e capace di trasformare il virtuosismo in vero linguaggio artistico.

Buon ascolto!

(La foto, presa dal web, riproduce il dipinto di F.Goya intitolato "L'inverno" o "La tempesta di neve", conservato al Museo del Prado, a Madrid). 

 

mercoledì 15 dicembre 2021

In cerca di leggerezza - 12








Giunta a dicembre, e così pure alla fine di questa serie di post in tema di leggerezza, mi piace regalarvi un' immagine un po' fiabesca che mi affascina da tempo. Ma la sua luce, i colori, il modo con cui è disegnato il paesaggio e il fatto che sia il dettaglio di un dipinto che raffigura una Madonna, mi hanno indotto ad aspettare la vicinanza del Natale.
Tuttavia, anche se la Vergine è col Bambino, non si tratta di una Natività, ma di
una splendida tavola di Giovanni di Paolo (1398ca. - 1482), intitolata "Madonna dell'Umiltà" e conservata presso la Pinacoteca nazionale di Siena.

L'artista, esponente della scuola senese e al tempo stesso vicino allo stile del Gotico internazionale, ci offre raffinatissime opere nelle quali caratteri ancora tipici della pittura del Medioevo si fondono con le prime novità prospettiche del Quattrocento. E il dipinto che vedete, databile intorno al 1435, si pone in questa linea.

Come potete osservare dalla foto qui
accanto, Maria, chiusa in un manto scuro dalle linee sinuose ed eleganti, i capelli raccolti in un'elaborata acconciatura che va confondendosi con l'aureola, siede nel mezzo di un giardino.
Il riferimento all'umiltà è legato proprio al
fatto che non è in trono, ma sul terreno - humus, appunto - anche se appoggiata su di un panno che sembra riccamente decorato. Intorno, la circonda un piccolo frutteto - classico esempio di hortus conclusus che nell'arte sacra simboleggia la verginità - mentre, nel paesaggio retrostante, si scorgono due castelli fortificati e un corso d'acqua. Sullo sfondo, infine, a contrastare col colore scuro che caratterizza il resto della rappresentazione, campi coltivati e colline chiare si stagliano contro un cielo dalle tinte sognanti e piene di luce.

È stato quest'ultimo particolare di paesaggio a incantarmi, proprio per la commistione tra realtà e sogno.
Da un lato la concretezza degli
appezzamenti di terreno ben definiti e disegnati in modo da creare una profondità; poi gli alberelli scuri e gli stormi di uccelli - ci sono, ci sono, ingrandite la foto! - che popolano il cielo; ma dall'altro la fantasiosa raffigurazione di quelle collinette coniche tutte uguali e un po' stilizzate che sembrano uscite da un libro di favole. Tentativi di impostazione prospettica, certo, tuttavia ancora incerti e che nell'insieme ci riportano indietro nel tempo, alla fiabesca inventiva dei miniatori medioevali.
Del resto, Giovanni di Paolo non è nuovo a questo tipo di rappresentazione: un
paesaggio simile troviamo infatti anche nello sfondo di una celebre "Adorazione dei Magi" dipinta successivamente che potete ritrovare qui.

Ma nella "Madonna dell'Umiltà", dietro il paesaggio collinare, ad affascinarmi più di ogni altro aspetto è il cielo con i suoi colori digradanti dal blu cobalto al celeste, fino a una sfumatura più chiara, lievemente più calda e quasi rosata.
Un dettaglio di assoluto incanto, un particolare in cui affondare gli occhi e il cuore per lasciarsi pervadere dallo splendore di queste tinte smaltate e dalla leggerezza della rappresentazione.

Un paesaggio terreno e paradisiaco
insieme, che mi fa tornare con la memoria a certe immagini dei libri della mia infanzia.

