giovedì 16 ottobre 2025

Se lo sguardo è femminile -10



Sono stata a lungo incerta nella scelta del dipinto da pubblicare a proposito della pittrice di questo mese che è Artemisia Gentileschi (1593 - 1653). 
Si tratta di una delle più notevoli figure della prima metà del Seicento che, nella su
a produzione, si è misurata su soggetti sacri e profani, andando al di là dei temi rappresentati da altre artiste. 
La sua fama di pittrice è stata oscurata per un certo periodo dal fatto di essere f
iglia di Orazio Gentileschi - il che talora ha creato problemi di attribuzione delle sue opere - ma soprattutto dalla violenza subita da parte di Agostino Tassi e dal processo seguito alla denunzia di Artemisia. Infatti, se è stata giustamente ricordata per la sua coraggiosa ribellione, in passato tale vicenda ha lasciato in secondo piano il suo talento artistico. 

Gli studiosi che invece ne hanno rivalutato di recente la memoria come pittrice, hanno sottolineato caratteri stilistici che dimostrano la conoscenza delle opere di Michelangelo Buonarroti e del Caravaggio, ma che - a mio modesto avviso - vanno anche al di là dei canoni dell'epoca in cui Artemisia vive. Per questo sono stata incerta nella scelta, perchè i suoi dipinti riflettono un afflato artistico decisamente poliedrico.

In un primo tempo avevo deciso di pubblicare "Susanna e i vecchioni" - che trovate qui a lato - nella versione forse più famosa del 1610 conservata presso il castello di Weißenstein, in Baviera.
L'opera rivela infatti la disinvoltura dell'autrice
nell'ambientare le figure nello spazio ed è evidente il duplice richiamo michelangiolesco nella torsione del corpo della donna che ricorda il modulo della figura serpentinata e insieme nel gesto delle mani che può richiamare il personaggio di Adamo nella Cacciata dal Paradiso all'interno del Giudizio universale.

Poi, sempre tra i dipinti che vedono protagoniste le donne, mi aveva suggestionato anche "Giuditta decapita Oloferne", conservato al Museo di Capodimonte, per il suo chiaro riferimento all'opera analoga che il Caravaggio aveva realizzato circa dieci anni prima. 

Elementi comuni sono tinte come il rosso scuro e il forte contrasto luministico che rende ancor più drammatica la scena. Qui, lo sguardo di Artemisia è preciso e sicuro, quasi analitico, uno sguardo che non arretra neppure nel dipingere i dettagli più macabri come gli schizzi di sangue sul cuscino. 
Dunque, se è senza dubbio notevole l'abilità della pittrice, sul piano stilistico mi sembra di vedere caratteri 
già conosciuti. Per questo, la mia scelta si è orientata poi sull'opera riportata in grande, intitolata "Autoritratto come allegoria della pittura" e conservata a Londra presso la Royal Collection di Kensington Palace.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qui davvero mi pare che l'artista ci dica qualcosa di nuovo che va al di là della rielaborazione di ciò che ha acquisito nel tempo. 
Quali aspetti mi colpiscono nel dipinto? La modernità del tratto insieme alla
 capacità di far coesistere tale modernità con un'estrema precisione di dettagli; ma soprattutto l'identificazione di Artemisia con la pittura, cosa che anima la composizione a cominciare dall'impostazione prospettica. 
La protagonista infatti attraversa il quadro diagonalmente rivolta alla tela che
dipinge, mentre la luce che piove dall'alto batte sulla sua fronte e illumina il viso concentrato sull'opera che sta realizzando.

Un autoritratto singolare, se lo confrontiamo con i tanti esempi del passato dal Quattrocento al Cinquecento, ma possiamo arrivare anche a Rembrandt trovando sempre un' iconografia tutto sommato tradizionale. 
Che le persone ritratte guardino lo spettatore o si volgano altrove verso qualcosa 
che sta fuori dalla tela o che ne emerga il loro carattere, sono certo dati significativi; ma i vari soggetti sono sempre fermi e centro della composizione resta il loro viso, mentre qui la pittrice è in movimento, ripresa nel suo gesto creativo, tutta assorta a riportare sulla tela il frutto della propria ispirazione. Anche il fondo scuro privo di ornamenti, se da un lato riconduce a tanta pittura del Seicento, dall'altro offre un'essenzialità inedita. 
Un' iconografia nuova dunque, e sul piano tecnico tutt'altro che facile da realizzare
 data la posizione obliqua in cui Artemisia si raffigura.

Colgo inoltre una grande sicurezza nel suo tratto pittorico ora preciso e dettagliato come nel pendaglio al collo e nella ruche che orla il vestito, ora più veloce e sintetico, moderno al punto che la rappresentazione dei capelli potrebbe essere attribuita a un artista di epoca successiva. 
Non solo.

La poliedricità della pittrice mi pare evidente
anche nella raffigurazione dell'abito le cui pieghe sulla manica hanno un verde cangiante dai riflessi metallici quasi fosse un'armatura.

Ne emerge l'immagine di una donna forte e decisa, ribelle e tesa non tanto ad esibire se stessa nella propria avvenenza, quanto a far intuire l'ardore della sua vocazione artistica. Un'immagine che mi ha messo in cuore subito - stavolta senza incertezze - la musica di Ludwig van Beethoven (1770 - 1827), compositore tormentato, autore di brani dai forti chiaroscuri come i dipinti di Artemisia che riportano - oscuro e sotterraneo ma non tanto - il segno del dramma dell'antica violenza. 

Per questo ho scelto il primo movimento della "Sonata per pianoforte in Re minore n.17 op.31" intitolata "La tempesta". 
L' incipit del brano è pervaso da un senso di attesa e si allarga su di un arpeggio che sembra venire da profondità lontane
È interrotto poi da passaggi improvvisi e concitati finchè si apre il primo tema: una melodia impetuosa e ascendente che va riecheggiando piano in una sorta di bellissìma risposta, e che sale poi di tonalità in un clima sempre più vibrante e drammatico. Segue un secondo tema più sereno e tutto va ripetendosi altre volte nel corso del pezzo. 
Una tempesta ricca di contrasti, dunque, che prima si annunzia sommessa e lontana e poi 
esplode impetuosa. Ma ogni volta che le note rallentano o vanno sulle ottave più basse, la musica diventa una sostanza magmatica simile a un fuoco sotterraneo o a quel fondo scuro e un po' rossastro del quadro di Artemisia.
Una tempesta che, nella vita di Beethoven, è stata la crescente
sordità, condizione che tuttavia non gli ha impedito di dare alla luce musiche sublimi. Allo stesso modo, il dramma della violenza subita che ha attraversato l'esistenza della pittrice, non ne ha represso la coraggiosa ribellione e la capacità di mobilitare le proprie energie. 
Energie che ha incanalato ancor più intensamente nella creazione artistica,
alimentando quel fuoco che, se nel dipinto resta forse un po' sottinteso, le note di Beethoven, nel potere universale della musica, ci aiutano a cogliere.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web) 

 

mercoledì 8 ottobre 2025

Quando il tramonto si specchia nei canali

Il post di oggi è merito della mia amica Elisa e della splendida foto che ha scattato per la quale la ringrazio di cuore. 
A dire il vero, quando parecchio tempo fa me l'aveva inviata, mi era venuta
 subito l'idea di pubblicarla qui, ma siccome sono una che - come si suol dire - carbura lento, l'ho tenuta da conto fino ad ora in attesa del momento giusto. 
Allora eccola finalmente, riportata per ultima
nella sua interezza, mentre nelle prime due ho ritagliato i particolari che mi parevano più adatti a rivelare l'incanto del paesaggio insieme alla bellezza dell'inquadratura. 

