venerdì 28 gennaio 2022

Perchè sia sempre giorno di memoria

















 

Marc Chagall (1887 - 1985) : "Crocifissione bianca" - Chicago, Art Institute.

 

Fréderich Chopin (1810 - 1849) : "Preludio in si minore n.6 op.28".

sabato 22 gennaio 2022

Stanze - 1















Sono molteplici le dimensioni che la vita ci costruisce intorno, le situazioni nelle quali ci invita - o talora ci costringe - a rimanere, gli spazi in cui ci conduce e con i quali ci avvolge, le stanze insomma che segnano i vari momenti della nostra esistenza. Spazi fisici ma anche interiori: ambienti di vita quotidiana con le loro differenti atmosfere, ma anche luoghi dell'anima o addirittura della fantasia poetica.
Il termine "stanze" infatti ha varie accezioni: si va dalle strofe di un testo - sono chiamate così, per esempio,
le celebri ottave ariostesche - fino alle dimore di cui parla Santa Teresa d'Avila nel suo "Castello interiore" come tappe dell'esperienza spirituale. Ma la parola si riferisce più spesso ai vari ambienti in cui viviamo, fossero anche quelli angusti di una prigione.

Mi sembra significativo, allora, che il primo esempio da riportare qui sia un affresco che raffigura proprio la "Liberazione di San Pietro dal carcere", tratto dalle celebri "Stanze" di Raffaello (1483 - 1520), all'interno dei Musei Vaticani.
Si tratta di una creazione pittorica che mi
ha sempre affascinato per lo splendore dell'angelo che assorbe tutta la nostra attenzione, e per il bellissimo controluce che Raffaello realizza in uno dei più celebri notturni della storia dell'arte. L' opera, dipinta nella "Stanza di Eliodoro", fa riferimento al racconto degli Atti degli Apostoli (cap.12, vv.6 -10) in cui Pietro - incarcerato durante una persecuzione - viene miracolosamente liberato da un angelo.
Ma poichè l'artista ha dovuto adattarsi al fatto che la parete - come si vede nella foto - è interrotta da un'apertura, ha suddiviso la scena in tre parti.
In quella centrale l'angelo scioglie Pietro
dalle catene, a destra lo conduce fuori dal carcere oltrepassando le guardie addormentate, mentre a sinistra alcuni soldati svegliano le sentinelle dopo aver scoperto la sparizione del prigioniero.

La stanza, qui, è dunque un carcere di cui vediamo subito l'intreccio delle sbarre scure attraverso cui è filtrata la scena. A colpirmi, prima di ogni altro elemento, è la luce che sembra sprigionarsi improvvisa e che si percepisce più viva proprio perchè contrasta con l'oscurità circostante. È l'aureola di luce mistica che avvolge il corpo dell'angelo e la cui intensità supera il chiarore della luna, della fiaccola e dei riflessi metallici delle armature dei soldati.

Pietro, in catene e sorvegliato da due guardie, sembra in preghiera come suggerisce il gesto delle mani, o forse è solo addormentato.
O forse ancora è in una sorta di
dormiveglia orante, in uno stato di interiore abbandono sospeso tra la realtà e il sogno, ma in apparenza ignaro dell'angelo che gli si è accostato e, chino si di lui, sembra esortarlo ad alzarsi. 

La stessa atmosfera onirica caratterizza anche la scena di destra in cui l'angelo conduce Pietro fuori dal carcere tenendolo per mano. Sono due figure molto diverse e contrastanti quelle che vediamo, perchè qui Raffaello ha rappresentato un giovane e un vecchio, dando probabilmente all'immagine del Santo le sembianze di Papa Giulio II ormai anziano e prossimo alla morte.

Inoltre, mentre la sagoma dell'apostolo emerge appena dall'ombra apparendo evanescente ed incerta, l'angelo è delineato invece con tocco plastico, come se Raffaello ci volesse dire che, in verità, la vicinanza del messaggero divino all'uomo è reale e concreta.
Nel suo splendore infatti, la veste rosata
avvolge una figura che ha volume e corposità; e tuttavia, la forza che promana dalla sua persona non sminuisce la soavità del suo sguardo e la dolcezza del suo procedere lento - il panneggio appena mosso - quasi in punta di piedi. 

