sabato 28 marzo 2020

Oggi non occorrono altre parole...

(Foto presa dal web)
























Papa Francesco: "Preghiera in piazza San Pietro con Benedizione Urbi et Orbi". Roma, venerdì 27 marzo 2020.

 

Franz Joseph Haydn (1732 - 1809) : "Agnus Dei" dalla "Mariazellermesse".

martedì 24 marzo 2020

Se cielo e terra s'incontrano...

No, questa immagine così soave non apre un'ulteriore post della serie "Donne col libro" che probabilmente - l'incertezza di questi tempi è d'obbligo - arriverà, ma non oggi.
Il fatto è che, nei mesi scorsi, mentre cercavo raffigurazioni che documentassero la presenza di un libro nelle mani della Vergine Maria, tra i vari dipinti mi aveva colpito proprio questo che vedete.

Si tratta dell' "Annunciazione" di Guido Reni (1575 - 1642), splendida tavola conservata nella Pinacoteca civica di Ascoli Piceno.
Ad attrarmi in essa non stati tanto i visi nella loro soavità, la morbidezza del tratto pittorico nei panneggi o la capacità dell'artista di ambientare le figure nello spazio: segni di un'epoca in cui l'equilibrio rinascimentale ha già dato luogo alla libertà del Barocco. E neppure altri pur pregevoli aspetti: i due angioletti affacciati da lievi cumuli di nuvole e l'indice dell'Angelo rivolto verso l'alto, dettaglio che ha vari precedenti da Piermatteo d'Amelia a Fra' Bartolomeo, senza contare il celebre "San Giovanni Battista" di Leonardo.

Ad affascinarmi al di sopra di tutto è stato invece quel paesaggino in fondo, in secondo piano ma esattamente al centro del quadro, dove le direttrici prospettiche guidano il nostro sguardo. Un particolare di sublime bellezza, sia per il modo in cui quel panorama è delineato, sia per l'inquadratura: un triangolo tra la Vergine, l'ala dell'Angelo, i gigli e il libro. 
Di fatto, un quadro nel quadro, una finestra sul paesaggio dove l'ala è simile a una tenda che si apre sul mondo.

Fuori poi, nonostante le dimensioni piccole in rapporto al resto della composizione, il panorama è ampio e ricco di dettagli: cespi di vegetazione ai lati, un albero disegnato con levità, le torri e i contrafforti di un castello, mentre in lontananza il verde - o forse la collina - va sfumando nell'azzurro sotto un cielo dai colori cangianti. 
Un paesaggio che non si finirebbe mai di contemplare tale è il pacato splendore che da esso promana, mentre i fiori e il libro in primo piano danno un tocco di leggiadrìa e un senso di profonda pace.
Inoltre, se nell'insieme del dipinto le dimensioni della stanza scompaiono nell'onda di nuvole che accompagna l'Angelo e invade l'ambiente, là fuori - invece - il mondo esterno è concretamente delineato. Un mirabile incontro quindi tra Mistero e realtà quotidiana: qui il cielo, là fuori la terra in cui tutto si compirà. 
E come osservavo tempo addietro a proposito di altre Annunciazioni, tale iconografia dal Rinascimento in poi non è rara. Infatti, se pure la luce dello Spirito scendendo dall'alto va spesso a convergere su Maria, in parecchi dipinti la prospettiva ci conduce al di là dei due protagonisti e all'aperto, proprio verso quel mondo a cui l'evento è destinato.

Per entrare nel cuore di questa immagine, ho scelto allora un brano che mi pare altrettanto ricco di soavità e di pace. 
Si tratta dell' "Et incarnatus est" dal "Credo" della "Missa Pange lingua" del franco-fiammingo Josquin Desprez (1450 - 1521), compositore di musiche sacre e profane tra i più rappresentativi del Rinascimento.
Lenta, pacata e luminosissima la struttura polifonica del pezzo nella parte iniziale, mentre va a vivacizzarsi nel successivo "Et resurrexit". 
E insieme al dipinto di Guido Reni, mi piace pubblicarlo oggi, vigilia della festa dell'Annunciazione.

