giovedì 30 novembre 2023

Jogging mit...

Sapevo da tempo che esistono raccolte di musiche rilassanti per favorire la meditazione, il sonno, la concentrazione, lo studio, ma anche per respirare meglio o ridurre lo stress. Youtube, a questo proposito, offre esempi in quantità.
Sono a volte brani classici opportunamente
scelti o altri che riproducono i suoni della natura, dallo scorrere dell'acqua fino al vento o al cinguettìo degli uccelli.

Non sapevo invece che esistessero pezzi selezionati appositamente tra quelli dei più celebri compositori per ritmare il passo di chi pratica jogging!

Oh bella...ti sei data allo sport??? Non proprio, però capisco bene il piacere di muoversi col sottofondo di una colonna sonora perchè, per quanto non sia una runner, anche solo camminando come faccio spesso, mi canticchio un brano per conto mio. È una sorta di riflesso involontario che si attiva quando esco di casa: appena fuori, automaticamente qualcosa in un angoletto del mio cervello clicca play e parte una musica. Ne avevo già parlato qua e là, perciò non mi dilungo.

Ho trovato interessante che esistano album già predisposti a tale scopo. Indovinate qual è il primo autore nel quale mi sono imbattuta???...
Ma Bach naturalmente con una scelta di brani che vanno dai Brandeburghesi alle
Suites orchestrali! Lo stavo pubblicando, ma poi, se mi è piaciuto il titolo "Jogging con Bach: correre al ritmo del barocco", non mi ha convinto la foto di copertina.
Il nostro amico Giovanni Sebastiano, in lunga livrea rossa e pantaloni corti, corre
sulla riva di un fiume - e già sarebbe stato meglio un ruscello! - con un'espressione svagata e un po' beota - non beata, proprio beota! - nella quale francamente non lo riconosco. Sorride felice, certo, ma di una felicità stereotipata da spot pubblicitario che non sono riuscita ad apprezzare.
Se proprio siete curiosi, andate su youtube a cercarlo.

Allora ho ripiegato - si fa per dire! - su Mozart! La foto che vedete, infatti, ne presenta un compostissimo ritratto accanto a una giovane donna in corsa.
Ma poi, fosse raffigurato anche in veste da runner - diciamocelo - a lui si perdonerebbe facilmente qualche bizzarrìa, qualche
marachella da bambino prodigio, non è così? E allora vada per Mozart!

Musica per jogging, dunque! Perciò deve avere il giusto ritmo: non troppo concitato per non scaravoltarsi in velocità, e neppure troppo lento altrimenti la cosa non ha più senso. Così, ho ascoltato i brani del CD, ma benchè quasi tutte le indicazioni fossero Rondò, Allegretto, Presto, non mi hanno convinto. Pezzi bellissimi, certo, ma non corrispondenti al mio passo, alla pulsazione interiore, alla voglia di guardarmi intorno mentre cammino e alla distensione che cerco. Così ho fatto di testa mia.

Diciamo che ho giocato in casa perchè il brano scelto è tra quelli che ho tentato di suonicchiare di recente, nonostante i miei limiti da eterna principiante. Ma a dire il vero ha anche un andamento che rispecchia quello della sottoscritta quando cammina di buon passo, ma poi s'incanta a guardarsi intorno. Insomma, a corserelle e fermatine.
Si tratta del primo movimento - "Allegro" - della "Sonata n.13 per pianoforte in Si
bemolle Maggiore K.333", pezzo di una serena trasparenza che resta inalterata anche nelle parti in minore, e che potete ascoltare eseguito dalla bravissima Ying Li.
Un'interpretazione affascinante per la leggerezza del tocco che fa emergere la gioia presente in queste note, con un ritmo veloce e
tuttavia meno meccanico di altri pur bravi pianisti. Ne deriva un'esecuzione morbida e sognante, resa da Ying Li ora sfumando piano o al contrario sottolineando certi passaggi, o rallentandoli lievemente pur nel rispetto del tempo di 4/4. Proprio i 4/4 infatti - al contrario di una misura ternaria più adatta a una danza - ritmano meglio il mio andare mentre la musica mi fiorisce dentro.

