lunedì 29 aprile 2024

Danzando con Bach

Che cosa ci viene in mente di primo acchito pensando a Bach?
Quali suoni e suggestioni il suo nome ci
suggerisce? Che tipo di musica rappresenta nell'immaginario collettivo e a quali strumenti istintivamente lo colleghiamo?

Da parecchio tempo ormai la prospettiva si è allargata, ma per lunghi anni il compositore è stato associato soprattutto alla solennità della musica sacra e all'organo da chiesa, certo per merito della celeberrima "Toccata e fuga in re minore", delle "Passioni", delle innumerevoli "Cantate" e altro ancora.
Un genio identificato col contrappunto, con la fuga, con un'atmosfera musicale severa e, sicuramente,
Bach è questo. Ma ciò non significa che sia soltanto questo e che, nelle molteplici dimensioni dell'esistenza e della nostra interiorità che il compositore con le sue note ha scandagliato, non esista anche ciò che rende la vita piacevole, sorridente e oserei dire danzante.

Vi è mai capitato di ascoltare un pezzo di Bach e immaginarlo danzato? Figurandovi magari una coreografia tutta vostra?
A me capita di frequente.

Del resto, se esiste una musica versatile è proprio quella bachiana e oggi accade spesso che svariati interpreti prendano spunto dai brani del compositore per trarne ulteriore fascino con la loro inventiva.
Troviamo così pezzi rielaborati per chitarra elettrica o per marimba - solo per fare qualche esempio - ma anche splendidamente danzati.
Se infatti i mitici Swingle Singers negli anni Sessanta hanno iniziato a cantare Bach
a tempo di jazz esaltandone le potenzialità ritmiche, vari altri gruppi ma anche singoli artisti - dai Flying Steps a Roberto Bolle solo per citarne alcuni - sono poi andati ben oltre, ballando sui pezzi del compositore con originali coreografie. Si è passati così dalla classica fino alla breakdance sulle note del Clavicembalo ben temperato, delle Variazioni Goldberg, dell'Arte della Fuga o di alcuni Concerti dando vita a modernissime interpretazioni.

E perchè dico tutto questo? Per introdurre il brano di oggi che è una Giga: antica danza popolare di origine britannica, dal tempo ternario e dal ritmo inconfondibile che Bach inserisce verso la fine delle sue varie Partite e Suites. Non l'unica però, perchè pezzi dal nome di Sarabanda, Allemanda, Corrente, Bourrée, Loure, Minuetto, Gavotta, Siciliana, Ciaccona, Passacaglia che troviamo nelle sue composizioni, indicano a loro volta altre danze, compresa la celebre Badinerie per flauto della Suite Orchestrale BWV 1067.

Ma torniamo alla Giga che ho scelto, movimento conclusivo della "Partita n.3 in Mi maggiore per violino solo BWV 1006".
Il brano ha un ritmo decisamente brioso, fatto di rigore e insieme di piacevolezza. Ma il suo vero fascino - a mio modesto
avviso - sta nella sottolineatura del tempo di 6/8 che risulta ben scandito dagli accenti. Per questo, ve lo propongo in due diverse interpretazioni che ne fanno affiorare aspetti differenti, ma in entrambi i casi molto pregevoli. 

La prima è di Hilary Hahn che, col suo piglio equilibrato, veloce sì ma non troppo, ci consente di apprezzare l'andamento danzante del pezzo insieme allo splendore della melodia. E lo stesso discorso vale per le numerose progressioni evidenti in diversi passaggi del brano.
La seconda è di Augustin Hadelich che, con un' esecuzione di poco più
breve della precedente, ci regala però una più viva percezione di velocità e di leggerezza. Delicato e quasi giocoso l'esordio, come pure certe frasi musicali ripetute sommessamente che esaltano la luminosa freschezza del pezzo.
E non so perchè, ma più lo ascolto e più ho l'impressione che il suo impianto
accordale debba essere piaciuto a Mozart.

"Ma non ce lo presenti danzato?..." dirà qualcuno.
No, perchè preferisco lasciarvi libertà d'immaginazione. Non è forse un
bell'esercizio di fantasia?
E vado subito a pubblicare perchè ho scoperto poco fa che proprio oggi - ma guarda
le coincidenze! - è la Giornata Internazionale della Danza!