Ma osservando le fasce orizzontali che vanno progressivamente schiarendosi dall'alto fino all'orizzonte, mi vengono in mente anche altri riferimenti, uno più antico e l'altro più recente. Il primo è quel "dolce color d'orïental zaffiro" di cui parla Dante nel I Canto del Purgatorio quando, dopo essere uscito dall' aura morta infernale, rivede finalmente il cielo di una tonalità tanto trasparente e luminosa da ricordare una preziosa gemma orientale.
Il secondo richiamo ci porta invece al Novecento perchè - prese a sè - le fasce
orizzontali di colore potrebbero aver ispirato, chissà!, anche certo espressionismo astratto presente, ad esempio, nei dipinti di Mark Rothko.

E per passare alla musica, torno a un brano che ho già pubblicato qui tra i primi, la bellezza di undici anni fa. Ma non posso non condividerlo ancora perchè - a mio avviso - in fatto di gioia e di leggerezza è uno dei pezzi più significativi che l'intero panorama musicale ci possa offrire.
Si tratta del celeberrimo coro "For unto us a Child is born" dal "Messiah HWV 56" di
Georg Friedrich Haendel (1685 - 1759), nel quale il compositore ha messo in musica i versetti del profeta Isaia al cap.9, che prefigurano la nascita di Cristo. Qui, le varie voci che si inseguono ora con delicata freschezza, ora con grandiosa solennità ci conducono davvero in un'atmosfera d' impagabile gioia.
Interessante il fatto che l'aria non sia originale, ma appartenga a questo  Duetto 
intitolato "No, di voi non vo' fidarmi" che lo stesso Haendel aveva scritto in precedenza e che, insieme ad altre melodie, ha riutilizzato all'interno del "Messiah". La cosa non deve stupire perchè, nell'epoca barocca, era prassi abbastanza consueta che un musicista riproponesse altrove arie che in precedenza avevano avuto successo. E non dimentichiamo che Haendel aveva composto il celebre Oratorio nell'arco di poche settimane.

Detto questo, vi lascio alle due clip video. Due perchè la prima è l'esecuzione della London Symphony Orchestra diretta da Sir Colin Davis che avevo proposto a suo tempo; la seconda invece è un' interpretazione dal ritmo più veloce - forse anche troppo - ma che ho apprezzato per l'entusiasmo e la gioiosa leggerezza con cui il direttore, Anthony Walker, guida il coro.
Non sapendo quale scegliere - la più scandita e misurata o la più 
trascinante? - le ho pubblicate entrambe anche perchè, sia nella prima che nella seconda, alcuni coristi sorridono e il direttore canta con loro.
Ma - e qui sta il bello!- lo splendore della musica è tale che, alla fine, ci ritroviamo a sorridere di cuore anche noi!

Buona visione e buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

mercoledì 8 dicembre 2021

"Le regole del pianoforte"

Uscito lo scorso ottobre per i tipi dell'editrice Solferino, "Le regole del pianoforte" è il settimo libro del compositore Giovanni Allevi.
Tuttavia il titolo non deve trarre in inganno il lettore,
inducendolo a pensare che si tratti di un testo tecnico rivolto solo agli addetti ai lavori.
Sono regole, certo, trentatré regole illustrate in
altrettanti capitoli, ma - come precisa il sottotitolo - finalizzate a una vita fuori dall'ordinario.
E se rispetto ad alcuni dei precedenti libri del musicista
- cito i più recenti: "L'equilibrio della lucertola" (2018) e "Revoluzione" (2020) - la struttura narrativa qui è differente, sempre intensi sono tuttavia i riferimenti esistenziali e filosofici.

Il testo si apre con svariate indicazioni pratiche sul modo di accostarsi al pianoforte, ma il pensiero del compositore spazia poi sul significato dell'essere artisti e su quanto lo strumento possa divenire specchio per conoscere se stessi. Di ogni regola infatti Allevi indaga il senso profondo, lo spessore e la valenza esistenziale, perchè una musica che non voglia essere semplice intrattenimento nasce sempre da vertiginosi abissi.
E se da un lato suonare esige che ci si metta in gioco perchè le dita siano
espressione dell'anima, dall'altro il pianoforte ci pone di fronte alle nostre fragilità, a quella parte oscura di noi che non possiamo ignorare. Essere artisti è dunque atto rivoluzionario e coraggioso.

