martedì 30 maggio 2023

Notte nella foresta

Sarà perchè sento acutamente la mancanza del coro del quale facevo parte prima del Covid che, quando youtube mi propone un brano polifonico, mi ci soffermo sempre con inquieto desiderio.
Sono molto grata per gli anni in cui ho avuto la
possibilità di cantare in un coretto parrocchiale, un ambiente in cui mi sono trovata subito bene e ho imparato tanto. E che cosa, in particolare ???... 

Ad ascoltare prima di tutto, a riconoscere una nota calante da una in tono, a respirare al momento giusto, a cogliere l'importanza dell'omogeneità degli attacchi e a comprendere che in un brano polifonico tutte le voci devono fondersi con equilibrio senza che una spari al di sopra delle altre.
Ma ho imparato anche ad incantarmi
durante le prove, nel sentire come un brano vada pian piano prendendo forma con la bellezza dei bassi che sostengono le voci più alte dando loro sostegno e spessore. Ne ho parlato qualche volta in passato - per esempio qui - perchè non si può tenere solo per sè una sensazione tanto coinvolgente. Così con Mozart, Bach, Lotti, Palestrina, Franck e altri.
Poi la pandemia ha spezzato e spazzato via tutto. Certo, non siamo stati
tanto tecnologici da organizzarci sul web come molti cori hanno fatto, poi qualcuno se n'è andato, da pochi siamo rimasti in pochissimi ed è stato impossibile proseguire.

Così ora mi aggiro su youtube con profonda nostalgia ed è questo il motivo per cui oggi vi propongo un pezzo corale che ho scoperto da poco.
Si tratta del brano intitolato "Waldesnacht", terzo dei "Sieben Lieder op.62" di Johannes Brahms (1833
- 1897) che qui ha musicato l'omonimo testo del poeta tedesco Paul Heyse (1830 - 1914).
Notte nella foresta dunque: tema squisitamente romantico nel quale i versi dello
scrittore cantano il sollievo di trovare pace nella frescura di un bosco, lontano dal clamore mondano e a contatto con una natura che, sola, può acquietare i tormenti di uno spirito ribelle concedendogli un sonno che attenui il dolore. E si percepisce chiaramente l'eco di altri poeti che, nel tempo, hanno dato sfogo ai propri sentimenti nella natura, a partire dal Petrarca di "Solo e pensoso..." fino al Foscolo del sonetto "Alla sera", ma - per restare in ambito tedesco - certo anche al Goethe de "I dolori del giovane Werther".

In "Waldesnacht" Brahms ha tradotto in note le tre strofe del testo di Heyse creando un'intensa melodia per coro misto a cappella, la cui armonizzazione talora può ricordare qualche passaggio della sua prima sinfonia. Una melodia sostanzialmente pacata, tuttavia non priva di momenti forti tesi a interpretare l'irrequietudine d'animo di cui parla il poeta; ma ogni volta il tormento va placandosi nella pace del bosco circostante.
Ce lo dicono le voci del coro che esordiscono piano, poi s'impennano in qualche
passaggio più vigoroso per tornare infine a pacificarsi.
Molto bella a questo riguardo - sentitela e risentitela, per favore! - la conclusione
delle singole strofe per l'incantevole diminuendo che conduce all'accordo finale dove la fusione delle voci è di una soavità senza pari.

Decisamente apprezzabile l'esecuzione del Coro dell'Università di Monaco di Baviera che avete già ascoltato anni fa in un altro pezzo dal contenuto simile e dall'atmosfera romantica: "Abschied vom Walde" di Mendelssohn.
E vale anche per il brano di Brahms l'osservazione che facevo allora e cioè
che, nonostante il gruppo corale sia molto numeroso, il canto è nitido e percepibile in ogni sua sfumatura. 

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

martedì 23 maggio 2023

Le mie città - 5

Beato Angelico : "Deposizione dalla croce"













 

Non è italiana e neppure europea la mia città di oggi, ma il suo nome evoca vicende di portata universale che in qualche modo ci interrogano nel profondo facendo riecheggiare in noi gli antichi versetti del Salmista: "Se mi dimentico di te, si paralizzi la mia destra, si attacchi la lingua al mio palato se lascio cadere il tuo ricordo". Parlo infatti di Gerusalemme.

