martedì 28 aprile 2020

Dietro i vetri

(Foto di Claudio Calvani)
Guardo fuori dalla finestra della cucina gli alberi che, nel giro di pochi giorni, si sono ammantati di verde, la primavera che - più che mai accattivante - esplode dietro i vetri.
Ma mentre chiudo la tenda, gli occhi si posano sul calendario appeso proprio lì accanto e mi soffermo un attimo a osservare la foto di aprile.

Di questi tempi è un' ancora di salvezza il calendario. O perlomeno può esserlo perchè ci squaderna davanti, in ordinata sequenza, mesi e giorni da riempire di progetti concreti o di sogni. E se i programmi che avevamo per il futuro sono saltati in un baleno, sfogliarne le pagine ci toglie per qualche momento la sensazione di ristagnare in un limbo lungo e indistinto, restituendoci il senso di un cammino verso la luce per vedere quanto ancora manca all'alba.

"Sentinella, a che punto è la notte?": vengono in mente i versetti del profeta Isaia - e insieme le parole della canzone di Guccini "Shomer ma mi-llailah" - in cui una sentinella attende i segni dell'aurora portando in cuore le ansie e le domande della città sulla quale veglia.
E mi sembra emblematica questa foto giusto in corrispondenza del mese di aprile: lo splendore di un paese antico - Pitigliano - che si erge sulla precarietà della pietra tufacea e sotto un cielo plumbeo. Un luogo affascinante che ho visitato anni fa, ma che in questo momento mi suscita altre considerazioni.
Siamo forse anche noi come quel borgo sotto la minaccia del temporale: anime dalle radici profonde, messe allo scoperto proprio come il basamento su cui poggia il paese perchè, nella notte, affiorano le cose che in realtà per noi contano e sulle quali abbiamo fondato il nostro esistere.

Ma quella foto mi comunica anche un senso di vaga nostalgia, insieme alla percezione di una bellezza che proprio il cielo scuro carico di nubi rende - se possibile - ancora più attraente. Visto da lontano, il paese potrebbe apparire solo come un borgo un po' in rovina su di una pietra erosa - le case addossate le une alle altre, bucherellate dal nero delle finestre - mentre in realtà è custode di un fascino antico che sembra riaffiorare più vivo quanto più si rivela precario. 
E mi pare che anche il sole e il temporale, con i loro colori contrastanti, conferiscano al luogo un'atmosfera di inquieta, angosciosa attesa.

Così, ho cercato una musica che potesse rispecchiarne il clima e ho pensato d'impulso a Brahms come se nessun altro compositore potesse essere associato allo splendore drammatico di questa immagine. È infatti un paesaggio che, a mio avviso, esige una musica intensa e un ampio respiro orchestrale capace di esprimere un moto d'anima reiterato e dolente.
Ho scelto quindi il celebre terzo movimento della "Sinfonia n.3 in Fa maggiore op.90". Nonostante l'indicazione "Poco allegretto", non si tratta di un pezzo leggero o scherzoso e a suggerircelo è il do minore in cui il brano è stato scritto: guarda caso, la stessa drammatica tonalità della "Quinta Sinfonia" di Beethoven e della "Grande Messa K.427" di Mozart.

In Brahms, quella che si avverte all'interno del tema di apertura è proprio un'intensità crescente e ripetuta, quasi una sorta di accento che va a sottolineare l'impulso angoscioso annunciato prima dai violoncelli, ripreso dai violini e in seguito dagli altri strumenti. È un movimento che sale a somiglianza di un'invocazione via via più struggente; ma dove poi la musica si rasserena in passaggi soffusi di dolcezza, certe sonorità sfumate sembrano sottintendere proprio una mai sopita nostalgia per la luce. Così almeno a me pare.

"Sentinella, a che punto è la notte?" Nel testo biblico non c'è risposta se non nella costanza del nostro chiedere, vigili nella speranza che alla notte segua l'alba, un'alba forse già presente se la domanda sarà perseverante, instancabile e reiterata proprio come il tema espresso da queste note.