Buon ascolto!

domenica 15 marzo 2020

Donne col libro - 3

Ci sono a volte tratti somatici, magari anche minimi, capaci di parlarci in modo straordinariamente efficace della personalità di un individuo: le dita, le mani, l'incarnato del volto, le labbra.
Esprimono sensibilità o freddezza, pignoleria o superficialità e via dicendo; possono raccontare intere vicende esistenziali, o farcele soltanto immaginare...
Se poi ad osservare non è lo sguardo di una persona qualunque, ma l'occhio attento di un pittore, allora anche un semplice tratto fisico potrà rivelargli dimensioni nascoste che la sua mano esperta porterà sapientemente alla luce.

È il caso del dipinto dell'olandese Gerrit Dou (1613 - 1675) intitolato "Donna anziana che legge la Bibbia" o anche "La madre di Rembrandt", poichè si pensa che, ad esservi ritratta, sia proprio la madre dell'artista nello studio del quale Dou aveva lavorato all'inizio della sua carriera.
Gerrit Dou: "Donna anziana che legge" Rijksmuseum, Amsterdam
Concentrato, attento, silenzioso, così come il viso ancora fresco sulle guance e qua e là attraversato invece da rughe, il profilo di questa donna mi pare molto espressivo e sa raccontarci parecchie cose. 
Affiora da un fondo scuro in cui - a somiglianza di tanta ritrattistica del Seicento - mancano i segni di una sia pur minima ambientazione.
Eppure, proprio da questo trae rilievo il minuzioso realismo della rappresentazione, insieme alla capacità introspettiva dell'artista.
Seria e quasi severa, nel suo pesante mantello bordato di pelliccia così come il copricapo trattenuto da una fascia, la donna ha in mano un libro voluminoso dove la fitta scrittura è interrotta da un disegno, probabilmente ad illustrare un episodio biblico.
Colgo la sua concentrazione da una serie di particolari: la rete di sottili rughette che s'increspano intorno agli occhi, il labbro inferiore un po' sporgente, forse a indicare una certa tensione nella lettura, o forse per la labioschisi da cui era affetta. Ma da tutta la persona traspare anche un profondo senso di ordine e di compostezza. Me lo rivela un solo, significativo dettaglio: quella spilla tondeggiante sull'abito chiaro, unico, sobrio gioiello.

Rembrandt: "La profetessa Anna" - Rijksmuseum, Amsterdam
Una donna colta e benestante, dunque, ma dedita anche ad una vita di lavoro, come ci rivela la sua mano robusta. 
Potrebbe essere davvero un'anziana madre, una persona semplice e pratica che impegna il suo tempo nella cura dei familiari, ispirando il proprio comportamento ai valori indicati dal testo biblico.

Scopriamo così che, ancora una volta - dopo le numerosissime rappresentazioni medioevali e rinascimentali della Vergine Maria - la pittura ci consegna altre immagini di donne col libro.
Compare infatti nel Seicento, accanto a quella precedente, un diverso tipo di iconografia che proprio col libro per eccellenza - la Bibbia - raffigura tuttavia donne anziane.
È Rembrandt van Rijn (1606 - 1669) in particolare, insieme ad alcuni pittori della sua cerchia, a farle oggetto dei suoi quadri. 
Per esigenze di brevità, riporto solo due esempi: "La profetessa Anna" e "Donna anziana che legge", titoli che - in realtà - sottintendono sempre la rappresentazione della madre dell'artista.

Anche in questo caso, le figure emergono dal buio ed è la luce - in un contrasto di sapore caravaggesco - a farne affiorare i tratti. 
Ma se nel quadro di Gerrit Dou tale contrasto risulta smorzato, in Rembrandt è forte, e la luce - più che sul volto delle donne - si focalizza sul libro. Bellissima, nel primo esempio, quella mano rugosa che vi si appoggia, forse per aprire meglio la pagina o forse in segno di cura per il testo, quasi fosse una carezza!

Rembrandt: "Donna anziana che legge" (coll. privata)
Proprio il libro è infatti il centro delle varie opere: talora scritto in ebraico - come emerge dal particolare de "La profetessa Anna" - talaltra enorme, quasi sproporzionato rispetto all'insieme, come si osserva in questo dipinto a lato.
Qui, della donna chiusa nel mantello scurissimo di una semplicità monacale, emerge solo il viso totalmente assorbito nella lettura, in un clima raccolto e profondamente meditativo che ricorda anche altre composizioni di Rembrandt.