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

lunedì 22 aprile 2024

Specchi d'acqua - 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è una serie di dipinti, stavolta, l'oggetto della mia osservazione, ma un corso d'acqua che, al pari di tanti altri, si snoda dalla sorgente alla foce, dando luogo a panorami e spettacoli dove prima la natura e poi l'uomo sono protagonisti.
Sto parlando della Moldava, fiume della Repubblica Ceca famoso non solo perchè attraversa la città di Praga, ma anche perchè
è stato celebrato da Bedřich Smetana (1824 - 1884) in "Ma Vlast" (La mia patria). 

L'opera si compone di sei poemi sinfonici dedicati a luoghi, storie e leggende della tradizione boema. Di questi, il più conosciuto è proprio quello che descrive la Moldava ("Vltava") attraverso vari momenti che corrispondono a ciò che si può vedere lungo il suo corso: le sorgenti, il fiume in pianura, scene di caccia, nozze di contadini, danze al chiaro di luna, le rapide di San Giovanni, il castello di Vyšehrad e l'ngresso a Praga.

Un pezzo di musica a programma, dunque, che è stato spesso ampiamente analizzato. Per questo intendo soffermarmi solo su pochi aspetti che tuttavia mi affascinano da sempre. Si tratta infatti di un brano che amo da tempo tanto che è stato tra i primi pubblicati in questo blog. Ma lo ripropongo con gioia anche perchè, anni fa, vi avevo dedicato poco spazio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il primo aspetto incantevole è proprio l'inizio. Qui Smetana ricrea con delicatezza e precisione la sorgente della Moldava, che nasce all'interno della foresta boema da due rami che poi confluiscono. Lo sentiamo subito dall'esordio del flauto seguito dal clarinetto che vi si sovrappone dopo quindici battute. È una melodia lieve dal timbro leggero, un'incantevole armonia imitativa dove gli strumenti musicali riproducono il suono sottile dei rivoli d'acqua che scendono e s'intrecciano qua e là, saltellando tra piante e sassi come ruscelli di montagna.

Il movimento si fa gradatamente più acceso mentre, dopo i pizzicati iniziali, gli archi vanno a creare un sottofondo sommesso ma continuo. È la preparazione al momento in cui, sceso ormai dai monti, il fiume si dirige verso il piano in un alveo più aperto e con un ritmo più tranquillo e regolare.
Inizia qui il celebre tema che percorre tutto il brano, una malinconica e intensa melodia in mi minore che
tanta fortuna avrà nel tempo: si mi  fa# sol  la si  si  si do  do  si...si la  la  la sol fa# sol  sol fa# fa#  fa#mi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una melodia prima ascendente e poi discendente, ma è su quel do che indugia, si allarga, si apre e s'illumina. Un'aria che sembra talora ripetersi tornando su se stessa, ma che è ricca di movimento e intensità proprio come descrivesse un un percorso o raccontasse una storia. Sono note che sembrano seguire le anse del fiume nella loro ombra discreta, così come nella luce improvvisa e balenante di un andamento che inizia in tonalità minore, si rischiara su quel do e torna di nuovo pervaso di malinconia.

Una frase musicale che è quasi una sorta di nenia e ha origini lontane.
Pare infatti che Smetana si sia ispirato alla
canzone popolare di un anonimo del XVI secolo - o forse Giuseppino del Biado - intitolato "Fuggi  fuggi", conosciuta anche come "Il ballo di Mantova".

Del resto, è un motivo cantabile che avrà seguito anche in futuro tanto che lo ritroviamo in contesti molto diversi. Basti pensare all'esordio nella famosa canzone napoletana "Fenesta ca lucive", poi al tema dell'inno nazionale israeliano e addirittura a un ambito che forse non ci aspetteremmo: quello del pop degli anni Sessanta. Ricordate - parlo ai meno giovani - la canzone "Nessuno mi può giudicare" resa celebre da Caterina Caselli? Quella!

