martedì 27 aprile 2021

Stelle della sera

Si parlava - la volta scorsa - dello splendore della polifonia, da quella sacra a quella profana che anima cori di montagna o altri canti popolari.
Se con quest'ultima mi sono
sintonizzata subito, con quella di carattere religioso il cammino è stato un po' più lungo. Tuttavia, siccome da cosa nasce cosa e la mia navigazione su youtube mi porta spesso lontano dal punto di partenza, sono arrivata nel tempo anche lì.
Da Haendel a Bach, da Mozart ad Haydn, a Schubert e poi a Rossini che - al contrario di ciò
che talora si potrebbe pensare - ha composto musiche sacre di straordinaria drammaticità, mi sono pian piano lasciata prendere dal fascino di questa polifonia, fino ad arrivare agli autori contemporanei, per quanto con alcuni di essi mi debba ancora familiarizzare.

Ma insieme ai testi, ho spesso apprezzato anche la maestria di diverse corali, dai miei mitici Swingle Singers agli altrettanto celebri King's Singers, ai Vocalconsort Berlin fino ai giovanissimi componenti del Thomanerchor di Lipsia, solo per citarne alcuni.
Così, oggi sono qui per condividere proprio l'eccellenza
di un altro gruppo, peraltro non nuovo nel mio blog: si tratta infatti dei VOCES8, ensemble inglese di fama internazionale del quale avevo parlato tempo fa in questo post.
Nel loro repertorio che spazia dal Rinascimento fino al jazz e al pop, gli otto coristi
non solo interpretano composizioni del passato, ma arricchiscono la loro attività con rielaborazioni polifoniche di brani contemporanei, originariamente nati magari per voce solista.
È proprio il caso del pezzo di oggi che è stato negli anni oggetto di svariate
versioni, ma che in quella dei VOCES8 - tratta dal cd "Enchanted Isle" del 2019 - mi è parso più che mai incantevole.

Si tratta di "May It Be", brano molto conosciuto sia perchè la musica è stata composta da Enya - pseudonimo del nome gaelico Eithne Pádraigín Ní Bhraonáin - celebre musicista e cantante irlandese classe 1961, sia perchè il pezzo fa parte della colonna sonora del film "Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell'Anello".
Suggestive le parole del testo che vi riporto qui di seguito, scritte da Roma Ryan, parole di augurio e al tempo stesso di preghiera, adatte anche a ricordare coloro
che non sono più con noi ma che portiamo nel cuore.
Ma straordinarie a mio avviso, per purezza di suono e trasparenza, le voci degli otto coristi, fuse in
una luminosissima armonia che conferisce al brano ulteriore dolcezza e profondità.

"Che una stella della sera
risplenda su di te!
Che possa accadere, quando cala il buio,
che il tuo cuore sia sincero!
Tu cammini per una strada solitaria
Oh! Come sei lontano da casa!

La tenebra è arrivata
Abbi fede e troverai la tua strada
La tenebra è arrivata
Una promessa vive dentro di te ora


Che il richiamo dell'ombra
voli via!
Che il tuo viaggiare
illumini il giorno!
Quando la notte è superata
Possa tu sorgere a trovare il sole!

La tenebra è arrivata
Abbi fede e troverai la tua strada
La tenebra è arrivata
Una promessa vive dentro di te ora

Una promessa vive dentro di te ora"

Buon ascolto!

(Nella foto, particolare del dipinto di Van Gogh "Notte stellata sul Rodano")

 

martedì 20 aprile 2021

"Belle rose du printemps"

Già sapevo che - in questo anno di chiusure per la pandemia - mi sarebbe mancato molto il coretto in cui canto da qualche tempo, a cominciare dalle prove del martedì sera dalle quali, comunque fosse andata la giornata, tornavo sempre serena.
Ci arrivavo spesso piena di sonno o di stanchezza, ma tornavo sveglia e rilassata. Niente come la musica, soprattutto se fatta insieme, ha il potere di rinvigorire l'animo e regalare gioia, trasformando una serata come tante
in un'oasi di distensione all'insegna della bellezza. È stato quindi per me un sacrificio dover rinunziare a questi preziosi momenti e attendere tempi migliori, stante il fatto che non tutti siamo così tecnologici da organizzarci sul web come parecchie altre corali.

Pensavo comunque di aver retto bene a tale rinunzia ma mi sbagliavo, perchè mi è bastato ascoltare durante una celebrazione liturgica un canto polifonico sia pure registrato, per capire quanto il tasto sia sempre dolente. Credo di aver vissuto rare volte una tale emozione non solo per la bravura dei coristi, ma anche perchè l'altezza della chiesa in cui mi trovavo amplificava moltissimo i suoni, conferendo alle singole voci una potenza avvolgente e facendomene percepire la fusione.
Così, oggi ho sentito il bisogno di ritornare subito alla polifonia, anche se quello
che vi propongo non è un brano liturgico, ma un coro di montagna.

