mercoledì 25 dicembre 2024

Buon Natale!!!



El Greco (1541 - 1614) : "Adorazione dei pastori" (part.) - Museo del Prado, Madrid.

 

"Dona nobis pacem" : canone attribuito a Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791) e qui eseguito, oltre che dal coro, dalla robusta voce del direttore e dal pubblico. Al di là della resa non sempre perfetta, il canto mi colpisce perchè l'invocazione alla pace va progressivamente crescendo fino a diventare un grido sempre più sonoro, potente e condiviso!

Buona visione e buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

sabato 21 dicembre 2024

Specchi d'acqua - 12


 

 

 

 

 

 

 

 

 

  Concludo la carrellata di immagini di quest'anno relativa agli specchi d'acqua con il celebre "Miroir d'eau" di Bordeaux, situato nella Place de la Bourse, non lontano dalle banchine della Garonna. Progettato dal paesaggista Michel Corajaud e realizzato nel 2006 dall'architetto Pierre Gangnet insieme al fontaniere Jean-Max Llorca, il miroir è una piscina riflettente formata da lastre di granito coperte da 2 cm. di acqua e dotate di un meccanismo che permette di diffondere la nebbia circa ogni venti minuti. 

Non è nuovo nel tempo il desiderio di creare affascinanti scenografie attraverso l'acqua e le architetture circostanti: giardini, piazze e fontane, fin dall'epoca barocca, hanno espresso proprio questo intento insieme alla volontà di stupire tipica del periodo e dei loro autori.
Tuttavia, l'installazione di un miroir - non l'unica peraltro in Francia - mi pare abbia
qualcosa in più rispetto al passato non solo per l'adozione di modernissime tecnologie, ma anche per altri due motivi. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  Prima di tutto non si tratta di un monumento da visitare occasionalmente, ma di una piazza di transito quotidiano e quindi di un luogo abitato e vissuto con tutta la molteplicità di vita che ne deriva. Possiamo così immaginare l'alternanza dell'effetto specchio e della nebbia non solo nell'arco della giornata nelle ore di apertura al pubblico dalle 10 alle 22 e quindi dalla luce al buio, ma anche nel variare delle condizioni atmosferiche e delle stagioni.

Tuttavia, il dato che mi colpisce maggiormente è il contrasto tra l'architettura sontuosa e severa dei palazzi in stile neoclassico e il cielo con le nuvole che si riflettono nello specchio d'acqua conferendo all'insieme un che di surreale e leggero. Per non parlare poi dell'effetto nebbia che accresce tale sensazione. Se infatti nella parte superiore delle foto siamo in pieno Settecento, la parte inferiore della piazza, con gli edifici che sembrano poggiare sul vuoto e i passanti sospesi nell'aria, ci fa entrare in un quadro di Magritte.


 

 

 

 

 

 

 

 

Osserviamo le quattro immagini accomunate da un grande senso di apertura. Se nella prima è la luce rosata del tramonto a tingere cielo ed acqua creando una splendida scenografia che dà risalto ai vari palazzi, nella seconda e nella terza sono le figure umane a risultare quasi sospese in quella nebbia che talora svela, ma altrove lascia solo intuire il piano di appoggio.
Nella quarta qui sotto poi, tale effetto di sospensione a mio avviso è amplificato e il riflesso
delle persone nell'acqua le fa apparire come fossero librate tra le nuvole. Ne deriva un insieme un po' straniante che dal passato ci proietta in una sorta di ipotetico futuro con un effetto ottico che - come scrivevo - rimanda al surrealismo di Magritte. Ma l'originalità del Miroir d'eau sta anche in questo contrasto.

 

 

 

 

 

 

 

 

  Così, nel passare alla musica, sono stata incerta tra brani contrastanti sia per epoca che per caratteri. Ho pensato subito al clima festoso e fastoso della Musica sull'acqua di Haendel che ben si sarebbe armonizzata con gli edifici della metà del Settecento di Place de la Bourse, ma non col resto che avrebbe richiesto invece uno dei "Miroir" di Ravel. Insomma, suggestioni troppo lontane tra loro per poter coesistere in unico brano.
Inoltre, avevo bisogno di una musica che esprimesse l'eleganza della piazza e al
tempo stesso la luminosità di quei riflessi, insieme alla gioia di chi vi si addentra passeggiando a piedi nudi o magari riscoprendo lo stupore di un gioco nel cielo arioso di una bella giornata.

Allora ho fatto una scelta intermedia: non Haendel nè Ravel, ma Charles Gounod (1818 - 1893) con le "Variations du miroir", sesto brano della Suite per balletto aggiunta nel 1869 alla versione originale del "Faust", ma talora eseguita anche separatamente dall'opera.
Si tratta appunto di un pezzo orchestrale elegante e delicato insieme, un "Allegretto" dal riposante e sereno tema in 2/4. Un ritmo di danza dolcemente scandito che può accompagnare opportunamente la gioiosa sorpresa di chi attraversa quello specchio d'acqua ora nella nebbia ad altezza d'uomo, ora nei riflessi che dilatano lo spazio e i riverberi di luce.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

 

domenica 15 dicembre 2024

Musica di speranza

Sono passati già alcuni giorni ma, nonostante il ritardo, mi piace ricordare qui la riapertura della cattedrale di Notre Dame a Parigi dopo il devastante incendio del 15 aprile 2019.

Come tutti sanno, l'inaugurazione dell'edificio restaurato si è tenuta il 7 dicembre scorso con una cerimonia alla presenza di capi di stato da tutto il mondo, seguita poi l'8 dicembre - non a caso festa dell'Immacolata - dalla prima Messa con la consacrazione dell'altare e da una serie di celebrazioni lungo tutto l'arco della settimana. Se suggestivo è stato il rituale di apertura della porta, la riaccensione del grande organo, la benedizione e il canto del Te Deum, come pure i successivi momenti che alla dimensione religiosa hanno unito quella culturale e spettacolare, ho trovato interessanti anche altri due dati. 

In primo luogo, le parole di Macron “Restituiamo Notre Dame ai fedeli, ai francesi e al mondo intero”, parole che vedono nella cattedrale un patrimonio comune a tutti indipendentemente dalla fede religiosa, tant'è vero che al massiccio impegno economico necessario per il restauro ha contribuito anche il mondo laico. E parole che hanno trovato risonanza in quelle dell'arcivescovo di Parigi che ha sottolineato che la porta della cattedrale è aperta a tutti.

