sabato 31 luglio 2021

Ragnatele

Sull'inserto dedicato all'Innovazione del Corriere della Sera di ieri, venerdì 30 luglio, leggo un articolo relativo a un'interessante scoperta che ha per oggetto ragni e ragnatele.
Che il materiale di cui esse sono fatte - filamenti di seta composti da fibre proteiche - sia in verità resistentissimo e già fonte di alcune sperimentazioni, non è notizia nuova. I ricercatori dell'Università di Cambridge hanno infatti cercato da tempo di sfruttare le doti di resistenza e insieme di leggerezza della seta tessuta dai ragni per creare nuovi materiali che ne imitino le caratteristiche: una sorta di ragnatela artificiale le cui fibre potrebbero avere svariate applicazioni. 

Ma non finisce qui. Ora, gli studiosi del Massachussetts Institute of Tecnology guidati da Markus Buehler hanno fatto un'affascinante scoperta. Si legge infatti nell'articolo di Barbara Millucci intitolato "La musica delle ragnatele" a pag.35 dell'inserto:  

"I ragni non tessono più solo fili e tele, ma anche suoni e melodie. Un team di ricercatori del Mit ha scansionato al laser un aracnide ricostruendone la rete in 3D. Ha poi assegnato ad ogni filamento una nota e studiato virtualmente come il suono della rete cambia in risposta a diverse forze meccaniche. In pratica, ogniqualvolta il ragno compie un'azione (dall'allungamento del filo alla cattura di una preda o al cambio di traiettoria), la musica cambia. E si sintonizza su nuove sonorità e cacofonie musicali, leggermente inquietanti, che aprono però importanti scenari per la ricerca".

L'articolo poi spiega che sono stati creati modelli matematici e sistemi audiovisivi che consentono di immergersi nel mondo musicale dei ragni. Inoltre, la ricerca sulla tela degli aracnidi sta fornendo un prezioso patrimonio di informazioni che potranno dare adito ad applicazioni in diversi campi, a cominciare dall'ingegneria. E tale lavoro è soltanto un esempio e l'inizio di come si possa giungere, in futuro, ad "ascoltare i materiali".

A parte questo discorso nel quale non oso addentrarmi, trovo meraviglioso il fatto che i suoni pervadano ogni essere e ogni angolo del creato, dal macrocosmo al microcosmo. Così anche i ragni, nel loro piccolo, partecipano alla grande musica dell'universo, una vibrazione presente in ogni materiale, come del resto la fisica quantistica ha rilevato da tempo.
E a questo proposito, mi viene in mente anche ciò che si dice in quel bellissimo
libro di Cesare Picco dedicato a Bach e intitolato "Sebastian". Qui il compositore tedesco, alla ricerca di quel codice segreto che attraversa il mondo quasi esso fosse un immenso spartito, viene immaginato a comporre la mappa dei suoni del suo paese, andando a cogliere col suo orecchio assoluto la vibrazione sonora di ogni casa, ogni muro, ogni albero, ogni strada del posto.

Ho cercato a lungo, allora, quale musica dedicare al nostro ragnetto tessitore di bellezza e di suoni, incerta se dedicargli un pezzo di Bach - a dir la verità ne avevo proprio uno adatto, ma le interpretazioni a mio avviso erano troppo veloci - o qualcosa di più moderno. Poi invece, ho pensato al suo lavoro paziente e tenace, capace di creare ragnatele spesso simili a piccole opere d'arte nel disegno e nelle proporzioni e mi è affiorata dal cuore una danza.

Si tratta della celebre "Danza della Fata dei confetti" dalla Suite dal balletto "Lo Schiaccianoci op.71" di Piotr Ilic Tchaikovsky (1840 - 1893).
Segnato dall'indicazione "Andante non troppo" e dalla tonalità di mi minore, il
brano si caratterizza per dolcezza e ritmo. Protagonisti al di sopra degli altri strumenti sono la celesta e il clarinetto che, con i loro particolari timbri, danno alla musica un'impronta di delicatezza e regolarità, proprio come nel lavorìo di un ragno e nella struttura di una ragnatela.
E me lo vedo il nostro amico tessitore dalle zampette filiformi mentre crea i suoi
arpeggi e costruisce le sue architetture sonore: creazioni simili a fantasiose collane di perle, gioielli della natura, segno di stupefacenti intelligenze tutte da scoprire.

