martedì 27 settembre 2022

Una parentesi di luminosa dolcezza

Ho seguito anch'io - come penso tanti - il funerale della Regina Elisabetta II, cercando di comprendere il significato dei simboli e delle varie fasi del cerimoniale, dal rito religioso alle tappe del corteo funebre che si è snodato per le vie di Londra in mezzo a un' immensa partecipazione di popolo.

Una pagina di storia dai risvolti più che mai interessanti, ma talora anche commoventi: mi riferisco - per esempio - all'omelia dell'arcivescovo di Canterbury, alla scelta dei fiori posti sulla bara, fino alle lacrime della piccola Charlotte.
"Raramente una promessa è stata mantenuta così bene" ha detto il
primate anglicano, ricordando l'amorevole dedizione della Regina al proprio impegno assunto non ancora ventiduenne, con quella ferma consapevolezza del proprio servizio che ha caratterizzato la sua vita fino alla fine. Ed è stato anche questo il motivo per cui - giorni fa - non ho voluto ricordare Elisabetta pubblicando una musica triste, ma in segno di gratitudine ho preferito farlo con la leggiadria del movimento finale del "Dettingen Te Deum" di Haendel.

Naturalmente, durante il funerale, la mia attenzione è andata anche ai brani scelti sia per la cerimonia religiosa che per il successivo corteo: dai corali eseguiti all'interno dell'Abbazia di Westminster, alle varie marce funebri suonate poi. Proprio qui, sono stata colpita da quella di Chopin, brano più che mai celebre che ci sarà capitato di sentire in chissà quanti contesti e occasioni.
Così, ho voluto riascoltarne la versione originale che costituisce il
terzo movimento e insieme il cuore della "Sonata in si bemolle minore n.2 op.35" del musicista polacco. La marcia infatti è stata la prima cellula compositiva dell'intera opera i cui temi riecheggiano anche negli altri tre tempi.

Ma perchè ve la propongo? Perchè, dopo averla sentita tante volte in diverse rielaborazioni per orchestra e per banda, riascoltarla nella versione per pianoforte solo - qui interpretata da Maurizio Pollini - me ne ha restituito lo splendore e il fascino. A colpirmi, infatti, non è stata tanto la tristezza delle sue note più volte ribattute in tonalità minore, dal cupo e sommesso pianissimo iniziale fino ai passaggi più drammatici e laceranti; ma è stata soprattutto la dolce soavità del secondo tema, come se in un'atmosfera di morte si aprisse una parentesi di luce e di stupore. Mi riferisco in particolare alla sezione che - nella clip video - va da 2.20 fino a 6.02: quasi quattro minuti di puro incanto!

Allora dimentichiamo per qualche momento i vari contesti in cui possiamo aver ascoltato il pezzo e il tempo di marcia di tante esecuzioni bandistiche che, talora, banalizzano e appiattiscono in un unico ritmo i vari temi del brano vanificandone lo splendore. Gustiamo invece la lentezza di questa interpretazione insieme al timbro del pianoforte e alla dolce cantabilità della melodia simile quasi a una romanza: un'aria semplice, sostenuta dagli arpeggi della mano sinistra, in cui il peso di ogni nota è calibrato e scandito con l'anima. E francamente non mi pare - come alcuni critici hanno affermato - che qui si senta un pianto o un canto disperato, ma trovo delicatissimo il tema e ancor più suggestivi i passaggi in cui viene ripreso in altre tonalità.

E se la cupa tragicità della parte iniziale e finale merita davvero l'appellativo di "Sonata di morte" che è stato dato alla composizione, la sezione centrale - che si apre tra l'altro in maggiore - ci restituisce al contrario quell'incomparabile luminosità che sempre Chopin ci sa regalare!

Buon ascolto!

(La foto - un ritratto di Chopin fatto da Maria Wodzińska - è presa dal web)


lunedì 19 settembre 2022

Lilibeth...

La Regina Elisabetta II (1926 - 2022) col principe Carlo.