In secondo luogo, la presenza di capi di stato che si sono trovati ad essere testimoni insieme di una celebrazione di grande sacralità. Non è la prima volta che ciò accade e nessuno nega che nell'organizzare una circostanza spettacolare come questa abbiano avuto parte anche ragioni di opportunità politica come l'intento di rilanciare l'immagine di Macron e di una Francia attualmente in crisi.
Tuttavia, al di là di questo, mi è parsa molto significativa la convocazione di tanti
potenti della terra davanti alla Bellezza che non è solo quella dello splendore artistico dell'edificio restaurato, ma è insieme "la presenza materna e avvolgente della Vergine Maria" che esso porta in sè e che ne fa "un simbolo di unità e un segno di speranza", come ha sottolineato il rettore della cattedrale.
Tale presenza è rappresentata anche dalla celebre statua trecentesca della Vergine
col Bambino che vedete in foto - chiamata Notre Dame de Paris o anche Madonna del Pilastro - e che, salvata dalle fiamme di cinque anni fa, è stata riportata processionalmente all'interno della chiesa dal popolo parigino come un valore in cui riconoscersi al di sopra delle divisioni.

Ricordo bene la sera del furioso incendio perchè ero proprio davanti alla tv e ho assistito quasi in diretta al crollo della guglia dell'edificio, mentre mi afferrava un senso di crescente sconcerto per la gravità dell'evento. Certe opere d'arte capaci di raggiungerci con la loro magnificenza, divengono in qualche modo nostre e non possiamo non essere toccati dalle loro ferite.
Alla disgrazia è seguita poi la ricostruzione e ora una festa durante la quale non
poteva mancare la musica: non solo quella degli inni sacri, ma un grandioso concerto di brani classici e moderni interpretati da artisti prestigiosi e diretto dalla gioiosa energia di Gustavo Dudamel.

Così, tra i pezzi eseguiti ho scelto il "Maestoso - Allegro" che conclude la "Sinfonia n.3 in do minore op.78 per organo" di Camille Saint-Saëns (1835 - 1921). Nonostante la dicitura, in realtà si tratta di un brano orchestrale in cui, oltre all'organo, viene suonato anche il pianoforte in una composizione che in qualche modo sintetizza i caratteri dominanti dell'itinerario creativo del musicista. Il pezzo nella sonorità grandiosa e solenne del Do maggiore si apre con potenti accordi organistici e prosegue con l'esposizione del tema che riaffiora in vari modi: prima al pianoforte a quattro mani, poi nel fragore dell'intera orchestra, tra un pezzo fugato e un finale davvero altisonante.

Senza dubbio splendido, anche se per i miei gusti un po' troppo teatrale. Infatti - lo confesso - tra i brani proposti dal concerto gli avrei preferito l'incanto più intimo del mozartiano Laudate Dominum dai "Vesperae sollemnes de confessore K.339", se del Maestoso non mi avesse colpito il tema. Perchè mai?
Perchè la melodia delle prime sei note,
fatta salva la differenza di tonalità, è identica a quella che apre la celebre "Ave Maria" di Arcadelt che potete ascoltare qui. Poi certo, Saint-Saëns prosegue la battuta con altre due note, ma l'esordio è quello.
Non so se da parte del musicista francese il riferimento sia stato intenzionale o meno, ma
a me la cosa è parsa una bella coincidenza. Il riferimento a Maria che vi sento riecheggiare è infatti un segno di speranza come il suono delle campane della cattedrale cui ha fatto riferimento Macron, suono da sempre nel cuore dei Francesi e ora divenuto simbolo di rinascita per il mondo intero.

Il video che pubblico è suggestivo perchè ci conduce all'interno della chiesa proprio durante il concerto diretto con piglio entusiasmante di Dudamel. Ma siccome mentre preparavo il post un precedente video è già stato oscurato, se in futuro anche questo non dovesse essere più disponibile, trovate lo stesso brano di Saint-Saëns in una differente esecuzione al seguente link : https://www.youtube.com/watch?v=M68gT9XQMEw.

Buona visione e buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

domenica 8 dicembre 2024

Larghetto

Adagio, Adagietto,
Andante, Andantino,

Largo e Larghetto...

No, non sto recitando una filastrocca musicale, anche se qualche volta la tentazione c'è e magari potrei inventarmi un testo a metà strada tra le graziose poesiole di Gianni Rodari per l'infanzia e le parole in libertà dei Futuristi. Che dite?...
Ma forse per questa volta è meglio di no ed è più opportuno
rimandare qualche ipotetica follia ad un altrettanto ipotetico futuro anche perchè il post di oggi vuol essere serio, anzi serissimo.

Il fatto è che, in questi ultimi tempi, mi sono accorta che nelle mie assidue frequentazioni musicali ho incontrato spesso brani con l'indicazione di Larghetto. Sono pezzi lenti di Bach, Vivaldi, Mozart, Beethoven, ma anche di Rachmaninov, Dvorak e chissà quanti altri! Così, al di là del termine che mi piace per quel suo vezzeggiativo che gli conferisce un andamento grazioso, mi sono chiesta che cosa differenzia tra loro le varie indicazioni usate dai compositori per definire un pezzo lento come, per esempio, il secondo movimento di un concerto, un quartetto o una sinfonia.

Sul tema di tali indicazioni agogiche e della loro varietà ho già pubblicato anni fa un post che potete trovare qui, ragion per cui non mi dilungo e mi soffermo invece proprio sul Larghetto.
Che cosa lo distingue dagli altri tempi simili quali Adagio, Largo, Andante e via
dicendo? Da quello che capisco si tratta di una differenza di pulsazioni, di battiti per minuto, quelli che si misurano col metronomo per intenderci.
Il Larghetto dovrebbe essere più lento dell'Andante ma meno del Largo; tuttavia us
o il condizionale perchè, soprattutto nella musica classica, laddove il numero dei battiti del brano non sia specificato la cosa è lasciata alla sensibilità e al gusto dell'interprete. Così a volte le differenze consistono in minime sfumature. Inoltre, il risultato è frutto di tante variabili che dipendono anche dal compositore, dallo strumento usato e dal contesto, per cui un Larghetto cantabile di Paganini suona ben diverso da uno di Fauré.