Buon ascolto!

(La foto nel riquadro è presa dal web.)

 

lunedì 26 luglio 2021

Suggestioni della sera

Nel mio assiduo vagabondare su youtube in cerca di musica, oggi ho trovato un brano dedicato alla sera e di certo molto conosciuto, ma a mio avviso ricco di tale incanto che non ho resistito al desiderio di regalarvelo ugualmente.

Sappiamo tutti quanto la sera abbia ispirato nel tempo pittori, poeti e musicisti. Tra i primi, basti ricordare solo come esempi Van Gogh, Millet e Segantini che talora - oltre al buio della notte - hanno immortalato anche l'ora del crepuscolo con tutto il suo fascino.
Tra i poeti - senza andare a scomodare Foscolo o Leopardi, D'Annunzio o Pascoli - mi piace citare
comunque due testi molto diversi tra loro.
Il primo è il brevissimo "Tramonto" di Giuseppe Ungaretti ("Il carnato del cielo / sveglia oasi /
al nomade d'amore") che coglie nei colori del crepuscolo una sorta di sensualità. Il secondo, di diversa impronta e altra suggestione, è l'esordio della poesia di Rainer Maria Rilke "Sera" ("Come un'indefinibile fata d'ombre...") che ci introduce subito nel suo silenzio e nel suo mistero.
E per parlare poi di musica, ora mi basta ricordare quella magnifica composizione polifonica che è "Abendlied" di Joseph Gabriel Rheinberger, che - se volete - potete ascoltare qui.

Ma torniamo al presente. Il brano di oggi è "Des Abends" (A sera) : primo degli otto pezzi per pianoforte di cui si compone la "Fantasiestücke op.12" di Robert Schumann (1810 - 1856), composizione ispirata agli scritti sulla musica di E.T.A. Hoffman. In essa il musicista firma le sue opere con i nomi ora di Eusebio, ora di Florestano, personaggi attraverso i quali identifica ed esprime il duplice aspetto della sua personalità: il primo timido e sognatore, il secondo invece eccentrico e appassionato. Sfaccettature che tutti in qualche modo abbiamo in noi, contrasti peraltro tipici dell'epoca romantica in cui Schumann vive, ma che nell'anima del compositore si faranno tanto esasperati da condurlo alla follia. 

"Des Abends" è una melodia ricca di arpeggi e dal ritmo dolcissimo alla quale danno particolare luce alcuni passaggi di tonalità che dal re bemolle iniziale vanno a risolversi in mi maggiore. Qui è l'indole introversa di Eusebio che si esprime, nella sua attitudine sognante e crepuscolare: ce lo suggerisce anche l'indicazione agogica posta all'inizio del brano che recita "Da suonare con molta intimità".
È questo il motivo per cui, tra le tante esecuzioni offerte da youtube,
ho scelto quella di una donna che mi pare metta splendidamente in luce tali sfaccettature del testo musicale.
Si tratta dell' interpretazione della pianista rumena Marta Dobresco che coglie e
riflette ogni minima sfumatura con un tocco rigoroso, nitido ma insieme sognante. In diversi passaggi infatti, dove il tema potrebbe farsi più trascinante e veloce, la Dobresco invece - fateci caso! - rallenta molto lievemente come se, per qualche attimo, volesse trattenere la melodia.
Ne deriva un andamento un po' altalenante che talora sembra cullare l'ascoltatore e che
ci consente di cogliere il cuore del brano di Schumann: il silenzio nascosto tra le note, le più riposte sfumature di colore e l'intima suggestione della sera.

Buon ascolto!

(La foto nel riquadro, presa dal web, riproduce il dipinto di John Constable "Tramonto sulla Senna".)

N.B. Non essendo più disponibile su youtube la clip audio con il brano interpretato dalla Dobresco, in data odierna - 28 / 11 / 2023 - la sostituisco con un video in cui il pezzo è eseguito dalla pianista Ying Li che ricalca gli stessi caratteri di dolcezza e levità della precedente interpretazione.