Ci sono stata parecchi anni fa, ma non così tanti da non aver visto checkpoint e muri di confine con i territori palestinesi. Un viaggio certo interessante sul piano storico, religioso e politico, ricco di tappe che tuttavia qui non intendo ripercorrere perchè mi piace soffermarmi invece su alcuni particolari paesaggistici. Le vicende millenarie del luogo e le dominazioni susseguitesi nel tempo, come sempre accade, ne hanno plasmato anche la fisionomia, conferendole però in questo caso un fascino molto singolare.

Osservando il suo panorama, mi verrebbe spontaneo definire Gerusalemme la città tutta d'un colore, perchè - se si eccettua la spianata delle moschee - la visuale che dal Monte degli Ulivi digrada sulle tombe della Valle del Cedron e poi sale alle mura e agli edifici del centro storico, ci offre una tinta uniforme. La pietra delle diverse costruzioni ha infatti un colore chiaro tra il bianco crema e il beige rosato che ricorda il marmo, ma che in realtà è una particolare varietà di calcare di cui sono ricchi i monti della Giudea.
Forse è stato proprio questo aspetto che - al di là dei vicoli dei vari quartieri
dove si addensano botteghe e merci coloratissime come in un suq - mi aveva ricordato alcuni nostri centri storici d'impronta medioevale, a cominciare da Assisi e Viterbo. Ma se il colore chiaro, la spoglia pietra romanica delle chiese insieme alle arcate che sormontano certe vie mi erano risultate familiari, l'atmosfera che vi ho respirato resta unica.

Sarà per questo che sono andata a cercare le raffigurazioni della città in alcuni pittori del Quattrocento e mi ha colpito il fatto che - per quanto talora essa sia in secondo piano - non manca di accurati dettagli.
Ecco la Gerusalemme del Beato Angelico
(1395 - 1455) sullo sfondo della splendida "Deposizione dalla croce" al Museo di San Marco a Firenze, e poi quella di Andrea Mantegna (1431 - 1506) nella "Crocifissione" del Louvre a Parigi!
E parlando sempre del Mantegna, la citt
à compare ancora in secondo piano nell' "Orazione nell'orto" della National Gallery di Londra.

Una serena geometria di case quella dell'Angelico, dove edifici e cinta muraria possono ricordare Ambrogio Lorenzetti nel raffigurare Siena, o Giotto nella "Cacciata dei demoni da Arezzo", anche se con proporzioni più realistiche e tinte più luminose. E, parlando appunto di geometria, ciò che mi colpisce - oltre ai piani squadrati del tempio somigliante a uno ziqurrat - sono le tante figure solide cui si possono assimilare le costruzioni come ad una sorta di cubismo ante litteram.

A. Mantegna : "Orazione nell'orto" (part.)

Diversa la Gerusalemme del Mantegna, composta da edifici che ricordano alcuni centri storici italiani tra i quali si riconosce Roma con il Colosseo. Una città dalla possente cinta muraria, dal disegno severo e ben dettagliato che testimonia la passione dell'artista per l'antichità classica.

A. Mantegna : "Crocifissione" (part.)

Al contrario, nel particolare qui a lato sullo sfondo della "Crocifissione", il centro adagiato sulla collina e fitto di case, torri e mura, non ha edifici che lo identifichino con precisione. Solo i cippi delle tombe dietro la croce possono ricordare la Valle del Cedron ma, a parte questo, potrebbe trattarsi di una qualsiasi città dall'architettura quattrocentesca a cui il Mantegna si è ispirato.

Tuttavia, la Gerusalemme a mio avviso più sorprendente è del fiammingo Hans Memling (1430 - 1494) nella tavola intitolata "Passione di Cristo", conservata alla Galleria Sabauda di Torino.

