lunedì 27 febbraio 2023

Ritrovarsi fra le note

Sono infinite le suggestioni che la musica ci offre, ora portandoci fuori di noi, ora invece inabissandoci nelle onde più o meno alte e tempestose delle nostre emozioni.
Ci consente infatti di attingere a quel
nucleo segreto in cui ritroviamo magicamente noi stessi e la nostra unità interiore, sperimentando talora gli effetti di una vera e propria musicoterapia, come spesso mi è capitato di osservare in passato.

Davvero le note hanno questo potere ? Certo! Ognuno di noi ne avrà provato tante volte l'efficacia e mi limito a ricordare soltanto lo splendido Adagio della Serenata K.361 "Gran partita" di Mozart che, per me, è uno degli esempi più luminosi a questo riguardo. Ma ciascuno di noi ha una sua sensibilità che lo rende più o meno ricettivo ad uno stile o ai caratteri di un compositore come pure alle fluttuazioni del momento.

Così, le fluttuazioni del momento oggi mi hanno portato a Franz Schubert (1797 - 1828) e a una deliziosa composizione della quale conoscevo solo il pacatissimo secondo movimento, mentre l'ultimo mi ha sorpreso per il clima del tutto differente improntato ora alla serenità giocosa di un ruscello, ora all'impeto tumultuoso di una cascata. La cosa non è certo una novità perchè, nella prassi compositiva di sonate e sinfonie perlomeno da Mozart in poi - ma se vogliamo andare indietro anche nelle suites barocche - i tempi finali sono spesso molto animati, veloci e vivacissimi. Ma questo di Schubert mi ha colpito anche per la sua particolare grazia.

Si tratta dell' Allegro conclusivo della "Sonata per pianoforte in La maggiore n.13, D 664". Il brano, costruito come composizione bitematica tripartita in un tempo di 6/8, si apre con una melodia di giocosa leggerezza, seguita da passaggi agitati e impetuosi che si collegano al secondo tema: un'aria cantabile prima scandita e danzante, poi più movimentata. Il tutto viene esposto due volte mentre nella terza il tono si fa decisamente più drammatico e concitato per riprendere poi, nella coda, la dolcezza iniziale.
La composizione, scritta da Schubert nel 1819, mi sembra fondere in mirabile
equilibrio l'armonia del classicismo con l'impeto romantico dello Sturm und Drang. Ci sento infatti il garbo, la delicatezza e la misura delle creazioni mozartiane, soprattutto dove la melodia va in minore, ma anche - passatemi l'espressione - il piglio imperioso di Beethoven nei momenti in cui l'andamento si fa drammatico, irruento e ricco di sonorità quasi orchestrali. Il tutto fuso ed elaborato in splendida sintesi dal genio schubertiano.

Entrare in queste note è un meraviglioso perdersi e ritrovarsi nel loro andirivieni, mentre ogni volta mi evocano una serie di luminose immagini: bimbi che giocano saltando felici, fiori di campo a primavera, farfalle in volo in vortici di ariosa leggerezza. Una musica che esordisce spensierata a somiglianza di un rivo canoro, per poi farsi torrente impetuoso, e tornare di nuovo serena e danzante.
Un pezzo che mi piace ascoltare in questi nostri tempi tutt'altro che spensierati,
per ritrovare angoli di bellezza a cui dissetare il cuore.
A ciò contribuisce la mirabile interpretazione di Mitsuko Uchida che, col suo tocco,
sa conciliare forte e piano, velocità e sfumature più lente, energia e morbidezza, consentendoci di apprezzarne al meglio l'incanto.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

domenica 19 febbraio 2023

Le mie città - 2

A. Inganni: "Il Naviglio di via Vittoria col ponte di via Olocati"











 

