venerdì 26 luglio 2019

Sul podio

Felix Mildenberger (foto presa dal web)
Mi piacerebbe tanto fare il direttore d'orchestra!!!
No, tranquilli, non mi ha dato alla testa il caldo torrido di questi giorni...
O forse sì!!!
Scherzi a parte, quando vedo su youtube alcuni dei miei direttori preferiti - Karajan, Bernstein, Kleiber e il francese Marc Minkowsky, fondatore de "Les musiciens du Louvre", che adoro! - penso sempre all'immenso fascino di una professione come questa che, nel dar vita ad una composizione, consente di stabilire un rapporto profondissimo con la partitura e l'intero organico strumentale.

Certo, si tratta di un ruolo che - forse ancora più di altri - esige anni di studio, perchè dirigere non è solo padroneggiare un insieme di musicisti, ma sapere prima di tutto con chiarezza dove condurli. Per questo, fra i vari termini che traducono in altre lingue la parola direttore, mi piace molto l'inglese conductor che - più ancora del tedesco dirigent - dà l'idea di una guida che ti prende e ti porta da un luogo all'altro, verso una meta, attraverso il cammino disegnato da un testo musicale. Un viaggio attraverso la musica insomma, dove ad essere condotti sono orchestrali e pubblico, ma in fondo anche lo stesso direttore che porta e, a sua volta, è portato dallo splendore delle note.

Tutto questo discorsino per dire che, tra le varie proposte culturali di Rai 5, mi hanno molto interessato, nel giugno scorso, le puntate del programma intitolato "Il Sogno del podio", docu-talent show dedicato all’edizione 2018 della “Donatella Flick LSO Conducting Competition”.
Si tratta di un contest in cui venti giovani direttori d'orchestra under 30, selezionati tra numerosi altri musicisti europei, si sono misurati nelle fasi finali di un concorso presso la Guildhall School of Music & Drama e al Barbican Centre di Londra. E al vincitore è stata offerta l'opportunità di diventare per un anno assistente del direttore della prestigiosa LSO, la London Symphony Orchestra.

Durante le puntate della trasmissione condotta da Milly Carlucci, i singoli candidati sono stati presentati attraverso i tratti sommari della loro vita e del loro percorso di formazione, ma vi sono stati anche spazi riservati ai membri della giuria che andava a esaminarli. 
Il clou del programma però era ovviamente il momento in cui i vari concorrenti si misuravano con una partitura da eseguire e davanti a un'orchestra alla quale davano le indicazioni o le correzioni più opportune, come accade in sede di prove.

A tutta prima, ho trovato il programma interessante perchè era un'ulteriore occasione per ascoltare musica: da Mozart a Stravinsky, da Tchaikovsky a Kodaly e via dicendo. Ma più osservavo la passione e la competenza di questi giovani e il loro modo di affrontare l'orchestra, più mi chiedevo quali sarebbero stati i criteri di giudizio usati dalla giuria per valutarne le capacità. La conoscenza della partitura o l'entusiasmo? La prontezza e l'esattezza del gesto o quel magnetismo che talora è la dote naturale con cui un direttore cattura l'attenzione dei vari musicisti e ne fa un organico coeso capace di muoversi al suo cenno?
Certo, non è facile valutare in base al breve stralcio che la trasmissione mostra, soprattutto per chi - come la sottoscritta che non è un'esperta del settore - può basare il proprio giudizio solo su dati esteriori. Tuttavia, mi sono lasciata prendere, diciamo così, dal gioco e ho voluto provare a mettermi nei panni della giuria, lavoro indubbiamente difficile anche per direttori di fama perchè questi ragazzi, ciascuno a suo modo, erano tutti bravi! 
Attraverso le loro personalità, riuscivano infatti a comunicare una diversa eppure ugualmente intensa passione e competenza musicale. Mi sono piaciuti in particolare i loro sguardi limpidi e schietti, talora più scintillanti nel loro entusiasmo, altre volte più tranquilli e pacati, ma sempre animati da un fuoco interiore e da una perseveranza non comune.

Devo dire che, davanti ad alcune delle prime selezioni, ho avuto l'impressione che la giuria premiasse soprattutto la capacità di padroneggiare la situazione con lo sguardo e con un gesto talora eccessivamente plateale rivolto all'intera orchestra, mentre io avrei privilegiato l'attenzione nel guidare in tutti i particolari le varie sezioni strumentali.
Poi, però, nel susseguirsi delle puntate fino alla conclusione, mi sono resa conto che i giovani selezionati rispondevano davvero ad entrambe le esigenze: la sicurezza del gesto ora misurato e preciso, ora fortemente espressivo, grande prontezza di sguardi e la capacità di guidare con minuziosa attenzione ogni singolo strumento cui la partitura desse rilievo.
Mi pare infatti che proprio a questi requisiti risponda la direzione del giovane vincitore: il tedesco Felix Mildenberger, classe 1990, che vedete nella foto e di cui, aprendo il seguente link, potrete apprezzare una prova mentre dirige la "Jupiter" di Mozart: 
https://www.youtube.com/watch?v=yIHpnsNNQtI