 

 

 

 

 

 

 

 








Georg Friedrich Haendel (1685 - 1759) : "Lord in Thee have i trusted", dal "Dettingen Te Deum in Re maggiore HWV 283".

sabato 17 settembre 2022

Stanze - 9

Jan Steen : "La scuola del villaggio" -  National Gallery of Scotland, Edimburgo












 

 

Come ogni settembre, ricomincia la scuola e pian piano, regione dopo regione, le aule si riempiranno di vita. Così, mi è venuto spontaneo pensare a quanti anni ciascuno di noi ha trascorso proprio in queste stanze che ci sono diventate familiari sia che le abbiamo frequentate solo da studenti o ancora di più da insegnanti.
Si va da quelle coloratissime della nostra infanzia ai severi emicicli delle
università, dai vecchi banconi assiro-babilonesi intagliati e istoriati da generazioni di ragazzi - qualcuno se li ricorderà - ai tavoli verdini e alle sedie di legno chiaro dai bordi eternamente sbreccati. E non vado oltre.
Se i muri delle aule potessero parlare, racconterebbero mille storie di ansia e
 fatica, ma insieme di crescita e gioia, studio, innamoramenti, amicizie e divertimento, in un cammino che vede ogni allievo alla ricerca della propria strada nei vari ambiti culturali e nell'intreccio di vividi rapporti interpersonali.
Così, nella serie delle mie stanze, potevano forse mancare quelle della scuola?

E allora mi piace presentarvi un dipinto
che ho scelto per le sue particolari caratteristiche fra i tanti realizzati nel tempo su questo tema.

Si tratta di un'opera dell'olandese Jan Steen (1626 - 1679) intitolata "La scuola del villaggio" e conservata alla National Gallery of Scotland di Edimburgo.
Il quadro ci mostra un vasto ambiente che
raccoglie allievi dei ceti sociali meno abbienti e nel quale, a una prima occhiata, sembra prevalere una gran confusione. Ma a ben guardare non è del tutto così.
In cattedra siede una donna, il cui copricapo bianco risalta proprio al centro del quadro, affiancata da un uomo - maestro anche lui o solo assistente? - che appare tuttavia
quasi estraniato dal resto mentre lei presta invece attenzione ad un allievo. Nei banchi posti tutt'intorno, nonostante il disordine, gli scolari sono al lavoro.
Certo, deve trattarsi di una pluriclasse nella quale coesistono età e compiti diversi:
alcuni studenti scrivono, leggono, dipingono, osservano gli arredi appesi alle pareti - gabbie, scaffali, piante, persino un gufo (?) impagliato - altri parlano tra loro e uno, in fondo all'aula, sembra stia cantando o recitando mentre altri due danzano...o forse fanno la lotta.
Sul pavimento regna una confusione di fogli, disegni, fiori, lucertole (?), vasi e cesti; sulla parete si apre un grande camino, mentre vicino al soffitto non manca una sorta di soppalco usato probabilmente per dormire. Una stanza-casa insomma, qui adibita a scuola dove le attività svolte sono molteplici.

L' impressione è infatti che da ognuno degli oggetti che hanno intorno - che siano piante, animali o figure illustrate - gli studenti possano prendere spunto per imparare, come se il mondo esterno rifluisse in questa stanza a scopo didattico.
Il dipinto non rappresenta infatti una lezione
cattedratica, ma una sorta di grande e diversificato lavoro di gruppo: un insieme movimentato e caotico, certo, nel quale però ciascuno ha un suo ruolo, anche se non manca chi scherza o gioca, mentre il bambino in primo piano, semisdraiato a terra, sembra addirittura addormentato.
"La scuola del villaggio" dunque, o - come
troviamo altrove - "Il villaggio a scuola", titolo che può significare come un po' tutto il paese possa essere rappresentato in questa stanza dove ciascuno, dai piccoli ai più grandi, ha qualcosa da apprendere.

Interessanti sul piano iconografico alcuni riferimenti a mio avviso piuttosto evidenti. Il caos delle tante figure che popolano il quadro ricorda da vicino certe composizioni molto affollate di Bruegel il Vecchio - per esempio "Danza nuziale", "Giochi di bambini", "Lotta tra Carnevale e Quaresima" - e del resto anche Jan Steen, che vive un secolo dopo Bruegel, è come lui un artista fiammingo che ama dipingere scene di vita quotidiana.