Interessante il fatto che il libro sia stato pensato ancora una volta in tempo di pandemia, per l'esigenza del compositore di sintetizzare i cardini della propria esperienza trentennale a tu per tu col pianoforte, in un periodo in cui l'emergenza lo ha tenuto lontano dal palco.
Ma il senso del testo sta anche nel suo offrire indicazioni per una disciplina
interiore cui tenersi legati nei momenti difficili, nei quali il rischio - oltre al virus - è quello dell'omologazione o della scelta di ciò che appare più facile e più immediato. Proprio a questo proposito, a mio avviso sarebbe importante che il libro fosse letto anche dagli adolescenti perchè, nel segno del pianoforte, Allevi ha disegnato in realtà un percorso di crescita che valorizza l'unicità di ciascuno. E una vita fuori dall'ordinario, oggi, è proprio quella di chi cerca il proprio talento - qualunque esso sia - e vi resta fedele senza cedere alle lusinghe della facilità o dell'immediatezza.
Nel capitolo intitolato "Cerca il tuo suono" si legge infatti:

"Tu hai potenzialmente il tuo suono perchè nessuno ha vissuto i tuoi amori, le tue gioie, le delusioni, i momenti di incertezza. Nessuno ha il timbro della tua voce, le pause, le grida e i sussurri. Nessuno ha il tuo modo di porsi nei confronti del mondo, il tuo essere timido o estroverso, intellettuale o fisico. Nessuno ha il peso del tuo braccio, la leggerezza o la pressione delle tue dita. (...) Cerca allora il tuo suono a partire dalla tua voce parlata e dai tumulti dell'anima" (pagg.55 - 56). 

È muovendo dunque dalle ombre del cuore che ciascuno è incoraggiato a scrivere la propria musica per cercare luce e colmare la distanza fra cielo e terra, come ogni artista - secondo Allevi - è chiamato a fare. E basta leggere i titoli dei vari capitoli per notare che non sono semplici enunciati, ma ardenti esortazioni proprio in questo senso: "Sii un guerriero", "Guarda in faccia le tue paure", "Sii rivoluzionario!", "Tocca il tuo abisso"...fino alla regola finale "Fai della tua vita un'opera d'arte!". Esortazioni in cui brilla un fuoco che - a pag. 12 del testo - fa dire al compositore: "...grazie alla musica ritroviamo noi stessi e facciamo esperienza del divino in fondo alla nostra anima".

Proprio quest'ultima osservazione mi suggerisce il brano da associare al libro. Tratto dal recentissimo album "Estasi", s'intitola "Mindfulness", termine che sottolinea la piena attenzione al presente e la consapevolezza di sè.
Qui Allevi ha creato un pezzo intensamente meditativo, costruito su di una ritmica
di arpeggi ininterrotti che vanno esplorando armonie di grande respiro.
Un brano sostenuto e insieme delicato ascoltando e riascoltando il quale,
intrecciata alle sue note, si avverte l'onda segreta del celebre preludio bachiano che apre il I Libro del "Clavicembalo ben temperato".
Un'onda che scompare e riappare simile a un fiume sotterraneo, un preludio che
Allevi sembra aver interiorizzato al punto da farlo riaffiorare liberamente fuso alle sua musica, reinterpretandone ritmi, accenti e armonie alla luce della propria sensibilità e della propria inventiva.

Ma le suggestioni che "Mindfulness" ci regala vanno oltre il riferimento a Bach.

La voce del pianoforte ci presenta infatti sonorità energiche e profonde sulle ottave p
basse della tastiera, che vanno a sciogliersi in incantati pianissimo su quelle più alte. È proprio qui che il compositore ha creato i passaggi più delicati e sommessi: note lievissime e sussurrate che aprono squarci di sognante intimità. E possono suggerire la dolcezza di certe sere invernali, la magìa della neve, lo stupore di uno sguardo di bambino o il silenzio intatto della notte.
Immagini che la musica evoca riportandoci nel profondo di noi stessi e al tempo
stesso in una dimensione metafisica. Un po' come ci suggerisce la copertina del libro nella sua grafica, con i tasti che finiscono per librarsi in volo.

Buon ascolto!