giovedì 29 febbraio 2024

Misteriosi DJ

Siamo noi a scegliere una musica o è lei a scegliere noi? Siamo noi a orientarci consapevolmente verso un brano, un compositore, uno stile, uno strumento?
O si tratta di un impulso che, dal profondo, ci guida
a scoprire melodie e ritmi già presenti nel segreto del nostro cuore?

Come si originano i gusti musicali? Li portiamo in noi dalla nascita o ci arrivano invece dal contatto col mondo esterno, con la cultura, l'educazione all'ascolto insieme magari all'esperienza di suonare uno strumento?

Probabilmente, sono vere entrambe le cose perchè certi gusti sono spesso frutto di un incontro tra la nostra interiorità e la realtà fuori di noi che - talora - va a svegliare inclinazioni che abbiamo già dentro come fossero scritte nel DNA e nelle quali poi ci riconosciamo.
Certo, il mondo esterno è anche fonte di condizionamenti, ma ad essi spesso la musica sfugge. Ha infatti
una vita tutta sua per cui si sedimenta in noi, s'intreccia alle nostre vicende e ci lavora l'anima a nostra insaputa per affiorare un giorno - anche a distanza di anni - come una splendida perla da un fondale marino.  
Non fosse così, non mi spiegherei il motivo di ciò che accade a me - e certo chissà a
quanti altri! - quando ogni mattina, al mio risveglio, mi parte dentro una musica che non ho neppure pensato, quasi esistesse in noi un misterioso disc jockey che sceglie liberamente i suoni da regalarci per la giornata. Ovvio che, se stai imparando un brano, è più facile che affiori quello, ma non è detto: i nostri DJ sono spesso sorprendenti e imprevedibili.

Bene. Tutto questo per dire che il mio da qualche mattina mi dà la sveglia con Domenico Scarlatti (1685 - 1757), ed è proprio al compositore napoletano che oggi mi piace tornare perchè le sue Sonate sono una continua scoperta. Del resto, ne ha scritte la bellezza di 555 e c'è solo l'imbarazzo della scelta!

Le sto riascoltando da qualche tempo e ne osservo ancor più che in passato non solo la piacevolezza, ma insieme la varietà, la fantasia e la capacità di toccare registri molto diversi: un cristallo dalle tante sfaccettature, insomma. Si va dal piglio gioioso e giocoso di una danza dal sapore popolaresco alla lentezza di una meditazione nostalgica; da irrefrenabili rincorse di note ricche di trilli e abbellimenti a malinconiche pause di riflessione dal clima di straordinaria modernità.
Più lo vado frequentando, più mi accorgo che - senza nulla togliere ai suoi
grandissimi contemporanei quali Bach, Vivaldi e Haendel - Scarlatti si distingue per un'originalità che, dal punto di vista tecnico, lo pone quasi in anticipo sui tempi. Ma parte di questa originalità credo derivi proprio dalla sua indole napoletana che - come scrivevo in passato - si riflette magnificamente nella musica, sia dove ha caratteri languidi e appassionati, sia dove ha un ritmo decisamente movimentato.

Così oggi vi propongo la "Sonata in Mi maggiore K.531" in due differenti interpretazioni e con due diversi strumenti che - a mio avviso - mettono in luce i molteplici aspetti del suo incanto.
È un brano vivace che sprizza allegria e fa pensare a una danza. Il suo tempo ternario di 6/8 mi ha ricordato in un primo momento una giga, per esempio quella dalla "Suite in sol minore" di Domenico Zipoli - altro contemporaneo di Scarlatti - che potete sentire qui.
Ma proseguendo nell'ascolto, in largo anticipo su quella più celebre di Rossini vi si coglie
anche il ritmo di una tarantella, soprattutto nelle terzine ripetute in modo sempre più acceso dove dalla tonalità maggiore si passa in minore.
E mi ha fatto pensare a quanto tale ritmo abbia espresso in pieno la vivacità dell'indole napoletana, rimanendo poi come elemento portante della sua tradizione musicale.