Io però, senza nulla togliere alla bravura e all'entusiasmo del giovane vincitore, desidero concludere con un brano diretto da uno dei massimi esponenti che la storia della musica del XX secolo ricordi: Carlos Kleiber.
È il quarto movimento, "Allegro ma non troppo", della "Sinfonia n.4 in Si bemolle maggiore op.60" di Ludwig van Beethoven
Si tratta di un pezzo brioso e concitato che la direzione magistrale di Kleiber ci restituisce attraverso un' attenzione gioiosa ora all'intero organico, ora al singolo strumento, e che fa dell'orchestra un insieme straordinariamente vivo e coeso. Ma lasciamo spazio alle immagini.

Buona visione e buon ascolto!

 

mercoledì 17 luglio 2019

Due piccole rughe trasversali

(Foto presa dal web)

Ho due piccole rughe trasversali sulle dita.
Me le sono scoperte ieri mentre mi guardavo distrattamente la mano sinistra. Sono sul medio e l'anulare, prima delle falangette.
Strano - ho pensato - perchè non sono quelle rughette orizzontali che si formano sempre sulle giunture, ma due sottilissimi segni obliqui proprio nel mezzo dove, al contrario, la pelle del dito dovrebbe essere più liscia.
Ma - chissà perchè? - non le ho fatte risalire a probabili segni dell'età o alla necessità di una crema, soprattutto ora che il caldo estivo inaridisce la pelle.
Mi sono venute in mente, invece, le due cicatrici che aveva mia mamma esattamente su quelle due dita a causa di un incidente casalingo.

Avrò avuto cinque o sei anni e abitavamo ancora in una vecchia casa.
Una volta, aprendo una scatola di pomodori pelati per fare il sugo, mia mamma si era tagliata proprio con l'orlo della scatoletta. 
Ricordo il sangue che usciva copioso dalle due ferite: avrebbe dovuto correre al pronto soccorso a farsi medicare e dare dei punti, ma non le era neanche passato per la testa. Era quasi sera e mio papà doveva tornare di lì a poco. 
Il giorno dopo sarebbe andata dal medico a fare l'antitetanica, ma al momento si era disinfettata e fasciata alla bell'e meglio e tutto era finito lì.
Le era rimasto però il ricordo di quell'incidente: due segni bianchi trasversali sul medio e l'anulare della mano sinistra.
Ogni tanto poi, nel corso degli anni, se le capitava di guardarsi le dita mentre magari eravamo sedute sul divano del soggiorno a chiacchierare, mi diceva:
"Hai visto? Ho ancora le cicatrici di quella volta là: ti ricordi?". E a me pareva di sentire nelle sue parole quasi una punta di orgoglio. Sì, mi ricordavo.

Strano questo ritorno del passato che ci afferra all'improvviso, sull'onda di un particolare quotidiano in apparenza insignificante. 
Nella mia gestione spesso veloce e talora un po' maldestra delle operazioni di cucina, non mi è mai capitato di tagliarmi in modo così vistoso. 
Così, quelle due rughette tanto somiglianti a due sottilissime cicatrici di vecchia data mi hanno fatto pensare a come talvolta la vita ci disegni addosso eventi e memorie. Sono misteriose alchimie di passato e presente, lievi carezze dall'esistenza altrui quasi che, insieme al gruppo sanguigno e al colore degli occhi, ereditassimo proprio disegnato - o talora anche inciso nel nostro corpo - il vissuto di chi ci è stato accanto. 
O forse tutto questo si costruisce nel tempo, come se esistesse anche un dna delle vicende della vita, capace di passare da persona a persona strada facendo, reso sempre più evidente dagli anni.

E ripensando a questo piccolo episodio della mia infanzia, mi è risuonato dentro un brano nel quale avverto forza, ma al tempo stesso delicatezza e nostalgia, quell'attitudine dolce e struggente della musica quando sembra che le note si accompagnino a noi.
È Bach a condurci con mano ferma in questo cammino, quasi ci facesse percorrere un sentiero in sintonia con pensieri e ricordi, per curve e anfratti, passaggi difficili e aperture di panorama. Una mano ferma che ci sostiene anche quando la voce acuta del violino ci fa vibrare dentro, lungo un percorso segnato da varietà e insieme continuità.
Si tratta del secondo movimento, "Andante", dal "Concerto per violino e orchestra in la minore BWV 1041", pezzo caratterizzato dal dialogo tra il basso ostinato, lento e solenne, e il solista che va a inanellare luminose e virtuosistiche figurazioni. 
Ne deriva una fusione di forza e di dolcezza, di severità e di grazia dove la melodia si muove attraverso una molteplicità di accenti che è quella stessa della vita con i suoi misteriosi intrecci, come Bach - nella sua guida sapiente - sa benissimo.

