venerdì 25 marzo 2022

"Vergine Madre..."

Giovanni di Paolo : "Annunciazione"


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bella la coincidenza che, dallo scorso anno, ha istituito il "Dantedì" proprio il 25 marzo, giorno in cui si celebra anche la festa dell'Annunciazione.
Così, oggi mi piace riportare qui un'immagine tratta dalle miniature della "Divina
Commedia" conservate nel "Manoscritto Yates Thompson 36" presso la British Library di Londra e realizzate da Giovanni di Paolo (1398ca. - 1482).
L'artista, esponente della scuola pittorica senese e vicino agli influssi
del Gotico internazionale, nell'ultima parte della sua vita si è dedicato alla miniatura della "Divina Commedia" e in particolare del "Paradiso", inserendosi tra i primi nella serie degli illustratori del testo che - nel tempo - conta autori che vanno da Botticelli a Doré, da William Blake fino ai fumetti.

Tra i tanti episodi rappresentati, ho scelto questa immagine nella quale Giovanni di Paolo accosta la figura di Dante proprio all'Annunciazione.
Ci troviamo nell'ultima parte del viaggio dantesco: il Poeta,
accompagnato da Beatrice, giunge nell' Empireo, il più alto dei cieli, sede di Dio, dei cori angelici e della candida rosa, luogo in cui sono le anime purificate e simili a luce.
Qui, a fargli da guida è San Bernardo che gli spiega la disposizione dei vari beati, in cima ai quali risplende
la Vergine con l'arcangelo Gabriele che ne contempla la gloria.
Segue, nel canto XXXIII, la celebre preghiera che il Santo rivolge a Maria.
E mi sembra bello riportarla interamente, sia per le coincidenze cui accennavo sopra
 relative al 25 marzo, sia per la drammaticità del momento attuale che coinvolge ogni uomo in cerca di speranza e di salvezza, come Dante nel suo viaggio ultraterreno. Eccola:

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio, 

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.


Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate. 

Or questi, che da l'infima lacuna
de l'universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l'ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co' prieghi tuoi,
sì che 'l sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!».

(Paradiso, canto XXXIII, vv. 1 - 39)

Come commento musicale, ripropongo un brano pubblicato otto anni fa, ma che trovo sempre affascinante: l' "Et incarnatus est" dal "Credo" della "Messa n.6 in Mi bemolle maggiore D.950" di Franz Schubert (1797 - 1828).
Come osservavo in passato, si tratta di un Andante pastorale in 12/8,
un tempo composto che conferisce al pezzo un lieve ritmo di danza, inframmezzato però dal "Crucifixus" affidato al coro, dove l'atmosfera si fa tragica e cupa.
Il pezzo è a tre voci, ma mentre il primo e il secondo tenore si alternano nella
parte iniziale, il soprano, intervenendo e intrecciandosi agli altri due solisti dopo la drammatica parentesi corale, ci restituisce una soavità rasserenante e una dolcezza che apre alla speranza.

Ho trovato stavolta una clip video che riporta lo spartito musicale e mi sembra
possa essere interessante per quanti sanno leggere la musica.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)


venerdì 18 marzo 2022

Stanze - 3

C.V. Holsøe : "Bambini in un interno" 

















 

Quando un'abitazione diventa casa? Quando i suoi spazi, da luoghi estranei ed anonimi, divengono familiari e nostri tanto che vi possiamo sostare con agio e tranquillità come in una tana sicura ?
Sono molteplici i fattori che contribuiscono a rendere domestiche le stanze di una
dimora, ma fondamentale è la loro capacità di riflettere una parte di noi stessi nella quale ci riconosciamo, ritrovandoci attraverso i colori, la luce, l'atmosfera, gli arredi e altri particolari che appartengono alla sfera della nostra storia e della memoria. Se è vero infatti che gli oggetti, pur essendo inanimati, assorbono una parte della nostra esistenza, è altrettanto vero che essi ce la restituiscono poi in dettagli e angolature che evocano le mille vite che ci portiamo dentro, insieme al calore delle persone che ci hanno accolto.