Così, l'interpretazione della pianista si armonizza non solo col mio passo, ma anche con quello sguardo interiore sulle cose che si attiva in me - e chissà in quanti altri - ogni volta che ci si mette in cammino.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

mercoledì 22 novembre 2023

La speranza di Gounod

Ha un viso bellissimo la "Santa Cecilia" dipinta da Pietro da Cortona (1596 - 1669) nel quadro che vedete, conservato alla National Gallery di Londra.
È un viso ovale
dalla delicata leggiadria di un antico cammeo e dalle proporzioni perfette, incorniciato da un serto di fiori quasi fosse il diadema di una regina.
L'espressione seria, lievemente malinconica, è quella di una fanciulla già consapevole, dolce e insieme sicura di sè.
Spicca questo suo carattere nella luminosa semplicità dei lineamenti e dell'incarnato, in contrasto con
l'opulenza barocca del raffinato panneggio e con l'oscurità dello sfondo.

Come nella tradizionale iconografia in uso dalla fine del Medioevo in poi che vede Cecilia protettrice della musica e alla quale avevo fatto cenno qui, a sinistra troviamo un organo, nelle sue mani uno spartito e la palma del martirio che può ricordare uno stilo per scrivere. Compositrice, dunque? Chissà!...Comunque sia, trovo che questa rappresentazione della Santa sia una delle più affascinanti per vari motivi.
Prima di tutto per il contrasto tra ombra e luce, tipico della pittura barocca di cui
Pietro da Cortona è significativo esponente. Da un lato infatti la luminosità del volto emerge - come scrivevo - dallo sfondo scuro, e dall'altro proprio quello sfondo si apre in una prospettiva più ampia nella quale scorgiamo delle architetture classicheggianti - probabilmente la Roma in cui Cecilia è vissuta - e uno sprazzo di cielo dalle tinte variegate.
Ma a colpirmi è soprattutto la posizione del capo della fanciulla che non guarda lo spettatore come in tanta ritrattistica del passato, ma si volge da una parte, forse assorta in un suo pensiero, forse ad ascoltare l'angioletto che la ispira o fissando fuori dal quadro qualcuno che non vediamo.
Si tratta di un carattere iconografico di
grande eleganza che conferisce intenso spessore psicologico al soggetto rappresentato e ci sollecita ad immaginarne la storia che non si esaurisce nel dipinto. Carattere che, oltre a imprimere movimento alla figura, ha il suo inizio in alcune opere di Leonardo a comiciare dalla celebre "Dama con l'ermellino" identificata in Cecilia Gallerani. Da Cecilia a Cecilia, dunque!

Così, nel giorno che la ricorda, ho deciso di festeggiarla con un brano di Charles Gounod, (1818 - 1893), compositore versatile e aperto a generi musicali diversi che talora si fondono tra loro, come nel pezzo sacro di oggi nel quale riecheggiano qua e là suggestioni operistiche. 
Mi riferisco infatti - come lo corso anno - alla "Messe solennelle de Sainte Cécile CG
56", opera che forse proprio per la sua versatilità, è stata subito accolta con molto favore non solo dal pubblico francese, ma anche all'estero.
Lo testimoniano le parole con cui, a suo tempo, Camille Saint-
Säens aveva descritto il crescendo di impressioni ricevute al suo ascolto:  

"Raggi luminosi, come l'alba su di un nuovo mondo, emanavano dalla 'Messe de sainte Cécile'. Dapprima si rimaneva abbagliati, poi incantati, poi sopraffatti."