Ma il dettaglio che mi ha colpito subito è di altro genere. È la figura che vedete qui accanto e che in parte, sia pure girata dal lato opposto, potrebbe ricordare - il condizionale è d'obbligo - il modo in cui è rappresentato il filosofo Eraclito nella celebre "Scuola di Atene" di Raffaello.
Che Jan Steen abbia visto il grande affresco
delle Stanze vaticane e abbia inteso farvi riferimento qui, in chiave popolaresca? In fondo anche l'opera di Raffaello, sia pure in una cornice architettonica molto più sontuosa, è ricca di movimento e anche lì alcuni dei filosofi raffigurati sembrano discutere a gruppi. Chissà!

E comunque sia stata descritta nel tempo, la scuola col suo ruolo fondamentale nella vita di ciascuno merita il commento non solo di uno, ma di due capisaldi della storia della musica!
Così, ho scelto di associare al dipinto il primo tempo del "Concerto in re minore
per 2 violini e cello op.3 n.11 RV 565" di Antonio Vivaldi e la trascrizione per organo di Johann Sebastian Bach nel "Concerto in re minore BWV 596".
Si tratta di due brani splendidi soprattutto nel movimento che vi propongo
che, a sua volta, è articolato in tre sezioni: la prima è un Allegro; la seconda molto breve, quasi un passaggio verso quella successiva, è un Adagio spiccato che Bach trasforma in Grave; e la terza, decisamente più ampia, è un Allegro in forma di Fuga. È quest'ultima la parte a mio avviso più interessante non solo per la sua vivacità, ma proprio per la struttura fugata. Sia negli archi di Vivaldi - contrabbasso, violoncello, viole e violini - che nell'organo di Bach si riconosce infatti con chiarezza l'entrata progressiva delle quattro voci - basso, tenore, contralto, soprano - che s'intrecciano in una rete di rapporti e in un andamento, a mio avviso bellissimo, di salti di quinta discendente (re-sol, do-fa, si-mi, la-re, per intenderci).

Tuttavia, le differenze della trascrizione bachiana non si limitano alle indicazioni agogiche, ma derivano anche dal particolare timbro dell'organo, e se nel movimento intermedio gli archi vivaldiani ci regalano un' intensa dolcezza, il Grave di Bach trasforma queste note in accordi molto più netti. Infine nella coda del brano, il ritmo si fa di nuovo lento: qui, mentre Vivaldi dopo varie modulazioni conclude sempre in minore, Bach risolve invece l'ultimo accordo in un affascinante e luminoso Re maggiore.
Vivacità e varietà insomma, in una ricca rete di voci, un po' come l'intreccio di
rapporti, gesti e atteggiamenti del dipinto riportato.

Quale preferisco delle due versioni musicali? Stavolta ve lo dico subito: quella di Bach, sia per ciò che ho scritto, che per la splendida interpretazione di Marie-Claire Alain e il suo nitido profilo da maestrina d'altri tempi.

Buon ascolto!

venerdì 9 settembre 2022

Mattine di settembre


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da tempo, ho nella memoria e nel cuore il dipinto che vedete: un'opera di Telemaco Signorini (1835 - 1901) intitolata "Una mattina di settembre a Settignano" e conservata presso la Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze.
Si tratta di una rappresentazione che mi ha preso a prima vista non solo per la semplicità
dell'ambiente rustico - il retro di una vecchia osteria - o per la presenza del verde, ma soprattutto per l'atmosfera tranquilla che vi respiro.
Mi fa tornare infatti alla pace di quelle giornate settembrine in cui l'intensità del caldo si è già dissolta e la stagione inizia a digradare dolcemente verso l'ombra, mentre i tratti del cielo e della campagna vanno facendosi più indefiniti.
È la suggestione del mese forse più
affascinante dell'anno, fine dell'estate e al tempo stesso inizio di un nuovo periodo gravido di attese e ansioso di promesse, come un po' tutti gli inizi che costellano le varie stagioni della nostra vita. 

Il paesaggio rappresentato mi riporta alla distensione di certe gite fuori porta, o anche un po' più in là, fatte senza la fretta o l'impegno di arrivare ad ogni costo a una meta, ma con la gioia di guardarsi intorno godendo del panorama, osservando i colori della campagna e del cielo, le viuzze di paese, talora anche il mercato o - in questo caso - il giardinetto di una vecchia osteria.

