domenica 23 marzo 2025

Se lo sguardo è femminile - 3


 
Lo sguardo femminile di questo mese è quello di Plautilla Nelli (1524 - 1588) - al secolo Polissena de' Nelli - pittrice fiorentina, secondo quanto scrive il Vasari, tra le prime ad essersi affermata in città nonostante avesse passato la vita in convento. Entrata infatti a soli 14 anni tra le domenicane di Santa Caterina da Siena, aveva avuto tuttavia modo di coltivare la passione per la pittura facendo riferimento ad alcuni disegni che possedeva del pittore Fra' Bartolomeo, come pure ad opere molto conosciute di artisti che avevano operato alla Scuola di San Marco. Il che ci riporta subito a nomi famosi, primo dei quali il Beato Angelico. 

Non era facile a quell'epoca essere una donna pittrice, soprattutto poi se si viveva all'interno di un convento. Ma capacità tecniche e una notevole intraprendenza avevano portato Suor Plautilla a istituire una vera e propria bottega d'arte entro le mura del convento stesso, col pretesto che la vendita dei quadri prodotti avrebbe potuto contribuire al sostentamento della comunità di suore.
Così fu tanto apprezzata che - come scrive il Vasari - "dipinse per le case de’ gentiluomini di Firenze tanti quadri che sarebbe troppo lungo a volerne di tutti ragionare.”  Del resto, le sue opere di carattere sacro erano ben accette dalle famiglie fiorentine che con queste adornavano le loro cappelle private.

Il dipinto che ho scelto è una delle due "Annunciazioni" attribuite alla pittrice dal Vasari, ma recentemente anche dalla studiosa statunitense Catherine Turrill che di Plautilla ha rivalutato la figura artistica.
L'opera - scoperta a Firenze nei depositi di Palazzo Vecchio e restaurata nel 2017 - in
apparenza non è diversa dalle tante tavole sullo stesso tema realizzate nel corso del tempo e soprattutto nel Cinquecento. L'iconografia è quella che si osserva anche altrove: architetture rinascimentali inquadrano i due protagonisti dell'evento, a volte separati da una colonna, mentre lo sfondo si apre su di un morbido paesaggio e dall'alto piove la luce dello Spirito Santo.
Così è anche nella rappresentazione di Plautilla. Ma allora perchè l'ho scelta e che
cosa mi ha colpito in essa di tanto speciale?




















Il fatto è che, mentre Maria ricalca atteggiamento e movenze simili ad altre raffigurazioni, l'Arcangelo Gabriele no! È stato proprio lui a prendermi con quegli occhi spalancati e lo sguardo serio e attento che potete osservare nella foto in alto.
Nella posa composta che lo vede in ginocchio col giglio tra le mani, niente di nuovo
rispetto al passato; ma nella sua espressione sì, perchè essa comunica un moto di stupore insieme a un senso di attesa unito, forse, a una punta di ansia. Sembra quasi che, consapevole dell'importanza dell'annunzio che reca, Gabriele si stia per un attimo interrogando su quale sarà la risposta della Vergine e resti lì sospeso, per qualche secondo, in trepida attesa. 

Il quadro mi fa venire in mente uno dei Sermoni di San Bernardo in cui il Santo afferma proprio questo. Riferendosi infatti all'Arcangelo che aspetta una risposta, immagina che non solo lui, ma l'intera corte celeste sia rimasta per qualche istante in sospeso, aspettando con ansiosa impazienza il consenso di Maria che avrebbe aperto un nuovo capitolo per tutta l'umanità. Come se tutta la creazione per un momento avesse trattenuto il respiro, in attesa di quel fiat che avrebbe cambiato la storia.
Ecco, mi pare che Suor Plautilla, a differenza di altri artisti, abbia sottolineato tale
aspetto facendo affiorare dallo sguardo di Gabriele, insieme al suo stupore fanciullesco di fronte a Maria, anche una lieve ombra di apprensione, cosa che la pittrice avrà desunto non solo dalla conoscenza dei Sermoni di San Bernardo, ma forse anche dalla propria capacità introspettiva.

E per passare alla musica, vi propongo un antico quanto conosciutissimo brano, il cui testo risale secondo alcuni al VI e secondo altri al IX secolo. Si tratta di "Ave Maris Stella", inno che veniva e viene ancora oggi cantato nelle festività mariane e che mi sembra adatto a questi giorni che precedono il 25 marzo in cui si celebra proprio l'Annunciazione.
Tra i tanti compositori che, dal Rinascimento ad oggi, lo hanno musicato, ho
scelto Edvard Grieg (1843 - 1907) per la bella armonizzazione del cantico in una serie di passaggi più sommessi alternati ad altri più accesi. Luminoso il cambio di tonalità alla quinta battuta dall'inizio sull' atque e poi ancora nella ripresa sull'ut.
Ma a dar vita alle note del compositore norvegese qui è soprattutto lo splendido
gruppo corale dei VOCES8 che, con delicatezza e intensità, raggiunge un suono in cui cogliamo sia le sfumature delle singole parti che l'equilibrio complessivo in un' interpretazione di sublime trasparenza.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

domenica 16 marzo 2025

La melodia nascosta

Da giorni mi risuona dentro - ma potrei dire anche mi tormenta - il brano che vado a pubblicare oggi: il "Preludio in Re maggiore op.23 n.4" di Sergej Rachmaninov (1873 - 1943). 