 

 

sabato 17 luglio 2021

La panchina

È la panchina delle mie attese questa che vedete, situata ai margini del parcheggio del mio paesetto di montagna.
Capita spesso infatti che, seduta proprio
qui a fine mattinata o nel corso del pomeriggio, io aspetti l'autobus che mi riporta al mio nido di altura o - in alternativa - mio marito che, in auto con annessa bicicletta, torna dalle sue scorribande ciclistiche su e giù per i tornanti della valle.
Ci sarebbe anche un terzo modo di
rientrare alla mia frazioncina incantata: a piedi. Ma tre chilometri di strada in salita e con la soma della spesa non fanno più per me. Scendere sì, ma salire no grazie, non ho l'età.

La panchina - come scrivevo - è ai margini di una vasta area di parcheggio dove si fermano i pullman, ma preferisco sempre aspettare qui sia per non respirare il fumo dei mezzi di trasporto, sia per isolarmi da eventuali assembramenti e avere un appoggio per lo zaino o le borse della spesa. Tanto, quando autobus o marito arrivano, li vedo da lontano.
Così, con davanti il paese, appena dietro il torrente e fuori dalla confusione, capita 
spesso che mi senta libera di esprimere ad alta voce il mio stato d'animo.
Che faccio? Canto!!! Sì, qui posso cantare a squarciagola, libera di intonare un
pezzo di Bach o un' aria di Mozart secondo il gusto del momento, senza che nessuno mi senta perchè il fragore del torrente vicinissimo copre del tutto il suono della mia esibizione. E meno male!!!

Ho cominciato l'anno scorso a prendere questa abitudine e ormai, appena arrivo e mi siedo, il canto parte quasi in automatico con quello che mi suona dentro di volta in volta. La scorsa estate mi ero innamorata di un esuberante pezzo di Offenbach: "Les oiseaux dans la charmille" che ho poi pubblicato qui sul blog. Il solo pensiero che abbia osato cantare un brano simile - diciamocelo! - è semplicemente ridicolo, ma era tale la gioia che quella musica e la sua bravissima interprete mi avevano regalato, che non ho resistito alla tentazione. Tanto, non mi sentiva nessuno e potevo sfogarmi!

Quest'anno il clima è cambiato e non parlo solo di quello atmosferico.
Parlo del lungo periodo di pandemia che ha messo tutti alla prova forse
 più ancora psicologicamente che nel fisico, anche perchè l'incertezza del futuro e la pesantezza del presente hanno acuito la sofferenza per le inevitabili rinunzie. Tra queste, a me manca moltissimo il coro di cui faccio parte da qualche anno. Me ne sono resa conto una volta di più giorni fa, quando mi sono presa un pomeriggio tutto mio ad ascoltare su youtube musica corale.

È qui che ho trovato un brano di cui mi sono immediatamente innamorata e che ora vado cantando sulla mia panchina: altro stile e altro clima da quello della scorsa estate, ma a mio avviso è un pezzo veramente sublime.
Si tratta di un inno a quattro voci intitolato "Abide with me", su musica
dell'organista inglese William Henry Monk (1823 - 1889) e parole di Henry Francis Lyte che vi ha sintetizzato alcuni testi del Nuovo Testamento.
È un'invocazione a Dio perchè resti con noi quando scende il buio e il conforto
degli altri viene meno, quando la gloria terrena declina e tutto ciò che abbiamo intorno muta. Ed è a Dio, che - al contrario - non muta, che il canto si rivolge perchè, in vita e in morte, ci resti vicino.

La melodia ha una struttura semplice, caratterizzata dalla suggestiva solennità degli inni inglesi e qui sottolineata dalle straordinarie voci dei King's Singers, a cominciare dai due bravissimi controtenori. Ne derivano un insieme organico e una costruzione polifonica molto toccante.
Ma il dettaglio che più mi ha affascinato è la pausa - breve come un respiro ma netta -
inserita poco prima della fine, quando il testo recita: "In life, in death, oh Lord, abide with me." Esattamente tra life e death - vita e morte - per un attimo il canto si ferma, per un attimo tutto resta in sospeso quasi a farci cogliere la separazione, il taglio, la cesura di tale passaggio.
Tuttavia ciò avviene senza angoscia o affanno, ma con la struggente fiducia
espressa dalla dolcezza di queste note. 

Ora capite perchè un inno dall'aura così sublime resta nell'anima per riaffiorare continuamente col suo rasserenante splendore! Così, capita che me lo vada cantando sulla mia panchina o che il suo ritmo calmo mi accompagni in una passeggiata.
Mi si obietterà che è impossibile interpretare da soli un brano a quattro voci. Ovvio che n
on si può, io faccio solo la parte del soprano. Ma dentro di me sento risuonare tutta l'armonia dell'insieme.
Poi, vabbè, per divertimento mi sto leggendo sullo spartito anche le altre voci. Provateci anche voi! La più difficile a me pare quella del basso. La parte del contralto invece è facilissima.  