Tutto questo discorsino per introdurre il brano di oggi che è proprio un Larghetto nientemeno che di Chopin! Si tratta del terzo movimento della "Sonata in Do minore n.1 op.4" scritta intorno al 1828, ma pubblicata postuma per una serie di divergenze tra il musicista e l'editore sulle quali non mi soffermo.
È un pezzo dal clima romantico che può ricordare quello di un notturno, composto nell'inconsueto tempo di 5/4. Non è nuovo Chopin all'uso del Larghetto: lo troviamo infatti in entrambi i tempi lenti dei due mirabili concerti per pianoforte - che potete ascoltare qui e poi qui - scritti più o meno negli stessi anni e che anche nel brano di oggi sentiamo riecheggiare meravigliosamente in alcuni passaggi. E proprio a somiglianza dei due concerti, nella ripresa del tema di questo Larghetto Chopin ne lavora per così dire la melodia, sostituendo gli accordi con morbidissimi arpeggi e arricchendola di impalpabili fioriture di note.

Abbandoniamoci dunque al fascino del brano lasciandoci prendere dalla sua crescente magìa. Come possiamo vedere dalla foto, inizia in chiave di basso con un'introduzione dall'atmosfera assorta e quasi solenne, per poi risalire a quella di violino e apririsi dolcemente in una melodia pacata e luminosa 

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

sabato 30 novembre 2024

Andante amoroso...

Molto espressivo il ritratto che vedete - opera del pittore Émile Signol - e che rappresenta il compositore francese Hector Berlioz (1803 - 1869) a ventinove anni.
La folta chioma ondulata, il profilo netto e lo sguardo penetrante fisso in un punto imprecisato - forse
in un pensiero o un sogno - rendono bene l'idea dell'eroe romantico, così come anche la letteratura del tempo lo delinea.

In effetti, la sua "Sinfonia fantastica op.14" che ha come sottotitolo "Episodio della vita di un artista in cinque parti" è quasi una sorta di emblema della musica romantica.
Si tratta di una composizione a programma in
cui i vari movimenti ruotano intorno al pensiero della donna invano amata dall'autore, pensiero divenuto un' idea fissa tradotta musicalmente in un tema che attraversa i vari tempi della sinfonia. Alla base di tale invenzione sta un dato autobiografico: la passione del compositore per l'attrice Harriet Smithson che le note esprimono con accenti di struggimento e speranza, rabbia e gelosia generati dal sentimento non corrisposto. Ne deriva una creazione ora malinconica, ora scintillante, ora lugubre, ora grottesca: un pezzo visionario che alcuni critici hanno ipotizzato sia stato scritto addirittura sotto l'effetto dell'oppio.

Ma come mai m'interessa?
I motivi sono due: un antico ricordo e una trasposizione per
pianoforte.
Il ricordo mi riporta ai miei quindici anni, quando a casa mi avevano regalato il
giradischi e questo di Berlioz era stato il primo album che avevo acquistato.
"E Bach?..." direte voi. Bach è venuto subito dopo, ma il primo 33 giri che ha fatto
ingresso in casa mia - insieme ai 45 giri dei Beatles, s'intende - è stato proprio di Berlioz. A me, totalmente inesperta, lo aveva consigliato il proprietario del negozio dove, come in una sorta di santuario, in seguito mi sarei recata parecchie volte sicuramente a cercar musica, ma anche a sperare che dei due commessi ci fosse il più carino...il quale invece si era eclissato quasi subito. Ma in compenso mi sono rimasti i dischi. Insomma, a volte la musica per arrivare a noi fa dei giri un po' complicati.

Confesso che la composizione di Berlioz non mi era piaciuta subito, ad eccezione della suggestiva atmosfera del brano di apertura e del secondo movimento, un valzer morbido e scintillante che ho pubblicato anni fa.
Ma col tempo sono riuscita ad apprezzare tutto, persino la versione caricaturale del
Dies irae che troviamo nel finale. Tuttavia poi, l'ascolto di altri autori me l'ha fatta mettere da parte.

Il secondo motivo di interesse è stata appunto la mia riscoperta di questo pezzo grazie a una trasposizione per pianoforte del suo tema ricorrente ad opera di Franz Liszt (1811 - 1886), in un brano intitolato "L'idée fixe: Andante amoroso d'après une mélodie de Berlioz, S395".
Se ascoltiamo il primo movimento della sinfonia intitolato "
Rêveries. Passions" nella sua versione originale che potete trovare qui, cogliamo accenti contrastanti che vanno dal pianissimo al fortissimo, dalla malinconia nostalgica del sogno al fuoco della passione. Liszt invece estrapola - se così si può dire - il tema ricorrente, la famosa idea fissa, e ne fa un delicatissimo preludio dall'atmosfera contemplativa che, in alcuni passaggi, potremmo paragonare ad un notturno di Chopin.
Dopo una breve introduzione, si apre infatti una melodia di dolce cantabilità che poi si
ripete con una serie di cromatismi e morbidissime fioriture di note, quasi a riprodurre un sospiro in un clima trasognato. Bellissima, nel titolo, l'espressione Andante amoroso che ci restituisce tutto l'incanto di quel tema del quale Liszt, togliendo i passaggi più accesi, esalta il fascino e la delicatezza.
Del resto, il musicista ungherese, oltre al proprio genio di compositore e virtuoso, è
celebre per le numerose trascrizioni per pianoforte di opere di altrui, cosa peraltro consueta nell'Ottocento romantico, sia per favorire la diffusione della musica che per dare risalto ad artisti ancora sconosciuti.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

venerdì 22 novembre 2024

Un' Aria di Bach per Santa Cecilia

Tra le tante raffigurazioni di Santa Cecilia che ho cercato nei giorni scorsi per celebrarla oggi qui, mi ha colpito subito questa di Anton
Joseph Dräger (1794 - 1833) - pittore tedesco nato a Treviri e morto a Roma - perchè ad una prima occhiata non lo avrei collocato nell'Ottocento, ma molto prima.

Dalle ante gotiche dell'organo alla bifora a tutto sesto che inquadra un morbido scorcio di paesaggio, il dipinto dedicato alla Santa e conservato nella collezione del castello di Weilburg mi riporta infatti al periodo rinascimentale.
E se pure sopravvive qualche reminiscenza
gotica, la finestra di sfondo che si apre su di un dolcissimo paesaggio testimonia l'acquisizione di abilità pittoriche già tipiche del Cinquecento.