H. Memling : "Passione di Cristo"












Il primo elemento di sorpresa è la gran quantità di persone e di edifici delineati con attenzione minuziosa in rapporto alle limitate dimensioni del dipinto(56,7×92,2 cm), probabile eredità della tradizione dei miniatori fiamminghi, esperti nel lavorare nel piccolo spazio. Le architetture della città poi sono quelle tipiche del Nord Europa all'inizio del Rinascimento, ma ad affascinarmi è la particolare iconografia dell'opera.
Due sono gli elementi più singolari: la rappresentazione contemporanea nello stesso quadro di momenti
diversi della Passione di Cristo - dall'ingresso in Gerusalemme alla Resurrezione - e soprattutto la descrizione di esterni e insieme di interni dove i vari episodi si intersecano col tessuto urbano diventando un tutt'uno con esso. Il dipinto infatti ci presenta una sorta di intricata processione che entra ed esce da porte, archi, case e vie, come se di Gerusalemme vedessimo uno spaccato, irto di edifici addossati l'uno all'altro, simile a un corpo che mostra le proprie viscere.

Certo, qui la città è in primo piano perchè frutto di un tema diverso da quello della Crocifissione o della Deposizione.
Ma tale iconografia mi sembra degna di nota anche
perchè ci parla di Gerusalemme come luogo inseparabile dalla Passione, evento che l'ha attraversata e segnata in passato, lasciando però sia sul piano materiale che spirituale un'impronta che ancora dura.

E quale musica dedicarle allora? A dire il vero, ci ho pensato a lungo vagliando diverse ipotesi da Bach fino alle arie festose dei klezmer. Poi però ho optato per un pezzo di un autore contemporaneo al quale oggi dò il benvenuto in questo blog.
Si tratta dell'estone Arvo Pärt, classe 1935, la cui ricca produzione è caratterizzata da un
profondo interesse per la musica sacra, uno stile di grande essenzialità e armonie improntate ad antichi procedimenti compositivi. Tra le sue opere corali, ho scelto il brano intitolato "Peace upon you, Jerusalem", in cui l'autore ha messo in note il testo del Salmo 122 (121) qui interpretato dall'Ensemble Sjaella, sestetto di splendide voci femminili.

Ma al di là dell'originalità stilistica di questo pezzo, mi piace sottolineare due dati che ci riportano all'attualità. Il primo è proprio il contenuto del Salmo che invoca pace sulla città, ma il secondo riguarda il luogo in cui il gruppo corale si esibisce. Si tratta della Chiesa di San Nicola a Lipsia, famosa per essere stata a lungo sede di incontri di preghiera per la pace e punto di partenza della rivoluzione pacifica della DDR che ha portato nel 1989 alla caduta del muro di Berlino.
Città diverse e storie lontane tra loro, certo. Ma mi sembra una coincidenza significativa quella che vede la preghiera per Gerusalemme cantata proprio nel luogo che ha dato origine alla caduta di un muro.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

martedì 16 maggio 2023

Un Prokofiev sublime!

Mi risuona in testa da giorni il brano di oggi, un pezzo che ho scoperto da poco ma che mi ha affascinato al pari di altri dello stesso autore.
Mi riferisco a Sergej Prokofiev (1891 -
1953), compositore che ho amato fin dalla giovinezza non solo per la celebre fiaba musicale intitolata "Pierino e il lupo", ma soprattutto per l'incantevole Larghetto della "Sinfonia classica" che ho pubblicato qui tanti anni fa, quasi agli esordi di questo blog. 

Avevo allora un piccolo bagaglio di musiche delle quali ero perdutamente innamorata e all'inizio, prima di aprirmi ad altri autori e altre suggestioni, avevo dato subito fondo a quelle che amavo tale era la gioia di poterle condividere. Di quel brano di Prokofiev m'incantavano la leggerezza dolce e ritmata, l'orchestrazione ricca di fremiti e l'atmosfera innovativa, nonostante l'appellativo di classica della sinfonia per i riferimenti allo stile di Franz Joseph Haydn. A suo tempo - nel post che, se volete, potete ritrovare qui - avevo scritto che quella musica mi faceva pensare a spazi sconfinati e insieme a un passo di danza, ma anche il brano di oggi - per quanto diverso - mi lascia una simile suggestione.

