giovedì 30 settembre 2021

Atmosfere d'Irlanda

Non sono mai stata in Irlanda, ma è una delle mete che mi propongo di visitare quando il mio tempo a disposizione lo permetterà e la situazione generale sarà un po' più sicura.
Mi accontento allora di guardare le foto
sul web dove m'incanto sempre davanti ai suoi spazi sconfinati, alle campagne verdissime, alle alte rocce che precipitano sul mare, ai castelli o alle loro affascinanti rovine.
In realtà, non è da oggi che amo
preparare o ripercorrere itinerari a partire dalle immagini o da una carta geografica; l'ho fatto negli anni per tanti paesi e città d'arte. È un modo di sognare covando in cuore un viaggio prima ancora che si realizzi o di ritrovarne l'atmosfera insieme a quella parte segreta di noi che è rimasta lì. E io ho percepito spesso di appartenere ai luoghi.

Ricordo che, quando nel 2018 sono andata a Londra - anno mitico della mia visita alla National Gallery! - al mio ritorno, più volte ho ripassato sulla piantina topografica le vie che, dall'hotel in cui alloggiavo, portavano prima giù verso il centro, poi in Oxford Street, poi Oxford Circus, poi Regent Street, poi Piccadilly, poi ancora verso Trafalgar Square e qui finalmente alla National !!!
Mi rendo conto di raccontare cose che, per tanti di noi che hanno Londra - per
così dire - in tasca, sono assolutamente scontate, ma per me era la prima volta, ricca di tutto il fascino della scoperta della città e di quel museo, in particolare, che da tempo sognavo di vedere.
Come per altri luoghi visitati altrove, dall'hotel c'ero andata e tornata a
piedi, da sola, scoprendo passo dopo passo i tratti di una metropoli della quale, con un'eccitazione quasi infantile, mi stavo lentamente appropriando. E questo aveva aggiunto un che di fiabesco al mio viaggio e soprattutto al ricordo che il mio immaginario ne aveva poi elaborato.

Ma torniamo all'Irlanda. Qui il discorso è diverso: non ci sono ancora andata e il mio girovagare tra immagini e cartine appartiene al desiderio.
Come tutti sappiamo però, essa è ricca di un fascino non solo naturalistico e storico, ma
anche musicale, e il mio vagare sul web mi ha portato a riscoprire un brano che affonda le radici proprio nella musica tradizionale irlandese.

Si tratta di "Danny Boy", celebre ballata popolare il cui testo è stato scritto all'inizio del Novecento dall'inglese Frederich Weatherly, ma la cui musica fa riferimento a una melodia precedente di autore anonimo che ha avuto poi molta fortuna col titolo di "Londonderry Air". Oggetto di svariate versioni dalla sinfonica al rock, per il suo tono intensamente nostalgico talora il brano viene cantato nelle cerimonie funebri, ma per un certo periodo è stato anche inno nazionale dell'Irlanda del Nord.
Tra le innumerevoli versioni, ne ho scelto una dei "King's Singers" risalente a diversi anni fa, in cui il pezzo è
stato arrangiato per coro da Peter Knight. Trovo stupenda questa armonizzazione in cui le frequenti dissonanze danno alla musica uno spessore modernissimo. Ma assolutamente splendidi gli interpreti nella loro perfetta fusione corale e in quel cantare talora sottovoce, in pieno accordo col tono struggente e la dolcezza nostalgica del brano.

Il testo, rimaneggiato nel tempo, è il saluto da parte di una
madre - ma potrebbe essere anche un padre o un nonno - ad un ragazzo che parte per la guerra o deve comunque emigrare. Ed esprime l'attesa di un ricongiungimento d'amore capace di andare oltre la morte, nel segno del ricordo e della preghiera.

Oh Danny Boy, le cornamuse stanno chiamando
di valle in valle e giù a lato della montagna.
L’estate se n'è andata e tutte le rose cadono.
Sei tu che devi andare ed io devo aspettare.

Ma ritorna quando il sole sarà sui prati
oppure quando la valle tace ed è bianca di neve.
Sarò là comunque vada.
Oh Danny Boy, oh Danny Boy ti amo tanto.

