venerdì 30 marzo 2018

Venerdì Santo

























Pietro Lorenzetti (1280 ca. - 1348) : "Deposizione dalla Croce" (part.) -   Basilica inferiore di San Francesco - Assisi.

 
Antonio Vivaldi (1678 - 1741) : "Eja Mater" dallo "Stabat Mater" RV 621.

domenica 25 marzo 2018

Fascino di un numero





























Come per il passato, anche quest'anno mi piace ricordare con un' immagine e un brano di musica la festa dell'Annunciazione che cade proprio oggi.
E stavolta, mi sono lasciata catturare dall'incanto della semplicità, dalla nitida architettura con cui è costruito il dipinto che vedete e dal gioco di luci, ombre e penombre che creano la sua bellezza.

Siamo a Firenze, nel Convento di San Marco che il Beato Angelico (1395 - 1455) ha affrescato nei suoi vari ambienti comprese le celle dei singoli frati. 
È stata raffigurata proprio sul muro di una cella questa affascinante "Annunciazione", realizzata tra il 1438 e il 1440 e così diversa dalle altre opere che l'artista aveva dedicato in precedenza allo stesso tema. 
Quanto quelle, infatti, sono colorate e ricche di dettagli preziosi tipici dello stile tardogotico, tanto questa è semplice, spoglia, essenziale e in linea con le novità pittoriche della nuova stagione artistica del Quattrocento inaugurata da Masaccio.

Contrariamente al passato, qui non ci sono decorazioni, mancano spazi aperti o giardini e vi troviamo solo un breve riferimento nel verde e nel portico a sinistra. 
Ma la rappresentazione, finalizzata alla preghiera personale dei singoli frati, è inquadrata in una stanzetta disadorna, come se anche la Vergine si trovasse nel chiuso di una cella.

Il piccolo ambiente è definito solo dalle volte a tutto sesto e dalla luce, un fiotto di luce obliqua che riempie il vuoto al centro del dipinto. 
Sia nell'atteggiamento di Maria che nelle ali dell'Arcangelo, infatti, possiamo notare un tratto curvilineo che sembra seguire lievemente l'andamento delle arcate, quasi le due figure lasciassero spazio proprio a quella luce in mezzo a loro, segno del Mistero che si sta compiendo.
Non ci sono oggetti o arredi che ci possano distrarre, solo lo sgabello dove Maria è inginocchiata e nelle sue mani il libro su cui è in preghiera. 
In secondo piano si scorge un frate - forse San Pietro martire qui in abito da domenicano - e ciò ci conferma che l'Angelico, frate egli stesso, prima che come opere d'arte, ha realizzato i dipinti per la contemplazione di ogni singolo religioso.
Anche i colori non sono più quelli vivaci che ci ricordano il passato di abile miniatore dell'artista, ma chiari e smorzati: dalla tinta lievemente rosata dell'abito della Vergine al beige del pavimento e delle pareti su cui giocano ombre ora sfumate, ora più scure.
Rappresentazione essenziale ed elegantissima quindi, che rimanda alla sostanza del dialogo tra Maria e l'Arcangelo, fatto di un muto e pacatissimo gioco di sguardi in una dimensione tutta interiore.

E per commentare in musica questa immagine, ho scelto Bach con lo splendido brano iniziale della "Cantata BWV 1", intitolata "Wie schön leuchtet der Morgenstern" (Come splende luminosa la stella del mattino). 
Si tratta di un famoso corale luterano il cui testo è stato scritto dal poeta tedesco Philippe Nicolai nel 1597 e musicato anche da Buxtehude. 
Ma nonostante inizialmente fosse stato composto per l'Epifania, Bach lo ha ripreso nel "Preludio corale BWV 739" e soprattutto in questa "Cantata" scritta per la festa dell'Annunciazione del 1725.

Come suggerisce il titolo, ci troviamo di fronte a un pezzo luminoso, ricco di soavità ed eleganza, ma anche di una fresca vivacità che - per certi aspetti - può contrastare con l'atmosfera intima dell'opera dell'Angelico. 
Tuttavia, a me pare che la musica - sempre capace di esprimere il non detto - con la dolce e quasi danzante esuberanza del tempo di 12/8, qui sappia riempire il silenzio del dipinto e interpretare il di Maria, anticipando la futura lode e la consapevolezza gioiosa della Visitazione.