Si tratta del secondo movimento, "Andante assai", dal "Concerto per violino in sol minore n.2 op.63" del quale ho scelto un video con la partitura. Osservandola infatti, si può apprezzare meglio l'andamento dei singoli strumenti e la presenza delle terzine che vanno a fondersi con il differente ritmo orchestrale in una sorta di divergenza metrica.

Il brano si apre con un delicatissimo pizzicato degli archi accompagnato dal clarinetto, cui poi si sovrappone il violino solista con un tema dolce e cantabile a somiglianza di un passo lieve, una voce pacata che ci guida nel solco di una riposante melodia. Questa viene ripresa e arricchita di fioriture nel progressivo dialogo con il flauto, fino a un' apertura di grande intensità orchestrale a 3,14 dall'inizio, simile a un'aria che, se prima saliva timida, poi prende il volo per librarsi più sicura. È un luminoso risveglio delle varie voci strumentali, un meraviglioso colpo d'ala che ci regala una sorta di visuale dall'alto quasi fossimo attraversati da un più ampio respiro.

Segue una sezione animata e dissonante nella quale peraltro alcuni passaggi, per i frequenti cambi di tonalità, ci rimandano all'atmosfera del celebre balletto "Romeo e Giulietta". Ed è qui che - dopo un seguito di battute ora accese ora più lente - accompagnato dal ritmo sommesso dei pizzicati, a 7,25 dall'inizio torna il tema iniziale con una delicatezza che non esito a definire sublime. È un'aura di salvezza dopo la tempesta, uno spiraglio di luce dopo il buio, è la melodia che riprende dolcemente il volo per proseguire sui virtuosismi del violino e concludersi poi accompagnata dagli altri strumenti.
Una musica di cui innamorarsi al primo ascolto, destinata a restare nella nostra fantasia per dipanarvisi con libertà
. Io me la immagino infatti danzata con passo leggero e con una grazia pari a un respiro d'anima ora delicato, ora più intenso, ora di nuovo lieve.

Il violino solista qui è Maxim Vengerov mentre a dirigere la London Symphony Orchestra è Mstislav Rostropovich, a mio modesto avviso in una tra le migliori interpretazioni del brano presenti su youtube. La voce del violino infatti è un sogno, e le terzine dei pizzicati con cui la melodia si apre quasi fiorendo dal nulla hanno quella delicatissima e calibrata lentezza che fa di questo pezzo un vero incanto.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

martedì 9 maggio 2023

Tanzpräludium

Conosciamo tutti l'importanza e la funzione delle varie tonalità musicali non solo per la solarità di quelle maggiori e la malinconia delle minori, ma anche per le sfumature che caratterizzano ognuna di esse identificandola.
Un si, magari bemolle, ha una luminosità
diversa dal mi, e un re minore comunica una disperazione differente da quella - per esempio - del fa. Sfumature, certo, ma se all'orecchio di un profano come la sottoscritta possono dire poco, per ogni musicista che si rispetti sono fondamentali e fanno davvero la differenza.
I celebri quattro accordi iniziali della Quinta Sinfonia di Beethoven avrebbero lo
stesso impatto se il brano, invece che in do minore fosse - che so? - in la? Avrebbero la stessa energia, comunichebbero la stessa impressione del destino che bussa alla porta? Probabilmente no. Ma anche chi canta in un coro sa bene che, abbassando di un tono o di un semitono un canto troppo alto, se ne modifica in qualche modo l'effetto, e immagino che questa sottile percezione sia più viva in chi ha l'orecchio assoluto. Ma non è il mio caso.

Sarà per questo che talora, da allegra principiante quale sono, mi diverto a cambiare la tonalità di un brano per facilitarlo e spero che nessun esperto di musica che per caso passasse di qui si stia stracciando le vesti.
La prima volta che mi è venuta la tentazione è stato tanti anni fa, davanti al "Preludio n.3 in Do diesis maggiore BWV 848" dal I libro del Clavicembalo ben temperato, e parliamo di Bach ovviamente. La scala di Do diesis maggiore, come ben sa chi mastica anche solo un po' di musica, ha la bellezza di sette diesis in chiave, esattamente come le sette note. Tutti insomma, di più non si può, e anche se questo brano in realtà non può essere considerato difficile, per le persone come la sottoscritta comporta tuttavia qualche problemino.