Se in passato avevo pubblicato il "Benedictus", ora ho scelto il "Kyrie". Inizia pianissimo il brano e va poi progressivamente arricchendo la propria intensità, insieme al coro a quattro voci che interviene alternandosi ai tre solisti - soprano, tenore e baritono - qui diretti da George Prêtre.
Quella del Kyrie è una preghiera prima sussurrata e sommessa tanto da essere all'inizio quasi impercettibile, poi
gradatamente più forte fino a farsi vero e proprio grido di implorazione per tornare di nuovo pacata nel finale.
Tuttavia, non c'è particolare tristezza in questa musica che, nonostante le varie modulazioni in minore, si apre a toni di luminosa speranza attraverso un andamento che, in taluni passaggi, sembra salire verso l'alto.
E mi sembra da parte di Gounod uno splendido omaggio alla Santa.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

martedì 14 novembre 2023

Le mie città - 11


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è sempre facile parlare del proprio luogo di origine, non perchè manchino i ricordi, ma perchè talora sono anche troppi e ci coinvolgono a più livelli tanto intenso è il vissuto che ci portiamo dentro.
Mille osservazioni potrei fare sullo splendore della mia città natale che sorge in un verde angolo
di pianura, tra il cotto delle pievi romaniche disseminate nella campagna circostante e l'atmosfera raccolta di piazze e chiese che dal Medioevo ci conducono su fino al Rinascimento e oltre.
Sto parlando di Lodi, luogo ricco di storia e di un fascino
da scoprire piano, nell'ombra discreta dei suoi cortili e nella bellezza dei tanti edifici del passato.

Potrei ricordare i suoi più famosi gioielli artistici, dalla Chiesa dell'Incoronata fino alle ceramiche conservate al Museo civico.
Ma anche la campagna che la circonda ha
un suo splendore, a iniziare dalla suggestione del fiume Adda, insieme ai filari di pioppi che ne delimitano le rive, e ai campi che in certe ore della giornata ne fanno un luogo di profonda pace.

Tuttavia, la mia Lodi non è solo questa, ma abita anche in altri spazi. Vi sono nata e vissuta fino a 31 anni, poi mi sono trasferita altrove, non lontano per la verità.
Ma talora basta una piccola distanza a
mettere tra noi e un luogo amato quella nostalgia che allieta ogni ritorno e m' illumina d'immenso come ritrovassi una parte di me ogniqualvolta dalla stazione mi avvio piano verso i giardini pubblici e il centro.

Parlo della viva sensazione di essere a casa che tutti sperimentiamo quando un angolo di mondo ci entra nel cuore, perchè le sue pietre e i suoi tetti, i portici e le case, fino all'acciottolato sassoso di piazze e vie, diventano simili a una grammatica che portiamo scritta dentro e che ben comprendiamo. Ed è proprio questa profonda sintonia, questo dialogo segreto con la città a farla nostra per sempre.

Il mio dialogo con Lodi si è intrecciato quando ero bambina, ma nel tempo si è arricchito della lunga consuetudine con certi angoli per me ricchi di particolare fascino.
Sono alcune vie del centro storico tra le più defilate e nascoste
che amavo talora percorrere in solitudine e che mi svelavano segreti dettagli di bellezza: qui uno scorcio di verde in un cortile appartato, là una cornice in cotto; o ancora una bifora a vento o la semplice eleganza delle facciate delle tante casette di un tempo.
Ma era riposante anche incantarsi davanti al prezioso organo rinascimentale del tempio dell'Incoronata o rifugiarsi tra le prospettive aeree di certi soffitti barocchi, come quello della chiesa di Santa Maria delle Grazie.

C'è un luogo, però, che amo al di sopra degli altri e che negli anni ha fatto di Lodi una città sempre più mia: è la splendida chiesa di San Francesco.
Edificio medioevale che nella struttura fonde stile romanico e gotico, è
celebre perchè custodisce le tombe di alcuni lodigiani illustri - la poetessa Ada Negri, il naturalista Agostino Bassi e il librettista Francesco De Lemene - ma anche per la facciata a vento e i numerosi affreschi dell'interno.