Tra l'altro la morte dell'artista a Roma, che non a caso ricordavo, mi suggerisce che la sua presenza in Italia può avergli permesso di ammirare la grande pittura del Rinascimento e di prenderne spunto.
Mi riferisco non solo al colorismo degli artisti
veneti che qui Dräger riflette nell'abito di Cecilia, ma a quella bifora a tutto sesto che riporta ai dettagli di diverse Madonne di Leonardo (Madonna Benois, Madonna Litta, Madonna del Garofano) e non solo.
Inoltre, la morbidezza e la varietà del panorama
che si scorge dalla finestra non differiscono molto da altri sfondi di paesaggio che troviamo, per esempio, in Raffaello o in autori coevi.
Poi certo, il profilo sottile, la fronte nitida della Santa
insieme alle splendide mani affusolate posate sulla tastiera, possono rivelare tratti pittorici molto più vicini a noi.
Così pure i capelli lisci e scuri, raccolti sulla
nuca, nella loro moderna semplicità si allontanano parecchio dalle ricche ed elaborate acconciature rinascimentali.

Qui Cecilia, raffigurata come Santa solo dalla presenza dell'aureola, è in realtà una dolce fanciulla che, nella sua stanzetta, siede tutta intenta ad eseguire e forse anche a cantare una musica che - ingrandite il particolare! - sta leggendo su di un corale miniato. Un contesto del tutto anacronistico, se pensiamo che è vissuta a Roma nel III secolo d.C., mentre qui è inserita in un ambiente che rimanda a differenti epoche successive.

Dettagli antichi quindi, uniti ad altri più vicini a noi che ben si armonizzano tra loro nel clima di serena pace che promana da questo dipinto, quasi a dire che l'amore per la musica attraversa ogni tempo.

Proprio il corale sul leggìo mi riporta al passato, inducendomi ad associare a questa immagine una splendida composizione di Johann Sebastian Bach: il quinto movimento della Cantata in Re Maggiore BWV 30, "Freue dich, erlöste Schar" (Rallegrati, popolo redento).

Si tratta dell' Aria "Kommt, ihr angefochtnen Sünder" (Venite, afflitti peccatori) per contralto, flauto traverso, archi e continuo, melodia molto orecchiabile, esposta all'inizio e alla fine dai soli strumenti, mentre la parte centrale è affidata al canto della solista.
Per quanto abbia un tempo scandito nella
regolarità dei 4/4, il pezzo ci comunica un impulso danzante per le frequenti terzine e il ritmo talora puntato. Ne deriva un andamento decisamente gioioso che esprime esultanza per l'annunzio di salvezza portato da San Giovanni Battista cui la Cantata è dedicata, secondo le parole del testo scritto dal poeta e librettista tedesco Christian Friedrich Henrici. Eccole:

"Venite, peccatori,
accorrete, figli d'Adamo.
il vostro Salvatore grida e vi chiama!
Venite, gregge disperso,
svegliatevi dal sonno del peccato,
poiché ora è il tempo del perdono!"

Spero che Santa Cecilia approvi la mia scelta... Per parte mia, già da tempo la immagino intenta a conversare e far musica insieme a Bach, in un sublime angolo di Paradiso.

Buon ascolto! 

(La foto è presa dal web)


venerdì 15 novembre 2024

Specchi d'acqua - 11

È una tempesta lo specchio d'acqua di oggi, una superficie agitata da alti marosi che l'artista ha qui realizzato in modo efficacissimo. 
Si tratta del "Naufragio" di William Turner (1775 - 1851), opera conservata presso la Tate Britain di Londra.
Il primo immediato colpo d'occhio su questo dipinto mi dice subito quanta strada i vari artisti abbiano compiuto nel corso dei secoli nel riprodurre acque in movimento. Dalle raffigurazioni più semplici e stilizzate delle miniature medioevali a quelle del Rinascimento in cui il tratto pittorico si è arricchito di morbidezza e realismo, fino ai secoli più vicini a noi, l'abilità dei pittori si è sempre più raffinata nel rappresentare ora la profondità, ora il moto, ora riflessi e trasparenze delle onde. Basterebbe citare gli Impressonisti - peraltro non ultimi nel tempo - per comprendere la misura del cammino percorso. 
Del resto, che c'è di più mutevole di uno specchio d'acqua per offrire agli artisti un'ampia serie di soggetti cui ispirarsi?
 
 
Così oggi, mi piace soffermarmi sulla tempestosa immagine che vedete.
È stato il periodo barocco, dopo la compostezza rinascimentale, ad introdurre davvero il movimento nelle varie arti figurative, anche se già il Tintoretto aveva anticipato nei suoi dipinti tale tendenza. 
E insieme a questa, una libertà sempre più grande ha animato diversi pittori nel rappresentare il paesaggio e in esso il mare. Ricordo a questo proposito Rembrandt, Jan Peeters, Van de Velde il Giovane, poi Gaingsborough e Vernet, esponenti tra i più rappresentativi dei tanti che, tra il Seicento e il Settecento, hanno realizzato marine in tempesta o scene di naufragio.
 
 
Con questo dipinto di Turner, arriviamo ai primi dell'Ottocento - 1805, per la precisione - e la lotta impari dell'uomo contro la furia degli elementi s'inquadra nel clima romantico e in quella poetica del sublime nata alcuni decenni prima. Essa privilegia la rappresentazione di una natura maestosa, del senso del mistero e di tutti quei fenomeni che affascinano e provocano insieme turbamento per i loro aspetti terrificanti ed estremi. Così, le composizioni pittoriche si popolano di acque tempestose, eruzioni vulcaniche, terremoti, come pure di notturni in cui la luna rischiara un buio inquietante.
 

 
Nel "Naufragio" - peraltro non l'unica opera in cui ha raffigurato il mare agitato - Turner ci presenta alcune imbarcazioni che stanno per essere sommerse dai flutti e la lotta disperata dei naufraghi contro la sferza del vento e la forza delle onde. Onde che qui hanno perso la loro sagoma consueta per diventare un magma caotico e ribollente, informe e indefinito che l'artista realizza con un tratto pittorico modernissimo - quasi un anticipo di Astrattismo - capace di renderne la leggerezza ma anche il peso e l'ingovernabilità. La visione d'insieme ci restituisce infatti la percezione di un continuo movimento ondeggiante che circonda le barche da ogni lato, in un mare cupo dove le spume tra il bianco e il verdastro mandano lampi di luce sinistra, sotto un cielo scuro gravido di nubi. E tale contrasto accresce la tensione della scena.
Un'opera efficacissima, quindi, che rappresenta l'angosciosa concretezza di un naufragio e che a noi che la osserviamo oggi - a più di due secoli di distanza dal contesto dell'epoca in cui è stata concepita - non può non ricordare la tragedia di altri naufragi più vicini a noi, che hanno seminato e ancora seminano morte nel Mediterraneo.
 