Ma quando tornerai e tutti i fiori saranno appassiti
e io sarò morta, quando la morte dovrà arrivare,
tu verrai a cercare il posto dove riposerò,
ti inginocchierai e dirai un' “Ave” per me.

E io potrò sentire i tuoi passi leggeri sopra di me
e la mia tomba sarà più calda e più gradevole
se tu ti chinerai per dirmi che mi ami,
e io dormirò in pace finchè anche tu verrai da me.

Buon ascolto!

(La foto nel riquadro è presa dal web)

 

giovedì 23 settembre 2021

Ricordi in libertà

Per chi ha trascorso buona parte della propria vita nella scuola, l'inizio di un nuovo anno di lavoro non può non generare qualche sussulto interiore.
E non si tratta solo delle incertezze
create dalla situazione attuale a causa della pandemia, ma di quella particolare emozione che ogni inizio porta con sè, intrisa di speranze, preoccupazioni, interrogativi, progetti e via discorrendo. Così, da quando in questi ultimi giorni - all'ora di pranzo - un rumoroso sgommare di moto sul viale vicino a casa mi ricorda che la mattinata di lezione è appena finita, anche se sono in pensione da un po' di annetti avverto in me un certo rimescolìo. 

Il fatto è che, parlando di inizi, non penso solo a quelli degli studenti, ma anche a quelli degli insegnanti come la sottoscritta, soprattutto la prima volta che si sono trovati alle prese con una classe scolastica.
Anche se la mia esperienza è stata poi quasi sempre positiva e piacevole, i miei esordi
- sprovvedutella com'ero - non si possono definire esaltanti. Basti dire che la mia carriera è iniziata con una supplenza in una seconda media...il giorno di Carnevale!
So già cosa vi starete domandando, ma parlo di tempi andati.
No, non era ancora vacanza: a Carnevale si andava a scuola!
Il risultato è stato che, alla fine di quella mattinata, ero tornata a casa
proclamando ai quattro venti che MAI e poi MAI avrei fatto l'insegnante! E di fronte alla costernazione dei miei genitori e ai loro sguardi allibiti, lo avevo ripetuto anche al tavolo della cucina, ai piatti, ai tovaglioli e alle pentole, nella speranza che almeno loro mi ascoltassero!

La seconda esperienza però era stata migliore. Con incarichi in diverse sezioni, avevo trascorso un anno intero in un istituito magistrale e lì studenti e colleghi mi avevano aiutato a riconciliarmi con quel mondo. Certo, ero fresca di laurea e dovevo ancora farmi le ossa, ma il lavoro mi piaceva.
Alla prima di queste supplenze, sostituivo un' anziana e severa insegnante di latino
. Ricordo che la sera prima di iniziare mi aveva chiamato a casa sua per passarmi i libri e le istruzioni del caso: qui la letteratura, qui la sintassi, qui gli esercizi, qui gli autori da tradurre. Bene. 

"L'unico che non ho è il testo di Quintiliano che leggiamo in quarta al sabato" mi aveva detto, aggiungendo con una punta di sussiego:
"Ma me lo faccio prestare sempre dagli studenti e traduco al momento. Domani
puoi fare così anche tu. I ragazzi ti diranno dove siamo arrivati."
Era appunto un venerdì sera.
"Ceeerto!..." avevo risposto io con una risatella un po' fantozziana, mentre dentro
 cominciavo a sentirmi morire. Però, a dispetto dei miei timori, l'esperienza nella sua globalità era stata molto positiva, e mi aveva suscitato una passione che si sarebbe consolidata nel tempo.

Ora, perchè vado scrivendo queste cose in un blog di musica francamente non so. Sono ricordi in libertà che affiorano da un trapassato remoto.
Ero partita con l'intenzione di pubblicare un brano come augurio di buon anno a
chi riprende la scuola e poi mi sono persa per strada.
Allora mi affretto a tornare al presente e siccome penso che l'esperienza scolastica - al di là della fatica e dei momenti di crisi da cui può essere costellata - debba essere caratterizzata da gioiosa passione, vi regalo un vivace brano di Georg Friederich Haendel (1685 - 1759).