Quante volte ho già detto che amo Milano? Tante probabilmente, perchè è una città che - benchè non ci abiti nè ci sia nata - nel tempo mi ha regalato il suo molteplice fascino, come molteplici sono i quartieri, gli ambiti delle sue attività e i suoi splendidi musei.
Ne ho visto modificarsi negli anni la fisionomia, da quando mia mamma mi ci
portava che ero ancora bambina fino ad ora, ma nel tempo vi ho anche coltivato interessi e amicizie che hanno approfondito il mio legame col suo mondo.
Oggi Milano è una fusione sempre più evidente di passato e contemporaneità: da opere d'arte di
assoluta bellezza a uno skyline ogni giorno più irto di avveneristici grattacieli; da botteghe storiche che ancora sopravvivono lottando con la crisi economica, fino al rumoreggiare di piazze e stazioni animate da una folla cosmopolita.
Ma c'è anche una dimensione più intima e discreta, signorile e appartata, dove la pietra
liberty di tanti palazzi si ammanta di spalliere di gelsomini: una città fatta di silenzi che scopriamo inoltrandoci in certe corti ombrose del centro storico o in periferia, dove alcuni angoli hanno ancora sapore di paese.

È la Milano che porto nel cuore per averla girata a piedi tante volte negli anni universitari, quando la movida non esisteva, corso Como confinava con la campagna e i Navigli nelle sere invernali erano solo nebbia e solitudine. 

Una Milano d'altri tempi che sopravvive in alcune strade e alcuni scorci, come d'altri tempi sono le immagini di quei pittori dell'Ottocento o del primo Novecento che ci restituiscono la pacata bellezza di una città d'acque, quando la cerchia dei Navigli intorno al centro storico era scoperta.
Sono artisti come Angelo Inganni, Giovanni
Migliara, Emilio Gola, Mosè Bianchi, Arturo Ferrari e Giovanni Segantini - solo per citarne alcuni - i cui dipinti testimoniano un'attenzione al quotidiano e un respiro di intimità nel quale mi piace immergermi. Per questo, ho scelto qui opere di un passato che - per quanto cronologicamente non mi appartenga - trovo interessante perchè mi consente di scoprire, nelle immagini di ieri, angoli ed edifici che ancora oggi sono parte significativa del tessuto urbano.

È di Angelo Inganni (1807 - 1880) il dipinto intitolato "Il Naviglio di via Vittoria col ponte di via Olocati", conservato in una collezione privata. Si tratta di una delle tante vedute realistiche della città che il pittore riproporrà anche in versioni di poco differenti. Il Naviglio è il centro di attrattiva del quadro, ma è soprattutto la neve a donare fascino e intimità al panorama, velandolo di un'atmosfera particolare e di una lieve foschia che si addensa sullo sfondo.

La prospettiva si apre verso di noi come se potessimo navigare sopra uno dei barconi in primo piano, e mentre la casa di ringhiera a sinistra ci riporta quasi in campagna o in un ambiente popolare, a destra la lunga schiera di edifici di diversa altezza rende meglio l'idea di un contesto cittadino.
Ma sono le tante figurette rappresentate - i barcaioli, la donna col bimbo che attende
sulla riva, quella sul ballatoio e i passanti - insieme ad altri dettagli che, a mio avviso, collocano il pittore nella fase di passaggio da un vedutismo urbano attento all'esattezza della riproduzione, a uno stile che prelude invece alla pennellata degli Impressionisti.

Sempre per ritrovare nella città di ieri quartieri ed edifici che sopravvivono ancora oggi, tra le tante opere dei vari artisti, mi piace riportarne tre, conservate tutte presso le Civiche Raccolte Storiche del Comune di Milano.

A. Inganni: "Veduta del Naviglio di San Marco"   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ancora Angelo Inganni è l'autore del quadro intitolato "Veduta del Naviglio di San Marco". Qui l'opera, molto pacata e ariosa, riproduce lo scorrere del Naviglio in una zona più signorile, come notiamo dagli edifici, dalla bella fiancata della chiesa di San Marco con le absidi delle cappelle laterali e da altri eleganti dettagli descrittivi. Un panorama riposante nel quale è piacevole inoltrarsi in un'atmosfera di tranquillità a misura d'uomo.