Sono proprio questi dettagli ricchi di delicatezza a suggerirmi quale musica associare alle immagini: il brano s'intitola "My Angel" e fa parte dal recentissimo album "Estasi" di Giovanni Allevi.
Si tratta di una preghiera del
compositore all'angelo custode, una melodia che esordisce piano in sol minore, quasi uscisse lentamente dal buio. Non un grido altisonante, ma un'invocazione sommessa e a tratti anche dolente, che possiamo immaginare espressa ad occhi chiusi, più con l'anima che con le parole, simile al dormiveglia orante di Pietro in catene.
È un clima di profonda intimità quello che le note creano fin dall'inizio: poche semplici note - ora più scandite, ora quasi sussurrate - affiorano infatti da un silenzio
che non spezzano, ma che ci restituiscono con malinconica, struggente dolcezza. E quando la melodia si ripete su di un'ottava più bassa, si riempiono di rinnovato spessore.
Nella parte centrale del brano poi l'atmosfera si rischiara e gli accenti si fanno più
intensi e luminosi, ma il tema iniziale ritorna ancora con delicatezza: note misuratissime nel tocco, che sembrano esprimere la preghiera di chi scivola nel sonno abbandonandosi fiducioso a una speranza.

Nel post che fa da incipit a questo blog - ormai più di undici anni fa - scrivevo
che la musica abbatte le sbarre delle prigioni nelle quali talora ci troviamo a vivere e ci libera dalle catene materiali o metaforiche da cui possiamo sentirci avvinti, dando così ali al nostro vivere.
Le note di "My Angel", a mio avviso, sembrano perseguire questo intento: nella parte finale, infatti, digradano piano lungo la scala
cromatica, come se proprio dall'alto scendesse un senso di pace a pervadere l'anima e a liberarla.
Ed è magico il pianissimo con cui il brano lentamente si conclude risolvendosi, come un lieve
sospiro, in tonalità maggiore.

Buon ascolto!

 

venerdì 14 gennaio 2022

Singolari intrecci musicali

Ieri ho disfatto il presepio.
In teoria, secondo una tradizione ormai in disuso, andrebbe tenuto fino al
 2 febbraio, festa della Presentazione al Tempio e insieme della Candelora che, nel vecchio calendario liturgico, concludeva il tempo del Natale.
Qualche volta in passato ho atteso proprio
quella data, invece quest'anno, mossa da esigenze pratiche, l'ho smontato prima anche se un po' mi dispiace.

Come scrivevo in un vecchio post sullo stesso argomento, il giorno in cui si disfa il presepio insieme ai vari addobbi natalizi, per me è sempre uno dei più tristi dell'anno. Per di più, tempo fa segnava anche la fine delle mie vacanze e la ripresa del lavoro con tutti i pensieri e gli impegni conseguenti, mentre oggi che sono da anni in pensione, il ritorno a un periodo - diciamo così - ordinario è meno traumatico.
Ciò non toglie, però, che riporre nelle varie scatole statuine, muschio, angeli, stelle e capanna,
non mi susciti qualche momento di riflessione più che altro sui giorni che passano troppo in fretta. Sembra sempre di aver fatto le stesse cose appena ieri...non è così?!
Forse anche per questo, a me che ho sempre più bisogno di lentezza non è mai
piaciuto quel detto sull'Epifania che tutte le feste si porta via.
No, calma! Il Natale - quello vero e non contrabbandato dal consumismo - non si
fa portare via dal calendario! Così, anche se l'atmosfera esteriore della festa è ormai svanita, oggi vi propongo un brano ancora in parte natalizio.

Si tratta di una sorta di singolare contaminazione tra due pezzi molto conosciuti con un risultato a mio avviso entusiasmante.
Autore di questa rielaborazione
è Paul Fey, organista tedesco appena ventiduenne che, nonostante la giovane età, ha già al suo attivo alcuni incarichi presso la Thomaskirche e la Propsteikirche di Lipsia.
Dotato di verve interpretativa e di capacità d'improvvisazione, Fey ha
preso due brani decisamente famosi e nella sua "Toccata on Adeste fideles" ha fatto qualcosa che può sembrare un po' un gioco:...li ha sovrapposti, intrecciandoli l'uno all'altro!
Il primo, suonato talora ai matrimoni e riconoscibile per la sua effervescente energia, è la "Toccata" dalla
"Sinfonia n.5 op.42" di Charles-Marie Widor (1844 - 1937), che - tra l'altro - ho già pubblicato anni fa.
Il secondo è il celeberrimo "Adeste fideles" attribuito, sia pure con qualche incertezza,
a John Francis Wade (1711 - 1786).