L'immagine ritrae la nostra campagna padana al tramonto di una giornata autunnale ed è ricca di quel fascino che sarebbe piaciuto a Monet che più volte ha dipinto filari di pioppi con le chiome percorse dai fremiti del vento mentre si specchiano nell'acqua. 
Qui non sembra ci sia vento, forse solo la lieve
 brezza della sera dopo una giornata serena sulla nostra pianura, in una visuale che dà respiro lasciando un gran senso di pace. Non pare autunno inoltrato: le rive del canale sono ancora verdi, anche se il fogliame degli alberi ha già quella tinta tra il ruggine e il dorato tipica della stagione. 
Mi piace questo colore acceso che spicca sullo 
sfondo del cielo in cui l'azzurro va schiarendosi e tingendosi di rosa. La foto ha colto proprio la magìa del momento in cui il sole è già tramontato, ma il riverbero della sua luce dà luogo a sfumature che si fanno più intense all'orizzonte. 

Tuttavia, a mio avviso, ciò che oltre ai colori rende affascinante il paesaggio colto in questo scatto è la prospettiva che corre verso il fondo, segnata dal filare di tronchi e insieme dal loro riflesso nella roggia. È l'acqua infatti che fa da specchio agli alberi e al cielo moltiplicandone la luce e la sua gradazione rosata. 
Bella l'immagine di questa natura
serena che attende il silenzio della notte in una solitudine che è raccoglimento. Ma altrettanto bello sognare di percorrere a passi lenti le carraie che solcano i prati e fiancheggiano i canali, lo sguardo al filare di pioppi o all'orizzonte, nell'oro del tramonto che va spegnendosi piano.

È stata proprio la sensazione di ampio e pacato respiro che la foto mi comunica a suggerirmi il brano da associarle, e lo ripropongo volentieri nonostante l'abbia già pubblicato anni fa.

Si tratta del "Largo" del "Concerto per clavicembalo e orchestra n.5 in fa minore BWV 1056" di Johann Sebastian Bach, in seguito arrangiato per pianoforte solo col titolo di "Arioso" e qui nella trascrizione di Alfred Cortot. 
Sono diversi i motivi per cui, oltre al suo
splendore, ho scelto di nuovo questo pezzo. 
Un po' per la suggestione del termine
"Arioso" che mi restituisce la percezione della vastità della campagna percorsa forse da una brezza leggera. Poi per la speranza di far cosa gradita all'amica Elisa che ama la musica di Bach almeno quanto me. 

Ma - come direbbero gli inglesi - last but not least per la pregevole interpretazione del Maestro Giuseppe Merli che dal brano fa emergere ogni sfumatura. Infatti, sul rigore ritmico del pezzo espresso dalle quartine della mano sinistra, aggiunge una rara nitidezza di tocco nel tema della destra. Qui, se in certi passaggi fa fiorire più viva la melodia quasi le note fossero le battute di un discorso, in altri sottolinea invece il pacato rallentare della musica facendone emergere tutta la dolcezza e al tempo stesso lo spessore.
Ne deriva un'esecuzione ricca di intensità meditativa, a somiglianza di un cammino a
 passo lento attraverso la campagna autunnale, nell'ora del tramonto.

Buon ascolto!

martedì 30 settembre 2025

Fascino di un pizzicato

Anche oggi una polka, ma per un motivo diverso dal post di qualche settimana fa inerente agli organetti di Barberia e a un brano di Rachmaninov.

Stavolta, la mia scelta s'incentra sul fascino di una tecnica usata talora negli strumenti ad arco: il pizzicato. Come certo saprete, consiste nel far vibrare le corde di tali strumenti, invece che con l'archetto, con le dita - in particolare con l'indice - facendone scaturire un suono più o meno percussivo, ma sempre ben scandito e ritmato. Ciò spiega il motivo per cui tale tecnica è usata dai compositori nelle danze, nei virtuosismi di certe variazioni, per sostenere un tema con una base ritmata e melodiosa o creare particolari effetti sonori.

Qualche esempio?... Uno dei più espressivi a questo riguardo è il dolcissimo Largo dell'Inverno di Vivaldi nel quale il pizzicato di fondo mira a riprodurre il suono delle gocce di pioggia, come recitano i versi del corrispondente sonetto: "Passar al foco i dì quieti e contenti /mentre la pioggia fuor bagna ben cento"
Proseguiamo poi con la
 Variazione n.9 del celebre Capriccio n.24 di Paganini che trovate a 3.08 dall'inizio del video e che, come vedrete, richiede un'incredibile abilità. Andando avanti nel tempo, possiamo ascoltare la parte iniziale del quarto movimento della Sinfonia n.1 di Brahms. Se desideriamo invece un pezzo giocoso, seguiamo il ritmo marcato e un po' ammiccante del famoso Pizzicato dal balletto "Sylvia" di Dèlibes. Da non dimenticare poi il Pizzicato vivace della Simple Simphonie n.4 di Britten. E mi fermo anche se, naturalmente, non è tutto qui.

Il brano con cui concludo questa breve carrellata e che vado a pubblicare è una danza conosciutissima, potremmo dire uno dei cavalli di battaglia dei Concerti di Capodanno: il celebre "Pizzicato-Polka" per archi di Johann Strauss jr. (1825 - 1899) e del fratello Josef Strauss (1827 - 1870). 
Scritta nel 1869 in occasione di un viaggio in Russia dei due musicisti, la polka ottenne subito uno straordinario successo ed è probabilmente la prima ad essere 
stata composta con il pizzicato perchè precede di sette anni quella di Délibes. 
Si tratta di un pezzo che unisce leggerezza ad eleganza e nel quale si alternano crescendo e
diminuendoforte e piano, insieme a svariati passaggi in cui la musica rallenta fino a farsi sommessa ed altri in cui diventa più agile e spedita. La particolare tecnica usata richiede grande sincronia insieme a un tocco preciso e lieve: se osservate gli orchestrali, infatti, alcuni sembrano proprio accarezzare le corde di violini, viole e violoncelli. 
Ma al di là della loro indiscutibile bravura, quella che traspare dai volti e dai sorrisi è una grande gioia. Sembra quasi che tutti, a cominciare dal direttore, si divertano gustando l'originalità della composizione nel suo andamento leggero e al tempo stesso trascinante. 