Ma torno a Smetana per sottolineare altri spunti che testimoniano la varietà del brano. Il primo è l'uso di svariate forme musicali, dalla polka alla marcia, a indicare le danze o il castello di Vyšehrad. Efficacissima anche la descrizione delle rapide di san Giovanni dove l'andamento orchestrale si fa turbinoso e sembra imitare le onde movimentate e impetuose che interrompono il placido corso del fiume.
In tutto lo sviluppo del pezzo troviamo poi un'armonia imitativa per cui ora Smetana si
avvale dell'arpa, ora dell'ottavino, ora della potenza degli ottoni nel riprodurre il moto tranquillo o quello più spumeggiante delle acque. E così pure usa tempi diversi: dai 6/8 ai 2/4, ai 4/4 per tornare di nuovo ai 6/8.
Ne derivano quadri musicali che - come in tante altre composizioni descrittive - sollecitano più che mai la nostra immaginazione consentendoci non solo di ascoltare, ma insieme di vedere ciò che le note illustrano ed evocano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma il pezzo a mio avviso più affascinante, a fronte della delicatezza dell'esordio, è proprio la conclusione che descrive il corso del fiume ormai ricco di acque in tutta la sua ampiezza. È sempre il tema iniziale a ritornare, ma coniugato in modo diverso: non più malinconico, bensì maestoso e solenne, veloce e festante, ricco di una gioia messa in chiara evidenza dalla tonalità che passa in Mi maggiore.
C'è qualcosa di trionfale nell'atmosfera di questa musica che raggiunge qui il suo
acme in una sorta di inno alla vita, prima di tornare a farsi più sommessa nella parte che precede i due forti accordi finali. Un brano che è quasi una parabola dell'esistenza dalle origini fino alla conclusione del viaggio, quando il moto ondoso va piano a svanire e il fiume disperde le sue acque nell'Elba.

E a proposito di vita - oltre al fatto che lo spunto per il poema è venuto a Smetana proprio da una navigazione sulla Moldava - mi sembra significativo ricordare che la composizione dei vari brani è stata segnata dall'improvvisa sordità del musicista. Viene spontaneo pensare a Beethoven che ha vissuto la stessa dolorosa esperienza, e provare meraviglia per la stupefacente capacità di entrambi di percepire - ormai totalmente interiorizzati - accordi, note, armonie, consonanze, timbri, modulazioni che l'orecchio non poteva più sentire.
E come Beethoven nella Sinfonia Pastorale ha riprodotto i suoni della natura campestre,
così qui Smetana ci ha restituito mirabilmente l'intero splendore del corso di un fiume.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

domenica 14 aprile 2024

Un grintosissimo Galliano

Non ho l'abitudine di rileggere i miei vecchi post, non spesso perlomeno. Una volta fatti, li abbandono al loro destino e se talora ci torno, in genere non è per il testo, ma per qualche riferimento alla musica.

Capita così che mi prendano momenti di improvvisa nostalgia per i pezzi che da tanto non ascolto o per qualche autore che non pubblico da tempo e che magari torna di punto in bianco ad affacciarsi alla mia memoria, sgomitando nel nutrito elenco di compositori del blog quasi dicesse: "Insomma...mi hai dimenticato?".

Insomma...l'altro giorno è successo proprio questo. Per uno di quei salti d'epoca che forse solo la musica consente, mentre ero immersa nell'ascolto di Haydn mi è tornato in mente un brano così diverso che più non si può!
Era un pezzo di Astor Piazzolla postato anni fa in una entusiasmante interpretazione dei Classical Jam
che, stavolta sì!, mi sono incantata a risentire. Eccola qua!
Ma da Piazzolla sono passata poi ad altri fisarmonicisti: così non è stato
difficile tornare al mio amatissimo Richard Galliano riascoltandone svariati pezzi fino ad approdare a quello di oggi. Cercavo infatti qualcosa che mi ricordasse l'atmosfera dei Classical Jam, la loro coesione e il loro gusto di far musica insieme, e ho ritrovato lo stesso clima in "Tango pour Claude" dall'album "Viaggio" uscito nel 1993.

Si tratta di un brano dedicato da Galliano al cantante francese Claude Nougaro col quale aveva lavorato. Ma ciò che rende questo pezzo grintosissimo e accattivante è, a mio avviso, un insieme di elementi diversi.
In primo luogo la bravura del compositore e il virtuosismo con cui
padroneggia la fisarmonica che ha sempre valorizzato ampliandone il repertorio in una sintesi di vari linguaggi musicali.
Quello che mi colpisce, infatti, è proprio l'insieme di naturalezza da un lato e
spregiudicata maestrìa dall'altro con cui, dalle varie voci che rendono lo strumento così versatile, Galliano trae armonie e sonorità di ieri e di oggi, dal classico al jazz, dallo swing alla danza. Nel suo pezzo sentiamo così riecheggiare non solo il Piazzolla di "Libertango", ma insieme Bach, compositore tra i più amati sulle cui note il compositore si è formato.