Proprio questa drammaticità mi ha suggerito il brano di musica da associare al dipinto. Non una delle varie tempeste pur pregevoli che possiamo trovare nei concerti di Vivaldi o nella sonata di Beethoven che porta questo nome, ma - sempre di Ludwig van Beethoven - il tumultuoso e movimentato terzo tempo della "Sonata per pianoforte n.14 in Do diesis minore" nota per il suo Adagio iniziale intitolato "Al chiaro di luna".  
Una contraddizione? No, perchè a interessarmi qui non è l'atmosfera contemplativa di quel celebre pezzo, ma il "Presto agitato" finale. 
Si tratta di un brano in cui il tema, ricco di impetuosa veemenza, è una sorta di corsa inquieta e senza riposo, una travolgente cascata di arpeggi che vanno in crescendo e sembrano culminare in una deflagrazione. 
Ma al di là di questo, è il prevalere della tonalità minore a conferirgli un senso di forte tensione drammatica. E anche dove in taluni passaggi le note si placano, non viene meno quel costante dinamismo che fa di questa sonata - scritta nel 1801, a poca distanza e nello stesso clima artistico del dipinto di Turner - una delle espressioni più compiute della musica romantica.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

venerdì 8 novembre 2024

Lo stupore della neve


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È sempre suggestiva la neve in natura, ma senza dubbio lo è anche in parecchi paesaggi degli Impressionisti che sono stati veri maestri nel rappresentarla cogliendone tutto il fascino.
Mi riferisco certamente a Monet a comiciare dal celebre dipinto intitolato "La gazza",
per proseguire con le numerose vedute di Argenteuil innevata; ma insieme a lui ho in mente anche Pissarro, Caillebotte, Courbet e Sisley, solo per ricordare i più rappresentativi.
Proprio di Alfred Sisley (1839 - 1899) avevo pubblicato tanti anni fa un post che
potete trovare qui nel quale commentavo "La neve a Louvenciennes", e torno oggi col dipinto che vedete, intitolato "Place du Chénil à Marly, effet de neige", conservato al Musée de Beaux-Arts di Rouen.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E perchè questa composizione mi attrae in modo particolare?
Perchè è un'immagine fiabesca che,
a somiglianza di una preziosa perla che da un fondale marino riaffiora di tanto in tanto offrendoci la sua trasparenza, mi evoca i dettagli di un tempo infantile trascorso ma mai dimenticato.

Quel paesetto con le case addossate le une alle altre quasi avessero freddo mi ricorda infatti le illustrazioni di un'enciclopedia che avevo da bambina, insieme ad altre figure dei libri delle scuole elementari: piccoli universi di serenità dove iniziavo a familiarizzarmi con la vita e ai quali talora vorrei riandare come si desidera tornare a una felicità di sogno ancora intatta.

Ma nel dipinto di Sisley, oltre al paese, il tocco suggestivo è dato certamente dalla neve: un manto diverso da quelli pur bellissimi di altri pittori, che qui si arricchisce di densa corposità. Una neve della quale sentiamo lo spessore e il peso sui tetti, sui rami e sul terreno; un manto forse già molle nel quale i passi affondano lasciando orme scure, fatte di pennellate dense e materiche.

Quelli dell'artista sono infatti tratti semplici eppure molto efficaci nel ricostruire un ambiente, nel realizzare gli alberi - ricchi di ramificazioni che sarebbero piaciute a Mondrian - e insieme le figure umane: i due uomini vestiti di scuro e alcune donne davanti alle case, piccolissime ma non tanto che non ne possiamo intuire gesti, parole e forse anche pensieri. Un minuscolo universo che il genio pittorico di Sisley ci restituisce in un quadro di 50 per 61,5 cm.

Ma ad affascinarmi al di sopra di tutto sono i colori: è la suggestione del bianco, dell'azzurro, del grigio, del verde chiaro con qualche tocco di rosa sia nella rappresentazione della neve che del cielo. Tinte fredde, ma non gelide, e sfumature che si fondono in una delicata visione d'insieme, consentendoci di percepire l'atmosfera silenziosa e raccolta di certe giornate invernali.

E per prolungare tale sensazione di intimità data - nonostante sembri una contraddizione - proprio da queste tinte, ho pensato di associare al dipinto una musica lenta e assorta.
Come spesso accade, mi è venuto in soccorso Johann Sebastian
Bach, certo ben lontano da Sisley per contesto e cronologia, ma capace di oltrepassare i secoli con le sue melodie senza tempo. 

Così ho scelto il secondo movimento, "Adagio" del "Concerto Brandeburghese n.1 in Fa Maggiore BWV 1046", primo dei sei celebri concerti, considerati sintesi e culmine dello stile barocco ed esempi grandiosi del multiforme genio bachiano.
L' Adagio è un brano dall'atmosfera intensamente meditativa, nella struggente dolcezza di un re
minore che qui non mi pare induca tanto alla malinconia, quanto all'introspezione. Delicatissimo il dialogo che si configura tra oboe e violino, arricchito da numerose dissonanze che conferiscono profondità a una melodia non priva di suggestioni vivaldiane. Sembra condurci infatti fuori e insieme dentro di noi, attraversando paesaggi semplici e antichi dove la musica, come la neve del dipinto, fa fiorire lo stupore.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

giovedì 31 ottobre 2024

La scala mobile

Sto invecchiando.
"E te ne accorgi solo ora?" dirà qualcuno.
No, se è per que
sto lo so da tempo! Ma di tanto in tanto compaiono piccoli segnali che me lo ricordano: cose da poco in sè, ma una oggi, l'altra domani... insomma fanno pensare.

L'ultima avvisaglia mi è arrivata giorni fa mentre ero in un grande magazzino. Cercavo i tovagliolini di carta a fiori e dovevo andare nel reparto casalinghi che era nel seminterrato, ma avviandomi verso la scala - quella fissa - ho trovato solo la rampa in salita: possibile?... Ho girellato qua e là, ma niente. Così ho dovuto prendere quella mobile. "E dove sta il problema?..." direte. Tranquilli, c'è. 