Il compositore torna di tanto in tanto a incantarmi con le sue musiche ricche di suggestione che talora ho pubblicato in questo blog, e non ha quindi bisogno di presentazioni. I suoi pezzi sono infatti conosciutissimi, a cominciare dai concerti per pianoforte - soprattutto il secondo e il terzo! - insieme a sinfonie, romanze, preludi, ma anche inni sacri ispirati alla liturgia ortodossa. Ricordiamo infatti che, nonostante il musicista si fosse stabilito negli Stati Uniti, non ha mai dimenticato le proprie radici e diversi suoi brani sono venati dalla tipica passionalità e profondità dell'anima russa.

Il preludio che ho scelto è parte di una raccolta che - insieme a quelli dell'op.32 e op.3 - ne comprende 24 che vanno ad esplorare le varie tonalità come avevano fatto Bach, Chopin, Skrjabin e come in seguito farà Shostakovich sia pure con criteri differenti nella disposizione del materiale.
Si tratta di un pezzo pervaso da un'atmosfera sognante, nella quale avvertiamo subito la lezione di Chopin,
insieme ad altre suggestioni che le note ci restituiscono ora chiare, ora più velate, a somiglianza di quei fiori che, pur essendo ancora in boccio, già fanno presagire la loro grazia.
E mi pare significativo ricordare che tale preludio appartiene a un periodo di
rinascita dopo che, nel 1897, la prima Sinfonia del musicista aveva ricevuto una stroncatura tale da farlo cadere in una cupa depressione. Lo stesso Rachmaninov, riferendosi a quell'episodio, in seguito dirà: 

"La mia fiducia in me stesso aveva ricevuto un colpo improvviso. Ore trascorse agonizzando tra dubbi e tristi pensieri mi avevano portato alla conclusione che avrei dovuto abbandonare la composizione".

Chi avesse ascoltato lo splendore dei Sei momenti musicali op.16 scritti solo un anno prima di tale crisi, può comprendere quanto profonda essa sia stata per condurre l'artista a perdere fiducia in se stesso nonostante avesse dato alla luce brani di simile bellezza. Ma a partire dal 1901, nuovi germogli nasceranno dalla sua ispirazione che lo porterà a comporre non solo il celebre Concerto n.2 op.18, ma anche i Dieci preludi op.23 tra i quali troviamo il pezzo di oggi.
Si tratta di un andante cantabile che, nel tempo di 3/4, ci conduce nell'atmosfera tardoromantica tipica delle creazioni del musicista. Il tema, intimo e nostalgico, sostenuto da larghi arpeggi, si sviluppa lento per culminare in accordi più forti e vibranti e poi di nuovo andare a spegnersi piano in un andamento che alterna dolcezza a drammaticità.

Tuttavia, ciò che mi colpisce maggiormente nel brano è l'esistenza di due melodie: una che si dipana nelle prime 18 battute e la seconda che interviene dalla battuta 19 alla 36 sovrapponendosi alla precedente e intrecciandosi ad essa. Ne deriva un triplice piano di scrittura che potete osservare dal video: gli arpeggi di accompagnamento suonati in chiave di basso, mentre in chiave di violino la destra ci presenta il primo tema e insieme il secondo che ne diventa quasi una sorta di variazione e abbellimento. Dopodichè, la melodia verrà ripresa e rielaborata una terza volta attraverso una serie di accordi della mano destra, punteggiati da note sulle ottave più alte.

Ma perchè, all'inizio del post, scrivevo che questo preludio mi tormenta?
Perchè al di là del riferimento a Chopin, la melodia che si apre alla battuta 19
va a suscitare in me anche altre reminiscenze musicali alle quali però, da giorni, non riesco a dare un nome preciso. Non è un vero e proprio tema, ma un'atmosfera che vi aleggia e che ora mi riporta ad altri pezzi dello stesso Rachmaninov, ora a Shostakovich e in certi momenti anche a Grieg.

O forse sono semplici consonanze, somiglianze armoniche che affiorano da lontano, melodie nascoste, motivi già sentiti altrove che s'intrecciano liberamente in noi. Voi che dite?... Cosa vi suggeriscono quei dolci passaggi dalla battuta 19 in poi?

Vi lascio con questo interrogativo augurandovi buon ascolto!

(Nella foto, presa dal web, Ritratto di Rachmaninov di Konstantin Somov)

 

sabato 8 marzo 2025

Tentazioni...

Tentazioni?...Sì!
E qual è quella di oggi alla quale intendo cedere senza ripensamento
alcuno, nè timore di tediare voi che pazientemente ascoltate le musiche pubblicate qui dalla sottoscritta?

La tentazione è quella di proporvi di nuovo e per l'ennesima volta Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) del quale, per l'occasione, scrivo anche il nome completo per esteso.
Sì, immenso e inesauribile il nostro Giovanni
Sebastiano, tanto che i suoi brani non cessano mai di stupirci anche quando li avessimo ascoltati cento volte, compresi quelli più didattici, magari studiati a lezione di pianoforte da piccoli!