La prima clip audio, corredata anche dallo spartito, presenta il brano eseguito al clavicembalo e devo confessare che, mentre di solito trovo il suo timbro troppo secco e metallico, qui mi piace molto per la sua brillantezza fatta di suoni netti, precisi ed eleganti.
Diversissima la versione al pianoforte, non solo per l'uso di uno
strumento più morbido e duttile, ma soprattutto per la straordinaria interpretazione che ho trovato. Sì, lo so, l'atmosfera non è quella che si addice ad un pezzo barocco, ma - lasciatemelo dire - che interpretazione fantastica! Non per niente è Zhu Xiao-Mei, pianista cinese dalla storia molto tormentata - ne ho parlato anni fa qui - e divenuta celebre per le sue registrazioni bachiane.

Forse i puristi grideranno allo scandalo davanti allo slancio impetuoso con cui esegue questo Scarlatti, accentuando i contrasti tra forte e piano così come tra passaggi lenti e più veloci e allungando le pause con indicibile dolcezza.
Ma che meraviglia questo andamento turbinoso come un torrente in piena e insieme precisissimo: una
padronanza di note e di ritmi che la pianista - prima ancora che nelle mani - certo possiede nel cuore, nella sua singolare fusione di vita e di musica!

 Buon ascolto!

(Nella foto, presa dal web, "Danza napoletana: la Tarantella" di Thomas Uwins, 1830)

 

 

giovedì 22 febbraio 2024

Specchi d'acqua - 2

Philippe de Thaon : "Bestiario"





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Faccio seguito qui al post dello scorso gennaio nel quale parlavo del mare nella celebre "Nascita di Venere" del Botticelli, per tornare indietro nel tempo ad osservare il modo in cui l'arte ha raffigurato le onde e il loro moto nei vari specchi d'acqua. Così, mi piace proporre una breve carrellata di immagini.

Le fonti sono mosaici, icone, miniature, antiche mappe e carte nautiche all'interno di testi di carattere profano o - più spesso - religioso, dall'epoca romana al Medioevo. Sono storie di viaggi a cominciare da quello di Marco Polo in Cina, o dai pellegrinaggi in Terra Santa, cronache di battaglie navali, talora illustrazioni della Divina Commedia; ma spesso anche narrazioni bibliche come la storia del diluvio o quella di Giona inghiottito dalla balena, o episodi evangelici come la tempesta sedata e la pesca miracolosa. Tra questi, particolare attenzione va al Battesimo di Cristo - e quindi al fiume Giordano - tema che ha avuto molta fortuna nel tempo e al quale dedicherò magari in futuro un articolo a parte.

Materiale vastissimo quindi, dal quale ho scelto però poche immagini tra quelle che mi hanno colpito per la loro originalità. Sono raffigurazioni spesso diverse tra loro anche per le differenti tecniche con cui sono state realizzate, ma tutte affascinanti a volte per i tentativi di realismo, altrove per iconografie più fantasiose e un po' elementari che - tuttavia - in certi casi assumono caratteri vagamente avveneristici e di sorprendente modernità.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo dimostra il mosaico riportato qui sopra, dettaglio della "Chiamata di Pietro e Andrea" e parte della decorazione musiva della basilica di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna. Siamo nel VI secolo d.C., eppure quel delfino che solca le onde ricurve, insieme alle tessere che le rappresentano nelle loro varie sfumature di verde, è davvero di grande modernità. Non ne conoscessimo l'epoca, potremmo scambiarlo per un manufatto dei nostri giorni.

Un'immagine in parte differente troviamo invece qui a lato nel mare del "Viaggio dei Magi", mosaico della volta del Battistero di San Giovanni a Firenze, realizzato dal cosiddetto Maestro della Maddalena intorno alla fine del 1200.
Anche qui, lo specchio d'acqua è formato da una serie ripetuta di onde
ricurve ad indicarne il movimento, in mezzo alle quali possiamo scorgere diversi pesci. Tuttavia l'effetto è ben diverso.

Ma la rappresentazione del mare è legata anche ad altri aspetti.
Nel mondo antico e medioevale era infatti considerato uno spazio misterioso da
guardare con timore, mentre la sua graduale esplorazione ne darà poi immagini via via più concrete e meno legate alle paure, ai simboli o alla fantasia. Resta comunque per parecchio tempo il luogo del pericolo, popolato da pesci ma anche da mostri, come possiamo osservare nella prima foto grande in alto, tratta dal "Bestiario" di Philippe de Thaon (XII sec.), conservato alla Kongelige Bibliotek di Copenaghen.