Ma è anche la movimentata e scattante ritmica del tango a prendere chi ascolta nel vortice di musica fatto da una sorta di parossistico, irrefrenabile crescendo. E altrettanto grintosa è l'interpretazione del sestetto tra cui spicca il violino di Sebastien Surel, che duetta splendidamente con Galliano nella serie di entusiasmanti variazioni sul tema.
Accattivante, del resto, è la passione che coinvolge tutti i componenti del gruppo
trasmettendosi anche noi che - dietro lo schermo di un computer - non solo guardiamo e ascoltiamo, ma vibriamo entrando per così dire in risonanza con questa musica, attraversati anche fisicamente dalla vitalità della sue note.

E mi piace concludere con le parole del compositore in un'intervista di Chiara Donizelli per "L'Eco di Bergamo". Alla domanda se per lui esiste un punto di contaminazione universale nei diversi generi musicali che ha attraversato, Galliano risponde:

"La prima cosa è sempre l’amore. Per la musica, per le cose belle, per ciò che fa vibrare. Per ogni stile, deve esserci alla base un amore per le armonie, le melodie e il tempo. Quando suono Mozart, o Vivaldi, io penso sempre allo swing, alla danza. Posso suonare una valse parisienne, ma per il tempo, il ritmo, io penserò all’Africa. La vibrazione è ciò che ha di universale la musica, ciò che durante i concerti si estende dai musicisti fino al pubblico. Non ultime, le emozioni che la musica ha la forza di comunicare e di scatenare."

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

domenica 7 aprile 2024

Un caffè con Haydn

È possibile diventare amici senza conoscersi?
Intendo dire senza essersi mai visti,
 incontrati e parlati neppure dietro lo schermo di un computer dove - in realtà - possono nascere schiette amicizie sulla scorta di affinità di gusti, storie personali e via dicendo.
Si può?...
E se tra noi e l'altra persona ci fossero di mezzo dei secoli,
potrebbe sussistere ugualmente un rapporto tale da essere definito amicizia o almeno da somigliarle?

Se pensiamo alla passione che sanno suscitare in noi artisti, letterati, filosofi e tante figure del passato conosciute magari sui banchi di scuola e delle quali poi abbiamo approfondito la conoscenza e sperimentato l'aiuto, la risposta è sicuramente positiva. Al loro pensiero o al loro genio abbiamo attinto per nutrirci fino a stabilire talora una familiarità che ce le ha rese vicine. E se da un lato manca quella dimensione di quotidianità per cui non possiamo scambiarci un sorriso o incontrarci a bere un caffè, dall'altro è nato ugualmente un rapporto significativo. Magari non proprio paragonabile in tutto e per tutto all'amicizia; tuttavia profondo, duraturo e in certi casi anche più grande dell'amicizia stessa.

Ho in mente per esempio il Machiavelli che, nella lettera del 10 dicembre 1513 a Francesco Vettori, raccontando i passatempi con cui occupa le giornate mentre si trova al confino, parla dei momenti serali in cui si dedica allo studio delle opere dei grandi del passato. Parole celebri quanto commoventi che riporto qui:

"Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro."

Un domandare e un rispondere, quello di cui parla il Machiavelli, un dialogare che è frutto splendido della cultura intesa prima di tutto come incontro - "tutto mi transferisco in loro" - capace di superare il tempo e offrire ristoro alla mente e all'anima. Ma ciò che vale per la poesia, la filosofia o la scienza si verifica anche con la musica che, in modo ancor più immediato delle parole, nutre il nostro cuore con la multiforme bellezza delle note. Scatta così con i musicisti più amati una familiarità capace di oltrepassare i secoli e accompagnarci nelle vicende quotidiane. 

Tutto questo discorsino per arrivare a un autore che qui conoscete da tempo, ma che io ho scoperto da adulta, ritrovandolo sul mio cammino in alcuni particolari momenti. Parlo di Franz Joseph Haydn (1732 - 1809).
In gioventù, avevo ascoltato poco di lui: i movimenti più celebri di due sinfonie - "La
pendola" e "La sorpresa" - delle 104 (!) che ha scritto; e in seguito il toccante Poco adagio, cantabile del "Kaiserquartett", affascinante tema con variazioni diventato poi l'inno nazionale tedesco. Ma il bello della mia passione per Haydn doveva ancora arrivare.