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web) 

 

martedì 23 settembre 2025

Se lo sguardo è femminile - 9



Mi ha affascinato subito questo ritratto, ancor prima di conoscerne l'autore e di scoprire che, in realtà, si tratta di un'autrice. E che cosa mi ha catturato di primo acchito? Certo il fondo scuro e i tratti del viso un po' sfumati, ma soprattutto una strana, singolare fusione di aspetti diversi e contrastanti. 

Da un lato, infatti, quella riprodotta è una donna anziana, sicuramente persona di una certa fama e signorilità come dimostrano le foglie di alloro sui capelli e l'ombra di un lievissimo pizzo sul bordo del vestito.

Non bella, i capelli grigi un po' diradati, il volto massiccio segnato da occhiaie scure che spiccano nel pallore dell'incarnato, ha tuttavia un atteggiamento che la rende un po' infantile, con le labbra che sembrano imbronciate, la fossetta sul mento e lo sguardo pensoso e malinconico quasi di bimba offesa. Sembra che i tratti della vecchiaia - in una riproduzione spoglia, priva di particolari decorazioni e orpelli - invece di togliere espressione al viso vadano pacatamente a svelare quel che di fanciullesco che la donna aveva un tempo. 

Ma l'immagine a mio avviso è singolare soprattutto se consideriamo chi è la pittrice. Si tratta infatti della veneziana Rosalba Carriera (1673 - 1757), una delle artiste più affermate sia in Italia che in Europa nella prima metà del Settecento, celebre non solo per le sue miniature su avorio, ma soprattutto per i numerosi ritratti realizzati a pastello nei quali mostra notevoli capacità di introspezione psicologica. 
Gli esempi, a questo riguardo, non si contano e tra i personaggi riprodotti nel vasto panorama delle sue opere troviamo spesso dame dal piglio sicuro, dall'espressione ora disinvolta e autorevole, ora più dolce e seducente.
 
Le potete osservare nelle immagini qui a lato che riproducono nell'ordine: "Autoritratto in inverno" dove la pittrice ha infatti collo e cappello di ermellino, "Ritratto di Caterina Barbarigo", elegante e un po' altera e infine "Ritratto di donna anziana" che a me pare splendidamente sicura di sè. Quello che invece vedete in alto in grande e poi nel dettaglio del viso è il celebre "Autoritratto" conservato a Venezia presso la Galleria dell'Accademia e dipinto nel 1746 circa. Non si tratta dell'unica opera in cui la pittrice ha riprodotto se stessa, ce ne sono diverse altre nelle quali la donna è più giovane e avvenente, ma questa a mio avviso è singolare proprio perchè si distacca dalle composizioni passate.
 
Il suo sguardo infatti non si fissa più in viso allo spettatore 
come nelle opere precedenti nelle quali l'espressione era talora quasi altera. Gli occhi, invece, qui guardano languidamente altrove con un'espressione nella quale possiamo leggere una fusione di affezioni e sentimenti che vanno dalla dolcezza alla malinconia. Inoltre, l'immagine - come accennavo sopra, più spoglia di tante altre - fa affiorare l'anima della donna anziana in una sorta di fanciullesca autenticità che attrae.
Forse questo è il motivo per cui l'autoritratto della pittrice nella vecchiaia mi ha
ricordato, per certi aspetti, alcuni dipinti di Rembrandt in cui l'artista, sia pure diversamente, con tocco e minuzia tipicamente fiamminga, ha rappresentato le figure femminili.
 
E nonostante la cronologia sia sfasata, mi piace associare al dipinto di Rosalba Carriera un brano di Piotr Ilic Tchaikovsky (1840 - 1893) dal melodramma "The snow Maiden op.12 - Snegourotcka" : la fanciulla di neve. 
Si tratta di un'opera che ha radici in una delle più antiche fiabe della tradizione russa e come protagonisti personaggi tratti dalla mitologia. Al di là della trama che vede la fanciulla condannata a vivere nei rigori dell'inverno senza mai conoscere neppure il sole o il calore dell'amore perchè la farebbero sciogliere, mi ha colpito la malinconia della musica, delicata e al tempo stesso intensa.  
È una melodia che va ripetendosi nel pezzo con un andamento sempre più struggente, alternando luce ed ombra come nell'Autoritratto di Rosalba Carriera. Una musica che mi riporta allo sguardo languido e un po' nostalgico della nostra pittrice anziana, che forse ripercorre pacatamente in sè lo splendore della giovinezza e in esso, per qualche attimo, torna bambina.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web) 

 

lunedì 15 settembre 2025

Ritratti

Prima di dedicarmi alle musiche di oggi, permettetemi un'osservazione che mi viene spontanea guardando qui a lato le immagini dei due compositori. 
Li avrete subito riconosciuti: sono Bach e
Mendelssohn, entrambi raffigurati nei loro ritratti più celebri - il primo opera di Elias Gottlob Haussmann e il secondo di Eduard Magnus - eseguiti con stili che esigevano posture fisse, fondo scuro e un'aria di austerità.

Certamente i due pittori hanno dato espressioni significative ai loro volti: Bach, con in mano lo spartito di un canone, è serissimo, autorevole se non addirittura autoritario e risulta imponente anche sul piano fisico; fosse un mio insegnante di musica...mi farebbe un po' paura. Mendelssohn invece ha un'apparenza più modesta e dolce, ma venata da una vaga malinconia che, francamente, mi mette tristezza. 

In effetti tali ritratti, per quanto interessanti e veritieri, sono dipinti d'occasione e non lasciano intuire la scintilla che in questi compositori ha fatto nascere spesso musiche traboccanti di gioia.  
È pur vero che un ritratto fissa solo un momento dell'esistenza, mentre la vita scorre poi ricca e varia. Ma se per cogliere la luminosità di certe melodie ci fermassimo a questi volti, il risultato probabilmente sarebbe un po' riduttivo. 
Se pensiamo, per esempio, alle tante raffigurazioni di
 Beethoven che lo dipingono con espressione scura, a volte un po' torva e che intendono riflettere il tormento per la sua sordità, se anche ciò risponde al vero, da queste diventa difficile risalire alla solarità, per esempio, dell' Inno alla gioia

Allo stesso modo, l'aspetto sofferente e diafano di Chopin di per sè non induce a immaginare da quale fuoco siano invece animati Studi e Polacche
Insomma, l'apparenza inganna e se talora un dipinto
riesce a cogliere davvero la verità di un cuore, per contro, tanti ritratti d'occasione con cui tali artisti sono passati alla storia favoriscono il diffondersi di luoghi comuni: Beethoven collerico, Mozart salottiero, Bach serioso, Paganini folle e Rossini - diciamolo - un grande allegrone. La realtà però è molto più variegata e se ognuno di noi è simile a un cristallo, a fronte di una particolare sfaccettatura ce ne sono mille altre che ampliano e completano il quadro della nostra personalità. A maggior ragione se parliamo di quella di un musicista. 

