martedì 14 novembre 2023

Le mie città - 11


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è sempre facile parlare del proprio luogo di origine, non perchè manchino i ricordi, ma perchè talora sono anche troppi e ci coinvolgono a più livelli tanto intenso è il vissuto che ci portiamo dentro.
Mille osservazioni potrei fare sullo splendore della mia città natale che sorge in un verde angolo
di pianura, tra il cotto delle pievi romaniche disseminate nella campagna circostante e l'atmosfera raccolta di piazze e chiese che dal Medioevo ci conducono su fino al Rinascimento e oltre.
Sto parlando di Lodi, luogo ricco di storia e di un fascino
da scoprire piano, nell'ombra discreta dei suoi cortili e nella bellezza dei tanti edifici del passato.

Potrei ricordare i suoi più famosi gioielli artistici, dalla Chiesa dell'Incoronata fino alle ceramiche conservate al Museo civico.
Ma anche la campagna che la circonda ha
un suo splendore, a iniziare dalla suggestione del fiume Adda, insieme ai filari di pioppi che ne delimitano le rive, e ai campi che in certe ore della giornata ne fanno un luogo di profonda pace.

Tuttavia, la mia Lodi non è solo questa, ma abita anche in altri spazi. Vi sono nata e vissuta fino a 31 anni, poi mi sono trasferita altrove, non lontano per la verità.
Ma talora basta una piccola distanza a
mettere tra noi e un luogo amato quella nostalgia che allieta ogni ritorno e m' illumina d'immenso come ritrovassi una parte di me ogniqualvolta dalla stazione mi avvio piano verso i giardini pubblici e il centro.

Parlo della viva sensazione di essere a casa che tutti sperimentiamo quando un angolo di mondo ci entra nel cuore, perchè le sue pietre e i suoi tetti, i portici e le case, fino all'acciottolato sassoso di piazze e vie, diventano simili a una grammatica che portiamo scritta dentro e che ben comprendiamo. Ed è proprio questa profonda sintonia, questo dialogo segreto con la città a farla nostra per sempre.

Il mio dialogo con Lodi si è intrecciato quando ero bambina, ma nel tempo si è arricchito della lunga consuetudine con certi angoli per me ricchi di particolare fascino.
Sono alcune vie del centro storico tra le più defilate e nascoste
che amavo talora percorrere in solitudine e che mi svelavano segreti dettagli di bellezza: qui uno scorcio di verde in un cortile appartato, là una cornice in cotto; o ancora una bifora a vento o la semplice eleganza delle facciate delle tante casette di un tempo.
Ma era riposante anche incantarsi davanti al prezioso organo rinascimentale del tempio dell'Incoronata o rifugiarsi tra le prospettive aeree di certi soffitti barocchi, come quello della chiesa di Santa Maria delle Grazie.

C'è un luogo, però, che amo al di sopra degli altri e che negli anni ha fatto di Lodi una città sempre più mia: è la splendida chiesa di San Francesco.
Edificio medioevale che nella struttura fonde stile romanico e gotico, è
celebre perchè custodisce le tombe di alcuni lodigiani illustri - la poetessa Ada Negri, il naturalista Agostino Bassi e il librettista Francesco De Lemene - ma anche per la facciata a vento e i numerosi affreschi dell'interno.

Sono opere che ci guidano in un itinerario pittorico che va dal Trecento al Settecento, talora frutto di mani sconosciute ma non per questo meno pregevoli. Suggestivo entrare in chiesa nelle giornate di sole, quando la luce dorata del pomeriggio gioca sui dipinti delle navate traendone i colori dell'arcobaleno.
Parecchi meriterebbero attenzione, a
cominciare dalle varie raffigurazioni di Maria, tra le quali mi piace ricordare la Madonna col Bambino del cosiddetto Maestro di Ada Negri, esempio di rara espressività e delicatezza che vedete qui a lato.

Ma quello che mi affascina da sempre, e che considero in qualche modo mio tale è l'affetto che mi lega ad esso, è l'affresco che vedete nella foto grande in alto e in un particolare qui sotto.
Raffigura lo "Sposalizio mistico di Santa
Caterina", opera della scuola di Giovannino de' Grassi (1350 - 1398), databile verso la fine del Trecento.
Non lo si vede subito all'interno della chiesa: è infatti
sotto l'arco ogivale della navata destra in corrispondenza della Cappella di San Bernardino e bisogna cercarlo. Ma una volta trovato, si resta incantati dalla sua leggiadrìa.

Osservatelo: spiccano i suoi colori e la sua luminosità sul fondo scuro dal quale l'affresco prende risalto. E se anche la figura di Santa Caterina, a destra in basso, non risulta quasi più visibile e se ne scorge solo una mano che sta per essere inanellata da Gesù Bambino, è l'immagine di Maria in mezzo a un aereo corteggio di angeli a costituire la vera grazia del dipinto.
Si china infatti lievemente verso Caterina - ma
anche verso ciascuno di noi - e la leggera curvatura del suo corpo che segue quella del Bambino ha una delicatezza ineffabile. È una giovane, bionda fanciulla che offre il suo Figlio con un' espressione indefinibile che sembra aprirsi al sorriso, ma insieme velarsi di una punta di pensosa mestizia, come si osserva a volte anche in altre raffigurazioni. E ne deriva un effetto di non comune soavità.