A. Ferrari : "Il laghetto dell'Ospedale"


 

 

 

 

 

 

 

 

 


Di Arturo Ferrari (1861 - 1932) è invece "Il laghetto dell'Ospedale" detto anche "Laghetto di Santo Stefano".
Qui siamo molto vicini al centro della città. Ce lo dicono due elementi dello sfondo: la
guglia del Duomo sulla quale ingrandendo la foto si vede la Madonnina, e un campanile - probabilmente proprio quello della chiesa di Santo Stefano - mentre l'ospedale cui si riferisce il titolo del quadro è certo la Ca' Granda, oggi sede dell'Università Statale. Il laghetto rappresentato, risalente al XIV secolo, era stato già interrato a metà dell'Ottocento e Arturo Ferrari, intorno al 1905, ne fa una ricostruzione sulla base dei documenti e della sua fantasia pittorica.

Nonostante siamo nel centro storico, l'ambiente è popolare come suggerisce la casa di ringhiera coi panni stesi, mentre sul piano tecnico, dalla pennellata luminosa e dalla resa dell'acqua ci rendiamo conto che la lezione degli Impressionisti è già stata assimilata.

A. Ferrari: "Il Verziere".
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Concludo ancora con un quadro di Arturo Ferrari : "Il Verziere".
Anche se non rappresenta i Navigli ma la piazza del mercato - in milanese el verzée -
il dipinto mi è ugualmente caro. Proprio nelle vicinanze di questo quartiere infatti, avevano abitato per qualche tempo i miei genitori appena sposati. E mi tornano in mente i tanti racconti di mia mamma che, da siciliana verace, aveva dovuto familiarizzarsi col dialetto milanese non senza qualche difficoltà iniziale che ricordava con un sorriso.

E a questa mia Milano, come non dedicare un brano di Giuseppe Verdi (1813 - 1901) che, nonostante alcuni contrasti, con la città ha avuto un rapporto privilegiato e che proprio a Milano si è spento ed è sepolto?
Ho scelto allora il "Preludio" del I atto della "Traviata", pezzo famosissimo e struggente come
pure quello del III atto al quale lo accomuna il primo tema. Ma mentre l'atmosfera musicale dell' Ouverture del III atto è costantemente pervasa da grande tristezza, qui alla malinconia dell'esordio segue il motivo sereno e appassionato dell'aria "Amami, Alfredo". 

Indubbiamente, con le opere di Verdi e col Teatro alla Scala Milano è diventata anche città della musica, tuttavia ho preferito un video non girato sul quel palcoscenico più che mai celebre, ma presso l'Auditorium, durante una fase di registrazione del brano da parte della Filarmonica scaligera diretta da Riccardo Chailly.
L' evento non ufficiale, come si nota dall'abbigliamento dei musicisti, mi
comunica infatti quel senso di quotidiana laboriosità che è una delle doti tradizionalmente attribuite a Milano e per certi aspetti mi piace ancora di più.

Buon ascolto!

 

sabato 11 febbraio 2023

L' aria del mattino

Bella giornata oggi, cielo azzurro, sole pieno, ma aria più che mai frizzante. E forse sarà stato perchè, dopo una mattinata fuori casa, sono rientrata intirizzita che all'improvviso, mentre ero ai fornelli, mi è balenato un ricordo.

Sono convinta che i lavori di casa favoriscano i pensieri, perlomeno alcuni. Sono i mestieri che si fanno mettendo - diciamo così - il pilota automatico e intanto la mente va per conto suo.
Ci sono giorni in cui mentre sto cucinando mi
trovo con la testa nel mio paesetto di montagna, altri in cui la fantasia se ne va libera a spasso e altri ancora in cui mi consegna antichi ricordi.