Lì, vediamo un mare verde in cui le onde sono semplici righe ondulate inframmezzate da pesci; ma ai lati si ergono due enormi draghi alati, minacciosi e aggressivi, grandi quasi come l'imbarcazione.

Questa foto più piccola a lato, intitolata "Balena gigante", è invece parte della Miscellanea teologica di Peraldo (XIII sec.) conservata alla British Library di Londra. Ma ricorrono anche qui più o meno gli stessi caratteri, a cominciare dalla evidente sproporzione tra l'enorme pesce e la barca.

Un mare calmo dalle onde simili a righe orizzontali, ma sempre
popolato di pericoli è quello rappresentato dal mosaico pavimentale di Aquileia, capolavoro di arte paleocristiana del IV sec. d.C.
Qui, in un bellissimo e celebre dettaglio, è
raffigurato Giona mentre viene gettato nelle fauci non di una balena, ma di una sorta di serpente marino dalle spire sinuose. 

Un animale ben diverso, ma - almeno nella fantasia di chi lo ha dipinto - più simile a una balena se non altro per le sue dimensioni, è rappresentato invece nella miniatura sottostante della metà del sec.XV.
Di particolare interesse è qui il modo in cui sono state realizzate le onde: piccole montagnette aguzze e stilizzate, in cima a ciascuna delle quali è possibile scorgere una breve arricciatura a rappresentare la spuma. Tratti simili e veloci, per certi aspetti un po' elementari, ma per altri ancora una volta modernissimi.

Ma tale iconografia mi sembra ancora più chiara nella foto successiva: una miniatura del XV secolo, tratta dal "Factorum et dictorum memorabilium Libri IX" di Valerio Massimo, conservato presso la Bibliothèque de l'Arsenal a Parigi.
Il testo dello scrittore latino vissuto tra il I sec.
a.C. e il I sec.d.C., ha avuto infatti immensa fortuna e diffusione nel Medioevo, ad opera di numerosi amanuensi che lo hanno anche arricchito di splendide miniature proprio come quelle che vedete.

Qui il copista ha voluto rappresentare un mare agitato che risulta efficacissimo. Infatti, quelle onde alte e insieme larghe, disposte in successione alternata, a mio avviso rendono magnificamente l'idea del beccheggio della navicella, ancor più della miniatura precedente dove sono più fitte ma al tempo stesso molto schematiche.

Un mare agitato e fantasioso dunque, in un'iconografia che ricorre spesso, come nella miniatura sottostante che - all'interno di altri testi - raffigura onde e navi durante la battaglia della Meloria tra le antiche Repubbliche marinare di Pisa e Genova.

Infine, per passare alla musica, ho scelto di associare a queste immagini il celebre terzo movimento, "Allegretto", dalla "Sonata per pianoforte in re minore n.17 op.31" detta "La tempesta" di Ludwig van Beethoven ( 1770 - 1827).
Il brano,
nel tempo ternario di 3/8 in cui le terzine si susseguono con ritmo ora tranquillo, ora più affannoso quasi quella del compositore fosse una corsa, dà l'impressione di una sorta di moto perpetuo. Ma tale ritmo, creato dalla successione degli arpeggi, mi suggerisce anche il movimento ondeggiante di un'imbarcazione sul mare e, dove la musica va facendoci più tempestosa e cupa, l'appressarsi di un pericolo dal cielo o dal profondo.
Diciamo la verità: forse Beethoven nel concepire la Sonata non pensava affatto a questo, ma pare fosse stato
ispirato dalla visione di un cavallo al galoppo. Inoltre, il termine tempesta, nella sua ampiezza, potrebbe indicare anche un evento interiore, una particolare fase compositiva portatrice di novità, chissà mai!
A me però piace associare queste note ricche di una grande varietà di arpeggi,
all'altrettanto vario andar per mare: uno specchio d'acqua ora calmo, ora intensamente agitato, ora scuro come un abisso che nasconde dei pericoli, ora per qualche istante luminoso. Del resto, la tonalità del brano è un malinconico re minore con qualche breve apertura qua e là in maggiore, come quando da un cielo coperto di nuvole filtrano i riflessi del sole sulle onde e, per un attimo, tutto s'illumina.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)





giovedì 15 febbraio 2024

Quando la vita si traduce in note...