Ma a scegliere il brano mi hanno indotto anche due piccoli particolari.
Il primo è in realtà solo un dettaglio cronologico: la festa dell'Annunciazione del 1725 per la quale Bach ha composto la "Cantata" coincideva con la Domenica delle Palme, esattamente come oggi.
Ma il secondo a mio avviso è più suggestivo.
A colpirmi è stato quel numero uno (BWV 1), cioè il fatto che il brano sia stato collocato al primo posto nell'elenco della vastissima produzione bachiana che conta più di mille opere.
È pur vero che la loro catalogazione riportata dalla sigla BWV (Bach Werke Verzeichnis) non è stata fatta dal compositore, ma da un suo studioso (Wolfgang Schmieder), e per di più la numerazione dei vari pezzi non segue un criterio cronologico, ma va per tipologia. Quindi è solo un caso.
Tuttavia, quell' uno posto a siglare un brano dedicato proprio all'Annunciazione, mi suona come la sottolineatura di un evento iniziale, di un "In principio...", dell'alba di una nuova creazione per ogni uomo e per tutto il cosmo. Come se, di fronte al di Maria che prelude alla nascita di Cristo, quel numero volesse dirci: 
"Attenzione, è da qui che tutto riparte e si rinnova!".

Buon ascolto !

(Per vedere il video, cliccate su "Guarda su youtube" e si apre senza problemi.)

martedì 20 marzo 2018

Tormentone

Sono passate solo poche settimane da quando ho pubblicato "Fodòm", un suggestivo brano di Bepi de Marzi, ma ritorno già con un altro pezzo sempre dello stesso autore, anche se l'atmosfera che vi si respira è decisamente diversa.
S'intitola "El maridamento" ed è un divertente canto popolare che avevo già adocchiato da giorni senza decidermi a pubblicarlo.

Racconta la storia di una ragazza che si è sposata, ma non con uno dei suoi numerosi pretendenti. È proprio ognuno di loro a lamentare di essere stato respinto da lei ("Ma non con mi...")mentre sono poi tutti in coro a rivelare chi - invece - è stato il prescelto e ad identificarlo però con pettegolezzi un po' pesantini.
Si tratta infatti del "fiolo dela Gina, che dorme dalla sera alla mattina"; se ho ben capito, del "tesoro dela mama, biondo petenà con la banana" e - dulcis in fundo - del "fiolo del dotore...che no l'è gnanca bon de far l'amore"!

Per carità, dormire dalla sera alla mattina non è una colpa, sarebbe peggio se il tizio di cui si parla dormisse dalla mattina alla sera. Ma a parte le squisite esigenze di rima con Gina, se leggiamo queste parole in parallelo con la terza battuta, cogliamo facilmente che anche qui c'è un sottinteso di malignità.  
Per il resto, tranquilli, la ragazza non ha preso tre mariti in un colpo solo e i tre pettegolezzi sono certamente a carico della stessa persona. 
Insomma si è sposata, fine della storia.

Bene - direte voi - ma, a parte le "magagne" del soggetto in questione, che c'è di tanto speciale?
È la musica speciale perchè, ancora una volta, testimonia il fatto che le armonizzazioni di tanti cori affondano le radici nel passato, e che passato!
Questo brano ne è una prova lampante. Dopo due brevi passaggi introduttivi, sulle parole "Ma non con mi" si apre infatti nientemeno che una fuga: uno splendido inserto di rigore bachiano, solenne e nitidissimo nella sua costruzione contrappuntistica affidata a coristi diversi proprio come le diverse voci di un pezzo fugato.