Credo che sia stata proprio la suggestione del freddo di oggi a riportarmi alla mente le mattine in cui, da studentessa universitaria, prendevo il treno per andare a Milano. Mi alzavo alle sei, ma per quanto presto fosse, erano sempre momenti concitati. In casa eravamo in quattro: io, i miei genitori e una zia che mi adorava...ma avevamo un bagno solo, ragion per cui, appena sveglia, il mio primo problema era dribblare la zia che, nonostante fosse di corporatura pesante, diventava agile come una libellula per precedermi di un soffio.
Se intravvedevo l'ombra bianca della sua camicia da notte che si chiudeva in bagno,
ero perduta. Invano mia mamma le bussava dicendo che la bambina doveva prendere il treno - la bambina, sì...a vent'anni! - ma non c'erano santi. A dire il vero, treni non ne ho mai persi, ma mi riducevo spesso all'ultimo minuto, inseguita dal ritornello dei miei: "Vai, che fai tardi!"

Una volta guadagnato il bagno e sistemata, facevo colazione con mia mamma cercando di eludere i suoi tentativi di infilarmi in tasca a tradimento un panino. Poi iniziava la parte più concitata delle operazioni: raccattavo libri, cartella, borsa, intanto che le dicevo "Guarda fuori se piove!", mentre lei gridava a mia zia - che era un po' dura d'orecchio - che chiamasse l'ascensore, altrimenti dovevo scaraventarmi giù per cinque piani di scale e ci voleva il suo tempo.
Poi, per quanto fossi di fretta, intimava: "Vai a salutare il papà!", il quale papà
dormiva ancora placidamente ma, pur nella nebbia dell'improvviso risveglio, quasi avesse dentro una registrazione automatica riusciva a dirmi in tono accorato: "Sbrigati, che perdi il treno!..."

Da ultimo, mentre mi fiondavo in ascensore, si passava alla modalità raccomandazioni. Mia mamma, con logica ineccepibile, mi diceva di non correre. Ma certo, come no??? A mia zia spettavano invece i consigli di tipo meteorologico che giustamente variavano secondo la stagione. Se faceva caldo: "Non sudare e non stare al sole!"; ma soprattutto se era inverno, le raccomandazioni si moltiplicavano: "Non prendere freddo, mettiti la sciarpa davanti alla bocca, non respirare!"
NON  RESPIRARE !...Giuro che una volta l'ha detto davvero, anche se si era subito
bloccata, forse consapevole dell'assurdità di quello che le era uscito!
Insomma, non so se fosse più affetto che si traduceva in incubo o incubo che
diventava affetto! So che era un miscuglio inscindibile di gesti, attenzioni, ordini e sentimenti che oggi ricordo con gratitudine e sorriso perchè anche il fermento di quei piccoli scorci di quotidianità, segnati dalla partecipazione corale dei miei familiari, esprimeva la sostanza del loro amore.

Così uscivo a precipizio nell'aria del mattino ma, appena fuori, veniva a prendermi Bach - sì sì...che andate a pensare? Proprio lui, Giovanni Sebastiano! - e insieme correvamo leggeri verso la stazione, canticchiando a mezza voce l'Allegro di un Brandeburghese o una sarabanda. Poi sul treno lo scenario cambiava e la giornata si dipanava su altri sentieri.

Più o meno è questa la cronaca di tante mattine dei miei anni universitari, un ricordo al quale oggi mi piace associare un brano di leggerezza gioiosa e giocosa, simile a quella di una ragazza in corsa verso la stazione con in cuore la musica che ama.
Si tratta della celeberrima "Badinerie" che conclude la "Suite n.2 in si minore per
flauto e orchestra BWV 1067" di Johann Sebastian Bach, pezzo brevissimo ma vivace e concitato anche per l'incalzante ritmo di 2/4. Qui protagonista è il flauto che si produce in una serie di virtuosismi che sembrano imitare un saltellante e funambolico passo di danza, e in effetti la badinerie era un pezzo in voga proprio nei balletti del XVIII secolo.