Ricordo - e torno indietro di una trentina d'anni - il momento in cui sono venuta a stare nell'appartamento in cui abito ancora oggi. L' avevamo preso dopo una ricerca affannosa e trovarlo ci era parso un colpo di fortuna, ma a me che ero affezionata alla vecchia casa con giardino che lasciavamo, il nuovo alloggio - per quanto grande e arioso - non piaceva e avevo accettato solo per necessità.

Alla sera dell'estenuante giornata di trasloco, mentre ancora un po' accampati sedevamo al tavolo del tinello, era salita dal piano di sotto la nostra vicina a portare un pentolino di brodo caldo, un ottimo brodo che ci aveva ristorato dalle fatiche e insieme dal freddo - era febbraio - per il continuo andirivieni tra fuori e dentro.
Era stato allora - mentre da dove ero
seduta vedevo uno scorcio di anticamera col tavolino per il telefono e gli scaffali coi libri - che qualcosa dentro di me si è riconciliato con quelle stanze e la casa è diventata mia.
Era come se il gesto garbato della vicina mi
avesse pacificato interiormente rendendo bella e familiare l'angolatura da cui mi guardavo intorno e i vari ambienti avessero cominciato a mostrare una fisionomia meno anonima.
Per merito suo, io e la casa ci stavamo
addomesticando e, quando sentiamo nostro uno spazio, qualunque suo angolo diventa accogliente perché anche un semplice scorcio può parlarci.

Questo ricordo mi è tornato alla mente giorni fa quando, facendo passare le opere di un pittore che amo e del quale mi sono occupata più volte, ho trovato il dipinto che vedete.

Si tratta di "Bambini in un interno" del danese Carl Vilhelm Holsøe (1863 - 1935), raffinato artista che ha spesso rappresentato l'atmosfera tranquilla delle stanze della propria casa in quadri sempre ricchi di delicatezza ed eleganza.
Questo dipinto, probabilmente conservato in una collezione privata, ci presenta due
piccoli seduti in cima ad una rampa di scale, nel mezzo di un pianerottolo. Tuttavia non sembrano essere fuori dall'abitazione, ma solo in un passaggio interno che collega due piani della stessa casa.
È stato proprio lo scorcio prospettico al centro del quadro a parlarmi, uno scorcio che delinea
tre spazi diversi: la stanza dalla quale guardiamo, il pianerottolo, e sullo sfondo la scala che sale lasciando il resto della alla nostra immaginazione. Nel mezzo, i due bimbi che parlano tranquilli o forse leggono assorti o disegnano o giocano, lavorando di fantasia come solo i bambini sanno fare, dotati di quella capacità creativa che consente loro di trasformare un non-luogo come un semplice pianerottolo in un regno delle meraviglie. Allora non importa se le pareti sono spoglie e lo spazio è improvvisato, perché la fantasia sa colmare i vuoti.

Una rappresentazione fatta di garbo e di grazia: dalla delicatezza con cui Holsøe ha delineato la bimbetta nel suo vestitino a maniche corte e il bimbo con golfino rosso - unico tocco di vivacità dell'insieme - fino alla parete bianca che li illumina, mentre l'ambiente intorno è pervaso qua e là di penombra in calde sfumature di beige.
Poi una sedia, dei quadri e in alto piatti di
ceramica che hanno un che di antico, dando un tocco di eleganza alla semplicità dell'immagine.