Ero nel Duomo di Salisburgo anni dopo, quando ho sentito per la prima volta la sua "Mariazellermesse" : un ascolto a sorpresa perchè ero entrata per la Messa domenicale senza sapere che coincideva col concerto conclusivo del celebre festival della città. Nella chiesa gremita all'inverosimile avevo trovato posto solo sui gradini di una cappella laterale e lì le note del compositore, cantate da due corali, mi avevano preso fino alla commozione. Tornata a casa, avevo cercato il cd - youtube non esisteva ancora - ma il brano era in ristampa e avevo dovuto aspettare a lungo. Poi, quando finalmente è uscito, mi è parso di entrare in possesso di un tesoro.

Diverso tempo dopo, gli oratori "La Creazione" e "Le Stagioni" mi hanno fatto compagnia in un periodo difficile. Li ascoltavo alle sette del mattino, nei 40 minuti di pullman che separavano casa mia, dove avevo familiari malati, dal posto di lavoro. Salivo, mi sedevo, infilavo gli auricolari del walkman e partivo per un viaggio rigenerante in cui i brani di Haydn - ora grandiosi, ora più intimi - mi portavano altrove risanandomi interiormente.
Era stata una vera e propria musicoterapia, come se quelle note
avessero saputo ancor prima di me di che cosa avevo bisogno. Mi pareva infatti di riceverne non solo serenità interiore, ma insieme benessere fisico.
Come non esserne grata, allora, e non avvertire la vicinanza del compositore che
  entrava così nei gesti della mia quotidianità sostanziandola di rinnovata energia?
Gesti di ogni giorno sì, come la vita ordinaria che Haydn ha descritto in certe
sinfonie e che si evince da alcuni titoli quali: Il maestro di scuola, La gallina, Il fuoco, Il mattino, Il mezzogiorno, La sera, La caccia, La pendola, Gli addii, La sorpresa... tranquilli, mi fermo!

Allora oggi, in sintonia con quella quotidianità che ci vede all'inizio della primavera e apre le nostre giornate alla luce, mi piace condividere il primo movimento, Adagio-Allegro, della "Sinfonia n.6 in Re maggiore" detta "Le matin". Il suo esordio infatti ha proprio la luminosità del mattino e mi colpisce per due aspetti.
Il primo è l'introduzione che, dal pianissimo iniziale, raggiunge toni sempre più
grandiosi paragonabili al sorgere del sole, come accadrà poi in modo più articolato e maestoso nel brano di apertura de "La Creazione" dove dal caos appare la luce. Il secondo è l'attacco del flauto che, seguito dalla pronta risposta dell'oboe, sembra riprodurre il cinguettìo degli uccelli.

Poi il pezzo prosegue con freschezza primaverile e con quel garbo festoso tipico di tanta musica settecentesca, sviluppandosi intorno a un tema che riecheggerà in futuro in due sinfonie di Beethoven che tra i suoi maestri ha avuto anche Haydn. Ascoltate la melodia che esordisce a 1.05 dall'inizio e va poi ripetendosi in un energico Re maggiore: re la - fa re la...
Vi ricorda qualcosa? In una tonalità diversa e in un clima non così leggero come quello
di Haydn, a me vengono in mente due riferimenti. Il primo è il tema iniziale dell'Eroica, e qui i sacri testi di musica mi danno ragione; il secondo è l'aria su cui è costruito l'ultimo movimento della Pastorale. Qui i sacri testi tacciono: in effetti sono ritmi differenti, ma la somiglianza io la sento lo stesso.
E a proposito della vicinanza del compositore alla nostra vita, mi piace concludere
ricordando le considerazioni scritte da Haydn in una lettera:

"Spesso, quando sono in lotta con ostacoli di ogni genere, quando le forze declinano e mi è divenuto difficile perseverare nella via intrapresa, un sentimento segreto mi sussurra: vi sono quaggiù così pochi uomini lieti e contenti, dappertutto è dolore e angoscia; forse il tuo lavoro potrà essere qualche volta una fonte alla quale chi è oppresso dall'angoscia possa attingere per un istante un sollievo".  

Bella l'intenzione di intrecciare la sua musica all'esistenza di chi ascolta per dare sollievo! Proprio come un amico dal quale si riceve conforto in un momento di pausa, magari davanti a una tazzina di caffè.

Buon ascolto!

(La foto è mia, perchè oggi offro io!)