Bellissimo, certo, ma da quando l'ho ascoltato, mi è sorta una curiosità diventata ben presto un vero e proprio tormentone.
Di chi è questo inserto? Da dove è tratto? A quale compositore Bepi de Marzi ha fatto riferimento? A Bach? Haendel? Vivaldi? Telemann? Buxtehude? O a qualche altro autore barocco? 
Ma potrebbe trattarsi anche di Mozart che, per quanto barocco non sia, ha scritto vari pezzi che talora si potrebbero scambiare per una creazione bachiana o giù di lì.
Insomma, mi sono messa alla ricerca come un segugio che fiuta la preda. Credetemi, ho scaravoltato Bach in lungo e in largo, dall'Arte della Fuga al Clavicembalo ben temperato, dalle Invenzioni all'Offerta musicale e via dicendo, ma senza esito. Ho navigato su youtube tra compositori probabili e improbabili, piccoli e grandi. Infine, ho gettato la spugna.
Mi resta solo l'ipotesi che l'autore del pezzo fugato sia semplicemente lo stesso Bepi de Marzi. Potrebbe essere stato lui ad imitare lo stile barocco, forte della propria passione per Bach, della propria esperienza al Conservatorio e delle doti di clavicembalista e organista capace di improvvisare sugli antichi corali luterani. Chi lo sa!

Questo è il motivo per cui mi sono tenuta in fresco il brano per venti giorni senza pubblicarlo.
Ma ora ho deciso, passo la palla a voi, miei cari, o - se preferite - lancio a voi la sfida con annesso tormentone: di chi è la fuga contenuta in questo brano?
Non ho premi da mettere in palio per chi risponderà al quesito, ma solo un caloroso GRAZIE e un abbraccio rigorosamente virtuale.
So che tra i miei lettori ci sono raffinati esperti di musica barocca, e non solo, che mi possono aiutare con sicura competenza a scovare il riferimento. 
Forza ragazzi, al lavoro!

E naturalmente buon ascolto!

mercoledì 14 marzo 2018

Come un colpo di frusta!

P. Bruegel: "The wedding dance",  Institut of Art - Detroit
Capitano mattine in cui - complice l'umore, la stagione o un clima in cui la leggerezza primaverile è ancora lontana - ci si sveglia col cuore un po' pesante.
Talora, sono pensieri ben precisi ad avere il sopravvento su di noi e a pre-occuparci; altre volte sono invece sensazioni indistinte che non riusciamo a definire, ma che destano comunque una sorta di vago malessere come se un velo di opacità coprisse il cuore. 
Avvertiamo la necessità di reagire, di scuoterci di dosso la sottile nebbia interiore che ci pervade per cercare un orizzonte luminoso anche in noi, ma non è sempre facile o immediato. Allora, una musica può essere d'aiuto a ritrovare almeno in parte la grinta necessaria per affrontare la giornata, magari anche col sorriso.

Così, oggi ho scelto una composizione capace di ricaricarci con una sferzata di energia, di scuoterci come un colpo di frusta: un brano che - in taluni passaggi - mi fa pensare a quegli spettacoli del circo dove si usa proprio la frusta per ritmare una corsa o una danza.
Esuberante, concitato, fragoroso, vivacissimo nel suo andamento e insieme straordinariamente scorrevole, il pezzo ci trasporta in un clima di grande effetto, dove forti sonorità si alternano a qualche tratto di malinconia, com'è tipico dell'anima slava. 
Slavo è infatti il suo autore, Bedric Smetana (1824 - 1884), del quale ricordiamo prima di tutto l'incantevole poema sinfonico "La Moldava" - che potete ascoltare qui - dove ha celebrato in note lo splendore del fiume dalla sorgente fino alla grandiosità della foce.
Mi ha molto sorpreso scoprire che, all'epoca della composizione di tale brano, Smetana era già tormentato dalla sordità. E ancora una volta ciò mi ha indotto a constatare che, se pure la percezione della musica - concepita da ogni artista nella testa e nel cuore - non arriva più all'udito, tuttavia essa è sempre viva con la sua infinita ricchezza armonica nel "sentire" dell'anima.

Il brano di oggi, composto qualche anno prima dell'insorgere della malattia, è la "Danza dei commedianti" dall'opera comica "La sposa venduta".  
Un ballo quindi, e precisamente una skocna, danza saltellante in 2/4 tipica della tradizione boema, che non è raro ritrovare in altre composizioni di Smetana, come pure in diversi musicisti slavi a cominciare da Dvorak.
Come scrivevo sopra, è una composizione vivacissima che ci coinvolge subito nel suo rapido succedersi di note quasi fosse una corsa sfrenata, una sorta di moto perpetuo. C'è infatti, nella scintillante orchestrazione di questo pezzo, un afflato di vitalità popolaresca che ci consente di sbrigliare la fantasia, immaginando i danzatori in cerchio in un movimento ininterrotto.
Ma insieme sollecita in noi l'emergere di quell'energia, di quella musica segreta capace di dare tono e ritmo alla nostra giornata.