Proprio a questo proposito, del romantico e sognante Felix Mendelssohn Bartholdy (1809 - 1847) vi presento un brano che più animato, gioioso e giocoso non potrebbe essere e che va subito a contraddire l'impressione che ci dà il suo ritratto. Lo guardate e vi viene spontaneo un moto di tristezza. Invece...
Invece, nell'ambito dei
"Charakterstücke op.7" dei quali ho pubblicato il pezzo iniziale poco tempo fa, troviamo il n.3 in Re Maggiore dalla vivacità e dal piglio degno di una fuga di Bach. Trovate infatti i due compositori affiancati nella foto non solo perchè della musica di Bach Mendelssohn è stato cultore e per certi aspetti riscopritore, ma anche perchè questo brano dei "Charakterstücke" ne riprende lo stile. 
Se in quello iniziale l'andamento è più pacato e malinconico, qui invece il ritmo è
scattante, brioso, ricco di una scorrevolezza che può ricordare alcuni pezzi del "Clavicembalo ben temperato". Ma a suggestionarmi sono state anche le note in apertura che hanno smosso nella mia testa varie reminiscenze. Una su tutte è l'esordio della "Fuga BWV 539" di Bach.

Ecco in foto i due incipit: il primo in Re Maggiore riporta il pezzo di Mendelssohn e il secondo in Re minore riporta la "Fuga BWV 539" di Bach. 

Se ci fate caso, tempo, ritmo e struttura delle battute sono uguali, con l'impronta data da quei tre LA iniziali che si ripetono poi nel corso del brano, man mano che si susseguono le diverse voci della fuga. E se vogliamo dirla tutta - sempre in Bach - lo stesso frammento musicale ricorre anche nella Fuga della sua "Sonata per violino solo BWV 1001" che potete trovare qui.
Insomma, un piccolo spunto che Mendelssohn capovolge giocando tra tonalità
maggiore e minore con energica e concitata leggerezza, così da farne scaturire in pieno la sotterranea vena di gioia. A dispetto di certi ritratti!

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)  

 

 

domenica 7 settembre 2025

Come un prestigiatore...

"Elemosina triste   
di vecchie arie sperdute,  
vanità di un'offerta   
che nessuno raccoglie! 
Primavera di foglie   
in una via diserta!"
 (...)

Immagino che in tanti ricorderete questi versi che aprono "Per un organo di Barberìa" di Sergio Corazzini (1886 - 1907), poeta crepuscolare dalla vita, ahimè, brevissima. 
Nel testo, l'autore evoca vecchi motivi suonati per
 strada da un organetto, melodie cui nessuno presta attenzione, ritornelli tristi che si ripetono monotoni in un'atmosfera di solitudine e grigiore. 
In realtà, se leggessimo 
i versi successivi, vedremmo che nell'organetto che nessuno ascolta Corazzini proietta malinconicamente se stesso nella condizione esistenziale di poeta deluso. Discorso certo interessante dal punto di vista letterario, ma sul quale non intendo soffermarmi. 

Allora perchè mai ho scelto di aprire il post con questo testo? 
Perchè l'autore della musica di oggi, per comporla, ha preso ispirazione proprio dal
l'aria di un organetto da strada: sì, uno strumento probabilmente simile a quello che vedete nella foto. Chi può vantare una certa età ricorderà questi organetti azionati da una manovella, sempre presenti nelle fiere di paese o mescolati alle bancarelle degli ambulanti nei mercati. Io ne ho in mente il suono dal timbro un po' scampanellante e le melodie orecchiabili, ma talora tristi come nenie.

Bene. È stato Sergej Rachmaninov (1873 - 1943) a lasciarsi incantare dalla musica di uno di questi strumenti durante un viaggio in Italia e a prenderne spunto per comporre il brano chiamato appunto "Polka italienne". 
Ma in che cosa consiste l'originalità del pezzo? Non tanto nell'aria in sè che -
come sentirete - ricalca proprio lo stile di certe musiche di strada d'altri tempi, un po' malinconiche e ripetitive. La sua bellezza sta invece in ciò che il compositore ne ha tratto lavorando sul tema molto semplice e ricavandone un andamento di sorprendente vivacità.

Scritta in origine per pianoforte a quattro mani, la "Polka italienne" è stata poi variamente arrangiata sia per orchestra che per pianoforte a due mani ed è quest'ultima la versione che preferisco. La melodia si apre in mi bemolle minore su di un'ottava alta, dove le singole note esordiscono quasi con timidezza. Ma si ripete subito dopo su quella centrale sostenuta da un accompagnamento più marcato in chiave di basso. Ne deriva un tema ritmato che, nella sua mestizia, mi evoca l'antico ricordo di un'altra aria. 

Quando ero alle medie, per qualche tempo avevamo fatto lezione di educazione fisica a suon di musica, guidate dai gesti rigorosi della nostra insegnante e insieme accompagnate al pianoforte da un anziano professore. 
Suonava un'aria in maggiore, ritornello di tanti pomeriggi invernali nella grande
palestra della scuola dove quelle note disegnavano i nostri movimenti. Me le ricordo ancora e se immaginiamo che la tonalità fosse Do, suonavano così: mi  re#mi  do  sol / mi  re#mi  do sol / fa  mi re  do# re / sol  fa#sol la sol do. Insomma, una sorta di lallarà lallà che ritmava le nostre evoluzioni e che, nonostante fosse in maggiore, perdendosi nella vastità di quello stanzone lasciava in me un'eco di vaga tristezza.

Anche la Polka di Rachmaninov, per quanto diversa, può fare lo stesso effetto, ma solo nella parte iniziale. Poi si approfondisce in passaggi lenti che, qua e là, cedono al fascino languido di qualche accordo dissonante e infine, quando passa in maggiore, prende decisamente il volo! Del resto, stiamo parlando di una danza!
Ma la vivacità del brano non finisce qui perchè va crescendo 
in un vortice di velocità con una sorta di parossismo musicale. È come se Rachmaninov si lanciasse ad esplorare tutte le possibilità sonore del piccolo spunto dal quale era partito, tramutando in bellezza anche un motivo in apparenza banale, quasi fosse un prestigiatore che da un semplice pezzo di legno fa sbucare fiori sgargianti. Ne ricava infatti variazioni ora larghe e profonde, ora forti e cadenzate come una marcia, ora veloci e giocose che, se a volte possono richiamare certe danze russe, altrove hanno trilli che - lasciatemelo dire - ricordano le musiche dei cartoni. Insomma il ritmo è tale che, se siete partiti con una punta di malinconia, alla fine dell'ascolto non riuscirete più a stare fermi e danzerete davanti al computer!