Si tratta del quarto movimento, "Allegro - Fuga" dalla "Suite n.2 in Fa maggiore HWV 427", seconda delle otto Suites per clavicembalo scritte dal musicista più o meno tre secoli fa, ma capaci di parlarci ancora oggi con la loro gioia sorgiva.
Come mi è capitato di osservare in passato per altre composizioni,
trovo tuttavia che l'interpretazione al pianoforte sia più ricca di morbidezza.
Per questo ne ho scelto una che a me pare splendida e vede protagonista il tocco
lieve e misurato di Murray Perahia che ci consente di apprezzare ogni sfumatura del brano.
Bello individuare il progressivo ingresso delle quattro voci della fuga
e seguire poi il loro intreccio che, dall'iniziale semplicità, va ad articolarsi in modo sempre più complesso, un po' come accade in tutti i percorsi, a cominciare da quello scolastico. Ne deriva una musica ora vivace e squillante come il suono di una campanella, ora più sommessa e pacata, ma sempre percorsa da un'onda di fresca energia simile a quella che tutti ci auguriamo possa animare anche il mondo della scuola.

Buon ascolto!

(La foto, presa dal web, riproduce un bassorilievo romano del II sec. d.C. rinvenuto a Neumagen e raffigurante un maestro con i suoi scolari)

 

mercoledì 15 settembre 2021

In cerca di leggerezza - 9

A. Sisley: "Rive della Senna a Bougival" - 1876 - (coll. privata)


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Settembre - lo sappiamo bene - è un mese significativo per diversi aspetti.
Segna l'inizio della scuola e di un nuovo anno di lavoro anche in altri
settori, ed è momento di scelte e riorganizzazione di tante attività dopo la pausa estiva.
Lo contraddistingue un senso di attesa, il suo guardare al futuro.
Forse settembre cova proprio in sè - se così posso dire - la nostalgia del futuro, di
 ciò che ancora deve accadere ma già si prefigura nelle prospettive e nelle speranze, quasi una sorta di emblema della nostra vita spesso vaga e ansiosa di promesse. Mese delicato dunque, di un fascino che nasce anche dal suo progressivo digradare verso l'autunno e dal suo clima dolcemente indefinito, come sono talora i contorni del suo paesaggio.

"La Senna a Billancourt" (1877) - Philadelphia Museum of Art

Proprio per lo splendore dei panorami, quelle di settembre sono talora delicate immagini di leggerezza ed è proprio questa che oggi mi sembra di ritrovare nei quadri e nelle atmosfere sfumate di un pittore impressionista.

Me lo dicono le sue nuvole ora
 chiare e come portate dal vento, ora più cupe; il mutare di tinte della campagna dal verde al caldo dell'oro, e insieme il lieve scolorare di acque e cieli dal celeste al grigio.
Non so se i dipinti che vedete facciano tutti riferimento all'inizio dell'autunno,
ma mi piace immaginarlo lasciando che a suggerirmelo siano gli impasti di colore così cangianti de "La Senna a Billancourt" o le acque in cui si specchia un cielo più spento nel quadro intitolato "Rive della Senna a Port Marly".

"La barca nell'inondazione a Port Marly" - Parigi, Museo d'Orsay

Si tratta di alcune opere di Alfred Sisley (1839 - 1899), nato a Parigi ma di origine inglese e per alcuni aspetti legato alla tradizione pittorica d'oltre Manica.
È certo la lezione di Monet
e di altri impressionisti che l'artista ha fatto sua e tradotto in tanti dei suoi numerosissimi quadri. Ma alcuni paesaggi come quello della foto in alto - "Rive della Senna a Bougival" - ci riconducono anche al nitore di tanta pittura inglese che Sisley aveva potuto vedere appena diciottenne, nel suo soggiorno a Londra. Così pure, le frequenti rappresentazioni di nuvole non possono non richiamare per certi aspetti quelle dipinte da artisti come Constable e Turner.