Nell'opera, notiamo inoltre una raffinatezza e un'eleganza che non rimandano tanto alla monumentalità giottesca che aveva fatto scuola in quegli anni, ma agli influssi del Gotico Internazionale già diffuso all'epoca anche nell'Italia del nord. Se da un lato infatti l'iconografia colloca la Madonna all'interno di una mandorla secondo moduli del passato, dall'altro la sottigliezza del tratto, le forme allungate insieme alla luminosità dei colori sono caratteri già nuovi che preludono - per esempio - allo stile di Masolino da Panicale, che lavorerà in Lombardia nella prima metà del Quattrocento.

E per esprimere in musica il senso di profonda gratitudine che provo per tutta la bellezza che la vita mi ha messo vicino, ho scelto oggi un brano di Bach che chi frequenta questo blog ricorderà di certo.
Se infatti anni fa ho pubblicato qui l'ultimo dei Sei Corali Schübler per organo, oggi vado all'origine di quel pezzo postando il secondo movimento, "Aria", della "Cantata BWV 137 Lobe den Herren, den mächtigen König der Ehren" (Loda il Signore, potente re di gloria) dalla quale il corale è stato tratto.

Da Bach a Bach quindi. Ma perchè?
Perchè mi è parso interessante vedere come le tre voci che l'organo sintetizza - due suonate sulle tastiere e il tema sulla pedaliera - nella Cantata siano nate invece per tre strumenti diversi. Il violino e il basso continuo infatti, fungono da accompagnamento, mentre la voce del
contralto (o talora del controtenore) fa da solista al quale è affidata la melodia.

Luminosissime e gioiose sono le note del brano nella tonalità di Sol Maggiore e nel loro ritmo un po' danzante, mentre - come già ricordavo in passato - nell'impianto accordale si annuncia già il tema di un'altra Aria più che mai celebre, quella della "Suite n.3 per orchestra BWV 1068" che Bach comporrà qualche anno più tardi.
Ma a prendermi è stato anche il testo cantato: con riferimento ad alcuni Salmi, esso
esprime infatti una costante esortazione alla lode della grandezza divina che guida, sostiene e protegge l'uomo.

Buon ascolto!

(Le foto, prese dal web, rappresentano dall'alto in basso: 1) Sposalizio mistico di Santa Caterina 2) Il fiume Adda a Lodi 3) Dettaglio di Piazza della Vittoria 4) Dettaglio della facciata del Duomo 5) Dettaglio della facciata della chiesa di San Lorenzo 6) Organo del tempio dell'Incoronata 7) Madonna col Bambino del Maestro di Ada Negri 8) Particolare dello Sposalizio mistico di Santa Caterina 9) Facciata della chiesa di San Francesco 10) Bifora a vento della chiesa di San Francesco.

 

8 commenti:

Bright Star ha detto...

Gratitudine per le preziose informazioni che hai condiviso. Il tuo post è stato davvero illuminante!

Annamaria ha detto...

Grazie mille Bright Star!

Rossana Rolando ha detto...

Ho letto una poesia di Ada Negri dedicata alla Chiesa di San Francesco, intensa e struggente, come intenso e struggente è il tuo post.
Sicuramente tu la conosci, ma scrivo qui il link (https://www.adanegri.it/node/47), per chi fosse interessato. Un caro saluto, Rossana.

Annamaria ha detto...

Sì, Rossana, la conosco. E' un testo lungo e suggestivo come tanti altri della poetessa lodigiana. Da Piazza san Francesco sono passata per anni tutte la mattine per andare a scuola. Il liceo che ho frequentato - il "Pietro Verri" - dista infatti poche decine di metri dalla chiesa. Puoi comprendere quindi quanto questi luoghi siano entrati nella mia vita.
Grazie e buona serata!

Marina ha detto...

La magia delle città natale, che conservano intatte le irrinunciabili appartenenze!
Grazie per questa gita a Lodi, con appagante colonna sonora.

Annamaria ha detto...

"Le irrinunciabili appartenenze"...è proprio così, Marina! La vita ci può condurre altrove, ma lì restano le radici e tanti ricordi intatti.
Grazie a te!

Arrigo Lupo ha detto...

Una riflessione generale sulla storia della musica e quella delle arti visive. Una cattedrale e le opere d'arte al suo interno erano a disposizione di tutti, mentre un brano musicale, sempre meno eseguito, molto spesso veniva dimenticato. Quasi tutto quello che è stato fatto prima del '700 è stato dimenticato sino alla fine dell'800, anche perché in campo musicale non c'è stato, nel '500, uno come il Vasari, che scrivesse sulle vite dei più eccellenti compositori. E' impensabile che Pellizza da Volpedo non conoscesse Raffaello, mentre è possibile che Puccini non abbia conosciuto nulla di Josquin Desprez. La tradizione musicale era quasi sempre una tradizione "filtrata" attraverso quella degli ultimi 100, al massimo 200 anni.

Annamaria ha detto...

E' vero, Arrigo! Le celebri "Vite" del Vasari sono state una storia dell'arte utilissima, mentre è mancato il corrispondente sul piano musicale. E in effetti, un dipinto in una chiesa o in un edificio pubblico era più facilmente fruibile al punto che, anche nel Medioevo, certe rappresentazioni erano diventate "la Bibbia dei poveri". Per la musica non è stato così, perlomeno per i secoli più lontani. Grazie delle tue osservazioni sempre arricchenti!