Così un giorno, osservandone lo spartito ho pensato: "Ma visto che i diesis sono sette, se li tolgo tutti le note mi daranno esattamente la stessa melodia trasposta in Do maggiore che, siccome in chiave non ha alterazioni, è la scala più facile di tutte". Ah, ah, evvai...detto e fatto!
La mia insegnante mi aveva guardato male, ricordandomi che un brano
spostato dalla propria originaria tonalità perde carattere e smalto...però per una volta aveva lasciato fare. Così, per conto mio, ho continuato a compiere allegramente la stessa operazione anche su altri pezzi, non tutti s'intende, ma solo quelli che trasposti in altra scala diventavano per me più abbordabili.

Così arriviamo al brano di oggi: il "Preludio n.13 in Fa diesis maggiore BWV 858" sempre dal I libro del Clavicembalo ben temperato del nostro amico Bach. Anche questo era stato oggetto della mia medesima attenzione e la sorpresa dei giorni scorsi è stata che, riprendendolo in mano dopo tanto tempo, sono riuscita a suonicchiarlo ancora senza difficoltà...nella mia versione facilitata!
Solo che, se osservate bene la foto che ne riporta la parte iniziale, il brano
è in Fa diesis maggiore, le alterazioni quindi sono sei e toglierle significa suonarlo nella scala di Fa maggiore che comporta la presenza in chiave del si bemolle. La cosa di per sè non è difficile, ma bisogna cambiare anche le alterazioni transitorie che qui non mancano: quindi, ricordare che il doppio diesis diventa diesis, il diesis diventa bequadro e il bequadro diventa bemolle. Memorizzato questo, tutto fila liscio.

Ora lo so, qualcuno penserà che sono pazza e forse non ha torto perchè io mi diverto anche così. Allora mi piace condividere con voi questo Preludio che - tranquilli, niente paura! - vi offro nella sua tonalità originaria ed eseguito al pianoforte nientemeno che da András Schiff.
Si tratta di un brano dal piglio sereno, giocoso e danzante tanto che lo si trova anche col titolo di
Tanzpräludium. Sentirete bene, infatti, il ritmo che lo attraversa nelle varie riprese del tema, ritmo che il tocco del nostro amico András mette in luce pienamente sottolineando con eleganza i vari staccati.
Segue poi la relativa Fuga che lascio al vostro ascolto e sulla quale - perdonatemi! - ma non mi soffermo
perchè, a dire il vero, la mia testa è già nel brano della prossima settimana. Poi capirete il motivo.

Ultima notazione: nel video passano alcuni istanti prima che il pianista inizi a suonare perchè aspetta - pazientemente e forse non senza qualche moto di sofferenza - il silenzio del pubblico. Ed è lì, ad occhi chiusi, mentre cerca la necessaria concentrazione per immergersi nel danzante ruscello bachiano.
Vi giuro che lo adoro!

Buon ascolto!

 

martedì 2 maggio 2023

La dama in lungo

Della Milano che amo e della quale ho già scritto più volte qui, oggi voglio ricordare uno dei quartieri più recenti dove nei giorni scorsi ho avuto modo di recarmi. Una Milano ben diversa da quella che porto nel cuore, ma non per questo meno interessante.
Come avrete già intuito si tratta di City Life,
zona caratterizzata dalle tre avveneristiche torri - opera degli architetti Hadid, Liebeskind e Isozaki - oltre che da un complesso residenziale ispirato a criteri estetici ed ambientali decisamente innovativi.
Al di là del centro commerciale e del grande
parco in cui gli edifici sono situati, a colpirmi sono stati gli elementi curvilinei che disegnano il profilo del complesso abitativo e di alcune torri.