"Rive della Senna a Port Marly" - 1875  -  (coll. privata)

Sono state appunto le nuvole ad affascinarmi con la loro leggerezza, sia pure così diversa da dipinto a dipinto. In alcuni più chiare e ariose o aperte a sprazzi di azzurro che illuminano la campagna dorata, in altri più malinconiche e soffuse di un grigiore che si riverbera sul fiume e sul panorama circostante.

Osservando le immagini, si vorrebbe essere all'interno di tali paesaggi per respirarne l'atmosfera: perdersi tra i dettagli de "La Senna a Billancourt", tra i battelli lontani nella profonda ansa del fiume, o contemplare dalla riva folta di vegetazione quel cielo così affascinante, arioso e fosco a un tempo. O ancora indugiare in mezzo alla do!cezza della campagna autunnale come le due figure del dipinto che vedete in alto.

Sono immagini che, con i loro delicati impasti di tinte, appagano non solo gli occhi ma anche il cuore regalandoci, sia pure ancora vaga, la percezione del futuro. E penso sia stato così anche per lo stesso Sisley dato che, nella sua vasta produzione, ha riprodotto più volte gli stessi paesi, le stesse rive della Senna, gli stessi angoli di campagna, cogliendone - come farà poi Monet con la serie delle Cattedrali di Rouen - il fascino delle varie stagioni o delle diverse ore della giornata.
Qui sono cieli ed acque i protagonisti, dall'inondazione al placido scorrere del
fiume. E la varietà di sfumature con cui l'artista ha rappresentato la natura cogliendone lo splendore a volte con tocchi larghi e veloci, altrove con pennellate più sottili e definite, mi pare possa somigliare alla variabilità del clima settembrino, che alterna squarci di azzurro a più pacati riverberi di luce.

E per passare alla musica, torno a Edvard Grieg (1843 - 1907), questa volta al secondo libro dei "Pezzi lirici" per pianoforte, con l' "Elegia" op.38 n.6.
Sia il titolo che l'indicazione agogica - "Allegretto semplice" - ci parlano di una
composizione dai tratti leggeri, pervasa qua e là da dolce malinconia.
Il brano, in effetti, si dipana all'inizio in tono minore ma, insieme al clima nostalgico, si
apre ben presto alla luminosità di una melodia cantabile, giocata - come si legge dallo spartito - prima sulla mano sinistra che sulla destra.
Un'aria ora delicata, ora un poco più impetuosa che, in certi passaggi, può ricordare
Chopin e dove le varie dissonanze ci regalano quel senso di indeterminatezza che - con altrettanta leggiadrìa - troviamo anche nei dipinti di Sisley.

Buon ascolto!

(Tutte le immagini sono prese dal web)

 

mercoledì 8 settembre 2021

Piccoli grandi talenti

Mi piace riprendere l'appuntamento settimanale col mio blog riservando oggi una particolare attenzione ai bambini musicisti. E sono grata all'amica Maria Grazia che - nell'ambito di una delle nostre conversazioni d'altura fra montagne e prati verdeggianti - me lo ha suggerito.

Quando parlo di bambini musicisti, mi riferisco a quei piccoli grandi talenti che destano sempre meraviglia per la loro capacità di percepire lo splendore della musica e di restituircelo con un' abilità tecnica spesso stupefacente in rapporto alla loro giovanissima età.
Certamente, è un dono di natura la facilità con cui essi suonano uno strumento
come lo avessero fatto da sempre, dimostrando non solo sorprendente familiarità con i tasti di un pianoforte, le corde di un violino o nella lettura di uno spartito, ma anche straordinarie doti nel memorizzare testi lunghi e complessi. E non mi riferisco soltanto ai piccoli geni come Mozart con le sue precocissime attitudini nello scrivere musica e capace - appena quattordicenne - di ricordare il "Miserere" di Allegri dopo averlo sentito una volta sola. Al di là dei grandi compositori, ho in mente infatti tutti quei bambini che, con notevole abilità e velocità di apprendimento, sono diventati in breve tempo ottimi esecutori se non addirittura veri interpreti.