Due sole notazioni finali: due riferimenti senza capo nè coda che mi potrei risparmiare, ma che a me piacciono tanto e quindi li faccio lo stesso. 
Primo: le due battute iniziali del pezzo con l'arpeggio che sale, trasportate in maggiore somigliano al tema dell'Inno 
dei Bersaglieri.
Secondo: in certi punti dove l'estro di Rachmaninov si scatena più gagliardo e
 tumultuoso, sento riecheggiare qualche passaggio della celebre Rapsodia ungherese n.2 di Liszt, quella di Tom e Jerry per intenderci. 
La sentite anche voi?...

 Buon ascolto!

(La foto è presa dal web) 

 

venerdì 15 agosto 2025

Buon Ferragosto !















Niccolo di Pietro Gerini (1340 - 1414) : "Dormitio Virginis". Parma, Museo della Pilotta.

Sulle note di un antico inno a Maria e con questa tavola di Niccolò di Pietro Gerini, auguro a tutti voi buona Festa dell'Assunzione, buon ascolto e buone ferie! Anche questo blog va in vacanza per qualche settimana.
Arrivederci!

  

Giaches de Wert (1535 - 1596) : "Virgo Maria hodie ad caelum assumpta est".

giovedì 14 agosto 2025

Se lo sguardo è femminile - 8


 

 

 

 

 

 

 

 

 

S'intitola "Giorno d'estate" il dipinto che vedete e, in teoria, non potrebbe esserci tema più adatto a questi giorni agostani. 
Il quadro, conservato presso la National Gallery di Londra, è opera di Berthe
Morisot (1841 - 1895) una tra le pittrici più celebri e rappresentative dell'Impressionismo insieme a Marie Brocquemond, Mary Cassat ed Eva Gonzales che ho preso in considerazione nei mesi scorsi. Dopo aver frequentato l'atelier di Corot, l'artista si avvicina a Manet e alla pittura en plein air tipica dello stile impressionista. E come per le altre sue colleghe, i temi delle sue opere spaziano da raffigurazioni familiari e domestiche - tra le più celebri "La culla" - e scene di vita all'aperto a contatto con la natura.

Che cosa mi affascina in questo dipinto? Non solo la coincidenza stagionale del titolo che, di primo acchito, ci fa confrontare l'immagine col clima torrido di questi giorni - ah, le estati di una volta! vien da pensare vedendo le due protagoniste in soprabito e maniche lunghe - ma insieme una serie di elementi che indicano quella delicata attenzione femminile alla quale non sfuggono certi dettagli.

La pittrice ritrae due donne su di una barca nel laghetto del Bois de Boulogne, colte in una pausa di tranquillità, durante una passeggiata o una giornata di svago. 
Alcuni critici sottolineano la spensieratezza che il quadro 
ci comunica con le sue tinte chiare, la pennellata veloce e leggera dall' andamento a zig zag teso a imitare il lieve movimento delle onde e i riflessi di luce. Certo, il tratto pittorico della Morisot è impalpabile e insieme efficacissimo: basti confrontare l'azzurro chiaro dell'acqua con quello del vestito della figuretta centrale per vedere come sfumature diverse e materiali differenti siano stati resi con una delicatezza senza pari. Ma interessante osservare anche la maestria con cui sono state realizzate le anatrelle che nuotano confondendosi letteralmente con la superficie del laghetto nel quale si specchia la vegetazione circostante. 

Così pure, l'abbigliamento delle due donne rivela l'eleganza della buona borghesia francese del secondo Ottocento - spesso raffigurata anche da Monet, Manet o Renoir - fatta di cappellini di paglia col fiocco, guanti, ombrellini parasole e graziose ruches che sporgono dai colli delle giacche. Un mondo di dettagli piacevoli e vezzosi che davvero fanno pensare a un momento di serena distensione in mezzo alla natura.

Tuttavia...Tuttavia, a ben guardare, non so se si possa parlare di totale spensieratezza, soprattutto in riferimento ai volti e agli atteggiamenti delle due figure. La giovane donna al centro del quadro infatti non sorride, è seria, ha un'espressione attonita e gli occhi tradiscono una preoccupazione quasi avesse ricevuto una cattiva notizia o confidato un peso sul cuore all'amica la quale - se ci fate caso - si piega leggermente verso di lei come per dedicarle tutta la sua attenzione. Anche i dolci tratti del suo viso e la mano appoggiata sull'orlo della barca testimoniano un moto di vicinanza, di ascolto o forse incoraggiamento. L'estate cui si fa cenno nel titolo è intorno, ma non nel cuore di questa scena.

Sto esagerando? Non lo so. Senza scomodare troppo la fantasia, si potrebbe anche ipotizzare che la donna a sinistra stia semplicemente guardando le anatrelle, mentre l'amica si annoia. La realtà è talora più banale dei nostri arzigogoli...pardon, dei miei. Voi che dite? 
In ogni caso, il dipinto rivela la grande abilità
 della Morisot nell'indagare l'animo dei suoi personaggi e insieme nel rappresentare un natura bellissima e vibrante come lo sfondo di questo quadro.

E quale potrebbe essere la sua colonna sonora? La presenza dell'acqua e lo stile impressionista mi suggerirebbero Debussy, ma come talora mi capita, ho fatto una scelta diversa. Infatti, non ho seguito la suggestione del paesaggio e della tranquillità di una giornata estiva, ma ho perseverato nella mia prima impressione, quella di un velo di tristezza nella figura centrale, una sorta di non detto che traspare però dai visi e dai gesti.

Così, sono approdata a Felix Mendelssohn Bartholdy (1809 - 1847) e al brano che apre i suoi "Charakterstücke op.7" per piano soloSi tratta di una raccolta di sette pezzi in cui possiamo ravvisare reminiscenze bachiane, sia dal Clavicembalo ben temperato che dalle Variazioni Goldberg
Ma stavolta non è stato l'amore per Bach a guidarmi nella scelta, bensì la sottile
malinconia che aleggia proprio nel primo brano, un Andante in mi minore. Vi ho ritrovato infatti una struttura che può quasi ricordare un dialogo: mano destra e mano sinistra si alternano in quello che può sembrare un parlare da un lato e un prestare attenzione dall'altro. Ci sono infatti brevi passaggi drammatici insieme a una melodia che talora ritorna su stessa quasi a reiterare una confidenza o un moto di comprensione, simile alla cura e alla delicata sollecitudine che una persona può avere verso un'amica che le abbia confidato la sua pena. 

Buon ascolto! 