Quello di oggi infatti è uno dei pezzi scritti proprio a scopo didattico come il compositore aveva esplicitamente dichiarato nella dedica sul frontespizio del Clavicembalo ben temperato, che non è un puro e semplice manuale di esercizi, ma un vero e proprio monumento di creatività e maestria. Devo averla già citata in passato ma mi piace riportarla ancora una volta qui:

 «...per il profitto e l’uso della gioventù musicale desiderosa di imparare, così come per il diletto di coloro che sono già abili in questa arte» 

Profitto e diletto mi sembrano i termini più significativi che si completano a vicenda: non solo studio tecnico e abilità, ma anche gioia e piacere perchè è quello lo scopo, è lì che la musica deve condurre. Ma mi colpisce insieme quel desiderosa di imparare - qualche traduzione dal tedesco mette addirittura avida - riferito alla gioventù musicale e mi piace che l'impegno del suonare possa nascere da un ardente impulso del cuore.

Il brano di oggi, tratto appunto dal Clavicembalo ben temperato e in particolare dal secondo libro, è il "Preludio in fa minore n.12 BWV 881". L'avrete certamente già sentito se non addirittura suonato, e riconoscerete subito il suo andamento caratterizzato da un ritmo rigoroso che ne fa uno dei pezzi più conosciuti e rappresentativi dell'opera bachiana.
L'esordio ci offre un tema malinconico, a tratti angoscioso quanto può esserlo il fa
minore, scandito da accordi che qualche critico ha paragonato a singhiozzi e subito dopo rielaborato da brevi arpeggi. La melodia poi sale illuminandosi talora in tonalità maggiore ed articolandosi in diversi sviluppi, quasi fossero variazioni che la fantasia del compositore inanella intorno al tema portante. Il brano si dipana quindi a somiglianza di un cammino su di un sentiero ora erto, ora più piano con un ritmo che, nel suo rigore, non è tuttavia privo di qualche passaggio sincopato.

Ma perchè l'ho scelto? Non solo per la sua bellezza, ma anche per una particolare interpretazione che ho trovato su youtube tra mille altre.
Si tratta di un'esecuzione molto più lenta del solito forse anche perchè il video è un
tutorial, ma mi è piaciuta subito perchè proprio tale lentezza fa emergere inusitate risonanze capaci di conferire al preludio nuovo splendore. Insomma, fascino aggiunto a fascino! Lo sentiamo nei brevi arpeggi della parte iniziale dove ci sono note ora più accentate, ora invece più lente sulle quali il pianista sembra indugiare con dolcezza. Così pure in vari passaggi, oltre al tema della mano destra si avverte, bellissimo, il canto della sinistra.
Certo, il risultato è un Bach meno barocco e forse più romantico...cosa che farà magari
inorridire i puristi; tuttavia - a mio modesto avviso - incantevole.

Ma sull'onda del ritmo del brano a tratti quasi sincopato, ho anche un'altra tentazione: quella di proporvene l'arrangiamento fatto dal gruppo vocale dei miei mitici "Swingle Singers" e tratto dal primo e altrettanto mitico album intitolato "Jazz Sebastien Bach" del 1963.
Qui, il clima talora dolente del fa minore si dissolve trasformandosi in un andamento più leggero e danzante. Le voci infatti, accompagnate
dalla batteria, non solo fanno emergere la struttura polifonica del brano - e sentite che meraviglia sono i bassi! - ma sottolineano tutto lo swing già insito nella musica bachiana.
Ne deriva una versione accattivante che mi ha sempre suscitato un desiderio irrefrenabile
di cantare con loro!

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web) 

 

 

venerdì 28 febbraio 2025

In coro

Capita a volte nella varietà del quotidiano - tra eventi grandi e piccoli ai quali spesso non si fa più caso - che, proprio tra questi ultimi, ci raggiungano richiami o stimoli significativi, simili a incontri che ci attraversano la strada così, senza che noi li abbiamo cercati. Può essere che ci sfuggano, ma se vi prestiamo attenzione, a volte possiamo trovarvi veri e propri tesori. Succede con le persone, con i libri, con la natura e anche con la musica.

In questo modo diciamo casuale - ma esiste poi il caso? - ho scoperto il brano di oggi, un pezzo che non conoscevo ma che mi ha subito affascinato.
Leggi una locandina, trovi il programma di un concerto e al momento lo accantoni.
Poi, nell'apparente banalità del quotidiano, qualcosa t'incuriosisce. Ti dici: "Proviamo ad ascoltare!" e così gratuitamente, magari nel bel mezzo di una giornata storta, ti si capovolge il mondo e scopri il paradiso.
Ciò che incontri, infatti, non è solo la bellezza fuori di te in una delle sue molteplici manifestazioni, ma insieme una parte della tua anima che vi corrisponde e vi aderisce con tale intensità quasi in quelle note avesse trovato la radice del proprio essere, la propria nicchia, il proprio elemento originario, l'acqua sorgiva in cui nuotare.

Sto parlando del brano di Felix Mendelssohn Bartholdy (1809 - 1847) intitolato “Wie der Hirsch schreit” : cantata per soli, coro misto e orchestra sul Salmo 42.
Nonostante mi piacciano molto alcuni suoi corali, la mia conoscenza del suo repertorio sacro
è piuttosto limitata, mentre ho sempre dato la preferenza alle  Romanze senza parole, alla celebre sinfonia Italiana e al mirabile Concerto per violino. Il pezzo di oggi apre quindi per me uno squarcio nuovo sull'universo musicale del compositore.
Dei sette brani di cui si compone la Cantata, vi riporto quello di apertura che recita
così: "Wie der Hirsch schreit nach frischem Wasser, so schreit meine Seele, Gott, zu Dir" (Come un cervo anela ai corsi delle acque, così la mia anima a te, o Dio). È l'esordio del Salmo 42 che certo tanti ricordano e che ha un celebre precedente essendo stato musicato da Pierluigi da Palestrina nel mottetto "Sicut cervus". Inoltre, l'immagine con cui il pezzo si apre ricorre spesso nell'iconografia cristiana, come dimostra anche il mosaico della foto tratto dalla decorazione del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna.