Ha una sfumatura di rosa dorato qui il sole che illumina le case, e penso che debba essere bello affacciarsi a una di quelle finestre incorniciate di rustico verde, respirando la frescura del mattino in una solitudine pressocchè totale. Soltanto un gatto è accoccolato su di una panca e una figuretta s'intravvede appena in secondo piano - nel giardino contiguo dietro lo steccato - china forse a raccogliere fiori o a strappare erbacce.
In alto, un cielo variegato di nuvole ci
suggerisce che la calura estiva è ormai finita, mentre sui rami più alti dell'albero le foglie cominciano a ingiallire. E lo spazio al centro, vuoto di persone, se da un lato può suggerire un senso di attesa, dall'altro invita alla tranquillità e alla pace, a una sosta in cui indugiare senza fretta lasciando vagare i pensieri. 

Immagini di rasserenante quotidianità nella dolcezza settembrina e nella luminosità del paesaggio che l'artista ha raffigurato anche in altre opere, come per esempio nel dipinto intitolato "Strada alla Capponcina" che vedete a lato. Qui, l'ombra degli ulivi sulla via dal rustico acciottolato e il muretto che separa le case dal verde ci regalano il fascino della campagna colta "en plein air" e forse ancora una volta nella luce mattutina, almeno così a me pare.

Come nel dipinto precedente, siamo sempre alle porte di Firenze, a Settignano, il cui nome ci riconduce subito alle sculture del Quattrocento del celebre Desiderio di Bartolomeo di Francesco. Del resto, anche in altri quadri di Telemaco Signorini, insieme ai tratti che gli derivano dalle suggestioni impressionistiche e dalla vicinanza allo stile dei Macchiaioli, non manca il ricordo dell'arte toscana del primo Rinascimento.

Basti osservare le architetture che fanno da sfondo al dipinto intitolato "Santa Maria dei Bardi" del quale vedete a lato un dettaglio.
Qui, le tinte pacate, la nitidezza nel delineare i contrasti tra
luce ed ombra, i cornicioni fortemente aggettanti e il disegno delle finestre rimandano a quell'edilizia tipicamente toscana che troviamo - per esempio - in alcuni affreschi di Masolino nella Cappella Brancacci della Chiesa del Carmine a Firenze.
Immagini di riposante serenità, sia che l'artista
abbia raffigurato la campagna o la rustica periferia, sia che abbia riprodotto le strade
cittadine con le loro eleganti dimore. 

E per passare alla musica, mi piace commentare l'atmosfera di questi dipinti con un brano di Mozart che mi sembra altrettanto riposante: il secondo movimento, "Andante", dalla "Sinfonia n.29 in La Maggiore K.201".
Si tratta di un pezzo scritto dal compositore a soli diciotto anni: una melodia che esordisce piana e ritmata a
somiglianza di un passo dall'andamento tranquillo, pervasa da un'intensa dolcezza conferita dallo splendore dei temi e dalla presenza degli archi in sordina. Un dialogo che si dipana e s'intreccia tra archi - appunto - e fiati, sempre improntato a grande pacatezza, se si eccettua il luminosissimo attacco dell'oboe nella coda del brano.

Ascoltandolo, tuttavia, alcuni passaggi mi sono riecheggiati dentro come se li avessi sentiti anche altrove. Così, mi sono accorta che il secondo tema che si apre a 0.48 dall'inizio, è lo stesso che, meno morbido ma più vivace e spiccato, troviamo nel primo tempo della "Sinfonia concertante K.364" - esattamente a 4.08 - scritta da Mozart cinque anni più tardi e che potete riascoltare qui.
Non è raro, del resto, che un'idea musicale ricorra nel tempo
in diverse composizioni, ora in modo più essenziale, ora più complesso e variato.
Sono coincidenze interessanti che troviamo in Mozart, in Bach e in tanti altri
autori come pure nelle varie forme d'arte, a segnare un processo di crescita, uno sviluppo, a individuare il consolidarsi di un' identità e di uno stile.

Buon ascolto!