(Le foto sono prese dal web) 

 

venerdì 8 agosto 2025

La voce del torrente

Tutte le mattine o quasi, quando il tempo lo consente, dall'alto del mio nido montano scendo a bere il caffè in un angoletto isolato fuori dal paese, in fondo ai prati, in mezzo all'abetaia. 
È un piccolo lusso che mi concedo da diverso tempo, da quando l'ho scoperto anni fa, al ritorno da una passeggiata. Scoperto non significa che non lo conoscessi e non ci fossi mai stata. Al contrario! Ma non mi era mai capitato di andarci a fine stagione, verso il tramonto, nell'ora in cui il giardino della baita, spesso brulicante di turisti, si spopola lasciando spazio a una solitudine incantata. 

Ne avevo percepito il fascino in un tardo pomeriggio di agosto, tornando da un'escursione attraverso una bellissima pedonale che, purtroppo, l'alluvione dello scorso anno si è portata via. Avevo sete e mi ero fermata a bere qualcosa nello spazio esterno alla baita, a quell'ora totalmente vuoto e ormai in ombra. Era stato allora che, seduta in perfetta solitudine in un angolo raccolto e riparato dal vento, col fragore del torrente che scorre proprio lì accanto, ero stata presa da quell'atmosfera. 
Era una sensazione del tutto particolare e totalmente mia. In realtà, qui intorno ci
sono diversi altri luoghi più aperti di questo e molto più panoramici che pure amo ed apprezzo. Ma lì qualcosa aveva fatto la differenza: insieme alla solitudine, era stato il suono del torrente nel silenzio circostante a entrarmi nell'anima con un senso di assoluta distensione, tanto che mi ero detta: io qui voglio venire tutte le mattine a iniziare la giornata!

La stagione ormai declinava ed ero prossima al rientro, ma così ho fatto negli anni successivi e, quando mi è possibile, ancora oggi scendo dal mio nido prima delle 8.30 per arrivare lì quando nel giardinetto tra gli abeti non c'è nessuno. Il mio primo, e unico, caffè della giornata diventa così un momento di impagabile tranquillità nel quale lasciar vagare la mente con calma, un po' come quando sono in treno e mi faccio portar via dal panorama fuori dal finestrino. Solo che mentre là la mente si appaga di ciò che vede a volte in mezzo al rumore o alla confusione, qui domina il silenzio e le sensazioni sono diverse: il refolo del vento, il sole che va facendosi gradatamente più caldo sulla pelle, ma soprattutto il fragore del torrente che diventa colonna sonora del paesaggio che ho intorno. 

Comincio ad avvertirlo mentre ancora sto attraversando i prati come un rumore di sottofondo sordo e lontano. Poi, superata una piccola ondulazione del terreno arrivo in vista del ponte e, mentre scendo, il suono dell'acqua inizia a farsi sempre più distinto e scrosciante. 
A volte, mi viene in mente Renzo ne "I promessi sposi", quando fugge da Milano
verso l'Adda pensando tra sè che il fiume ha buona voce e ne riconoscerà subito lo scorrere. Certo, nel romanzo la scena si svolge di notte - cosa non trascurabile! - mentre qui è giorno, ma la percezione è quella e non posso non ricordare la celebre gradazione usata dal Manzoni per descrivere le fasi in cui il giovane ode, prima più generico e poi sempre più chiaro, il suono del corso d'acqua: un rumore, un mormorìo, un mormorìo d'acqua corrente.  

È esattamente questo l'effetto che avverto anch'io finchè, man mano che mi avvicino, il lieve mormorio si fa vero e proprio fragore, naturalmente in rapporto alla stagione, al tempo e alla portata del torrente. Ci sono giorni in cui, dopo un temporale, l'acqua è limacciosa, o altri in cui lo scioglimento dei ghiacciai convoglia a valle una piena di detriti che la rendono più scura. Ma di solito è trasparente e scivola cristallina sulle rupi che ne costellano il fondo, mentre il suo scroscio diventa familiare come i suoni che fanno parte della nostra vita al punto che tutto, anche il paesaggio, in qualche modo si umanizza. Il Manzoni parla infatti di voce dell'Adda.

E per celebrare la voce del mio torrente, ho scelto un brano in apparenza lontano da questo argomento. Non è uno dei vari giochi d'acqua scritti da diversi compositori e neppure si riferisce a un fiume. Ma nemmeno mi sono lasciata tentare dal bel pezzo di Sibelius per piano solo intitolato "Le Sapin", che sarebbe stato anche adatto perchè il mio baretto immerso nel verde si chiama proprio "La Sapinière" : l'abetaia.
Ho dato invece la preferenza all' "Impromptu in Si bemolle minore op.12 n.2" di  Alexander Skrjabin (1872 - 1915) che ho scelto per un certo suo andamento discontinuo che mi pare possa riflettere lo scorrere dell'acqua in un alveo talora costellato di sassi, rupi di dimensioni diverse e dislivelli da superare. Se infatti, nelle battute iniziali, più regolare è l'andamento degli accordi della mano sinistra, più viva e differenziata è invece la melodia che ci presenta la destra. Siamo nel tempo di 4/4 certo, ma il susseguirsi delle terzine - e qui spero di non far inorridire gli esperti! - ce lo fa somigliare quasi a un 
12/8. 
È questo il nodo della discontinuità che avverto e che ha motivato la mia scelta,
 oltre naturalmente al fascino del pezzo. Infatti, attraverso passaggi che talora possono ricordare Chopin, dopo un esordio più lento la musica va subito animandosi, riprendendo il tema con vitalità irrequieta simile all'andamento impetuoso delle acque di un torrente.

Buon ascolto! 

(La foto è mia) 

 

giovedì 31 luglio 2025

Tazio

Dal mio nido d'altura in vista del Gran Paradiso, osservo le nuvole che scorrono
lentamente sulle cime formando e dissolvendo piano figurazioni fantastiche. 
Mi piace - quando non sono in giro - stare sul balconcino che guarda l'ampio panorama di ghiacciai, rocce e fitte abetaie, osservando come la luce del pomeriggio che avanza muti prospettive e colori, rendendo più sfolgorante il sereno della piena estate o facendo presagire talora in largo anticipo l'approssimarsi dell'autunno
È il silenzio a regnare spesso in questo mio angolo arroccato sui
monti. E se il vento, le cicale, il latrato di un cane o a volte voci di bambini sembrano spezzarlo, in realtà non ne sminuiscono l'incanto: un'atmosfera riposante fatta di suoni che ormai conosco e gesti quotidiani scanditi dall'orologio del campanile con lenti rintocchi che mi sono abituata ad attendere.