È pacatissimo l'inizio di questa musica avviata dai contralti cui fanno seguito subito dopo i soprani. E mi ha colpito la dolce morbidezza con cui la melodia si allarga e sale sostenuta dall'orchestra per poi tornare alla luminosa quiete del Fa maggiore. Dopo il passaggio introduttivo in cui viene enunciato il tema, il coro si sviluppa in modo più animato, ora articolandosi nell'alternanza delle voci, ora in una architettura più complessa e talora drammatica. E se da un lato la musica può riecheggiare qua e là lo stile di Bach di cui Mendelssohn è stato grande cultore, dall'altro presenta risonanze nuove, che indugiano su sonorità e timbri sognanti che danno alle note un carattere di ampio respiro e intensa suggestione. Splendido anche il finale dove la melodia si fa più sommessa, smorzandosi nella luminosa dolcezza dell'ultimo accordo.

Ascoltandolo, immagino quale immensa gioia sarebbe riuscire a cantarlo in un coro, vivendone dall'interno lo splendore polifonico e percependone lo spessore nella fusione delle varie voci. Così, me lo sto sentendo e risentendo con calma su youtube, perchè diventi parte di me e possa fiorire spontaneo dal cuore magari un mattino, al mio risveglio.
Del resto, il Salmo 42 è preghiera e quale potrebbe essere approccio migliore a una
nuova giornata se non il desiderio d'Infinito espresso dal testo e interpretato dalla musica, simile a quello di un'acqua fresca che disseti e colmi il cuore? Un canto di struggente nostalgia dunque, che pur non ignorando lo sconforto della condizione umana, si apre a una fiduciosa serenità.
Me lo suggerisce anche l'andamento di questo primo brano col suo tempo di 6/4 che ha un dolce ritmo di danza.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

venerdì 21 febbraio 2025

Se lo sguardo è femminile - 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È di Sofonisba Anguissola (1532 - 1625) il dipinto sul quale mi soffermo oggi, tornando indietro nel tempo rispetto a quello del mese scorso.
Si tratta di una delle pittrici più celebri del tardo Rinascimento, apprezzata da artisti
coevi sia in Italia che in Europa, da Michelangelo a Van Dick, e autrice di numerose opere incentrate sul tema del ritratto.
In effetti, anche se il titolo del quadro che vedete - conservato al Museo di
Poznan - è "Partita a scacchi", l'opera potrebbe chiamarsi "Ritratto di famiglia in un esterno". Infatti, insieme a un'anziana governante, sono raffigurate le tre sorelle minori della pittrice - Lucia, Minerva e la piccola Europa - mentre due di loro stanno giocando a scacchi all'interno di un giardino.  

Notiamo subito la raffinatezza del tratto pittorico e insieme quella degli oggetti raffigurati: dalla scacchiera all'eleganza degli abiti dei quali la pittrice mette in luce preziosi dettagli, fino alla grazia di gioielli e coroncine che adornano il capo delle tre sorelle.
Ma i loro ritratti ci offrono anche il frutto di
un'acuta individuazione psicologica. Ciò che infatti mi ha colpito maggiormente, guidandomi nella scelta di quest'opera tra le tante di Sofonisba Anguissola, è proprio tale aspetto, rivelato da un duplice gioco, di sguardi e di età.

Gioco di sguardi, prima di tutto, in una sorta di meravigliosa circolarità.
È la più piccola, col suo sorriso spontaneo di bambina furbetta, a osservare la sorella un po' più grande la quale invece, molto seria, si rivolge alla maggiore con una mano alzata e un'espressione interrogativa. Incantevole il pallore quasi diafano del suo viso dal profilo sottile che si staglia contro il paesaggio sfumato dello sfondo.
A sinistra invece, la maggiore
si apre ad un sorriso lieve e pensoso ma già sicuro di sè mentre, dietro di loro, la governante osserva pacatamente la scena. E se vogliamo, anche le mani, morbide e affusolate, rivelano atteggiamenti diversi come se la pittrice, attraverso di esse, avesse voluto sottolineare i differenti stati d'animo delle tre sorelle.

Ma le quattro figure femminili mi fanno pensare anche ad un altro tema, quello delle età della vita.
Non so se l'artista avesse esplicita intenzione di
sottolinearlo, tuttavia - a mio modesto avviso - esso affiora in modo molto evidente nella caratterizzazione psicologica di visi e atteggiamenti.
Di solito, nei dipinti sia antichi che moderni su
questo argomento, le età raffigurate sono tre: la giovinezza, la maturità e la vecchiaia. Qui però la giovinezza si sdoppia, per così dire, tra infanzia e adolescenza.
È soprattutto dagli occhi che possiamo intuire ora la gioia ancora ingenua della bimbetta, ora l'ansia della fanciulla adolescente forse sorpresa da una mossa inaspettata dell'avversaria o timorosa di sbagliare. La sorella più grande invece, già adulta - e se non sapessimo chi è potremmo anche pensare che sia la madre - mostra una sicurezza più consapevole mentre la donna anziana, dietro di loro, sembra osservare quietamente ciò che accade.