Il fatto è che non ho mai avuto simpatia per le scale mobili in discesa. A me che uso tranquillamente funivie e seggiovie sulle alte vette, quel vuoto - chissà perchè - ha sempre dato fastidio.
L' ho provato per la prima volta da bambina quando mia mamma mi portava a Milano
. Erano pomeriggi di svago: dalla nostra città prendevamo la celere - che era l'autobus veloce dell'ATM, non il reparto di Polizia! - e in una mezzoretta arrivavamo a destinazione. Poi ci sguinzagliavamo di buon passo per le vie del centro facendo tappa anche alla Rinascente.
Qui mia mamma, giustamente attenta a che
imparassi a sveltirmi, mi aveva insegnato come salire e scendere dalle scale mobili. Per la salita nessun problema, ma in discesa avevo sempre paura a fare il primo passo e dovevo aggrapparmi a lei. Poi certo, col tempo ho imparato a usarle senza difficoltà a cominciare da quelle della metropolitana milanese, ma se capita che siano più ripide e veloci del solito, l'antico disagio ricompare.

Mi è successo anni fa nel metrò di San Pietroburgo dove mi ero abbarbicata a mio marito per non cadere, ed è accaduto anche nel grande magazzino di cui parlavo dove ero sola. Sola significa che la pietosa scena non ha avuto testimoni. Davanti ai gradini che scorrevano ripidi e veloci, avrei avuto tutto il tempo di fare con calma il primo passo, ma è scattata in me un'esitazione viscerale, insieme a una voce che ha sentenziato "No, non ce la puoi fare!".
E per la prima volta sono tornata indietro.

Tuttavia, memore dei tovagliolini, mi sono intestardita a cercare
una rampa fissa che ho poi trovato seminascosta dal reparto profumeria e sono finalmente approdata ai casalinghi.

È stato al momento di risalire - stavolta sì, sulla scala mobile - che ho preso coscienza del problema e mi sono detta: "Ragazza mia, come ti sei ridotta! Stai proprio perdendo colpi!" e altre simili stupidate.
Ma, invece di precipitarmi nella depressione, tale consapevolezza mi ha fatto sorridere perchè -
in un flash improvviso - mi sono venuti in mente quei cani che hanno paura delle scale mobili e devono essere portati in braccio dal padrone. Il pensiero di essere diventata così - giusto come il golden retriever della foto - mi ha suscitato un moto di affetto per me stessa tanto che, quando sono riemersa al piano terra, ridevo da sola e ho dovuto infilarmi gli occhiali scuri per darmi un contegno!

Ora chiedo scusa a chi legge per la divagazione, ma l'argomento mi ha preso la mano. Devo dire che, al momento di associare una musica a questo piccolo episodio, la scelta non è stata facile. Mi serviva un brano leggero e ho pensato prima a Rossini, poi a Mozart, poi Scarlatti, Chopin, Beethoven, Ponchielli, Saint-Saëns, poi alla "Fantasia" di Walt Disney e su su fino alla colonna sonora della Pantera Rosa che qualche volta - lo giuro! - pubblicherò.
Però...Certi brani non sono adatti, altri sono già nel blog;
nel "Carnevale degli animali" non ci sono cani; nella "Fantasia" di Walt Disney a scendere le scale c'è Topolino ma, appunto, non è un cane e, se è per questo, non lo è neanche la Pantera Rosa.
In verità, avrei potuto cavarmela con i famosi "4,33" minuti di silenzio di John Cage, che
avrebbero opportunamente interpretato la mia esitazione davanti alla scala. Ma ho esitato anche qui!

Infine, ho trovato il "Pizzicato" dal terzo atto del balletto "Sylvia" di Léo Delibes (1836 - 1891) e mi ha convinto. Il brano - diciamola tutta - non c'entra proprio niente con cani e scale mobili, ma è un pezzo leggero e giocoso, ammiccante al punto giusto, che mi restituisce quel che di timoroso e un po' furtivo della mia avventura nel grande magazzino.
Mi ci rivedo mentre mi blocco davanti alla scala, poi mentre mi aggiro alla ricerca di una
rampa fissa dove scendere con l'incedere di una miss, e infine quando mi scappa da ridere e devo nascondermi dietro due occhialoni da diva.
A parte gli scherzi, il pezzo mi affascina per i suoi pizzicati così nettamente scanditi e il ritmo di danza
che mi riconcilia con me stessa, sull'onda di quel sorriso sorto spontaneo al pensiero di avere le stesse paure di un cane.
E per di più simpatico come un golden retriever!

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

mercoledì 23 ottobre 2024

Specchi d'acqua - 10


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sarà stata la pioggia di questo periodo insieme al cupo grigiore di certe mattine ad indurmi a cercare immagini che restituiscano luminosità e trasparenza al cielo e gaiezza al cuore. Così, per lo specchio d'acqua di questo mese ho scelto alcune delle foto che avevo scattato qualche anno fa sull'Arno a Pisa.
Era dicembre e l'azzurro che vedete non è frutto di un ritocco, ma
era davvero così, col nitido splendore di certe belle giornate invernali. Sono immagini riprese in orari diversi e ce ne accorgiamo dal cielo decisamente terso nel corso della mattinata, mentre nel pomeriggio si va coprendo di una cortina di nuvole che dalle colline dell'entroterra avanzano verso la costa. 

Ma l'aspetto che ogni volta mi prende sempre di più è l'apertura luminosa di questo panorama che mi restituisce un profondo respiro.
Non per niente, dovendo a suo tempo inaugurare un calendario nuovo per l'anno seguente - e chi legge questo blog sa che, per quanto non ci sia nata nè ci viva, lo voglio sempre con immagini della Toscana - invece di comprarlo, me l'ero fatto con le mie foto.

Era bello al mattino, in cucina, alzare lo sguardo sul muro e vedere il buio invernale illuminato da questi panorami che ancora, quando li osservo, mi allargano il cuore.
Questione di proporzioni, probabilmente, che spesso mi hanno fatto apprezzare i Lungarni pisani ancor più di quelli fiorentini. Grazie infatti alle dimensioni non eccessive degli edifici in rapporto all'ampiezza del fiume, qui essa risalta meglio facendosi specchio al cielo e alla bellissima fila di palazzi.
Ne vediamo in particolare, nella foto soprastante, uno
dei più antichi: Palazzo Agostini, detto anche Palazzo Rosso per il colore della pietra, edificio medioevale in stile gotico e dal cornicione molto aggettante com'è tipico di tanta architettura toscana.