Buon ascolto!

lunedì 20 aprile 2020

Donne col libro - 4

V. Lagye (1825 - 1896) "Music practice" particolare (coll.privata)
























All'inizio di questa piccola serie di articoli, mi ero proposta di scegliere dipinti con donne intente alla lettura, ma - avevo specificato - non di una lettera, di un giornale o altro, bensì di un libro vero e proprio.

Poi mi sono chiesta: e perchè non di uno spartito musicale???...
In realtà, è un libro anche quello e mi pare si armonizzi bene al tema del blog.
E.B.Leighton (1853 - 1922): "La lezione di pianoforte"
E se il testo ha un linguaggio diverso, non per questo non può suscitare altrettanto interesse. 
La musica infatti narra storie, interpreta sentimenti, delinea paesaggi esteriori e interiori, suscitando emozioni come una narrazione fatta di parole e forse anche di più, perchè il suo è un linguaggio universale. Le note sono uguali per tutti e talora arrivano in noi con maggiore immediatezza ed efficacia rispetto ad altre forme di comunicazione. Soprattutto poi per chi le sa leggere, osservarle è come trovarsi a tu per tu con una persona guardandola negli occhi.

Anna Vallayer-Coster(1744 - 1818): "Ritratto di una violinista"
Inoltre, per parlare di donne e spartiti musicali, non c'è che l'imbarazzo della scelta. 
Avrei potuto iniziare dalle numerose raffigurazioni della patrona dei musicisti, Santa Cecilia, intenta a suonare l' organo - ora sola, ora insieme a un coro di angioletti - o da alcune immagini di figure mitologiche in concerto. 
Ho preferito invece i dipinti che vedete e che - sia pure con alcune differenze - ci presentano situazioni e contesti tra loro simili. 
In tutti vediamo infatti giovani donne assorte nella lettura di uno spartito per pianoforte o per violino: a volte in rigida posizione davanti alla tastiera durante una lezione, altrove concentrate e attente ad accompagnare un canto.

S.Lega (1826 - 1895): "Il canto dello stornello" (part.)
Finissimo il "Ritratto di una violinista" di Anna Vallayer-Coster, dove è proprio una donna a raffigurare un'altra donna. La pittrice ne mette in luce con delicatezza l'attenzione, l'attitudine meditativa davanti al testo musicale e forse anche il gusto nel seguire la melodia, visto il lievissimo sorriso che le disegna sul volto.
Risulta invece composta, ma insieme un po' rigida, la fanciulla seduta al pianoforte nel dipinto di Leighton, seguita dallo sguardo vivido, ma severo - almeno così a me pare - dell'insegnante.
Anche la giovane che - nel particolare del quadro di Silvestro Lega - accompagna al piano il canto dello stornello, è attenta e concentrata, mentre lo spartito è riprodotto con tale chiarezza che, ingrandendo la foto, se ne possono leggere nitidamente le note.
P.A.Renoir (1841 - 1919): "Fanciulle al piano"
Inoltre, tra i vari dipinti dedicati a questo tema, non si può dimenticare il famoso "Fanciulle al piano" di Renoir, che rappresenta due ragazze della borghesia parigina intente a leggere la musica e ad esercitarsi.

In ognuna di queste rappresentazioni, come si deduce dall'eleganza degli abiti, delle acconciature e dall'arredamento degli interni, si tratta di giovani di buona famiglia avviate, come tante ragazze dell'epoca - siamo nel corso del XIX secolo - allo studio del pianoforte, considerato parte integrante di una certa educazione e importante per la vita in società.

Tuttavia, al di là di queste immagini, i dipinti che più mi hanno colpito sono altri due, ricchi di un fascino differente e - a mio avviso - un po' inconsueto.
Il primo che vedete qui sotto, del quale ho riportato anche un bel particolare nella foto in alto, è opera di Victor Lagye e s'intitola "Music practice".
V. Lagye (1825 - 1896) "Music practice" (coll.privata)
Una fanciulla è seduta al clavicembalo per esercitarsi o prepararsi a duettare col giovane suonatore di arpa. 
Ma - a ben guardare - i suoi occhi non sembrano rivolti al corposo spartito che pure ha in mano, ma al musicista che la fissa un po' ammiccante.
Il suo è quasi un profilo di bambina dal quale traspaiono timidezza e ingenuità: forse la sua è soltanto preoccupazione di suonare senza errori, o forse è un sentimento che va oltre. 
Vi possiamo intuire infatti anche una lieve ansia o una dolce speranza verso il ragazzo che ha di fronte, al quale la lega un gioco di sguardi che sembra andare al di là della musica. Una rappresentazione affascinante quindi che, se non spicca per i colori in verità piuttosto spenti, si concentra tutta sugli atteggiamenti dei due protagonisti. Il far musica insieme, del resto, già nei secoli passati era considerato simbolo e occasione di corteggiamento.

