sabato 29 febbraio 2020

"Intanto..."


Vincent Van Gogh: "Limitare di un campo di grano" Amsterdam, Rijksmuseum Van Gogh





















Alla costante ricerca di musica, in questi giorni difficili per tanti di noi, nel tempo libero che mi sono ritrovata - piombati come siamo, dalla sera alla mattina, nel cuore di un evento che mai si pensava di vivere - ho trovato un brano a dir poco meraviglioso! 
È Camille Saint-Saëns (1835 - 1921) il suo autore: sì, proprio il compositore dell'opera "Sansone e Dalila", del celebre "Tollite hostias" tratto dall' "Oratorio di Natale" o dell'ancor più famoso "Carnevale degli animali".
Questa volta si tratta del "Concerto in sol minore n.2 op.22 per pianoforte e orchestra" nel suo primo movimento "Andante sostenuto", un pezzo che non conoscevo e che mi ha preso subito ma proprio subito!
E sapete perchè? Provate ad ascoltarne le battute iniziali!...
Bastano i primi trenta secondi di musica e certo anche a voi si aprirà il cuore perchè l' incipit è inconfondibilmente bachiano, degno del preambolo di una Partita o di una Fantasia, con un tema che - declinato con accenti diversi - percorre poi tutto il brano dall'inizio alla fine.
Non è nuova del resto l'attenzione di Saint-Saëns per il compositore tedesco. 
La ritroviamo infatti nel tema fugato della Sinfonia n.2 op.55, ma anche altrove, in svariati pezzi per organo.

Severo e rigoroso nell'esordio, sostenuto proprio come recita la didascalìa, questo primo movimento del Concerto ci conduce però in una serie di atmosfere musicali progressivamente mutevoli. 
È come se Saint-Saëns avesse attraversato parte della storia della musica dal Barocco al Classicismo e poi al Romanticismo spingendosi forse anche oltre. Dopo l'inizio squisitamente bachiano, vi ritroviamo infatti la forza di Beethoven, la dolcezza di Chopin, il pianismo virtuosistico di Liszt e in certi accordi - almeno questa è la mia impressione - anche l'impeto di Brahms e di Rachmaninov.
Se prima protagonista è il pianoforte con un esordio in stile bachiano, subito dopo il tema viene ripreso e sviluppato nel dialogo con l'orchestra.
Introdotta - a 1,10 e a 1,14 dall'inizio - da due potenti e drammatici accordi degni dell'incipit del "Don Giovanni" di Mozart, la melodia si ammorbidisce poi in passaggi luminosi come un adagio di Chopin o concitati come un pezzo beethoveniano. Si tratta insomma di una successione di note prima severe, poi veementi e impetuose, poi più dolci, poi ancora appassionate e tempestose, ma non prive di aperture a somiglianza di un cielo primaverile. 
Ne deriva una composizione trascinante e di straordinaria intensità passionale, alla quale mi piace associare il quadro che vedete.

Arioso, aperto, movimentato, questo bellissimo dipinto di Van Gogh, conservato ad Amsterdam presso il museo dedicato al pittore olandese, mi affascina per il suo vivo splendore.
Siamo ai margini di un campo di grano mosso dal vento, sotto un cielo variegato di nuvole che aprono sprazzi di azzurro o forse preludono a uno di quei repentini cambimenti di tempo tipici della primavera, chissà!...
Può essere il sereno che torna o un turbine che si avvicina, ma in ogni caso l'immagine ci coinvolge al punto che ne possiamo respirare l'atmosfera. 
Larghe e veloci pennellate rendono con rara efficacia l'urto del vento sul grano, e sempre dall'onda obliqua del vento è portato quell'uccello in volo sui campi. 
Folte spighe punteggiate, qua e là, di papaveri cominciano a imbiondire e mi ricordano le parole del Manzoni che, al cap.28 del romanzo "I Promessi Sposi", descrivendo - prima ancora di altri flagelli - gli effetti della carestia a Milano, osserva:
"Intanto però cominciavano que' benedetti campi ad imbiondire..."

È sempre stato quell' intanto a colpirmi: segno che, nei momenti di affanno, il tempo cova un seme di speranza, talora sorprendente, talaltra atteso.
E me lo confermano quelle spighe mosse dal vento nei tratti ariosi di questo dipinto, insieme alle note energiche e tormentate - ma qua e là anche dolcissime - del brano di Saint-Saëns.