Sono opere che ci guidano in un itinerario pittorico che va dal Trecento al Settecento, talora frutto di mani sconosciute ma non per questo meno pregevoli. Suggestivo entrare in chiesa nelle giornate di sole, quando la luce dorata del pomeriggio gioca sui dipinti delle navate traendone i colori dell'arcobaleno.
Parecchi meriterebbero attenzione, a
cominciare dalle varie raffigurazioni di Maria, tra le quali mi piace ricordare la Madonna col Bambino del cosiddetto Maestro di Ada Negri, esempio di rara espressività e delicatezza che vedete qui a lato.

Ma quello che mi affascina da sempre, e che considero in qualche modo mio tale è l'affetto che mi lega ad esso, è l'affresco che vedete nella foto grande in alto e in un particolare qui sotto.
Raffigura lo "Sposalizio mistico di Santa
Caterina", opera della scuola di Giovannino de' Grassi (1350 - 1398), databile verso la fine del Trecento.
Non lo si vede subito all'interno della chiesa: è infatti
sotto l'arco ogivale della navata destra in corrispondenza della Cappella di San Bernardino e bisogna cercarlo. Ma una volta trovato, si resta incantati dalla sua leggiadrìa.

Osservatelo: spiccano i suoi colori e la sua luminosità sul fondo scuro dal quale l'affresco prende risalto. E se anche la figura di Santa Caterina, a destra in basso, non risulta quasi più visibile e se ne scorge solo una mano che sta per essere inanellata da Gesù Bambino, è l'immagine di Maria in mezzo a un aereo corteggio di angeli a costituire la vera grazia del dipinto.
Si china infatti lievemente verso Caterina - ma
anche verso ciascuno di noi - e la leggera curvatura del suo corpo che segue quella del Bambino ha una delicatezza ineffabile. È una giovane, bionda fanciulla che offre il suo Figlio con un' espressione indefinibile che sembra aprirsi al sorriso, ma insieme velarsi di una punta di pensosa mestizia, come si osserva a volte anche in altre raffigurazioni. E ne deriva un effetto di non comune soavità.

Nell'opera, notiamo inoltre una raffinatezza e un'eleganza che non rimandano tanto alla monumentalità giottesca che aveva fatto scuola in quegli anni, ma agli influssi del Gotico Internazionale già diffuso all'epoca anche nell'Italia del nord. Se da un lato infatti l'iconografia colloca la Madonna all'interno di una mandorla secondo moduli del passato, dall'altro la sottigliezza del tratto, le forme allungate insieme alla luminosità dei colori sono caratteri già nuovi che preludono - per esempio - allo stile di Masolino da Panicale, che lavorerà in Lombardia nella prima metà del Quattrocento.

E per esprimere in musica il senso di profonda gratitudine che provo per tutta la bellezza che la vita mi ha messo vicino, ho scelto oggi un brano di Bach che chi frequenta questo blog ricorderà di certo.
Se infatti anni fa ho pubblicato qui l'ultimo dei Sei Corali Schübler per organo, oggi vado all'origine di quel pezzo postando il secondo movimento, "Aria", della "Cantata BWV 137 Lobe den Herren, den mächtigen König der Ehren" (Loda il Signore, potente re di gloria) dalla quale il corale è stato tratto.

Da Bach a Bach quindi. Ma perchè?
Perchè mi è parso interessante vedere come le tre voci che l'organo sintetizza - due suonate sulle tastiere e il tema sulla pedaliera - nella Cantata siano nate invece per tre strumenti diversi. Il violino e il basso continuo infatti, fungono da accompagnamento, mentre la voce del
contralto (o talora del controtenore) fa da solista al quale è affidata la melodia.

Luminosissime e gioiose sono le note del brano nella tonalità di Sol Maggiore e nel loro ritmo un po' danzante, mentre - come già ricordavo in passato - nell'impianto accordale si annuncia già il tema di un'altra Aria più che mai celebre, quella della "Suite n.3 per orchestra BWV 1068" che Bach comporrà qualche anno più tardi.
Ma a prendermi è stato anche il testo cantato: con riferimento ad alcuni Salmi, esso
esprime infatti una costante esortazione alla lode della grandezza divina che guida, sostiene e protegge l'uomo.