Atteggiamenti diversi di fronte a una partita a scacchi, ma forse anche davanti al gioco della vita che ciascuno affronta con i tratti psicologici della propria età. Me lo suggerisce anche lo sguardo della sorella maggiore che - unica nel dipinto - si rivolge a noi, spettatori esterni, quasi a dire che quel gioco ci riguarda.

Così, andando ad associare una musica a queste immagini, nell'osservare la costruzione attenta del quadro in cui nulla è lasciato al caso, ma l'insieme riproduce una sequenza ordinata di espressioni e movenze, ho pensato subito a un pezzo di Bach.
Si tratta del "Preludio e Fuga n.7 in Mi bemolle
Maggiore BWV 876" dal II libro del "Clavicembalo ben temperato".

Perchè l'ho scelto? Per il suo andamento rigoroso e al tempo stesso elegante, ricco di una creatività che, dall'iniziale luminoso Mi bemolle Maggiore, piega poi verso tonalità minori: un cammino che può anche rappresentare il dipanarsi della vita in età diverse, con ombre, luci e tratti psicologici differenti. È un percorso che non solo testimonia il genio bachiano, ma può ricordare anche il procedere di un gioco: non necessariamente quello degli scacchi, ma ogni partita o evento in cui ad un'azione ne corrisponda un'altra, a mossa segua contromossa, a domanda risposta.

Provate ad ascoltare e, nel preludio come nella fuga, troverete tali simmetrie e corrispondenze espresse ora con piglio vivace, ora con toni più sommessi, dolci e delicati in una sapiente alternanza di forte e piano. Del primo vi invito a gustare il ritmo danzante e talora un po' giocoso dei 9/8, ma del secondo trovo stupenda la costruzione armonica che Tatiana Nikolayeva fa risaltare consentendoci di percepirne richiami e rimandi, ma soprattutto lo spessore polifonico.
Nonostante la grazia di tale interpretazione pianistica, ho sempre pensato che lo
strumento più adatto a far emergere lo splendore di questa fuga sia però l'organo. Allora, se volete dilettarvi ulteriormente, vi lascio il link di una bella esecuzione per organo, dove il brano acquista grandiosa solennità e verso la fine si avverte chiaramente il cambio dei registri.
Ma se all'inizio può sembrare che la fuga sia in realtà quella dell'organista che a un tratto
sparisce...niente paura: poi ricompare e suona!

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

 

giovedì 13 febbraio 2025

Vanitas



 

 

 

 

 

 

 

 

Si cerca una cosa e se ne trova un'altra. Non è così?
È infatti ciò che mi è accaduto la volta scorsa, mentre mi aggiravo sul web tra le numerose e splendide nature morte con fiori di Jan Davidsz de Heem (1606 - 1684ca.), sperando di adocchiare la riproduzione di un bucaneve. In effetti l'ho trovato tra mazzi dalle più svariate tinte e sfumature.

Ma scorrendo le immagini delle opere dell'artista, ho scoperto altri dipinti all'apparenza molto differenti per colori e atmosfera, e tuttavia non privi di altrettanto fascino.
Ne vedete in alto e nel dettaglio qui a
lato uno dei più significativi, intitolato "Natura morta con libri" e conservato presso il Rijksmuseum di Amsterdam.
Così pure, poco più sotto, ne troviamo un altro: "Natura morta con libri e un tes
chio", conservato presso la Galleria regionale di Luberec, in Cechia. 

Mi ha sorpreso e incantato la genialità del pittore che ha rappresentato il tema della natura morta con oggetti così diversi: spesso fiori, frutta e bicchieri, ma anche libri, fogli, strumenti musicali, vasi e vassoi. È un raffinato gioco - permettetemi il termine - di accostamento e confronto tra materiali differenti come carta, legno, metallo, vetro, perchè uno prenda rilievo dalla vicinanza dell'altro e dalle rispettive differenze.
Ma mi ha affascinato anche la gamma di sfumature coloristiche nelle tonalità che
dal bianco della carta vanno al beige della parete, scurendosi poi nel legno del mobile e dello strumento musicale. Ne deriva un'atmosfera talora sfocata e un po' polverosa, con i libri disordinati che creano profondità e quell'ombra obliqua - nel dipinto qui sopra più lieve, sotto invece più netta - che in qualche modo può rimandare al Caravaggio.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tuttavia, c'è un altro aspetto che accomuna le rappresentazioni dell'artista, sia quelle ricche di fiori sgargianti, che queste dai colori più spenti e smorzati.
È il tema della vanitas, molto caro al Seicento pittorico per svariati motivi. Dopo il trionfo dell'ideale di bellezza classica e dell'uomo rinascimentale visto come artefice del proprio destino, la visione della vita inizia a mutare. 

Si diffonde gradatamente il senso della precarietà dell'esistenza, anche a causa delle varie guerre ed epidemie che costellano il secolo XVII, e di una crisi economica che investe l'Europa dopo che, con la scoperta dell'America, il baricentro dei commerci si è spostato.
Tale nuovo senso di caducità e incertezza si
esprime anche nell'arte figurativa che rappresenta ancora esempi di ridondante bellezza, ma segnata dai presagi del declino e di un destino di morte. 

Il termine vanitas che deriva dal celebre versetto del Qohelet "Vanitas vanitatum, omnia est vanitas", indica infatti ciò che è vano, vuoto, il piacere effimero dei beni mondani destinati a non durare nel tempo.