E ancora mi soccorrono i ricordi. Ero bambina quando mia madre mi portava con sè in visita a un'amica che aveva una figlia mia coetanea e, mentre i grandi restavano in salotto, lei mi conduceva a giocare in una stanza in fondo alla casa. Era una vecchia casa del centro storico con una struttura ben diversa dagli appartamenti moderni: le stanze comunicavano l'una con l'altra e per arrivare in fondo dovevamo attraversare diverse camere da letto con mobili antichi e sopracoperte a fiori. Forse erano solo tre, ma a me parevano spazi interminabili e favolosi che mi erano rimasti impressi tanto da tornarmi qualche volta anche in sogno, come accade per le suggestioni della nostra infanzia.
La stanza in cui giocavamo inventando improbabili storie e dando vita agli oggetti
come fanno i bambini, non aveva una sua particolare fisionomia, forse era solo un ripostiglio, ma ai miei occhi si trasformava in un luogo affascinante e misterioso. E quando poi la famiglia della mia amica si è trasferita in un appartamento più moderno, mi è spiaciuto tanto non poter più tornare in quella casa per la quale ho provato una nostalgia che ancora dura.

Allora, per passare alla musica, ai due bimbetti del dipinto di Holsøe - e insieme alla bambina che sono stata e in parte sono ancora - dedico un brano di Felix Mendelssohn Bartholdy (1809 - 1847) tratto dalle "Romanze senza parole", raccolta di brevi pezzi di tono romantico, ispirati forse al musicista dalle composizioni della sorella Fanny.
Questo s'intitola "Frühlingslied” - Canto di primavera - op.62 n.6 e lo riconoscerete
subito per averlo già ascoltato chissà quante volte, magari in uno dei tanti arrangiamenti orchestrali di cui è stato oggetto.
Qui, tuttavia, ho preferito la versione originale per pianoforte che mi pare più intima e al
tempo stesso più adatta all'atmosfera del dipinto. La musica - un "Allegretto grazioso" ricco di arpeggi - si dipana infatti con luminosità in un andamento garbato e giocoso che può ricordare il mondo dell'infanzia.
E così pure la primavera, che Mendelssohn ha delineato in note, può accordarsi con quella della vita dei due piccoli che
Holsøe ha dipinto su di uno sfondo di luce.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

sabato 12 marzo 2022

Ritrovare lo stupore

Torno oggi - dopo un po' di tempo - a un compositore che amo da anni e che mi ha spesso accompagnato in alcuni momenti difficili, restituendomi sollievo ed energia, speranza e sorriso.
Ho già scritto altrove quanto le sue
note siano state per me simili a una pioggia primaverile che va a dissetare il terreno, e come certi brani abbiano saputo parlarmi entrando nella mia vita proprio al momento giusto.

Si tratta di Franz Joseph Haydn (1732 - 1809), esponente del Classicismo musicale, celebre sia per le sue numerosissime sinfonie - più di cento - che per concerti, sonate e quartetti di rara eleganza. Ma quelle che mi hanno segnato in modo davvero incisivo sono alcune sue opere di più ampio respiro. Mi riferisco alla "Mariazellermesse", ascoltata per la prima volta anni fa in una toccante esecuzione nel Duomo di Salisburgo, e ai due oratori intitolati "La Creazione" e "Le Stagioni" anch'essi legati a particolari periodi della mia vita.

E proprio perchè è un autore che ho frequentato in momenti non facili, lo ripropongo oggi, di fronte agli eventi sempre più devastanti della guerra tra Russia e Ucraina. Potrebbero essere tante le composizioni di Haydn adatte a una circostanza simile nelle quali la musica si fa condivisione del dolore e insieme invocazione di pace: da "Le ultime sette parole di Cristo in croce" alla "Missa in angustiis" o alla "Missa in tempore belli".
Tuttavia, preferisco fissare lo sguardo a un'altra sua opera che, insieme allo stupore di
fronte alla magnificenza di tanti aspetti della natura, ricostruisce l'immagine dell' essere umano nella sua bellezza originaria, quella bellezza oggi dimenticata e deturpata da inconcepibile violenza.