C'è per esempio una nonna che, fuori dalla casetta qui sotto, all'ora di pranzo e di cena fa risuonare ripetutamente il suo richiamo ogni volta più perentorio e imperioso: "Tazio!!!...Tazioooo!!!".
All'inizio, dal mio balconcino poco più su non ci facevo caso. Poi, a furia di sentire quel nome gridato ai quattro venti in tutti i toni, ho pensato chiamasse uno dei nipoti che giocava lì vicino e sono rimasta colpita da quel nome così inusuale e altisonante: Tazio! A voi che cosa ricorda?

Dalla storia romana all'automobilismo c'è di che spaziare, passando magari per il cinema. Da quello che viene considerato un leggendario re di Roma insieme a Romolo (ricordate "O Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti"), al grande Tazio Nuvolari, per arrivare al giovane protagonista del film "Morte a Venezia": Tadzio, appunto! Così andavo ipotizzando quali eredità familiari o spunti culturali avessero indotto dei genitori a dare a un bimbo questo nome. 

Ma l'altro giorno, mentre aspettavo che, dopo insistenti richiami, Tazio si materializzasse, veloce come una freccia finalmente è arrivato e ho scoperto che non è affatto un bambino: Tazio è un gatto!!! Un bel micio tigrato che si aggira spesso tra il rustico praticello e una catasta di legna qui davanti, infrattandosi fra i tronchi e i cespi rosa di epilobium fino a far perdere le sue tracce. 
Non ha fretta mentre si muove qui sotto a insidiar farfalle, e se dal balconcino lo
chiamo anche solo con un cenno, alza subito il musetto verso di me con occhi guardinghi ma curiosi. Quando però ha sentore di cibo pronto, con guizzo fulmineo degno davvero di un asso della velocità come Nuvolari si infila in casa, inconsapevole della portata epocale del suo nome.

Ora lo so che voi avevate già subodorato che Tazio non fosse uno qualsiasi e che in fondo a questa storiella ci sarebbe stata la sorpresa! Ma quale musica dedicargli?
Qui vi confesso che - come dicevano i Latini e certo anche Tito Tazio - mi sono
trovata in gran discrimen, cioè in una situazione di incertezza e dubbio davanti a una decisione importante, diciamo davanti a un bivio: scegliere una musica adatta al gatto, o una che si accordasse al suo nome? Capite che il dilemma non era da poco, quindi che fare? Per il micio e il suo ambientino casalingo mi occorreva un brano vivace ma non troppo e di tono familiare; per il nome invece, come non pensare a un pezzo importante e magari a Mahler che fa da colonna sonora proprio al film "Morte a Venezia"?

Volendo, la storia della musica ci presenta anche il "Duetto buffo di due gatti" di Rossini, ma posso dirvelo francamente? Non mi è mai piaciuto. 
Avevo pensato poi a un brano dalla colonna sonora del film "Il Gattopardo"
perché nel titolo della pellicola c'è appunto il gatto: Gatto - pardo...Ma non ho dato seguito alla cosa perchè, con una motivazione di tale profondità metafisica(!), ho temuto che qualcuno mi avrebbe tolto il saluto!

Poi però, ho alzato lo sguardo sul paesaggio e sulla sua ampiezza, dai monti ai prati, dai ghiacciai fino al mio paesetto appolliato qui, gatto compreso, e sono tornata alla percezione di infinito che ci regala Gustav Mahler (1860 - 1911) nel celebre "Adagietto" della "Sinfonia n.5 in do diesis minore". , è proprio la colonna sonora del film "Morte a Venezia" che ho già pubblicato tanti anni fa e che vi ripropongo sempre nella direzione di Claudio Abbado.  

Al di là della vicenda narrata nella pellicola che questa musica ricorda con intensità, mi pare tuttavia che le sue note vadano oltre, dando voce alla bellezza e a quella vastità del creato che talora le parole sono insufficienti ad esprimere. Questo movimento della Sinfonia successivo ad altri più vivaci e che il compositore ha indicato con la dicitura "Sehr langsam" (molto lento), attraverso il suono degli archi e dell'arpa ci regala infatti una pausa di raccoglimento e di estatica contemplazione. 

È una musica che ci offre suggestioni ora sublimi ora vagamente inquietanti, facendoci percepire spazi sconfinati insieme a un senso di caducità, un po' come il panorama stupendo e insieme fragile che ho intorno.
Una musica che sembra interpretare la magnificenza del creato che ogni cosa
avvolge e accarezza: dalla più grande alla più piccola, dalle cime dei monti alle farfalle, dalla campana del paese che segna lo scorrere del tempo fino al gatto, sì!, anche lui meravigliosamente parte del tutto.

Buon ascolto!

(La foto è mia) 

 

mercoledì 23 luglio 2025

Se lo sguardo è femminile - 7


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono state la grazia e la trasparenza della pennellata nel dipinto che vedete qui sopra ad orientare stavolta la mia scelta di sguardi femminili. E a proposito di questo "Autoritratto", conservato presso la National Gallery di Londra, potrei anche parlare di garbo ed eleganza. 
Autrice è 
Élisabeth Vigée Le Brun (1755 - 1842), artista francese che probabilmente tanti conoscono anche perchè le riproduzioni di alcuni suoi quadri a tema familiare hanno sempre avuto larga diffusione. È stata infatti una ritrattista dalla brillante carriera durante la quale ha dipinto non solo dame di corte divenendo la pittrice preferita della regina Maria Antonietta, ma anche opere che celebrano la maternità e gli affetti familiari, cosa singolare in un'epoca in cui il ruolo della donna era relegato in ambito privato. 
La rivoluzione francese poi l'ha costretta ad abbandonare Parigi, ma questo le
 ha consentito di girare per le corti europee, da Vienna a Londra, da San Pietroburgo a Roma e non solo, facendosi apprezzare ovunque.

Artisticamente, la Le Brun si colloca nel periodo neoclassico, e tuttavia le sue creazioni non hanno quel carattere di aulica freddezza che troviamo in talune opere dell'epoca, non soltanto perchè la pittrice predilige il tema del ritratto, ma anche per la sua abilità nel catturare la luce, cosa che dona ai suoi dipinti grande morbidezza. E a tal proposito, osserviamo questo suo autoritratto - peraltro non l'unico - in alcuni dettagli.

Sono gli occhi ma anche le labbra, è l'incarnato lievemente roseo del viso con il candore del collo, e insieme sono gli orecchini a riflettere la luce conferendo al viso della donna una grazia ariosa. Ma a creare tale effetto di trasparenza, è anche lo spazio aperto in cui il ritratto è ambientato, con il cielo azzurro da sfondo e quelle nuvole che forse sarebbero piaciute al Tiepolo.

Una grazia che si riflette anche nell'abbigliamento: dal cappello di paglia con la morbida piuma e un serto di fiori di campo, ai lievi volant del corpetto, ai capelli non raccolti in un'acconciatura elaborata ma lasciati andare al vento, fino allo scialle scuro che l'avvolge fatto di un tessuto leggero e impalpabile.