Così, nelle nature morte di questo periodo, quel tutto è vanità va ad ingoiare la vivacità dei concerti negli strumenti musicali che restano abbandonati; l'orgoglio del sapere nei libri affastellati in disordine con le pagine che si accartocciano; lo splendore di un frutto nella buccia di un limone ormai secca; e infine la bellezza del corpo umano nell'inequivocabile richiamo del teschio al suo destino di morte.

E i fiori? Come si coniuga il loro splendore con tale discorso?


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al di là dei tanti significati simbolici che talora i fiori assumono proprio nelle nature morte, qui sono in vaso, quindi recisi e destinati prima o poi ad appassire. Ma, al di là di questo, su di essi è già attiva in maniera talora impercettibile l'azione che li distruggerà. Basti osservare con attenzione il dettaglio che trovate qui sopra, tratto da una sgargiante natura morta del nostro autore. Ci sono insetti che qua e là mangiano petali e corolle, vermi che strisciano sugli steli e foglie già in parte secche. E per quanto qui l'artista abbia dipinto solo fiori, non può non venire in mente la Canestra di frutta del Caravaggio che, in questo senso, è stato maestro di una rappresentazione della realtà del tutto nuova.

Così, nel momento di passare alla musica, mi è venuto subito in mente Branduardi con la sua canzone "Vanità di vanità" che sembrerebbe fatta apposta per questo tema. Tuttavia, l'accostamento con le immagini non mi ha del tutto convinto e ho preferito cercare altrove.
Di brano in brano, sono quindi approdata al compositore armeno
Aram Khachaturian (1903 - 1978) e a un suo pezzo brevissimo e facile tanto che è suonato spesso dai principianti del pianoforte. Ma il fatto che una musica sia semplice non significa che non possa essere interpretata in modo da trarne meravigliose suggestioni.
Si tratta del celebre "Andantino" che apre il primo "Album for children" del
musicista: una melodia cantabile, formata da una prima parte lenta e una seconda lievemente più ritmata, giocata su di un'ottava più alta, ma sempre ricca di bagliori nostalgici creati da alcune sapienti dissonanze.
Il suo incanto - a mio avviso - sta proprio in questo senso di nostalgia che vela, qua
e là, la malinconica dolcezza del tema e che riecheggia piano nell'ultimo delicato accordo di quinta vuota. E mi fa pensare ai bellissimi dipinti di Jan Davidsz de Heem dove anche il variopinto splendore dei fiori è velato da un sottile, oscuro presagio.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

 

mercoledì 5 febbraio 2025

"Galanthus nivalis"

Primi di febbraio: cielo coperto, aria fredda ma non gelida. Dicono che arriverà la neve: le previsioni ne parlano da tanto, ma in realtà solo in montagna è venuta copiosa.
Qui, nonostante il grigiore sono già comparse le
primule con i loro colori smaltati, mentre a sera, da qualche giardino nascosto nell'oscurità, giunge inebriante il profumo del calicanthus che fiorisce proprio nel cuore dell'inverno: stagioni diverse che s'intrecciano nel segreto della terra, covando germogli inaspettati e sorprendenti.

Ma non è meno affascinante il bucaneve
che spunta proprio dalla coltre bianca per portare il suo messaggio di rinascita e di bellezza. Esile, per nulla appariscente, eppure forte come pochi per la sua capacità di reggere alle basse temperature, non ha colori squillanti, ma la semplicità del bianco: Galanthus nivalis è infatti il suo nome botanico. Un fiore dal color del latte dunque, sul quale esistono svariate leggende che lo vedono come preludio di primavera o anche - nel mondo cristiano - simbolo della festa della Candelora appena celebrata perchè cade proprio il 2 febbraio. Ma insieme alle leggende, lo troviamo anche nei particolari di alcune riproduzioni pittoriche. Ne riporto tre.
 
Il primo dettaglio - che vedete poco più in alto - è tratto da una ricca composizione di Jan Philips van Thielen (1618 - 1667), intitolata "Ghirlande di rose, tulipani, narcisi, bucaneve, giacinti, con uva, spighe di mail e teste di mais". Il secondo particolare altrettanto splendido - qui a lato - è tratto da un'opera dell'olandese Jan Davidsz de Heem (1606 - 1684 ca.). In entrambi i casi, si tratta di artisti fiamminghi specializzati nel dipingere nature morte con fiori e frutta, all'interno di una tradizione molto diffusa in nord Europa nel Seicento, a cominciare dalla dinastia dei Brueghel. Sono immagini di grande opulenza e ricchezza anche coloristica, ma nell'insieme talora non manca il delicato candore del nostro Galanthus.

La terza riproduzione, intitolata "Blanzifiore", è invece dell'inglese Dante Gabriel Rossetti (1828 - 1882), considerato caposcuola dei Preraffaelliti. Qui, vediamo il ritratto della figura di Persefone che, secondo la mitologia, dopo aver trascorso autunno e inverno nell'oltretomba, tornava sulla terra per le altre due stagioni. E il fiore che ha nella mano simboleggia il ritorno della primavera.