Tuttavia è il fiume ad offririci le suggestioni più vive.
Sono certo i riflessi ondeggianti della case e il
tremolare dell'acqua che confonde i loro profili regolari facendone una sorta di dipinto impressionista. Ma è anche - nel dettaglio qui a lato - il gabbiano in volo che si scorge in basso e che ci ricorda il mare lontano solo una decina di chilometri dove l'Arno va a sfociare, a Marina di Pisa.

Così pure sull'altra sponda, nella grande curva del fiume e davanti ai vari edifici, risalta la chiesetta di Santa Maria della Spina, nel suo marmo chiaro e nei suoi pinnacoli gotici che si riflettono nell'acqua come un piccolo, luminoso gioiello.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche da questa parte, il panorama ci regala una profondità spaziale che illumina gli occhi e al tempo stesso il cuore colmandolo di bellezza.
Bellezza e storia intrecciate, perchè l'Arno è parte integrante delle molteplici vicende
che, dal Medioevo in poi, hanno segnato non solo Pisa e Firenze, ma tutta la Toscana. Un fiume ricordato spesso da Dante a cominciare dal Canto XIV del Purgatorio ("Per mezza Toscana si spazia / un fiumicel che nasce in Falterona, / e cento miglia di corso nol sazia") e che dalla sorgente nel cuore del Casentino sfocia in mare proprio a poca distanza da Pisa. Un fiume che attraversa città dal passato glorioso, ma spesso tormentato da lotte, guerre e - venendo più vicini a noi - rovinose alluvioni.

Per questo, nella scelta della musica da associare alle immagini, non ho voluto un pezzo che si risolvesse imitando il movimento delle onde come nei vari giochi d'acqua pubblicati talora in passato.
M'interessava invece un brano sinfonico di portata più ampia, che
riproducesse la mia percezione di apertura davanti a queste immagini e insieme la maestosa solennità del fiume che, ormai ricco di acque, con tutta la rilevanza della sua storia si dirige finalmente verso il mare.

Così ho scelto il "Preludio sinfonico in La maggiore" di Giacomo Puccini (1858 - 1924): una fantasia scritta in epoca giovanile che a suo tempo non aveva riscosso particolare successo, ma che è stata riscoperta e ripresa da una cinquantina d'anni a questa parte. Un brano da ascoltare e riascoltare a lungo per scoprirne tutto l'incanto.
Si tratta di una composizione di grande respiro orchestrale che inizia dolcemente,
con accenti di delicata intimità, proprio come un fiume alla sua sorgente, tra passaggi assorti in minore e altri, più gioiosi, in maggiore. Il suo andamento prosegue senza ignorare momenti forti, ma illuminandosi sempre più, simile a un corso d'acqua che nel suo procedere si allarga maestoso verso la foce a raggiungere il proprio compimento. Lo si avverte da certe frasi musicali ripetute in tonalità sempre più alte e solenni che poi sfumano di nuovo in dolcezza nella conclusione.
Un Puccini di soli 24 anni, ma già capace di una passione che, se da un lato si esprime in
grandiosità orchestrale, dall'altro si effonde in melodie di tono più intimo che anticipano lo stile di alcune future romanze.

E a proposito di melodie, mi permetto un'ultima osservazione.
Ce n'è una che esordisce a 4.12 dall'inizio - fateci caso, per favore! -
un breve, dolcissimo tema cantabile che immagino anche a voi ricordi qualcosa di più recente.
A me pare di sentirlo riecheggiare nella celebre colonna sonora del film "La vita è bella", scritta da Nicola Piovani e che nel 1999 gli ha meritato l'Oscar.
Certo il ritmo è diverso: mentre il frammento di Puccini è animato da intensa e romantica passione, la
 musica del film ha un tono più leggero e quasi giocoso, anche perchè l'argomento della pellicola - in sè tragico - è trattato però da un'ottica particolare. Ma la somiglianza a mio avviso c'è.

Una coincidenza casuale o davvero il Maestro Piovani ha preso spunto dal Preludio sinfonico rielaborando con la propria inventiva quel piccolo frammento? Sarebbe comunque un bel rimando culturale, ma insieme a lui meriterebbe l'Oscar anche Puccini!

Buon ascolto!


martedì 15 ottobre 2024

Incanto di un sol minore

In tanti anni di blog - e fra qualche giorno saranno la bellezza di quattordici! - mi accorgo di non aver mai pubblicato alcune musiche più che mai famose, divenute nel tempo patrimonio di tutti e in qualche modo simbolo dei loro autori.
Mi riferisco, per esempio, alla "Toccata e fuga
in re minore" di Bach, al "Largo" di Haendel, alla "Quinta" e alla "Nona" di Beethoven, alla "Polacca in La bemolle maggiore op.53" di Chopin e non solo.
Il fatto è che di tali opere si sono dette tante e tali cose che, se mi ci mettessi
anch'io che non sono nessuno, mi parrebbe di aggiungere solo banalità.
E siccome qui non ho mai avuto intenzione di fare la storia della musica, ma semplicemente di
condividere considerazioni più piccole e insieme più personali, su certe celebri composizioni ho sempre glissato. 

Oggi tuttavia, tirata per la giacca dal mio blog che, giunto ormai alle soglie dell'adolescenza, comincia a scalpitare avanzando qualche pretesa, mi sono decisa a pubblicare il brano forse più popolare di Wolfgang Amadeus Mozart: la "Sinfonia in sol minore n.40 K.550" nel suo incantevole primo movimento. Ma non è tanto sul fascino di quest'opera che vorrei soffermarmi e neppure sulla sua costruzione armonica, ma su di un aspetto che mi ha sempre colpito: la tonalità.

Sappiamo tutti quanto ogni tonalità abbia un proprio carattere che la rende particolare e unica, tanto che cambiare quella originaria di un pezzo significa compromettere parte del suo fascino, perchè certi tratti di bellezza sono legati a precise frequenze sonore e a una coerenza interna al brano che non andrebbe modificata.
Ma mi riferisco anche alla grande differenza tra i toni maggiori, luminosi, sereni,
esuberanti, assertivi, e quelli minori che inclinano verso la malinconia, l'incertezza o l'ombra. Ragion per cui, in un complesso di 41 sinfonie di cui 39 scritte da Mozart in tonalità maggiore, davanti alla K.550 in sol minore - insieme alla K.183 - mi sono chiesta il motivo di tale scelta.