Buon ascolto!

venerdì 21 febbraio 2020

Gioielli barocchi

(Foto presa dal web)

















Ci sono dipinti di grande splendore che è piacevole contemplare all'interno di un museo, in una sala allestita con cura, con la giusta illuminazione, magari in mezzo ad opere dello stesso autore per farne un confronto.
Ma ce ne sono altri che ci porteremmo volentieri a casa: piccoli gioielli da appendere sulla parete di uno studiolo appartato, da ammirare a lungo in un angoletto tutto nostro, alzando gli occhi da un libro per ricrearci con pace. Dipinti da osservare in silenzio nei tratti del loro stile, ma soprattutto in quella particolare atmosfera che ci consente di entrare in essi e appagare il cuore.

Vi confesso - ma non ditelo in giro! - che sono tante le opere che mi porterei a casa: certi Monet dall'inimitabile aura intima dei paesaggi innevati, o alcune composizioni del Seicento olandese, dove il tempo è scandito in interni ombrosi e la prospettiva inquadra un'infilata di stanze verso la luce.
Tuttavia, se voglio andare a cercare l'immagine che contemplerei all'infinito con lo stupore intatto della prima volta, devo tornare a un dipinto che ho già citato in questo blog ma solo di sfuggita. Si tratta di "Gondole sulla laguna", una tela di Francesco Guardi (1712 - 1793), conservata a Milano, al Museo Poldi Pezzoli dove ho avuto modo di vederla in varie occasioni.

Il quadro ci conduce a Venezia alla quale sono stati dedicati nel tempo innumerevoli dipinti, sempre affascinanti prima di tutto perchè lo è la città.
Alcuni ne rappresentano gli aspetti più fastosi, altri ne colgono quelli più nascosti e altri ancora la raffigurano nei minimi dettagli come le immagini del Canaletto, vere e proprie cartoline del suo tempo, ambite dagli stranieri che hanno contribuito a farne conoscere all'estero lo splendore.

Anche il Guardi appartiene al gruppo dei "vedutisti" veneziani del Settecento tra i quali spiccano Canaletto e Bellotto. Tuttavia, non solo gli scorci che dipinge ci conducono talora in una Venezia minore e più intima rispetto a quella raffigurata dagli altri artisti, ma anche la sua tecnica pittorica non mira a restituirci fedelmente i vari panorami della città, bensì a farcene percepire il fascino con una sorta di Romanticismo ante litteram
Ma osserviamo il dipinto.
È una prospettiva molto ampia quella che si apre davanti a noi, dove protagonisti sono la laguna, il cielo e la gondola in primo piano, mentre la città e i suoi edifici restano ai margini. Uno spazio prospettico che si dilata anche per effetto del passaggio dalle tinte più scure, in primo piano, a quelle via via più chiare delle costruzioni e del cielo variegato di nuvole.

Ma prima di ogni altro elemento, è il colore ad affascinarmi: un impasto di tinte tra l'azzurro cupo, il grigio e il verde, una tonalità raffinata e intensa - a prima vista quasi un monocromo - che ricorda quanto il Guardi sia erede di quella pittura tonale che ha contraddistinto gli artisti veneti del Cinquecento, in particolare da Giorgione in poi. 
Mi pare sia proprio il colore a creare un'atmosfera spessa e brumosa attraverso la quale, tuttavia, le costruzioni sullo sfondo ci appaiono nitide e precise nelle loro geometrie e persino nei loro riflessi sull'acqua: dettagli straordinari, se si considera che si tratta di una tavola di piccole dimensioni. 
Sono brevi ed eleganti pennellate di luce, qua e là, a delineare la prua di una gondola, la posa del gondoliere, gli edifici o una vela lontana, particolari che emergono dalla tinta cupa circostante dandole al tempo stesso risalto.

Ma se pure l'artista ha un tocco preciso, le sue opere non hanno lo scopo di definire con minuziosa fedeltà un panorama, ma tendono più che altro ad evocarlo, insieme alle emozioni che esso suscita al nostro cuore. 
Ne deriva un'atmosfera sognante, motivo peraltro di una certa disattenzione dimostrata dai contemporanei verso le opere del Guardi alle quali preferivano l'esattezza descrittiva del Canaletto.

