venerdì 21 ottobre 2022

Stanze - 10


Sono stanze molto cupe quelle che vi propongo oggi, ma parlano con l'irresistibile
fascino della grande pittura.
Si tratta infatti di opere di Rembrandt van Rijn (1606 - 1669) - o perlomeno a lui attribuite - e ve ne sarete già accorti dai contrasti tra ombre e luci, come da quei
contorni sfumati che conferiscono all'insieme profondità e spessore. Sono stanze alte, immense, per certi aspetti non a misura d'uomo, il quale vi appare isolato in uno spazio talora indefinito dove i contorni delle architetture sembrano sfumare nel nulla, come nel dipinto in fondo al post.

Non è la prima volta che mi lascio prendere dal fascino delle opere del pittore olandese. Anni fa avevo pubblicato una composizione simile a queste sia nel soggetto che nell'iconografia: "Il filosofo in meditazione" che potete rivedere qui. Ma si tratta di un tema che l'artista ha rappresentato più volte.

I dipinti che ho scelto oggi sono: "Filosofo con un libro aperto" e "Filosofo che legge".
Il primo, riportato
in alto e qui a lato, è conservato al Louvre e a dire il vero la sua attribuzione è incerta. Ne è stata infatti assegnata la paternità prima a Rembrandt, poi a un artista del suo tempo, Salomon Koninck (1609 - 1656), tuttavia la questione è ancora dibattuta.
Il secondo invece, sicuramente realizzato da Rembrandt, è conservato
al Nationalmuseum di Stoccolma.
Sia nell'uno che nell'altro, al di là dei tratti dello
stile dell'artista o della sua scuola, a colpirmi in particolare è stata l'ambientazione. In entrambe le opere, il soggetto è un uomo anziano assorto nella lettura o nella meditazione...ma dove si trova? 

Siamo ben lontani dallo studio in cui -  meno di due secoli prima - Antonello da Messina aveva inquadrato ordinatamente e con ricchezza di arredi San Gerolamo, in una tavola che - se volete - potete ritrovare qui. Stanze nitide quelle, a misura d'uomo, dove la solennità della rappresentazione si estendeva a una pluralità di oggetti dal valore simbolico e di spazi che la mente del protagonista, al centro del suo mondo, dava l'idea di saper padroneggiare.

Rembrandt, invece, per definire ambienti e architetture usa luce ed ombra, stanze spoglie anche se non prive di una certa eleganza, elementi curvilinei come gli archi, le volte e la scala a chiocciola; fondo scuro tipico della pittura del Seicento e macchie di luce, impasti dai contorni talora indistinti ma efficacissimi. E intorno il vuoto.

Nel primo dipinto, gli unici arredi sono una sedia, uno scrittoio e un lampadario. E mentre dalla grande finestra entra una luce calda che si riflette sul pavimento, il resto del quadro rimane nell'ombra dove domina quella scala a mio avviso inquietante, insieme a un corridoio sinistro che conduce chissà dove. 

È un palazzo nobiliare? Una chiesa? Un monastero? Un eremo? O un'architettura immaginaria dove a prendere forma - come in certi sogni - è l'inconscio dell'artista?
Nel secondo dipinto, l'unico mobile è il tavolo con
una pesante tovaglia, ma intorno le pareti vanno confondendosi con gli archi della copertura: un ambiente rustico e diroccato, poco più che una grotta al punto che potrebbe sembrare un'opera non finita, e forse per questo ancora più suggestiva.

Buio, vuoto e solitudine dunque: elementi che ci parlano di essenzialità, quasi a sottolineare il senso della meditazione dei protagonisti. Attraverso queste opere dove i due filosofi sono pacatamente immersi nella lettura, Rembrandt sembra infatti condurci nei segreti e insondabili recessi dell'anima, come se tali ambienti oscuri fossero una sorta di rappresentazione dell'interiorità col suo mistero cui la meditazione sa dare accesso.

E se nel primo dipinto la scala a chiocciola e il corridoio possono simboleggiare una profondità anche emotiva, nel secondo la muratura priva di contorni definiti, con la sua indeterminatezza fa pensare al capovolgimento del rapporto tra uomo e realtà circostante che la rivoluzione copernicana aveva già delineato. Una realtà che qui sovrasta l'essere umano, ormai piccolo in relazione ad un universo che si scopre infinito, misterioso, arcano, come queste stanze dove lo spazio - come scrivevo in passato - ci parla quasi più delle figure stesse.

Allora, per passare alla musica, mi piace associare a queste immagini un brano di Chopin che da tempo mi affascina.
Si tratta del "Preludio in si minore
op.28, n.6": pezzo dall'incedere lento e molto suggestivo, privo di particolari difficoltà sul piano tecnico, ma la cui delicata bellezza è affidata più che altro all'interpretazione.
È appunto questa che deve farne fiorire
ogni sfumatura, sottolineandone il clima intensamente meditativo.

Interessante l'inversione di ruolo delle  mani: il tema del brano infatti si dipana sulla sinistra, mentre la destra ripete con lentezza ma in modo quasi ossessivo gli accordi di accompagnamento, alternando suoni a silenzio come lievi rintocchi di campana.
Una melodia che è un prodigio di
splendore, triste e profondissima, ma non priva di qualche apertura nei passaggi ascendenti del tema, a somiglianza delle stanze oscure di Rembrandt che lasciano tuttavia trasparire sprazzi di una luce ora più viva, ora più soffusa.

Buon ascolto!

4 commenti:

Stefyp. ha detto...

Che affascinante questo tuo post, cara Annamaria, sia per le proposte pittoriche che per quella musicale. Come ci fai notare, le stanze di Rembrandt appaiono molto cupe, ( mi sembra comunque che sia proprio una caratteristica sua, se non sbaglio, il suo modo di rappresentare la luce...) eppure quella luce ha una sorte di attrazione, la scala a chiocciola... le volte del soffitto... il drappeggio accennato del secondo dipinto, come se il pittore avesse voluto avvolgere la scena in un alone di suggestione. Decisamente molto bello! Buon venerdì e grazie anche per il tuo modo di affascinarsi con le parole. Un abbraccio.

Annamaria ha detto...

Cara Stefania, hai uno sguardo acutissimo! Sì, nel secondo dipinto c'è anche un drappeggio, una sorta di tenda vicino ad un arco. E non sbagli affatto: l'atmosfera di tante opere di Rembrandt è oscura, un po' perché in linea con i caratteri della pittura del Seicento, ma in questo caso anche per significare la profondità di introspezione del filosofo.
Mille grazie del tuo commento. Ti abbraccio e ti auguro buon weekend!!!

Marco Capponi ha detto...

La tonalità di quel preludio ha un che di algido e di invernale... ascoltare il brano contemplando l'atmosfera di quelle stanze ci proietta indietro nel tempo, nell'Europa del Nord, nelle Fiandre o in Francia... fuori c'è tanta neve e bisogna risparmiare le candele e la legna da ardere nel camino. Non ho acceso fuochi o fiamme, quest'oggi!

Annamaria ha detto...

Sì, Marco: anche se i testi dicono che Chopin ha composto il preludio quando si trovava a Maiorca, il si minore suscita proprio immagini invernali insieme alla suggestione di un grande silenzio, e probabilmente è stata questa percezione tutta interiore a prevalere in lui.
Grazie del tuo commento che arricchisce la contemplazione dei dipinti e della musica.
Buona giornata!