So che tanti, sul web, hanno parlato a lungo - e spesso meglio di quanto sappia fare io - del monologo di Giovanni Allevi alla sua prima apparizione pubblica al festival di Sanremo, dopo la grave malattia che lo ha colpito. 

Anch'io ho apprezzato la lezione di vita fatta di coraggio, gratitudine e speranza che il compositore ha regalato a tutti, a cominciare dai pazienti con i quali ha condiviso la sofferenza di questi lunghi mesi. Il suo è stato un messaggio toccante per la ricchezza umana di una verità senza maschere.
Non intendo ora riportarne il contenuto già commentato più volte da altri, e
confesso che è un terreno su cui mi muovo con qualche tremore, perchè addentrarsi nel dolore altrui significa talora violare uno spazio sacro.
Tuttavia, non voglio passare sotto silenzio alcuni passaggi molto
significativi dell'intervento del compositore durante la conferenza stampa che ha preceduto la serata del festival e che potete ascoltare qui.

Con riferimento all'esperienza di profonda fragilità creata dalla malattia, Allevi ha parlato del cammino interiore percorso, perchè proprio nel cuore di tale fragilità ha potuto scoprire una più autentica visione del mondo. Un discorso fatto nella concreta consapevolezza di non poter progettare un futuro a lunga scadenza, ma solo - per usare parole sue - un presente allargato da vivere tuttavia giorno per giorno con intensità, gioia e speranza. 

Mi ha colpito la sua commozione a fior di sorriso, quel parlare con grinta e al tempo stesso disarmante semplicità di cose essenziali come la vita e la morte. Ho apprezzato molto la sottolineatura del ruolo della riflessone filosofica in un cammino così arduo. Ma essenziale per il compositore è stata naturalmente la musica che - come ha sottolineato - ha dato senso alla sua sofferenza trasformando in note dentro di lui i tratti più dirompenti di una simile prova: dalle paure all'ansia del domani, al timore che le terapie potessero non funzionare, fino alla morsa del dolore fisico.

E mi viene spontaneo chiedermi a quali suoni e a quali strumenti abbia affidato l'espressione di tale sofferenza: al timbro grave del violoncello o alle ottave più basse del pianoforte?... E quale tonalità avrà scelto? Lo struggente fa minore del suo Concerto per violino, o un luminoso do maggiore per aprirsi caparbiamente alla speranza?... Chissà! Ma torno alle sue parole:

"Che bello che la musica e l'arte siano l'occasione per trasformare la fragilità umana in una forza, una forza avvolgente!"

Che bello, sì! Certo, saper tradurre la vita in note è prerogativa - se non di tutti - di tanti compositori che hanno rispecchiato nei loro brani passioni ed esperienze vissute. Gli esempi non si contano. Ma tale riflessione, espressa da chi ha provato in maniera lacerante la precarietà esistenziale, mi pare un'ulteriore conferma di quanto la musica sappia accendere una luce proprio all'interno della fragilità stessa, consentendo il passaggio liberatorio dal buio dell'angoscia alla rinascita del cuore.

Così, alle parole del musicista mi piace associare il suo "Back to life", brano tra i più amati dal pubblico, tratto dall'album "Joy" del 2006.
Torno quindi molto indietro nel tempo, non per sminuire la speranza
delineata dal più recente "Tomorrow", ma perchè mi pare che "Back to life", dai passaggi più assorti a quelli più intensi, ci offra due percezioni. Da un lato permette di intuire la profondità di quell'iceberg di pensieri che talora ci portiamo dentro e di cui in questi giorni Allevi ha svelato la punta; dall'altro, ci regala lo stupore del ritorno alla vita che possiamo avvertire prima timido e un po' esitante in alcune pause, poi sempre più animato e sicuro.