Dopo composizioni dal clima brillante ispirate ora alle ouvertures italiane, ora alla dialettica tra stile dotto e stile galante, qui l'atmosfera cambia.
È l'inizio a catturarci subito - come vedete dalla foto - con quella mezza battuta di accompagnamento affidata alle viole simile quasi a un sospiro che precede l'esposizione del tema. Non è l'incipit solare o salottiero di tanti pezzi del passato e, se anche l'indicazione agogica recita "Allegro molto", le note ci immergono subito in un'atmosfera di malinconia tesa e nostalgica, come sgorgassero da un movimento d'anima angoscioso.
Allegro molto ? Forse, se si vogliono rispettare i canoni che assegnavano al primo
tempo di una sinfonia un carattere di vivacità. Tuttavia, proseguendo nell'ascolto, le note si fanno sì concitate, ma drammatiche. Non è olimpica serenità, non è più certezza di una felicità esistenziale, ma un senso di affanno, un gorgo di inquietudini segnato da qualche sprazzo di luce insieme a parecchie ombre. 

Siamo nel 1788 e sono in parte le cupe vicende esistenziali di un Mozart trentaduenne che morirà solo tre anni dopo, a influenzare il tono di questa composizione. Ma al tempo stesso è il clima culturale dell'epoca che dalle certezze illuministiche sta piegando verso altre concezioni della vita dove il prevalere del sentimento sulla ragione, la percezione del mistero che avvolge l'esistenza umana e il bisogno dell'individuo di contrastare il proprio destino si fanno sempre più consistenti. È l'affermarsi del movimento preromantico, con le sue ombre e insieme il suo impeto - lo Sturm und Drang - a segnare anche la musica cominciando da Haydn e poi Mozart soprattutto in questa fase della sua vita.
Se infatti la tonalità minore della K.183 - scritta a soli diciassette anni - può essere
attribuita all'influsso della musica di Haydn che il compositore salisburghese conosceva e stimava, la K.550 è frutto di una sensibilità preromantica ormai più matura e consapevole. E l'incipit della sinfonia lo spiega meglio di tante parole.

Sulla particolare scelta del sol posso dire solo che è una tonalità soffusa di tristezza, ma non tragica come il re minore al quale Mozart affiderà il suo Requiem. Una tonalità malinconica ma, a mio avviso, qui ancora morbida.
Del resto, il sol minore è stato usato spesso sia nel periodo barocco che in quello classico
ma anche in seguito con esiti ora pervasi di tristezza, ora invece più energici.
Qualche esempio? Si va dal famoso Adagio di Albinoni al Magnificat RV 611 di Vivald
i e ai tre tempi della sua celebre Estate. Lo troviamo in Bach col Concerto BWV 1058 e la piccola Fuga BWV 578. Poi ricordiamo le Sinfonie n.39 e n.83 di Haydn, per passare al periodo romantico con la Ballata n.1 op.23 di Chopin, il Concerto per violino di Bruch fino a Brahms e a Rachmaninov con svariate altre opere.
Solo pochi esempi, dicevo. Lascio a chi lo desidera il compito di divertirsi proseguendo nella ricerca.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

lunedì 7 ottobre 2024

Sera d'autunno

È proprio vero che chi cerca trova...ma non è detto sia sempre quello che sta cercando. A volte ci s'imbatte in qualcosa di inaspettato - vecchio o nuovo, conosciuto o meno non importa - ma tale da suscitare e soddisfare il nostro interesse ancor meglio di ciò che volevamo.

Sfogliavo giorni fa le foto nel pc in cerca di un dipinto che credevo di aver salvato e invece...Invece al suo posto ho scoperto l'immagine che vedete presa chissà quando da un sito di sfondi paesaggistici. E il suo cielo autunnale, la solitudine della campagna brulla attraversata da quel sentiero che conduce chi sa dove mi hanno affascinato al punto da fondersi col presente. Tempo grigio anche qui infatti, a tratti piovoso, e mentre la luce andava digradando avevo la sensazione di percorrere davvero quella stradetta sterrata, camminando assorta e lasciando vagare i pensieri.

Allo stesso modo, giorni fa stavo cercando un pezzo di Gounod e invece youtube mi ha riportato improvvisamente a una composizione di Bach impossibile da dimenticare, uno di quei movimenti lenti che ti restano nel cuore e che, riascoltati a distanza di tempo, ti regalano ancora più intensa tutta la loro suggestione.
Si tratta del "Larghetto" dal "Concerto in Re maggiore BWV 972" che avevo
pubblicato più di otto anni fa proprio quiÈ una trascrizione bachiana da Vivaldi come spiegavo nel vecchio post, nel quale avevo condiviso la bellezza di tre clip audio: l'originale vivaldiano e due versioni bachiane, una eseguita al clavicembalo e l'altra al pianoforte. 

Proprio quest'ultima è quella ricomparsa all'improvviso su youtube, sempre nell'incantevole interpretazione di Boris Bloch, pianista ucraino classe 1951. Proprio quest'ultima ho riascoltato l'altra sera mentre fuori imbruniva e iniziava a piovere piano. Lo sentivo dal ticchettìo sulle finestre della mansarda mentre lo schermo del computer era un'oasi di luce azzurrina nella penombra della stanza.
Niente come quel brano aveva risvegliato in me un silenzio assorto,
un respiro privo di affanno quasi il ritmo del cuore somigliasse a un passo tranquillo sul viottolo di campagna della foto, ed esistesse una segreta, riposante sintonia tra la sua atmosfera autunnale e le note di Bach. 

Allora ho pensato che dovevo ripubblicare quella musica perchè il mio cuore era lì, ad ascoltare la morbida eleganza con cui il pianista affrontava la tastiera, arricchendo il brano di abbellimenti e - come altri celebri interpreti - scandendone a fior di labbra le note ora con piglio severo, ora con un'ombra di sorriso.
Il pezzo non presenta grandi difficoltà tecniche, ma il suo splendore è tutto affidato alle capacità interpretative di chi lo esegue. Ed è qui che emerge la classe di Boris Bloch che da un lato trasforma gli accordi iniziali e finali del "Larghetto" in delicatissimi arpeggi, e dall'altro dona alla melodìa un ritmo e una luce che ne sottolineano l'intimità e l'incanto.
Un'interpretazione decisamente fiorita se confrontata con altre più rigorose. Penso
per esempio a quella di Andrea Bacchetti che potete trovare qui: un Bach più essenziale, pulito, quasi spoglio, ma non privo di una sua timida dolcezza.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)