Buon ascolto!

 

giovedì 8 luglio 2021

In cerca di leggerezza - 7


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fiori, pesci, acqua, ceramica, vetro, stoffa; e poi riflessi di luce, giochi d'ombra, tinte prevalentemente chiare: un insieme che conferisce al dipinto un'atmosfera di tranquillità regalando a chi guarda un senso di pace.
Un'immagine da contemplare nella calma di un pomeriggio d'estate, nella frescura di una stanza antica, magari
con una finestra aperta verso la campagna, accompagnati da un buon libro e da un'aura di silenzio.

Si tratta di un quadro della pittrice australiana Margaret Preston (1865 - 1963) intitolato "The fish bowl" - La boccia dei pesci - e conservato alla National Gallery of Victoria a Melbourne.

Ma se l'autrice fossi stata io, l'avrei chiamato "Trasparenze" perché sono state queste le prime a colpirmi con la loro leggerezza.
Dalla trasparenza dell'acqua ai riflessi
della boccia sulla tovaglia bianca, fino alla lucentezza della ceramica e alla sua ombra sul muro.
Luci e ombre che si esaltano a vicenda
in una composizione di nitida semplicità dove ogni particolare ha una sua leggiadrìa.
Una natura viva e morta insieme, fatta
di pochi elementi rispetto alla ricchezza ridondante di arredi di certi dipinti del passato, come se la rappresentazione degli oggetti qui non fosse scaturita tanto dal desiderio di una fedele riproduzione, ma soprattutto da una modernissima ricerca di essenzialità.

E nonostante la Preston sia più famosa per essere stata fautrice di un'arte nazionale australiana, questa sua opera mi riporta alla mente la lezione di tanti autori del passato europeo. Ma più che la suggestione di Vermeer o del mio amatissimo Zurbaran, qui mi vengono in mente alcuni dettagli di interni dei danesi Vilhelm Hammershøi e Carl Holsøe - per esempio nella presenza ricorrente di una tovaglia bianca - o ancora la "Natura morta con arance" dell'olandese Piet Mondrian. Del resto, durante un suo viaggio in Europa ai primi del Novecento, la pittrice era venuta a contatto proprio con svariati artisti e movimenti pittorici del periodo. 

Il suo dipinto è una fusione di geometrico e ornato: nitidi elementi di superficie come le pieghe di stiratura della tovaglia, figure solide dalle equilibratissime linee curve, ma insieme il fantasioso disordine del mazzetto di viole sparse sul tavolo che, nella loro tinta, richiamano la decorazione del vaso di ceramica. Perfezione geometrica e creatività, ordine e asimmetria dunque, con un senso delle proporzioni perfetto: non mi meraviglierei, infatti, se la misura del livello dell'acqua nella boccia di vetro fosse stata calcolata sulla base della sezione aurea.

Ma certamente non possiamo dimenticare i pesci rossi e l'acqua in cui si muovono, animata da splendidi riflessi di luce. Abita anche qui la leggerezza, nel collocare la boccia proprio al centro della rappresentazione dedicandole il titolo del dipinto: un richiamo allo stupore dell'infanzia e alla gioia delle piccole cose. Non arredi pesanti e sontuosi o materiali di particolare pregio, ma oggetti di quotidiana semplicità, la stessa di quelle viole mammole che nascono spontanee nei prati.

E per restare in tema di semplicità e leggerezza, ho scelto un brano di musica che mi pare rispecchi tali caratteristiche.
Si tratta del primo dei celebri "Pezzi lirici op.12" per pianoforte di Edvard Grieg
(1843 - 1907), intitolato "Arietta" : testo straordinariamente breve, neanche un minuto e mezzo, ma ricco di lievissimo incanto. La luminosità del Mi bemolle maggiore ci accompagna attraverso una melodia ordinata e lineare nel suo susseguirsi di sfumature, ma anche dolce e sognante come una ninna nanna.
E il clima di silenzio contemplativo che questa musica crea sembra interpretare la
levità delle cose che Margaret Preston ci ha regalato nel delicato splendore del suo dipinto.

Buon ascolto!