Tuttavia, le doti naturali non bastano se non sono adeguatamente coltivate nel tempo e il lavoro che consente di arrivare a certi livelli è sempre perseverante e talora molto duro. Per questo, mi fanno anche un po' tenerezza i bimbini che vedo su youtube, qualche volta italiani, ma più spesso russi, cinesi, coreani e giapponesi che, avviati precocemente allo studio di uno strumento, divengono ben presto capaci di padroneggiarlo.
Numerosi provengono appunto dall' Estremo Oriente e spesso hanno
raggiunto considerevoli risultati grazie a una disciplina ferrea, seppure dai risvolti talora un po' inquietanti. Chi avesse letto l'autobiografia nella quale il celebre Lang Lang ripercorre le fasi della propria infanzia di pianista prodigio - "La mia storia" ed.Feltrinelli (2009) - sa a quale assoluto, schiacciante rigore erano sottoposti questi piccoli sia da parte della scuola ma spesso anche della famiglia.

Certo, i risultati poi ci sono, e un tale rigore riesce a far emergere e sviluppare doti magari impensate. Tuttavia, mi chiedo a volte quale sottile equilibrio un insegnante debba possedere per stimolare le doti degli allievi con giusta severità, senza però spegnere in essi la fiamma dell'amore e il piacere di far musica. Un equilibrio che spesso corre sul filo e si avvale di quella magica alchimia di sentimenti che nasce talora nel rapporto tra allievo e maestro.

Detto questo, oggi vi presento una bimbina prodigio che certo già conoscerete per la fama che gliene è derivata nel tempo visto che oggi ha già 26 anni. Ma nella clip video che vi propongo ne aveva solamente 9.
Si tratta di Aimi Kobayashi, pianista giapponese classe 1995, che interpreta il "Concerto per
pianoforte e orchestra in Re maggiore n.26 K.537" di Mozart, conosciuto anche come "Concerto dell'Incoronazione".
Lo stralcio in video dell' "Allegro" iniziale - peraltro incompleto
perchè privo dei primi 4 minuti - è tuttavia l'unica preziosa testimonianza che youtube ci offre del debutto della pianista nel 2004, accompagnata dalla Kyushu Symphony Orchestra. Per chi invece volesse ascoltarla nell'esecuzione dell'intero concerto, vi rimando alla registrazione del 2006 che potete trovare qui.

Ha solo nove anni dunque la piccola Aimi, ma - ce ne accorgiamo subito! - padroneggia con incantevole disinvoltura il pianoforte, l'orchestra e il testo mozartiano che non conosce soltanto a memoria, ma sembra aver già interiorizzato come ogni musicista di provata esperienza sa fare.
Le sue manine sui tasti ci regalano un'interpretazione fatta di precisione e di una grande
energia, capace tuttavia di ammorbidirsi per sottolineare le varie dinamiche del brano, il piano e il forte insieme al fascino di questa musica così ricca di leggerezza e di splendide invenzioni tematiche. Nella perfetta misura delle note mozartiane la piccola pianista riesce infatti a coniugare forza e delicatezza, impeto e luminosità, fino alla cadenza finale eseguita con mirabile padronanza.

Il gusto che prova nel suonare traspare poi anche dai movimenti del suo corpo. Lo cogliamo dalla sua espressione totalmente compresa nel vivere la musica, ma soprattutto dal gesto della mano sinistra che ogni tanto si solleva dalla tastiera come a rimarcare la bellezza di ciò che la destra suona e quasi ad esprimere più compiutamente il ritmo di quel Mozart che - lo si vede - le canta nell'anima. Piena coordinazione anche con l'orchestra della quale conosce con sicurezza tempi e attacchi.
Ma la cosa per me ancora più toccante - e per favore, guardate il video fino in fondo! - è
l'espressione della piccola interprete al termine del brano quando, dall'estrema concentrazione, passa finalmente al sorriso. Un delizioso sorriso di bimba dalla psicologia intatta, o almeno in apparenza lontana da ansie e patemi d'animo, che si guarda intorno - beata lei! - tranquilla e gioiosa come se avesse semplicemente giocato.

Buona visione e buon ascolto!

(La foto nel riquadro è presa dal web)