E ad accompagnare la contemplazione di queste immagini non può essere che Vivaldi e in particolare il "Larghetto" dal "Concerto n.9 in Re maggiore RV 230" tratto da "L'estro armonico".
Tale è lo splendore di questo breve gioiello barocco che ho dovuto far passare tutti i ventun brani che ho dedicato qui al compositore veneziano, per convincermi di non averlo ancora - chissà mai perchè?! - pubblicato.
La voce del violino solista vi affiora struggente e dolcissima dopo l'introduzione pacata e solenne degli archi, e ci conduce in un percorso che alterna tonalità maggiore e minore, luminosità e malinconia, com' è tipico di Venezia nella sua dimensione leggiadra e precaria insieme.
Un brano che, ancora una volta, ci regala la ricchezza creativa e la profondità della percezione vivaldiana nel suo entrare nel cuore di questa città e - a somiglianza del dipinto del Guardi - nell'evocarne l'atmosfera.

Buon ascolto!

sabato 15 febbraio 2020

Nel fuoco dell'alba

Solo quattro minuti di musica, o poco più, per ascoltare oggi qualche passaggio musicale di un autore nuovo per questo blog.
Si tratta di Richard Strauss (1864 - 1949) compositore e direttore d'orchestra tedesco, considerato tra gli esponenti del tardo-romanticismo anche se il suo stile - nel tempo piuttosto vario - si è aperto talora a dimensioni più innovative. Da non confondere con gli Strauss di Vienna, autori dei celebri valzer, è ricordato per la sua ricca produzione di opere e poemi sinfonici, primo tra i quali "Così parlò Zarathustra", di cui tutti conosciamo in particolare il celeberrimo incipit, inserito anche nella colonna sonora di alcune pellicole.

Il brano che ho scelto oggi, tuttavia, è un altro e comprende la prima e la seconda delle ventidue (!) sezioni della "Sinfonia delle Alpi op.64" scritta dal compositore nel 1915. 
Il termine sinfonia qui non ci deve sviare: non si riferisce, infatti, alla tradizionale forma musicale strutturata in quattro tempi tipica degli autori classici e romantici, ma ancora una volta ad un poema sinfonico. Si tratta di un pezzo orchestrale di notevoli dimensioni che deriva della musica a programma.
Formato da uno o - come in questo caso - più movimenti sia pure non nettamente separati, ha intento descrittivo o è teso a tradurre in note l'idea portante di un testo letterario o filosofico. Caratterizzato dalla presenza di un organico strumentale molto ampio, si sviluppa a partire da Liszt raggiungendo il suo apice proprio con Richard Strauss.

Nella "Sinfonia delle Alpi", il compositore si pone sulla scia dei numerosissimi musicisti che, nel corso del tempo, hanno dedicato la loro attenzione alla natura, sia pure con stili e tecniche diverse. 
Qui il brano descrive i vari momenti di un'ascensione in montagna che va da notte a notte. Dall'oscurità al sorgere del sole, il cammino dell'alpinista si snoda infatti per boschi, prati, ruscelli, cascate, sentieri impervi e ghiacciai per raggiungere finalmente la cima dove si apre il panorama. Ma la strada prosegue ancora con la discesa durante la quale prima si alza la nebbia e poi si scatena una tempesta, fino al tramonto e alla crescente oscurità. 
Il poema è quindi un grande affresco descrittivo in cui ogni tipo di strumento viene coinvolto, per rendere con particolare efficacia i caratteri del paesaggio e gli effetti dei vari fenomeni naturali.