Si tratta di "Belle rose du printemps", canto valdostano tra i più conosciuti, qui interpretato dal Coro "La Rupe" di Quincinetto. È una composizione antica che viene fatta risalire ai trovatori provenzali, ma che è stata trascritta e rielaborata nella versione attuale dal compositore Teo Usuelli.
Essa riporta il dialogo di una pastorella con un giovane innamorato di lei, che vorrebbe condurla a
lavorare al suo servizio in un palazzo di città. Ma lei rifiuta, preferendo a una prospettiva di vita più agiata la gioia di restare sui monti a pascolare le pecore. Una sorta di Heidi ante litteram insomma, e anche se la vicenda delineata nel testo è diversa, simile è l'amore per la bellezza della natura e per la vita in semplicità che viene anteposto a qualunque altra lusinga.

"Belle rose du printemps"...bella rosa di primavera! È una sorta di ritornello che si ripete ad ogni battuta, ora rivolto dall'innamorato alla fanciulla, ora posto accanto alle parole della ragazza che sembra manifestare cosi la propria appartenenza al mondo della montagna.
La vicenda è narrata nel testo originario che vi riporto qui di seguito, anche se le
attuali rielaborazioni fanno riferimento solo ai primi versi:

"Que fais-tu là bas, ma jolie bergère?
Moi, je garde mes moutons blancs, belle rose du printemps!

Combien gagnes-tu pour ton salaire?
Moi, je gagne mes cinq cent francs, belle rose du printemps!
Veux-tu venir a mon service?
Moi, je t'en donnerai autant, belle rose du printemps!
Quitte ces bois et ton village
et laisse là tes moutons blancs, belle rose du printemps!
Viens avec moi, blonde bergère,
ne song plus aux fleurs des champs, belle rose du printemps!
Si tu savais combien je t'aime,
ils sourirarient tes yeux charmants, belle rose du printemps!
Elle me dit en un murmure:
Je reste avec mes agneaux blancs, belle rose du printemps!
Oh, j'aime mieux notre chaumière
que tous vos beaux palais luisants, belle rose du printemps!
Bergère, adieu! Sur la montagne
mon rêve est mort en un istant, belle rose du printemps!

Mais, dans mon ciel, petite étoile,
tu brilleras ancor longtemps, belle rose du printemps!"


Confesso che la scelta della clip audio è stata un po' impegnativa perchè le tante interpretazioni offerte da youtube - sia pur pregevoli - mi parevano sottolineare i passaggi culminanti del brano con accenti eccessivamente forti.
Dopo parecchi ascolti, ho optato quindi per quella del coro "La Rupe" di
Quincinetto perchè - nonostante la registrazione non sia sempre perfetta - mi è parsa la migliore per equilibrio e fusione delle varie voci, sia tra loro che con il solista. Il canto si apre infatti con un' introduzione sommessa a bocche chiuse e la melodia si fa poi gradualmente più intensa, senza perdere tuttavia solennità e insieme morbidezza anche nelle note più alte, con un risultato a mio avviso molto toccante.

Nella foto, "Cesta di rose" del pittore danese William Hammer (1821 - 1889).

Buon ascolto!

 

lunedì 12 aprile 2021

In cerca di leggerezza - 4


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È stata la magia del vento in queste ultime giornate così ariose - se pure un po' più fredde - a riportarmi alla memoria il dipinto che vedete. E insieme sono stati i primi temporali di primavera, i cieli variegati di nuvole mentre alberi e campi si rivestono di un tenerissimo verde: immagini di leggerezza che la natura ci offre per particolari, brevi periodi all'inizio della stagione primaverile. Poi, col procedere del tempo il verde si scurirà, se ne attenuerà la freschezza e la temperatura via via più calda muterà anche la luce e i colori.

E sono proprio la luce e i colori ad affascinarmi in questa immagine che avrete certamente riconosciuto: si tratta infatti di un' opera di Vincent Van Gogh (1853 - 1890) intitolata "Paesaggio a Saint-Rémy" e conservata a Copenaghen, presso la Ny Carlsberg Glyptotek.
Il dipinto - realizzato un anno prima della sua morte, durante la degenza dell'artista nella clinica psichiatrica di Saint-Rémy - ci presenta tanti dei tratti inconfondibili del suo stile, anche se non emergono i caratteri quasi violenti che contraddistinguono l'espressionismo visionario di altre sue composizioni, forse ancora più famose. Penso alla celeberrima "Notte stellata" con quel cielo rutilante e vorticoso che sembra incombere sullo spettatore e venirgli addosso, o all'altrettanto famoso "Campo di grano con corvi" dalla pennellata veloce e corposa nel delineare i forti contrasti tra il giallo e il blu.