Buon ascolto!

mercoledì 7 marzo 2018

Ritrovare se stessi

Hanno ridato alcune sere fa in tv "Il Concerto" - famosa pellicola del 2010 del regista rumeno Radu Mihaileanu - e nonostante l'avessi già vista almeno un paio di volte, mi sono lasciata catturare di nuovo dal suo fascino.
Molti ne ricorderanno certamente la trama e la richiamo quindi solo per sommi capi.

Ambientato inizialmente nella Mosca comunista dei tempi di Breznev, il film narra la storia di Andrei Filipov, direttore d'orchestra del Bolshoi, allontanato e ridotto al ruolo di inserviente del teatro stesso per essersi rifiutato di licenziare alcuni musicisti ebrei.  
Dopo circa 25 anni di questa vita, un giorno Andrei intercetta per caso un invito dello Chatelet di Parigi rivolto all'orchestra ufficiale. Desideroso di riscatto, ha un'idea folle: radunare i vecchi compagni - ormai costretti a svolgere i mestieri più umili per campare - e presentarsi con loro a Parigi spacciandoli per i veri musicisti del Bolshoi.
Ma al tempo stesso vuol cogliere l'occasione per realizzare un sogno: suonare il "Concerto per violino" di Tchaikovsky, la cui esecuzione anni addietro era stata interrotta dalle autorità comuniste che avevano cacciato lui, sciolto l'orchestra e deportato in Siberia, dove poi era morta, la bravissima solista Lea. Ora, al suo posto, Andrei invita la giovane e già famosa Anne Marie Jacquet e tenta di convincere i compagni di un tempo a suonare di nuovo.

L'impresa non è facile e prende il via da qui una vicenda ricca di avventure rocambolesche e non priva di qualche mistero, dove il regista ci offre svariati squarci sulla triste condizione degli intellettuali sotto il regime comunista. 
La narrazione, tuttavia, è condotta sul filo della leggerezza e di uno sguardo che ironizza sui vizi della Russia di ieri e di oggi. Ne deriva un film in cui ci si diverte e insieme ci si commuove, soprattutto nella sequenza finale.

A me pare che - al di là delle varie tematiche che il regista affronta - il perno della vicenda sia la storia di un amore per la musica così totalizzante da diventare talora un'ossessione. Ma è poi questo stesso amore a salvare qui la situazione e insieme ciascuno dei protagonisti, sull'onda delle mirabili note di Tchaikovsky.
L' happy end del film, infatti, a mio avviso non sta soltanto nel ritorno al successo di quell'orchestra disgregata o nella possibilità per Filipov di far pace col proprio passato, quanto nel fatto che è la Bellezza a consentire a ciascuno di ritrovare in se stesso passione, capacità, stupore e speranza.
È tanto vero che le ultime sequenze non sono giocate - almeno così a me pare - sul filo dell'aderenza alla realtà: quale orchestra aprirebbe un concerto con tali evidenti stonature??? E come è possibile che quella combriccola di musicisti sgangherati che si esibisce senza neppure aver provato, dopo poche battute dall'attacco del violino ritrovi la coesione e l'armonia di un tempo?

Una rappresentazione lontana dalla realtà quindi, ma proprio per questo vicina ad un discorso di alto valore simbolico, ad una luminosa metafora: è la contemplazione della Bellezza a restituire a ciascuno la propria identità profonda come un soffio ri-creatore, a cominciare dalla solista che in quelle note ritrova le sue vere radici e la propria ragion d'essere.
Ed è il Concerto, interpretato da lei con la stessa bravura e passione della madre Lea, a restituire agli orchestrali il cuore antico e ravvivare un fuoco non ancora spento, come è evidente anche dai loro volti e dalla loro commozione.

Ho riportato qui la clip video con la sequenza finale del film e di seguito quella con una parte del primo tempo del "Concerto in Re maggiore op.35 per violino e orchestra" di Piotr Ilic Tchaikovsky, una pagina di tale incanto che non ha bisogno di presentazioni.

Buona visione e buon ascolto!