Le prime due sezioni - "Nacht" e "Sonnenaufgang" - traducono musicalmente il passaggio dal buio più fitto al primo barlume dell'alba, fino all'esplosione sfolgorante della luce del sole.
È cupa e profonda la notte, segnata da note discendenti e tenute in modo che risuonino insieme. Ne deriva una sorta di indistinto magma sonoro, quasi al limite con la musica atonale, che non deve tuttavia sgomentare l'ascoltatore perchè prapara una splendida e maestosa risoluzione.
Infatti, dopo tanta oscurità, a 2,21 della clip audio, attraverso la voce dell'oboe si annunziano i primi sottili raggi di luce. A questi, segue un crescendo orchestrale che raggiunge il culmine a 3,14 dall'inizio con un'esplosione di indicibile pienezza sonora. 
Non è solo l'emergere e il progressivo affermarsi di accordi sempre più forti e luminosi, ma è il passaggio dalla tonalità di si bemolle a quella di la maggiore ad aprire improvvisamente la visuale in modo prodigioso: sorge il sole, il respiro si allarga e il cuore salta un battito tale è la gioiosa empatia che la musica riesce a creare con l'ascoltatore. 
Come nell'esordio del poema sinfonico "Così parlò Zarathustra", anche qui l'impatto è fortissimo, ma - a mio avviso - ancor più sorprendente ed intenso nella sua capacità di destare emozioni. Sono fuoco ed energia a pervaderci l'anima, facendo luce sui sentieri impervi del nostro paesaggio interiore e restituendoci - almeno per qualche momento - il senso di una forte, compiuta e scintillante solarità.

Buon ascolto!

venerdì 7 febbraio 2020

Donne col libro - 2

Leonardo da Vinci: "Annunciazione" - Firenze, Uffizi (part.)













Faccio seguito al post del mese di gennaio sul tema "Donne col libro" per riprendere qui il discorso.
L'argomento è molto vasto e l'arte ci offre numerosissime opere - sia di carattere sacro che profano - in cui la figura femminile è intenta a leggere.
Ho fatto quindi delle scelte tenendo conto della presenza di testimonianze più ampie nell'arte sacra del Medioevo e del Rinascimento, mentre nei secoli successivi il tema sarà inquadrato più spesso anche in un contesto profano.

Leonardo: "Annunciazione" (part.)
Come già scrivevo in passato, è la Vergine Maria la prima donna col libro, ritratta così nelle antiche miniature, nella maggioranza delle Annunciazioni, in alcune Natività, talora incinta e venerata come Madonna del parto, e a volte - ma questo soprattutto dal Seicento in poi - intenta alla lettura all'interno di dipinti sull' Educazione di Maria bambina.
Si tratta di un'iconografia di matrice cristiana molto diffusa e per certi aspetti singolare, dato che si parla di secoli in cui l'accesso alle attività intellettuali era prevalentemente riservato agli uomini. Tuttavia, essa ha maggiore sviluppo e diffusione nella fase di passaggio dal Medioevo al Rinascimento, all'interno della cultura umanistica che fiorisce dalla fine del XIV secolo in poi.

S.Martini: "Annunciazione" (part.)
Da Giotto ad Ambrogio Lorenzetti, dal Foppa a Giorgione, dai Crivelli al Lotto e - se vogliamo parlare di scultura - da Donatello ai Della Robbia solo per citare qualche artista restando in italia, è Maria la donna col libro per eccellenza. Ma anche all'estero troviamo la stessa iconografia, a cominciare da tanti mirabili dipinti in ambito fiammingo.
Di necessità, ho concentrato la mia attenzione solo su pochi esempi ma - a mio avviso - rappresentativi degli svariati atteggiamenti in cui Maria è stata raffigurata dai diversi pittori mentre medita le parole della Scrittura.

B.Angelico: "Annunciazione" (part.) 
Se parecchie Annunciazioni la sorprendono in preghiera e la ritraggono mentre, col viso rivolto all'Angelo, tiene un dito tra le pagine del testo attenta a non perdere il segno - come neila tavola di Simone Martini (1333) agli Uffizi, e nell'affresco del Beato Angelico (1438 ca.) al Museo di San Marco a Firenze - altre la rappresentano col libro aperto su di un leggìo. 
Interessanti, poi, i dipinti in cui - se la Vergine è raffigurata col Bambino - il piccolo è intento a leggere con lei, quasi a condividere la progressiva scoperta del proprio destino, come negli esempi riportati del Botticelli ("Madonna del libro" del 1481) e di Raffaello ("Madonna Connestabile" del 1504).
 
Ma ad affascinarmi, nelle riproduzioni che ho scelto, sono soprattutto le mani e lo sguardo di Maria: mani bellissime, affusolate, eleganti nei gesti pacati e composti, insieme a espressioni del viso sempre pervase da una sottile tristezza e assorte nel presagio di un lontano, doloroso futuro.
 Botticelli:"Madonna del libro" Milano, Poldi Pezzoli (part.)
Splendidi e raffinatissimi i particolari dell' "Annunciazione" di Leonardo (1472), dove la destra della Vergine - come affermano gli studiosi - si sofferma proprio sulla pagina delle Scritture in cui il profeta Isaia preannuncia la nascita di un Salvatore, pagine che qui sembrano avere la stessa impalpabilità del velo ricamato che pende dal leggìo.
   