Ho scelto l'esecuzione di Emmanuel Pahud perchè - nonostante non mi
entusiasmino i suoi numerosi glissati - mi piace per la perfetta coesione con l'orchestra e il ritmo veloce, ma non esagerato, che ci consente di apprezzare al meglio l'ariosa e frizzante energia di questo brano.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

sabato 4 febbraio 2023

Fascino catalizzante

Ci sono per tutti - o così almeno credo - giornate che, senza un motivo apparente o per qualche strana congiunzione astrale (...Saturno contro?), partono male come un meccanismo che, appena avviato, misteriosamente s'inceppa.
Hai dormito bene, la mattina si annunzia serena, ti appresti a sbrigare le tue solite incombenze ma - non si sa perchè - qualcosa non gira, una sorta di sotterraneo scontento a cui non sai dare un nome ti pervade. Talora è la sensazione che tanti sforzi per cambiare le cose intorno a noi siano vani, in altri momenti è un grumo di desideri inespressi che non trova un varco per uscire tanto che, a volte, basta 
un'inezia per guastare quella che credevamo una giornata serena.
Allora è più che mai importante mettere in campo delle risorse, e se non basta
una lettura corroborante, un buon caffè o magari una camminata all'aria aperta per partire col piede giusto, un valido aiuto ci viene certo dalla musica.

"Bach?..." mi chiederete, memori di quanto vi ho confidato una volta dicendo che, ai tempi dell'università, appena uscivo di casa mi partiva dentro un brano del compositore, Brandeburghesi in primis?
Certo, Bach! Ma se pure toccate, fughe e concerti hanno un'energia a dir poco resurrezionale, col
tempo tanti altri autori si sono aggiunti, capaci di restituire vivacità al mio passo in caso di bisogno. Tuttavia, spesso non si tratta solo di dare ritmo a un corpo magari un po' arrugginito, ma di risollevare il cuore e allora, perchè una melodia - movimentata o meno - abbia effetto su di noi, bisogna prima di tutto innamorarsene.

Così oggi arrivo a Richard Wagner (1813 - 1883) e al brano che, nei giorni scorsi, mi ha irrimediabilmente preso col suo fascino catalizzante.
Anche se del compositore qui finora ho pubblicato solo un pezzo e spesso nel tempo le
mie scelte si sono rivolte altrove, la mia passione per lui è di vecchia data tanto che, quando casualmente ho ascoltato il brano di oggi, mi sono accorta di conoscerlo già. In realtà, è probabile che l'abbia sentito su Rai 5, senza però farci troppo caso. Invece, mi è rimasto dentro e, quando l'ho ritrovato su youtube, è stato proprio come incontrare una vecchia conoscenza.

Si tratta della splendida "Ouverture" del "Rienzi", una delle prime opere scritte con successo dal compositore intorno al 1840, che vi narra in note la vicenda storica di Cola di Rienzo. Il brano ha un'orchestrazione grandiosa e brillante, molto varia nel suo andamento ora piano, ora maestoso e militaresco, a volte a mio avviso un tantino eccessivo per la massiccia presenza degli ottoni e delle percussioni, tuttavia ricco di un ritmo travolgente.
È stato il primo tema a prendermi, dopo la cupa introduzione annunziata da
squilli di tromba: un tema preparato sapientemente dall'orchestra - fate caso agli accordi che lo precedono! - e che si dipana poi con trascinante e appassionata dolcezza. Bellissimo l'iniziale salto di sesta maggiore ascendente - dal re al si - e di seguito la morbida discesa nella scala cromatica.
Sentirete che, nel corso del pezzo, la melodia ritorna più volte: prima declinata in tono
romantico, poi decisamente marziale, mentre qua e là fa capolino più giocosa e danzante. Ma Wagner la riprenderà anche nel quinto atto dell'opera, nel tema della preghiera del protagonista.

Un plauso alla direzione di Philippe Jordan che - dopo quella di Georg Solti - mi è parsa la migliore. Nei passaggi salienti infatti, conferisce al brano il giusto ritmo, mentre l'orchestra giovanile - la "Gustav Mahler Jugendorchester" - risulta molto ben coesa.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)