Un brano pensoso, fatto di garbo e delicatezza come lo stile con cui il compositore ha sempre parlato della propria condizione esistenziale: note che proprio per lui possono suonare oggi di straordinaria attualità nel suo ritorno alla vita, consapevole dei sorprendenti doni della malattia.
E mi vengono in mente le parole di Fëdor Dostoevskij: "Nel dolore la verità si fa più
chiara", quasi che dal tunnel della sofferenza possa affiorare ancora più intensa e libera l'espressione della nostra autenticità.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

martedì 6 febbraio 2024

Vertigini

È stato durante la ricerca affannosa di foto per il mio calendario toscano - ormai fatto in casa - che in computer mi sono imbattuta in questa immagine scattata durante uno dei miei viaggi.
Siamo a Lucca, città in cui mi reco sempre
volentieri per lo splendore delle sue opere d'arte e la bellezza del centro storico circondato da mura.
Ma ad attirarmi è anche il fascino dello stile
romanico pisano con marmi e decorazioni simili a ricami che possiamo ammirare, oltre che nel Duomo, nella chiesa di San Michele in Foro della quale qui vedete alcuni miei scatti.
Se ingrandite l'immagine della facciata infatti,
potete cogliere la ricchezza e la varietà di ornamenti - opera di maestranze lucchesi e pisane - nelle colonnine tortili tutte diverse, nei capitelli e nelle tarsie marmoree che rappresentano figure immaginarie e animali in lotta fra loro.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tuttavia, il motivo per cui riporto queste foto è un altro: è la scoperta di quella scaletta aerea sul retro  della facciata, che conduce alla statua di San Michele troneggiante in cima e affiancata da due angeli. È una splendida immagine di leggerezza, come se la luminosa muratura stagliata nell'azzurro non avesse peso.
Ma ricordo la mia sorpresa la prima volta che l'ho vista, perchè - al di là di qualunque
considerazione architettonica - mi aveva fatto un effetto paralizzante. Mi ci ero subito vista sopra: incerta, tremante, pencolante, impacciata, soprattutto perchè da un lato non c'è corrimano ma il vuoto!...

Parliamoci chiaro: da sempre vado in montagna, prendo senza problemi funivie o seggiovie e mi piace affacciarmi da balconate anche molto alte sul panorama.
Però in passato, due o tre volte ho avuto le vertigini e so con quale sensazione
viscerale ci afferrino fino a bloccarci, rendendoci incapaci di muoverci, nè avanti, nè indietro.
Così, quella scaletta obliqua in bilico tra terra e cielo mi è rimasta impressa
con il fascino delle cose che ci fanno paura, ma insieme oscuramente ci attraggono.

In realtà, a ben guardare i gradini non sono tanto piccoli e neppure ripidi, ma è quel vuoto a destra senza riparo a farmi pensare che, invece di appoggiarmi al corrimano salendo ben diritta e godendo dell'ampio panorama, finirei per appiattirmi senza rimedio contro il muro in attesa di soccorsi!
Mio marito, nella sua concretezza, sullo sfondo brontola: "Ma che scrivi a fare?... Mica devi salire tu su quella
scaletta!" Però poi ride perchè sa che quanto sto dicendo sulle mie vertigini non è invenzione, ma pura verità!

Ma da una scala...alla musica - lo sappiamo tutti - il passo è breve, così a questa vertiginosa immagine di marmo bianco ho pensato di associare un brano di Domenico Scarlatti (1685 - 1757). A lui mi hanno condotto le minutissime decorazioni della facciata di San Michele simili a ricami, come lo sono tante delle sonate del compositore nella loro ornamentazione di scale, trilli e abbellimenti. Bene, una sonata dunque, ma quale?

Inizialmente, avevo pensato a quella in sol minore K.30 soprannominata "Fuga del gatto" per il suo andamento che sembra imitare proprio l'incedere di un felino. Del resto, chi meglio dei gatti che amano camminare sopra i tetti saltando con agilità da un cornicione all'altro, potrebbe avventurarsi senza timore su quell'aerea scaletta? Poi però il brano, benchè sia una fuga molto efficace dove le varie voci sembrano proprio dei passi, mi è parso un po' troppo tranquillo e uguale nella sua struttura tutta a terzine.

Così, di pezzo in pezzo, sono approdata alla "Sonata in mi minore K.98" che - per quanto non abbia alcun titolo nè riferimento ai gatti - in alcuni passaggi può rifletterne le movenze ora lente e guardinghe, ora più scattanti e veloci.
Ci sono punti in cui se ne coglie addirittura il passo felpato, lento ma scandito e ritmato
da una nota all'inizio delle varie sestine. La sentite?...e nello spartito la vedete?
Allo stesso modo, i numerosi trilli che poi costellano il brano possono far pensare a piccole fermate,
brividi che durano un attimo o brevi pause di tremore in un vertiginoso andirivieni di suoni.

Buon ascolto!