J.Vermeer (1632 - 1675): "Concerto interrotto" (part.) 
Il secondo dipinto, invece, rispetto a quelli già citati ci riporta indietro nel tempo e precisamente al XVII secolo.
Si tratta infatti di un'opera di Jan Vermeer intitolata "Concerto interrotto" o anche "Un gentiluomo e una giovane dama che fanno musica in una stanza". 
Qui, a colpirmi è lo sguardo della donna nel quale colgo qualcosa di vagamente trasgressivo o impertinente. 
Il suo non è un atteggiamento timido a somiglianza della fanciulla del quadro di Lagye, bensì quello di una persona sicura di sè. Nel suo volgersi verso lo spettatore c'è a mio avviso un sottile rimprovero, come a ritenere indiscreto l'occhio di chi dall'esterno osserva la scena, quasi stesse violando una sorta di intimità. 
E lo spartito di cui un foglio è nelle mani della ragazza ma insieme nella destra dell'uomo accanto a lei, qui si fa tramite ed espressione di ciò che li lega: certo la musica, forse anche altro.

Ed è Chopin il compositore che mi piace associare a queste immagini, anche se in realtà - data la collocazione cronologica di alcuni dipinti - non è verosimile che tutte le giovani musiciste qui raffigurate abbiano potuto eseguirne i pezzi.
Ho scelto il "Preludio in Mi bemolle maggiore n.19 op.28", brano brevissimo che, nel complesso dei 24 preludi scritti dal musicista polacco, mi pare uno dei più incantevoli. 
Il suo è un andamento vivace che lo rende molto simile allo stile di uno studio, e nella sua struttura tutta a terzine, sia nella mano destra che nella sinistra, può costituire un ottimo esercizio per musicisti già esperti. 
Nonostante la velocità, ci sono qua e là dolci passaggi più lenti dove la musica si fa più morbida e che qui possiamo apprezzare sottolineati da un'interprete di eccezione come Martha Argerich.          

Buon ascolto!

domenica 12 aprile 2020

Buona Pasqua!!!





















Pericle Fazzini (1913 - 1987) : "Resurrezione" (particolare) - Aula Paolo VI (Sala "Nervi") - Città del Vaticano.

 

Georg Friederich Haendel (1685 - 1759) : Aria "Risorga il mondo" dall'Oratorio "La Resurrezione" HWV 47.

venerdì 10 aprile 2020

Venerdì Santo






































Hieronymus Bosch (1453 -1516) : "Incoronazione di spine" detta anche "Cristo deriso" - National Gallery - Londra.

 

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) : "O Haupt voll Blut und Wunden..." dalla "Passione secondo Matteo BWV 244".

giovedì 2 aprile 2020

La gardenia

(Foto presa dal web)
Chi mi conosce sa che, putroppo, non sono nata col "pollice verde" e  qualche volta, in passato, credo di averlo detto anche qui.
Certo, amo molto piante e fiori e faccio il possibile per farli durare, a cominciare dalle primule che mi compro ogni anno a marzo, ma il mio impegno non è sempre compensato da buoni risultati. 
La cosa mi dispiace perchè sono cresciuta, invece, in una casa dove entrambi i miei genitori avevano grande cura per il verde, ma soprattutto la capacità di conservarlo a lungo nonostante vivessimo in appartamento.