Ma che cosa mi ha condotto a pensare proprio al bucaneve? È stata una musica dall'incedere lento e delicato che a me è parsa modernissima nonostante sia stata scritta nel 1763.
Si tratta del secondo movimento dell'opera "Les Boréades" di Jean
Philippe Rameau (1683 - 1764), interpretato qui dal bravissimo Vikingur Olafsson che lo ha trascritto per pianoforte solo col titolo di "Le Arti e le Ore". Arti e Ore che hanno giustamente la maiuscola perchè sono personificate. Rappresentano infatti alcuni degli esseri mitologici protagonisti della composizione e in qualche modo simboleggiano l'eternità dell'arte, la sua capacità di superare la barriera del tempo rispetto alla durata della vita che invece è breve. E lo dimostra il fatto che siamo qui ancora oggi ad ascoltare un brano di musica barocca.

La rielaborazione è ricca di quella riposante lentezza che consente di apprezzare il timbro di ogni singola nota, soprattutto in confronto agli altri movimenti dell'opera improntati a danzante vivacità, e mi ha fatto pensare proprio ai piccoli fiori che nascono qua e là nella neve, timidamente, ricchi di una grazia assorta e riservata.
Ma il fascino di questa versione per me è legato anche al fatto che, in qualche
passaggio, mi ricorda il Bach delle Variazioni Goldberg che probabilmente Rameau, pur essendo francese, conosceva. Non si tratta di un riferimento a un brano preciso, ma piuttosto di un'atmosfera che vi arieggia, un richiamo alla struttura armonica più che a una singola melodia.

Esistono poi pregevoli interpretazioni di questo brano anche per archi o per chitarra. Ma di seguito a quella di Olafsson, ho preferito riportare una bella versione orchestrale dove - a mio avviso - il riferimento alle Variazioni bachiane non si avverte, ma la musica ricorda più la solennità di un inno sacro. E ve la regalo sotto la pacatissima direzione di Marc Minkovsky.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

 

 

martedì 28 gennaio 2025

"Marginalia"


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi hanno sempre attirato gli antichi codici miniati, sia quelli che presentano veri e propri quadretti a somiglianza del celebre Ciclo dei Mesi dei fratelli Limbourg del quale ho parlato tanti anni fa, sia quelli ricchi di ornamenti magari solo nel capolettera.
Ma interessanti sono spesso anche i marginalia, cioè tutta quella serie di note o de
corazioni realizzate soprattutto in epoca medioevale e poi rinascimentale, che hanno conferito particolare pregio artistico al codice, sia che fosse un corale, un antifonario o un libro d'ore, sia che fosse un testo profano.

Si trattava ora di motivi floreali, ora di scene cortesi o di episodi cavallereschi, spesso di animali con significati simbolici, ma anche di rappresentazioni grottesche e irriverenti che talora avevano intenti satirici. Tuttavia, non ci si deve meravigliare che fossero riprodotte in codici sacri perchè, oltre il bordo del testo entro cui le immagini dovevano rispettarne l'argomento, il miniatore poteva sbizzarrire la propria fantasia anche con figurazioni improbabili e decisamente sorprendenti.

 

 

 

 

 

 

 

 


Ne è un esempio il Salterio Luttrell che vedete qui sopra, nel quale si
possono ravvisare figure bizzarre e inesistenti, nate da una fantasia dalla quale potrebbe aver preso spunto, più di un secolo dopo, Hieronymus Bosch. Ma a parte questi dettagli, grande è la grazia della maggioranza delle decorazioni soprattutto floreali. Così, tra la pluralità di esempi, ne ho scelto alcuni che dimostrano l'estro dei vari miniatori.
Iniziamo dall'alto con un'immagine che, per il suo splendore, non esito a definire lussureggiante e che rappresenta un elegantissimo pavone mentre fa la ruota, affiancato da un piccolo coniglio e una
lumaca tra una miriade di fiori diversi. Si tratta di animali che, nella spiritualità cristiana, simboleggiano la resurrezione come pure la rinascita e la fertilità ed è significativo che siano raffigurati proprio a margine di un testo sacro come un libro d'ore.

E sempre da un libro d'ore è tratta l'immagine che vedete qui a lato dove alcune dame siedono in un rigoglioso giardino sotto un pergolato, intrecciando una corona di fiori.

In entrambe le miniature, insieme a una grande raffinatezza, troviamo un'atmosfera fiabesca e una notevole varietà di tinte: nel primo caso giocate sul blu, rosa e verde; qui invece col rosso che spicca al centro, come quei garofani - almeno così mi sembrano - di dimensioni decisamente sproporzionate rispetto alle persone.
È infatti un variopinto insieme di fiori, farfalle, pampini e grappoli d'uva in cui le figure umane si confondono tanto che occorre quasi cercarle. Ma le dame che qui intrecciano ghirlande mi ricordano la celebre ballata del Poliziano "I' mi trovai fanciulle un bel mattino / di mezzo maggio in un verde giardino", dove colei che parla sta proprio intessendo una corona di fiori, in quel caso di rose. E non mi sembra trascurabile il fatto che sia lo sconosciuto miniatore che il poeta siano stati contemporanei, perchè vissuti entrambi nel XV secolo.

Ma interessante osservare anche com'era strutturata la pagina di un antifonario, col capolettera miniato all'interno del quale era rappresentata spesso la scena relativa al contenuto del testo e intorno, proprio ai margini, una serie di ornamenti e ricche decorazioni.