Buon ascolto!

(Le foto, prese dal web, rappresentano dall'alto in basso: 1) Sposalizio mistico di Santa Caterina 2) Il fiume Adda a Lodi 3) Dettaglio di Piazza della Vittoria 4) Dettaglio della facciata del Duomo 5) Dettaglio della facciata della chiesa di San Lorenzo 6) Organo del tempio dell'Incoronata 7) Madonna col Bambino del Maestro di Ada Negri 8) Particolare dello Sposalizio mistico di Santa Caterina 9) Facciata della chiesa di San Francesco 10) Bifora a vento della chiesa di San Francesco.

 

martedì 7 novembre 2023

Come una rosa

Sarà forse la suggestione del mese di novembre o ancora il pensiero della splendida Patricia Janečková - come ricordavo giorni fa - così prematuramente scomparsa, a condurmi oggi verso un'altra brillante interprete che da parecchio tempo non è più con noi.

Si tratta della violoncellista britannica Jacqueline du Pré (1945 - 1987), morta a soli 42 anni come si evince dalle date: artista celebre per lo splendore delle sue incisioni, per il sodalizio affettivo e musicale con Daniel Barenboim, ma anche per la sclerosi multipla che l'ha portata precocemente alla fine.

Tuttavia, questo post non vuol essere una triste rievocazione, ma l'omaggio a un'interprete luminosa, come luminoso è il brano che vi propongo insieme alla foto che vedete. Una rosa? Sì, proprio quella che l'azienda florovivaistica inglese Harkness ha dedicato alla violoncellista poco dopo la sua scomparsa, per farne rivivere in questo modo la grazia e il grande talento.
Si legge infatti nelle varie didascalie:

"La rosa Jacqueline du Pré è un elegante fiore dalla bellezza eterea, semidoppio, a coppa aperta, bianco crema con il retro dei petali rosa pallido. La fragranza è molto delicata con sentore di muschio. I fiori sbocciano in mazzi di 3-11 ed appaiono traslucidi nelle giornate grigie e molto luminosi quando splende il sole. La fioritura è precoce e ripetuta. É stata selezionata da Harkness nel 1988 e viene reputata una delle sue migliori rose"

Ma torniamo alla musica. Un'interprete luminosa dicevo, ma insieme appassionata e tenace: basti osservare la freschezza del suo sorriso anche quando era già aggredita dal male, e il suo fondersi con la musica nelle incisioni più celebri, a cominciare da quella del 1965 del "Concerto per violoncello in mi minore op.85" di Edward Elgar (1857 - 1934).
Scritto dal compositore subito dopo la fine della prima guerra mondiale, con uno
stile più contemplativo e meno altisonante di altre sue precedenti creazioni divenute subito popolari, il concerto inizialmente non è stato accolto con favore dal pubblico. Ma a rivalutarlo in seguito dandogli lustro e celebrità è stata proprio Jacqueline du Pré con una performance superlativa rimasta nella storia. Proprio da questa incisione è tratto il pezzo di oggi che è il terzo movimento, "Adagio".

Si tratta di un brano ora soave, ora più vibrante nel fascino della tonalità di Si bemolle Maggiore: una musica ricca di squarci e di aperture luminose dove il delicatissimo tema va ripetendosi con progressiva intensità, insieme a passaggi soffusi di malinconia, simili a sospiri.
Jacqueline du Prè si addentra in queste note facendole sue con passione e dolcezza per scoprir
ne ogni segreto palpito. Ma l'aspetto a mio avviso più pregevole della sua interpretazione è la capacità di far emergere il grande stupore e il senso di crescente attesa presenti nel brano fin dall'esordio, e reiterati poi in diversi punti come pure in alcune pause.
Sembra quasi che l'atmosfera in cui la musica ci introduce sia quella di una notte che si apre verso l'alba, con una delicatezza che può ricordare proprio una rosa quando i suoi petali si schiudono piano verso la luce.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)