Ricordo mio papà che, a primavera inoltrata, portava a casa le petunie - sia semplici che doppie - e le sistemava sui balconi del soggiorno in modo che, occhieggiando dalla ringhiera, formassero un nastro colorato dove il blu si alternava al fucsia. Poi, certo, gli steli crescevano diventando troppo alti, ma allora venivano messe - diciamo così - in secondo piano e sostituite, finchè era stagione, con altre più basse e più giovani. 
Mia mamma, invece, si dedicava alla cura delle piante verdi: avevamo sansevierie, ficus, diffenbachie e clivie che duravano anni, buttando germogli che - una volta cresciuti - lei trapiantava con gioia in altri vasi come fossero stati figli di cui andare orgogliosa. 
Era felice soprattutto quando, a maggio, le fioriva la clivia col suo grappolo di corolle di un arancione acceso. Scrivo proprio "le" fioriva perchè era tale la cura con cui se ne occupava, che eravamo convinti che la pianta fiorisse proprio per lei. E la cosa era diventata una sorta di evento beneaugurante che annunciava con gioia anche alle amiche - "Mi è fiorita la clivia!" - come parlasse di un familiare rientrato da un lungo viaggio.

Mi sono tornati in mente questi flash di vita quotidiana proprio ora, nel tempo dilatato dei giorni di quarantena e di attesa che stiamo vivendo. 
Ma c'è un altro ricordo che vorrei condividere.
L'ultima pianta che mia mamma mi aveva regalato - ormai tanti anni fa - è stata una gardenia: pianta splendida, elegantissima, dal profumo inebriante e intenso che ho sempre adorato. Naturalmente, nonostante la mia mancanza di pollice verde l'ho tenuta con tutte le cure, coadiuvata da mio marito che - lui sì! - vanta doti degne di un giardiniere. Così, terminata la fioritura, l'abbiamo collocata in mansarda dove la temperatura giusta e la maggiore luminosità consentono alle piante di prosperare meglio o di riprendersi: insomma una sorta di sala di rianimazione per il verde. 
Con la nuova stagione infatti la gardenia è rifiorita, ma - non so perchè - per un po' lo ha fatto ad anni alterni, poi basta. Era ancora viva e rigogliosa, ma fiori niente, finchè ho smesso di aspettarli e me ne sono dimenticata.

Poi, un giorno di primavera dopo non so quanto tempo, mentre me ne stavo in mansarda a leggere, ho avvertito un profumo intenso e al tempo stesso delicato che mi raggiungeva in ogni angolo della stanza: una sensazione piacevolissima che però, a tutta prima, non ho riconosciuto. 
Poi all'improvviso mi ha folgorato un pensiero: la gardenia!!!...Possibile???...
Sono andata a vedere: ed eccolo un fiore, uno solo, ma appena appena sbocciato, coi suoi petali bianchi e un po' spessi, profumatissimi! Un inaspettato segnale di vita! E me n'è derivata la fresca gioia delle belle sorprese, tali proprio per la loro promessa di speranza al di là di ogni immaginazione.

Così, a questo piccolo episodio e a quello splendido fiore di gardenia mi piace associare un brano di altrettanta leggiadrìa.
L'autore è Giacomo Puccini (1858 - 1924), compositore che i miei genitori amavano e del quale ogni tanto mio papà - benchè fosse stonato - canticchiava qualche romanza suscitando le vive proteste di mia mamma!  
Qui ho scelto l' "Adagio in La maggiore" scritto probabilmente per il "Quartetto d'archi in Re maggiore", ma anche in una versione per pianoforte. 
Si tratta di un pezzo pervaso da un'atmosfera di profonda intimità e caratterizzato a tratti da passaggi di morbida, improvvisa apertura; intenso come il profumo di un fiore e struggente come un antico ricordo che riaffiora proprio nella semplicità di alcuni particolari.
E mi è sempre parso bello che - a volte - delle persone ci rimangano impressi non tanto grandi discorsi sui massimi sistemi, ma gesti quotidiani, dettagli in apparenza secondari, ma in realtà essenziali nel tessuto dell'esistenza: mio papà che portava a casa le petunie - ma anche le paste alla domenica! - e mia mamma che annunciava gioiosa alle amiche che le era fiorita la clivia.
Piccole cose che fanno bella la vita e che vorrei ancora, come quel fiore di gardenia - inatteso e sorprendente - ad annunciare tempi migliori.

Buon ascolto!