
Sono stata a lungo incerta nella scelta del dipinto da pubblicare a proposito della pittrice di questo mese che è Artemisia Gentileschi (1593 - 1653).
Si tratta di una delle più notevoli figure della prima metà del Seicento che, nella sua produzione, si è misurata su soggetti sacri e profani, andando al di là dei temi rappresentati da altre artiste.
La sua fama di pittrice è stata oscurata per un certo periodo dal fatto di essere figlia di Orazio Gentileschi - il che talora ha creato problemi di attribuzione delle sue opere - ma soprattutto dalla violenza subita da parte di Agostino Tassi e dal processo seguito alla denunzia di Artemisia. Infatti, se è stata giustamente ricordata per la sua coraggiosa ribellione, in passato tale vicenda ha lasciato in secondo piano il suo talento artistico.
Gli studiosi che invece ne hanno rivalutato di recente la memoria come pittrice, hanno sottolineato caratteri stilistici che dimostrano la conoscenza delle opere di Michelangelo Buonarroti e del Caravaggio, ma che - a mio modesto avviso - vanno anche al di là dei canoni dell'epoca in cui Artemisia vive. Per questo sono stata incerta nella scelta, perchè i suoi dipinti riflettono un afflato artistico decisamente poliedrico.
In un primo tempo avevo deciso di pubblicare "Susanna e i vecchioni" - che trovate qui a lato - nella versione forse più famosa del 1610 conservata presso il castello di Weißenstein, in Baviera.
L'opera rivela infatti la disinvoltura dell'autrice nell'ambientare le figure nello spazio ed è evidente il duplice richiamo michelangiolesco nella torsione del corpo della donna che ricorda il modulo della figura serpentinata e insieme nel gesto delle mani che può richiamare il personaggio di Adamo nella Cacciata dal Paradiso all'interno del Giudizio universale.
Poi, sempre tra i dipinti che vedono protagoniste le donne, mi aveva suggestionato anche "Giuditta decapita Oloferne", conservato al Museo di Capodimonte, per il suo chiaro riferimento all'opera analoga che il Caravaggio aveva realizzato circa dieci anni prima.
Elementi comuni sono tinte come il rosso scuro e il forte contrasto luministico che rende ancor più drammatica la scena. Qui, lo sguardo di Artemisia è preciso e sicuro, quasi analitico, uno sguardo che non arretra neppure nel dipingere i dettagli più macabri come gli schizzi di sangue sul cuscino.
Dunque, se è senza dubbio notevole l'abilità della pittrice, sul piano stilistico mi sembra di vedere caratteri già conosciuti. Per questo, la mia scelta si è orientata poi sull'opera riportata in grande, intitolata "Autoritratto come allegoria della pittura" e conservata a Londra presso la Royal Collection di Kensington Palace.
Qui davvero mi pare che l'artista ci dica qualcosa di nuovo che va al di là della rielaborazione di ciò che ha acquisito nel tempo.
Quali aspetti mi colpiscono nel dipinto? La modernità del tratto insieme alla capacità di far coesistere tale modernità con un'estrema precisione di dettagli; ma soprattutto l'identificazione di Artemisia con la pittura, cosa che anima la composizione a cominciare dall'impostazione prospettica.
La protagonista infatti attraversa il quadro diagonalmente rivolta alla tela che dipinge, mentre la luce che piove dall'alto batte sulla sua fronte e illumina il viso concentrato sull'opera che sta realizzando.
Un autoritratto singolare, se lo confrontiamo con i tanti esempi del passato dal Quattrocento al Cinquecento, ma possiamo arrivare anche a Rembrandt trovando sempre un' iconografia tutto sommato tradizionale.
Che le persone ritratte guardino lo spettatore o si volgano altrove verso qualcosa che sta fuori dalla tela o che ne emerga il loro carattere, sono certo dati significativi; ma i vari soggetti sono sempre fermi e centro della composizione resta il loro viso, mentre qui la pittrice è in movimento, ripresa nel suo gesto creativo, tutta assorta a riportare sulla tela il frutto della propria ispirazione. Anche il fondo scuro privo di ornamenti, se da un lato riconduce a tanta pittura del Seicento, dall'altro offre un'essenzialità inedita.
Un' iconografia nuova dunque, e sul piano tecnico tutt'altro che facile da realizzare data la posizione obliqua in cui Artemisia si raffigura.
Colgo inoltre una grande sicurezza nel suo tratto pittorico ora preciso e dettagliato come nel pendaglio al collo e nella ruche che orla il vestito, ora più veloce e sintetico, moderno al punto che la rappresentazione dei capelli potrebbe essere attribuita a un artista di epoca successiva.
Non solo.
La poliedricità della pittrice mi pare evidente anche nella raffigurazione dell'abito le cui pieghe sulla manica hanno un verde cangiante dai riflessi metallici quasi fosse un'armatura.
Ne emerge l'immagine di una donna forte e decisa, ribelle e tesa non tanto ad esibire se stessa nella propria avvenenza, quanto a far intuire l'ardore della sua vocazione artistica. Un'immagine che mi ha messo in cuore subito - stavolta senza incertezze - la musica di Ludwig van Beethoven (1770 - 1827), compositore tormentato, autore di brani dai forti chiaroscuri come i dipinti di Artemisia che riportano - oscuro e sotterraneo ma non tanto - il segno del dramma dell'antica violenza.
Per questo ho scelto il primo movimento della "Sonata per pianoforte in Re minore n.17 op.31" intitolata "La tempesta".
L' incipit del brano è pervaso da un senso di attesa e si allarga su di un arpeggio che sembra venire da profondità lontane. È interrotto poi da passaggi improvvisi e concitati finchè si apre il primo tema: una melodia impetuosa e ascendente che va riecheggiando piano in una sorta di bellissìma risposta, e che sale poi di tonalità in un clima sempre più vibrante e drammatico. Segue un secondo tema più sereno e tutto va ripetendosi altre volte nel corso del pezzo.
Una tempesta ricca di contrasti, dunque, che prima si annunzia sommessa e lontana e poi esplode impetuosa. Ma ogni volta che le note rallentano o vanno sulle ottave più basse, la musica diventa una sostanza magmatica simile a un fuoco sotterraneo o a quel fondo scuro e un po' rossastro del quadro di Artemisia.
Una tempesta che, nella vita di Beethoven, è stata la crescente sordità, condizione che tuttavia non gli ha impedito di dare alla luce musiche sublimi. Allo stesso modo, il dramma della violenza subita che ha attraversato l'esistenza della pittrice, non ne ha represso la coraggiosa ribellione e la capacità di mobilitare le proprie energie.
Energie che ha incanalato ancor più intensamente nella creazione artistica, alimentando quel fuoco che, se nel dipinto resta forse un po' sottinteso, le note di Beethoven, nel potere universale della musica, ci aiutano a cogliere.
Buon ascolto!
(Le foto sono prese dal web)