Ma non si può trascurare il dettaglio a mio avviso più importante di questo ritratto, quello che connota Élisabeth Le Brun non solo come giovane donna ricca di leggiadria - e ricordiamo che il dipinto la ritrae a ventisette anni - ma prima di tutto come pittrice: la tavolozza. 
Tavolozza, pennelli e colori sono infatti
infilati nella sua mano sinistra e pronti per essere usati dalla destra qui dolcemente in riposo, e dallo sguardo della pittrice del quale ora intuiamo meglio l'espressione.

E com' è lo sguardo di un pittore? È un occhio intuitivo che spesso sa andare al di là della superficie e delle apparenze, oltrepassando la barriera della pura fisicità per cogliere l'anima di ciò che rappresenta, sia esso persona od oggetto.
La Le Brun si sofferma sulle persone, ma
 il suo sguardo non ha nulla di formale come potrebbe suggerire un ritratto d'occasione. Va invece ad indagare con dolcezza la psicologia delle figure femminili rappresentate facendo talora affiorare il mondo degli affetti che ciascuna cela. Ma com'è lo sguardo di una pittrice quando ritrae se stessa?

Non è argomento su cui si possa generalizzare, mi limito perciò a osservare questo dipinto nel quale mi pare che l'artista abbia colto in sè quella serenità interiore di chi nella vita sta realizzando il proprio talento, ciò per cui si sente tagliato: in questo caso la pittura. Leggo infatti nello sguardo di Élisabeth una gioia pacata, non sfolgorante ma tenera, animata da una serietà pensosa, una dolce fermezza che cogliamo nei suoi occhi rivolti allo spettatore ad esprimere consapevolezza di sè. E mi pare che questa immagine rifletta insieme l'autenticità di chi fa del proprio lavoro non un abito puramente esteriore, ma una passione che nasce dal profondo.

E passando alla musica, la grazia garbata di questo dipinto mi ha fatto subito risuonare in mente un brano di Ludwig van Beethoven (1770 - 1827). 
Si tratta del primo movimento della "Sonata per pianoforte n.24 in Fa diesis 
maggiore op.78" detta "A Teresa" perchè dedicata a Teresa di Brunswick con la quale il compositore ebbe una grande intesa intellettuale. 
Il pezzo luminoso e dolce, è a tratti gioioso e animato, altrove malinconico, ma
sempre trasparente a somiglianza di questo dipinto. L'indicazione agogica di "Adagio cantabile - Allegro ma non troppo" si adatta davvero bene ad un tema che, dopo lenti accordi introduttivi, si apre in una melodia limpida che ci resta dentro proprio per la sua cantabilità. 
E se alcuni passaggi si fanno più accesi, Beethoven ne smorza subito la drammaticità per riportare la composizione ad una mirabile morbidezza che qui l'interpretazione di Alfred Brendel mette in splendida luce.

 Buon ascolto!

(La foto è presa dal web) 

  

mercoledì 16 luglio 2025

Inquietudini di un diciassettenne.

Aveva diciassette anni Wolfgang Amadeus Mozart quando compose la "Sinfonia n.25 in sol minore K.183" della quale oggi mi piace condividere qui il primo movimento. 
Era il 1773 e, come testimonia il
numero d'opera, il ragazzo aveva già al suo attivo numerose sinfonie, senza contare minuetti e piccoli pezzi che aveva iniziato a scrivere a soli cinque anni. Bambino prodigio, come tutti sappiamo, e non semplicemente per la precocità della sua attitudine musicale, ma anche per la chiarezza compositiva che fa delle sue partiture un vero miracolo di equilibrio e luminosa armonia. Ma non è questo il punto su cui desidero soffermarmi.

M'interessa invece la tonalità in sol minore di questa sinfonia che - insieme alla più celebre n.40 K.550 - costituisce un'eccezione nel complesso delle altre 39 tutte in maggiore. Dell'argomento ho già parlato lo scorso anno prendendo in esame il primo tempo della n.40 considerata la Grande per la sua maturità espressiva, mentre la n.25 è detta la Piccola. Si tratta infatti di un'opera giovanile in cui Mozart - come ricordavo in passato - prende spunto dal sinfonismo di Franz Joseph Haydn. Opera, tra l'altro, fortemente criticata dal padre Leopold forse perchè non strutturata secondo i dettami dello stile galante e della frivolezza di tante composizioni dell'epoca.

Però...Però ascoltandola e cogliendone la concitazione iniziale, mi sorgono altre considerazioni che me la fanno valorizzare non meno delle successive. 
È acceso e drammatico l'esordio, sostenuto - come si vede nella foto - da note ribattute, e il tema impetuoso e passionale, prima forte, poi ripreso più sommessamente dal bellissimo canto dell'oboe, esprime con intensità i tormenti di un ragazzo sul finire dell'adolescenza. Certo, un Allegro con brio in minore suona un po' contraddittorio, ma forse l'espressione indica solo la vivacità scorrevole del brano.
Suggestivi i due intervalli discendenti iniziali (sol - re  e  mi - fa#), soprattutto il
secondo che, dal mi bemolle, ci conduce giù fino a un angoscioso fa diesis con uno splendido salto di settima diminuita. Così pure, la successiva fragorosa esplosione in tonalità maggiore col suo tema più solare - lo stesso che più avanti sarà ripreso invece in minore - non fa che confermare la crisi di un animo adolescenziale che, come è tipico dell'età, vive i contrasti senza mezze misure ma in modo netto e assoluto.

Reduce da alcuni viaggi in Italia e a Vienna utili per la conoscenza di altri musicisti, ma deludenti sul piano della ricerca di un'occupazione stabile presso qualche corte, il diciassettenne Mozart ritorna nel 1773 nel chiuso dell'ambiente salisburghese. Ma il desiderio di nuove vie più personali e più consone al proprio talento insieme alle suggestioni preromantiche del periodo lo portano lontano dalla frivolezza dello stile decorativo richiesto talora dai committenti, e l'uso della tonalità minore sembra esprimere proprio tale desiderio segnato da inquieta introspezione.
Nonostante alcune aperture, l'impressione che resta ascoltando il primo
movimento della K.183 è infatti il predominare di un'atmosfera drammatica e di un impeto che - in seguito - Mozart smorzerà fondendo serenità e tristezza, luci ed ombre in quel mirabile equilibrio che tutti conosciamo. 
Basti confrontare questo esordio così netto e oserei dire quasi tagliente con il clima
 di soffusa malinconia delle prime battute della K.550 scritta quindici anni dopo.
Una sinfonia, la K.183, che segna quindi la fine dell'adolescenza e insieme una
svolta verso la maturità artistica, sia per la padronanza delle strutture compositive che per l'intensa volontà del giovane musicista di dar voce più compiuta e autentica alla propria anima. 

 Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)