E per passare alla musica, mi piace associare a queste immagini un brano di Francois Couperin (1668 - 1733). Si tratta de "Les ombres errantes" tratto dal XXV ordine e IV libro dei "Pieces pour clavencin".  
Il pezzo, qui trascritto per pianoforte, si dipana lento e fonde leggiadrìa a solennità. Se infatti da un lato ci regala le frequenti fioriture e gli abbellimenti tipici dello stile del compositore francese, dall'altro è caratterizzato da una compostezza talora severa che mi pare possa armonizzarsi con il clima di attenta meditazione di questi dipinti.

Buon ascolto!

domenica 8 marzo 2020

Messaggio in bottiglia

(Foto presa dal web)
Sono giorni strani questi, allontanati come siamo dai ritmi consueti e con un tarlo di preoccupazione che rode. Non visto, ma rode.
Tuttavia, il tentativo di recuperare una normalità nel passare delle ore può condurre a qualche scoperta sorprendente e fruttuosa.

Mi è capitato ieri, sfogliando il primo libro del "Clavicembalo ben temperato" - Bach, naturalmente - mentre consideravo quali brani avevo già imparato a suonare e quanti ancora erano in lista d'attesa, ammesso - e non concesso - che avessi voluto cimentarmi con la loro difficoltà.
È stato lì che, senza un motivo preciso, mi sono soffermata su di un preludio sul quale non avevo mai messo le mani, nel senso letterale del termine. 
Lo avevo ascoltato però nel blog "La verità vi farà liberi" del carissimo Amicusplato, cultore di musica come pochi, che nel corso degli anni ci ha regalato splendidi brani a partire dalla polifonia rinascimentale fino al rock.

Ricordo che non avevo commentato il suo post perchè quel pezzo - il "Preludio n.10 in mi minore BWV 855" trasposto in si minore da Alexander Siloti - per quanto bello, a suo tempo non era tra i miei preferiti. Troppo triste.
Invece ieri - chissà perchè?! - è riaffiorato dagli anfratti della memoria e sono andata a riascoltarmelo, cercando anche altre interpretazioni.
Tra queste, ne ho scoperto una del celebre John Lewis (1920 - 2001) che all'inizio non mi ha entusiasmato, se non che il pianista ne fa poi - e c'era da aspettarselo! - una rielaborazione jazz.
La novità mi ha incuriosito e sono andata ad ascoltarmi altre sue rivisitazioni e composizioni. Così, di brano in brano, sono arrivata a quello di oggi: un vero e proprio capolavoro nel suo genere, unico per l'essenzialità con cui è costruito.
Si tratta di "Django", famosissimo pezzo jazz scritto da Lewis nel 1954 in ricordo del chitarrista Django Reinhart, scomparso l'anno precedente.

"E il Preludio - direte voi - te lo sei dimenticato?..."
Tranquilli, Bach mi ha portato lontano, ma c'è sempre.
Se ascoltate con attenzione, scoprirete infatti che la struttura di questo pezzo ha il rigore di una creazione bachiana e che sono proprio le progressioni bachiane - ripetizioni della stessa frase musicale a partire da note diverse - a diventare melodia. Del resto Lewis, oltre che celebre compositore e pianista all'interno del "Modern Jazz Quartet", è stato un appassionato cultore del musicista tedesco di cui ha arrangiato alcuni brani all'interno dell'album "Blues on Bach".
Ma ciò che di "Django" mi prende più di ogni altro aspetto è il ritmo sincopato che - da 1,32 in poi - anima il tema. Questo infatti, prima esposto in modo lento ed essenziale, da qui in poi viene ripreso in una rivisitazione a dir poco seducente: basta ascoltare certi pianissimo o alcune dissonanze sapientemente disseminate qua e là.
Ne deriva un pezzo grintoso e accattivante che Lewis interpreta con la sobrietà e la sicurezza di un vecchio leone, e che potrebbe aver suggestionato anche i compositori successivi tanti sono i brani in cui lo sento riecheggiare.

Così, ho deciso di pubblicarlo e insieme mi sono chiesta se al nostro Amicusplato - da cui tutto era partito - sarebbe piaciuto. 
Me lo domando spesso quando scelgo un pezzo musicale, ma non ho risposta se non la pungente nostalgia per chi non c'è più...
E allora lo scrivo qui, per raggiungerlo in qualche modo con la mia gratitudine, per mandargli un segnale, una comunicazione come si fa con i messaggi in bottiglia, affidati al mare e all'ignoto. 
Ma insieme covo la speranza che la luce di Dio, nella quale Amicusplato certo vive, sia un oceano in ascolto.

Buona musica!