Al contrario, in questo paesaggio non avverto nulla di angoscioso, ma quella che - a mio avviso - sembra regnare è una leggerezza ariosa come un respiro di sollievo.
Da un lato troviamo le nuvole, spesso
ricorrenti nei dipinti di Van Gogh: ora fantasiose e avvolgenti, ora capaci di evocare figure umane come in "Campo di grano con cipressi" o "Ulivi". Qui, sono gonfie e attorte quasi un drago si protendesse sul panorama fino a lambire le montagne; eppure non avverto in esse il frutto inquietante di un'allucinazione o la minaccia di una tempesta imminente, ma mi pare che diano all'insieme una luce che ben si armonizza coi colori del paesaggio rappresentato.

È infatti la distesa di prati e colline al centro del quadro, con qualche casetta incuneata qua e là, a offrirci uno spazio movimentato ma rasserenante in cui affondare lo sguardo. Protagonista è il vento che attraversa la morbida campagna provenzale a iniziare proprio dalle nuvole, per poi animare il verde dei campi in primo piano, svegliandone tra l'erba sfumature diverse. È una gamma di tinte fredde quella che qui Van Gogh dispiega con ricchezza: dalle tante tonalità di verde di prati e colline fino all'azzurro e al blu più intenso man mano che ci si allontana, a indicare le montagne sullo sfondo e il cielo. Infine, il bianco della grande nuvola che tutto sovrasta e illumina con una freschezza che dona respiro.

Ma nella costruzione dello spazio, leggo anche quella maestrìa prospettica che troviamo - per esempio - in Cézanne. È la capacità di cercare la profondità prima di tutto con i colori, attraverso i quali campi e casali, colline e alberi s'incastrano con naturalezza in una geometria nata, più che da un disegno predeterminato, da un istinto squisitamente geniale. Ne deriva l'impressione di entrare all'interno del dipinto avvertendo quel senso di libertà e di leggerezza che dà il vento sul viso, e respirando la frescura della campagna con una sorta di effetto sinestetico per cui tinte e immagini si traducono subito in percezioni tattili.

A pensarci bene, quelli che caratterizzano questo dipinto sono anche i colori dell'acqua quando si fa spuma del mare o ruscello dalle tinte mosse e cangianti sulle cui rive si specchia la vegetazione. E mi stupisce sempre che un' armonia così piacevole per lo sguardo sia scaturita da un animo tormentato come quello di Van Gogh, soprattutto negli ultimi anni della sua vita. O forse è il sollievo che, in taluni momenti, la natura regala a chi ne è più assetato e meglio di altri sa afferrarne lo splendore segreto in un insopprimibile grido di salvezza.

Proprio per questi riferimenti al vento e all'acqua, mi piace associare al dipinto un brano di Jan Sibelius (1865 - 1957), l' "Improvviso op.5 n.5 in si minore".
Sono i ripetuti arpeggi sui quali è costruito il pezzo - ora lievi, ora più impetuosi -
a suggerirmi tali richiami, mentre la tonalità minore ci introduce in un clima di sognante malinconia.
Mi rendo conto che sto accostando due mondi per molti aspetti lontani: quello mediterraneo della
Provenza riprodotta da Van Gogh e le suggestioni nordiche del compositore finlandese. Ma mi sembra abbiano in comune il misterioso fascino degli spazi aperti, insieme all'inquietudine del vento che le note di Sibelius sembrano restituirci così efficacemente.
E forse proprio questi elementi sono stati la via di salvezza sognata da Van Gogh
attraverso la propria arte, la ricerca di un senso inseguito nel soffio leggero del vento tra l'erba e riprodotto - direbbe Montale - "come nei sommossi campi del mare spuma o ruga".

Buon ascolto!

 

domenica 4 aprile 2021

Buona Pasqua!!!



 

 

 

 

 

 

 

 

Giuliano Amidei (1446 - 1496): "Pie donne al sepolcro" - Predella del Polittico della Misericordia - Sansepolcro, Museo civico.

Samuel Scheidt (1587 - 1654) : "Surrexit Christus hodie" dalle "Sacrae Cantiones".

venerdì 2 aprile 2021

Venerdì Santo



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Caravaggio (1571 - 1610) : "Cattura di Cristo nell'orto" - Dublino - Galleria nazionale d'Irlanda.

 Johannes Brahms (1833 - 1897) : "Agnus Dei" dalla "Missa canonica Wo0 18" (op. postuma).