Si tratta dell'oratorio per soli, coro e orchestra intitolato "La Creazione" (Hob. XXI. 2) che citavo sopra, composto da Haydn su libretto di Gottfried van Swieten che traduce in tedesco un precedente testo inglese. Vi si descrive appunto la creazione del mondo in sette giorni, facendo riferimento al racconto biblico della Genesi, ad alcuni Salmi e al Paradiso perduto di Milton. 

È una composizione grandiosa della quale mi sono innamorata pian piano, a cominciare dalla suggestiva introduzione nella quale dal caos affiora la luce, mentre le note del compositore, in taluni passaggi, superano i canoni del Classicismo anticipando una più moderna sensibilità.
Ma mi hanno preso anche cori e duetti nei quali sembra che Haydn, con gioioso
afflato descrittivo, si sia divertito a rappresentare la nascita di astri, fiori, erbe, animali e infine gli esseri umani.

Ad essi è dedicata la terza sezione dell'oratorio, quella in cui Adamo ed Eva rivolgono a Dio un canto di lode e di gratitudine, in comunione tra loro e con tutti gli elementi della natura. Proprio di questo duetto oggi propongo all'ascolto il brano iniziale: "Von deiner Güt ". Qui, dopo il dolcissimo esordio dell'oboe, le voci dei due progenitori si alternano e poi s'intrecciano, mentre il coro interviene a tratti sommessamente con indicibile soavità.
Superlativa mi pare l'interpretazione dei Berliner Philarmoniker diretti da Karajan,
sia per l'andamento più lento e disteso rispetto ad altre esecuzioni, sia perchè - anche nel tempo di 4/4 - non tralascia di sottolineare il ritmo delle terzine conferendo al brano un lievissimo incedere di danza. E mi viene in mente la soavità di certe arie da "Le nozze di Figaro", che Mozart aveva scritto una decina di anni prima e che certo Haydn ben conosceva.

Note e parole che ci offrono suggestioni di paradiso terrestre prima che gli esseri umani fossero toccati dal male, suscitando immagini di una purezza e una felicità primigenia che ancora possono aiutare l'uomo a ritrovare lo stupore della propria dimensione creaturale.

Ecco il testo del brano:

"Della Tua bontà, o Signore e Dio,
sono pieni il cielo e la terra.
La terra così grande, così meravigliosa,
è opera delle Tue mani."

"Sia benedetta la potenza di Dio!
Sia lode a Lui in eterno!"

Buon ascolto! 

(Nella foto, presa dal web, mosaico del Duomo di Monreale che rappresenta "La creazione degli astri")


sabato 5 marzo 2022

"Otche Nas"

P. Picasso : "Guernica" . Madrid, Museo national Centro de Arte Reina Sofia

 

Di fronte a una guerra sempre più gravida di minacce e di orrori, si può essere indotti a pensare che ogni parola che non si traduca in vibrante grido di protesta o in concreto aiuto alle vittime suoni stonata o inutile.
Troppo facile parlare - come peraltro sto facendo io - dalla sicurezza della propria
vita e nella tranquillità delle proprie giornate!
Mi vengono in mente, infatti, i versi iniziali della poesia con la quale Primo Levi
apre il suo libro più famoso:

"Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no..."

E l'elenco potrebbe continuare ricordando quanti oggi vedono la propria esistenza sconvolta dalla guerra.
Così, lascio che a parlare siano le note, nella convinzione che a salvare il mondo
sarà la Bellezza, coniugata in tutte le forme d'arte e in una cultura che - se davvero è tale - coltiva, alimenta, arricchisce e affratella. E la musica, dal canto suo, non conosce confini geopolitici, perchè parla il linguaggio libero e universale del cuore.
Il brano che ho scelto è il Padre Nostro di Nicolai
Rimsky-Korsakov (1844 - 1908) : "Otche Nas" op.22 n.7, un sublime canto corale che - come quello ancor più celebre di Kedrov che potete ritrovare qui - ha la struggente intensità degli inni ortodossi, aperti a profondi accenti di fede e di speranza.

Buon ascolto!