Così pure, morbide e delicate nel gesto le mani della "Madonna del libro" del Botticelli dove - come scrivevo sopra - Madre e Figlio sembrano leggere insieme e interrogarsi sulle parole della Scrittura. 
Incomparabile la dolcezza struggente dello sguardo del Bambino che si volge verso Maria, mentre la sua mano sinistra - intrecciata a una corona di spine e chiodi - si appoggia con dolcezza affettuosa e quasi protettiva a quella della Mamma.   
 Botticelli: "Madonna del libro" (part.) 
La destra di entrambi resta invece sospesa sul libro, in un gesto forse di stupore o di esitazione. 
Ma quelle mani che non arrivano a toccare il testo - che in questo caso è probabilmente solo un Libro d'Ore - lasciano aperti mille interrogativi e ci conducono a immaginare il muto dialogo tra il Bimbo e la Madre.

Proseguendo poi nel discorso, a mio avviso non va dimenticato il particolare della celebre "Annunciata" di Antonello da Messina (1476), mirabile esempio di composta riservatezza e di essenzialità, come già osservavo in un post del passato.
Antonello da Messina: "Annunciata" - Palermo, Palazzo Abatellis (part.)
Una mano a chiudere il manto con lieve pudore e l'altra forse a promettere o a fermare l'angelo che non vediamo, ma del quale possiamo intuire la presenza dai fogli del libro appena smossi, sui quali la Vergine era in meditazione.

Dolcissimo infine il gesto della "Madonna del parto" di Antonio Veneziano (XIV sec.). Qui, mentre legge, Maria accarezza e sembra sostenere il Bimbo che porta nel ventre, come se il contenuto delle Scritture suscitasse in lei un moto di affetto e di protezione verso il Figlio. 
 


























A.Veneziano: "Madonna del parto" - Pieve di Montefiesole (part.)
Si focalizza negli occhi la sua espressione consapevole e attenta: occhi nei quali possiamo scorgere una sconfinata dolcezza insieme a un velo di malinconia.
Ma al di sopra di tutto, mi pare di leggervi anche un senso di totale abbandono che va a coinvolgere l'intera sua persona facendone una luminosa immagine di pace.

E per addentrarci in questa pace venata ora di sorriso, ora di lieve mestizia, ho scelto ancora Bach con un brano tratto di nuovo dalla "Pastorale in Fa maggiore BWV 590" che avevo pubblicato lo scorso gennaio proprio a proposito del tema "Donne col libro"
Si tratta stavolta del terzo movimento della Pastorale: un' "Aria" che vi riporto sia nella versione per pianoforte solo, che in un suggestivo arrangiamento per pianoforte e violoncello, a testimonianza della versatilità dei testi bachiani.

Raffaello:"Madonna Connestabile" (part.) - San Pietroburgo, Ermitage
La prima è rigorosa e al tempo stesso più veloce e scorrevole; l'altra più lenta e sottilmente angosciosa soprattutto nella voce del violoncello. 
Ma entrambe sono ricche di una dolcezza capace di addentrarsi nella meditazione di Maria, insieme al suo guardare lontano con tremore di madre. 
Facilmente riconoscibile - a 0,38 dall'inizio della prima clip audio e a 0,56 della seconda - un passaggio che anticipa il tema della celeberrima "Aria" della "Suite n.3 in Re maggiore per orchestra BWV 1068" che Bach comporrà circa vent'anni più tardi.
In entrambe le versioni, la melodia si dipana poi con nitida chiarezza, sia nella fioritura di note del tema, che negli accordi che ne segnano il ritmo.
Ne deriva un brano misurato e insieme struggente, del cui esordio dev'essersi forse ricordato Rachmaninov quando ha composto "Vocalise"
E mi pare che l'atteggiamento pensoso di Maria nel suo scandagliare le Scritture possa essere significativamente accompagnato da quest' Aria anche per la sua alternanza tra tonalità minore e maggiore, e per la luminosità della parte conclusiva fino all'ultimo, lievissimo accordo. 

Buon ascolto!