Fey inizia dal pezzo di Widor che fa da introduzione e accompagnamento, ma è l' "Adeste fideles" ad entrare poi come vero e proprio tema del brano.
Contrariamente a quanto ci aspetteremmo, la "Toccata" - che costituisce per così dire la base musicale - è suonata sulle tastiere manuali, mentre la melodia dell' "Adeste fideles" che invece è il tema, sulla pedaliera.
Interessante il fatto che qui il nostro organista riproduca lo stesso scambio di ruoli
presente nella versione originale della "Toccata" in cui alla parte manuale - tra arpeggi della destra e accordi della sinistra - Widor ha riservato proprio la funzione di accompagnamento, mentre il tema viene suonato sulla pedaliera.
Inoltre Fey, non solo intreccia i due brani, ma in taluni passaggi crea anche un'armonizzazione nuova rispetto ai
testi originali, riprendendo la melodia natalizia in tonalità minore e aprendo squarci inusitati fino alla bellissima, solenne e grandiosa conclusione.

Un'operazione affascinante e forse per i puristi un po' discutibile.
A me tuttavia piace proporvela, perchè mi è parso apprezzabile questo giovane
organista che sbriglia la propria fantasia a trarre dall'antico il nuovo e, da bellezza, altra sfolgorante bellezza. 

Qualora il video non si aprisse in tutti i dispositivi, vi lascio il link del collegamento a youtube:

https://www.youtube.com/watch?v=7Eciero_f5Y

 Buon ascolto!

(Nella foto, presa dal web, particolare dell' "Adorazione dei Magi" di Gentile da Fabriano. Firenze, Uffizi)

 

venerdì 7 gennaio 2022

Innamorarsi di Bach

Oggi, mi piace inaugurare il nuovo anno con un brano che ho scoperto nei giorni scorsi e che rivela ancora una volta l'infinita e multiforme grandezza del genio di Johann Sebastian Bach.

Accade spesso che il mio vagabondare sul web mi riservi luminose sorprese e questo pezzo mi pare proprio un regalo di buon augurio per l'anno appena iniziato. Così, affido alle sue note l'andamento dei giorni futuri come a un ritmo da custodire interiormente perchè riaffiori spontaneo a illuminare il nostro sguardo sulle cose colmandolo di bellezza.

Sto parlando della "Fantasia in la minore per clavicembalo BWV 904", brano che - insieme alla successiva Fuga - è stato scoperto e pubblicato solo un'ottantina d'anni dopo la morte del compositore anche se, a fronte di un iniziale successo, non ha sempre riscosso la stessa popolarità di altre sue creazioni. In realtà - a mio modesto avviso - è un Bach di cui innamorarsi sia per la costruzione polifonica del pezzo che per il suo andamento così meravigliosamente variato.
Come dicevo, si tratta di una Fantasia, termine che qui non è riferito tanto a un generico
carattere di improvvisazione, quanto al suo legame con l'antica polifonia corale. E a questo proposito, mi pare significativo che la prima parte del brano anticipi proprio strutture polifoniche presenti anche altrove: in particolare, le ritrovo in una della "Variazioni Goldberg" - la 22 per la precisione - che il compositore scriverà diversi anni più tardi.
Un Bach i cui moduli compositivi si ripetono spesso, ma che
risulta sempre nuovo per la sua capacità di parlarci col toccante linguaggio dell'anima.
Un Bach di cui innamorarsi per lo splendore del cammino su cui ci conduce con
mano spesso rigorosa ed energica, ma talora più delicata aprendo inusitati squarci di luce.

Di questa Fantasia ho scelto l'interpretazione al pianoforte di Víkingur Ólafsson che - più ancora di altri - mi pare faccia affiorare lo splendore del brano.
La continua ripresa del tema, ora più sommesso, ora decisamente più energico,
ora alleggerito da un lieve staccato, è infatti un filo che si dipana, un sentiero che si snoda davanti a noi, in taluni passaggi quasi una sorta di aria con variazioni che va esplorando angoli e anfratti di un cammino, fino al delicatissimo finale in La maggiore. E il genio bachiano vi affiora per la sua capacità di attingere meraviglie anche da un tema che, se ridotto all'essenziale, è in realtà semplicissimo. 

Ma cogliamo la capacità di rendere bello e unico l'elemento più semplice anche dalla foto del sigillo che Bach imprimeva sul testo delle sue composizioni: un disegno armonioso, elegante, simmetrico, una piccola opera d'arte perfetta nelle sue proporzioni. Vi si ravvisano facilmente, intrecciate da sinistra a destra e poi al contrario, le sue iniziali - J S B - mentre la corona che completa il fregio, lungi dall'essere indice di megalomania, fa riferimento all'espressione "Christus coronabit crucigeros", uno dei motti con cui Bach siglava i suoi spartiti.
Così pure, la centralità della figura di Cristo appare dalla lettera greca "chi" - χ
- iniziale di Χριστός, che si forma dall'incrocio centrale delle due S.
Una professione di fede inserita in tanti manoscrit
ti a dichiarare la profonda intenzionalità dalla quale è animata la sua musica.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)