Anche se mi appassiona da sempre l'arte figurativa del passato, non per questo l'architettura contemporanea mi lascia indifferente e trovo ricche di attrattiva alcune innovazioni a partire dalla seconda metà del Novecento.
Da Le Corbusier con la celebre Cappella di Ronchamp a Michelucci del quale ricordo
la Chiesa di San Giovanni Battista sull'autostrada a Firenze, fino al giapponese Kenzo Tange, ho sempre apprezzato il tentativo di cercare l'essenzialità delle forme insieme alla volontà di movimentarle attraverso l'uso di elementi curvilinei. Del resto sono proprio questi che consentono a un edificio di integrarsi meglio nel paesaggio circostante.

Un salto di qualità in tal senso è stato fatto dal canadese Frank O.Gehry, annoverato tra i promotori del decostruttivismo che supera la tradizionale e statica geometria euclidea per privilegiare forme asimmetriche, decomposte, instabili e lontane dai canoni estetici del passato. Un esempio fra i tanti è il Museo Guggenheim di Bilbao - che, tra l'altro, ho avuto la fortuna di visitare anni fa - dove architettura e scultura sembrano fondersi in un insieme in apparenza caotico ma in realtà affascinante, fatto di volumi deformati e linee inclinate.
Tra gli esponenti di questo movimento trova posto anche l'irachena Zaha Hadid (1950
- 2016) che a Milano ha progettato il complesso residenziale di City Life e la torre che porta il suo nome. È qui che volevo arrivare, e pur senza addentrarmi in dettagli tecnici per i quali non ho competenza, mi piace comunque soffermarmi sullo splendore dell'edificio che vedete nella foto.

Fra le tre che svettano nel quartiere, la Torre Hadid - con i suoi 44 piani e 177 metri di altezza senza contare l'insegna soprastante - è quella che più mi ha colpito per la linea pulita ed essenziale e la sua leggera torsione. Sembra quasi che l'edificio inizi ad avvitarsi su se stesso mentre poi il movimento gradatamente si dissolve. La curvatura è infatti più marcata alla base, mentre diminuisce con l'altezza fino a scomparire del tutto.
Interessante anche il fatto che le maestranze abbiano dovuto adottare soluzioni
ingegneristiche nuove per realizzare una torre dall'estetica semplice e tuttavia geometricamente complessa, proprio per la fusione di fattori strutturali con elementi di superficie. Le cellule di rivestimento infatti, hanno forme irregolari e differenti secondo il variare della posizione, il che ha comportato l'uso di tecnologie di ultima generazione. 

Ma il risultato è stupendo proprio per quella semplicità cui facevo cenno: non una decorazione, non un'aggiunta, ma tutto ricondotto all'essenziale di una linearità continua ed elegantissima. Un'eleganza che mi fa paragonare la torre a una dama in abito lungo, composta, sinuosa, raffinata. E insieme mi fa pensare a quanto cammino è stato fatto nel tempo dalla torsione della figura serpentinata di Michelangelo fino ad oggi, nell'applicare certi moduli scultorei anche all'architettura.

Ma quale musica associare ad un capolavoro simile?
Il suono acuto di un violino che ci dà la suggestione dell'altezza o quello melodioso
dell'arpa per la sua morbidezza che si modella in note a somiglianza di una superficie inclinata? E perchè non un violoncello con la sua voce di profondo spessore?
Allora, per unire tutti e tre gli strumenti dedicando alla Torre Hadid un brano di
altrettanta eleganza, mi sono rivolta a Piotr Ilic Tchaikovsky (1840 - 1893) e ho scelto un pezzo del celebre "Lago dei cigni" Suite op.20 : il "Pas d'action" del secondo atto. Tuttavia ho scartato appositamente i video con la danza perchè volevo concentrare l'attenzione sulla musica e sull'orchestra, qui diretta tra l'altro da Wolfgang Sawallisch.
Splendido nella parte introduttiva l'assolo dell'arpa; il violino poi, col suo suono
legato e continuo dalle note basse alle più alte, nei passaggi lenti si fa proprio simile a una linea che scorre ininterrotta e sinuosa fino ai toni più acuti. Incantevole infine il suo duettare col violoncello in un' interpretazione di grande classe.

Buon ascolto!

(La foto è mia)