Buon ascolto! 

 


martedì 9 luglio 2019

Una straordinaria lezione di ascolto

(Foto presa al web)
Credo di aver già parlato altre volte delle caratteristiche di un insieme orchestrale, sia come ambito nel quale ogni strumento è chiamato a fare la propria parte, sia come organico dove ogni componente deve sapersi coordinare con gli altri seguendo nel contempo le indicazioni del direttore.
A nessuno sfugge che si tratta di un'attività complessa nella quale la concentrazione richiesta non è finalizzata solo alla correttezza della singola esecuzione, ma si allarga a coinvolgere la necessità di armonizzarsi con gli altri rispettando tempi, ritmi, dinamiche e tutte le indicazioni fornite dalla partitura.
Proprio per questo, hanno sempre suscitato la mia ammirazione le orchestre giovanili, dove tanti ragazzi hanno la possibilità di coltivare la propria passione arrivando a cimentarsi con programmi spesso molto impegnativi.
Numerose in Italia e all'estero sono le formazioni di questo tipo che hanno avuto promotori famosissimi quali - ad esempio - Claudio Abbado, fondatore dell'Orchestra Mozart. Ma oggi, al di sopra di tutte, desidero ricordarne una nata da un'idea dalla quale anche il Maestro Abbado ha poi preso spunto.

Ci trasferiamo in Venezuela e parliamo di José Antonio Abreu, creatore - nel 1975 - di un progetto chiamato "El sistema".
Si tratta di una rivoluzionaria iniziativa didattica, finanziata dal governo venezuelano, che prevede un sistema di educazione musicale pubblica, libera e gratuita per bambini di tutti i ceti sociali. 
Occorre entrare nel contesto locale per comprendere quanto fosse urgente anni fa - e quanto continui ad esserlo ancora oggi - la necessità di strappare i più giovani dalla strada, offrendo loro una terapia contro il disagio e la possibilità di un futuro lontano dalla povertà e dal crimine.
Da tale esperienza, diffusasi nel tempo in tanti altri stati, è nata una pluralità di orchestre che, oltre a realizzare lo scopo artistico e insieme sociale del progetto, hanno fatto emergere numerose personalità musicali quali - solo per fare qualche esempio - Diego Matheuz e Gustavo Dudamel.

Ed è qui che volevo arrivare, a Gustavo Dudamel
Venezuelano, classe 1981, violinista e attualmente direttore sia della "Los Angeles Philarmonic" che della "Orquesta Sinfonica Simon Bolivar" - la più rappresentativa tra le formazioni giovanili fondate da Abreu - Dudamel è oggi conosciuto in tutto il mondo a cominciare dall'Italia dove, proprio lo scorso giugno, si è esibito anche alla Scala.
Così, per mettere in luce le sue doti di direttore, invece della pura e semplice esecuzione di un brano, tra le clip video offerte da youtube mi è parso interessante scegliere quella che riporta una prova-lezione. Si tratta infatti di una vera e propria scuola di ascolto - "School of listening" è il titolo dell'evento - dalla quale emerge il suo modo di rapportarsi all'orchestra insieme alla chiarezza con cui spiega l'intreccio dei vari strumenti nel pezzo.

È proprio la sezione giovanile della "Simon Bolivar" a provare qui il terzo movimento della "Sinfonia n.1 in Re maggiore" detta "Il titano" di Gustav Mahler (1860 - 1911), brano famosissimo perchè parodia in forma di marcia funebre - e ovviamente in tono minore - del celebre tema di "Fra Martino".
Anche se Dudamel si esprime quasi sempre in inglese e le scritte in sovraimpressione sono in spagnolo, non è difficile comprendere il senso della sua lezione che mira a illustrare la costruzione del pezzo, la sua struttura a canone, il modo in cui i diversi strumenti fondono marcia e melodia, il ruolo di pizzicati, percussioni e via dicendo.

Ma oltre alla sua competenza di direttore, emerge da lui anche un entusiasmo decisamente contagioso, un insieme di forza, dolcezza e simpatia che gli derivano certo dal calore e dalla vivacità della sua origine latino-americana, ma anche da un evidente desiderio di condivisione dello splendore della musica. Così pure, il suo atteggiamento nei confronti degli orchestrali mi pare improntato a un'autorevolezza che nasce da dentro, segnata da quella spontaneità e comunicativa tipiche di chi è stato toccato da una grande passione.
La prova-lezione diventa così un po' per tutti - compresi noi che guardiamo dietro lo schermo di un computer - un'occasione di gioioso apprendimento.

Se poi desiderate godervi il seguito di questa "Scholl of listening" tenuta da Dudamel al Festival di Salisburgo del 2008, potete trovare le altre due parti aprendo i seguenti link:

https://www.youtube.com/watch?v=nJ6BsHUe0u0&t=8s 

https://www.youtube.com/watch?v=PwKfpEs98rg&t=12s

Buona visione e buon ascolto!