In questo che vedete qui a lato, la grande lettera A della parola Angelus raffigura al suo interno la scena delle Marie al sepolcro, scena molto dettagliata che corrisponde esattamente all'annunzio della resurrezione di Gesù riportato nella pagina.
Il margine del foglio è contornato invece da un disegno che rappresenta vasi fioriti e altri abbellimenti che conferiscono a tutto l'insieme un senso di armonia e di ordine sia nella disposizione delle varie decorazioni che nell'uso e nell'alternanza dei colori.

A questo proposito, ho riportato qui accanto il particolare di un altro manoscritto che, nei margini, vede una figura impegnata a suonare una sorta di liuto su di uno sfondo di volute e foglie curvilinee simili a dei convolvoli.
Proprio questo sfondo è interessante perchè mi pare che
- nel corso del tempo e in altri contesti - da esso abbiano preso spunto alcune celebri carte decorative come quella di Varese nella cosiddetta fantasia fiorentina.


Se osserviamo infatti l'immagine successiva, ci accorgiamo che i disegni di fondo sono molto simili, come pure - al di là di una certa differenza di tonalità dovuta alle foto - simili sono i colori giocati tra il rosso, il verde, il blu e il giallo.

Ricordo di aver usato spesso questa carta dalla fantasia vivace ed elegante per coprire libri, agende e a volte anche il mio registro di scuola.

Bene, bella, direte voi.
Ma che ci fa l'ultima foto tra antiche
miniature? È forse uno scherzo?...
Domanda pienamente giustificata perchè avrete
riconosciuto subito lo stile di Keith Haring (1958 - 1990), pittore e writer statunitense, famoso per i suoi graffiti metropolitani che tutti abbiamo visto, riprodotti magari su tazzine da caffè o sulla copertina di un quaderno.

L'opera che vedete, al primo sguardo piuttosto semplice, in realtà non è così elementare come sembra. Su di un fondo bianco, essa presenta quattro figure geometriche colorate, dalle forme differenti e dai contorni un po' imprecisi. I lati infatti sono interrotti da piccoli elementi curvilinei che non si collocano però a metà di ciascun segmento, ma in una posizione che, a occhio, potrebbe anche indicarne la sezione aurea...O no?

A parte questo, ciò che in essa mi pare di leggere e che mi affascina è il riferimento all'antica carta decorativa che avete visto sopra, della quale Haring sembra aver fatto una versione contemporanea, colori compresi: rosso, giallo, verde e blu.
Pura fantasia della sottoscritta?...
Può darsi perchè là ci sono linee curve e qui invece rette. Ma mi piace pensare che
Haring abbia preso spunto proprio da quel tipo di carta, facendone un'espressione geometrica, schematica e stilizzata secondo i canoni di una moderna semplificazione e del suo estro. Chissà!...

E per passare alla musica, torno indietro nel tempo con un brano che mi è sempre piaciuto molto. Si tratta di "So ben mi ch'ha bon tempo", uno dei tanti balletti rinascimentali scritti dal modenese Orazio Vecchi (1550 - 1605) e pubblicati all'interno della raccolta intitolata Selva di varia ricreatione. Nonostante il compositore fosse un monaco, ha dato il meglio di sè nei suoi testi profani, tra madrigali e canzonette nelle quali ha celebrato con semplicità la piacevolezza del vivere.
"So ben mi ch'ha bon tempo" è un'aria a 4 voci che rispecchia caratteri di leggerezza e ironia, un brano gioioso che può almeno in parte accordarsi con la fantasia di quei miniatori che ci hanno regalato mondi di fiaba e universi variopinti.

Buon ascolto! 

Le foto, tutte prese dal web, rappresentano nell'ordine:

1)  Book of Hours, Paris ca. 1430 : "Rabbit, snail and peacock" (Manchester, John Rylands University
Library, Latin MS 164, fol. 21r)
2) Salterio di Luttrell (1325 - 1340) Biblioteca britannica, Inghilterra.
3) Libro d'Ore ad uso di Roma, ms. Latin 1156B, c. 31r, XV secolo: "Corona di fiori"
Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Parigi.
4) “Secondo Maestro dei Corali di San Salvatore al Monte”, iniziale A con le Marie al sepolcro.
Antifonario 591, c. 2v.
5) Book of Hours, MS M.26 fol.88. Images from Medieval and Renaissance Manuscripts Morgan library.
6) Carta Varese, fantasia fiorentina.
7) Keith Haring: Senza titolo. Stampa su carta.

 

domenica 19 gennaio 2025

Se lo sguardo è femminile - 1











 

 

Sarà stata la semplicità di quel mazzetto di viole nel bicchiere o l'atmosfera calda e luminosa della stanza, o ancora la morbidezza che contraddistingue l'intera composizione, ma l'immagine che vedete mi ha suggestionato al punto che ho desiderato subito condividerla qui.
Si tratta di una celebre opera della pittrice parigina Eva Gonzales (1849 - 1883) intitolata
"Risveglio del mattino" e conservata presso la Kunsthalle di Brema. Con essa inauguro oggi una serie di post che ho chiamato "Se lo sguardo è femminile" : una piccola selezione di dipinti creati nel tempo da donne e che talora hanno come protagoniste proprio figure femminili. Ne pubblicherò uno al mese senza andare per forza in ordine cronologico, ma seguendo di volta in volta i suggerimenti del cuore.

Così oggi inizio dalla Gonzales che, insieme a Berthe Morisot, è considerata una delle pittrici più celebri dell'Impressionismo francese.
Allieva e per un certo periodo ispiratrice di Edouard Manet - iniziatore del movimento che ha aperto nuove vie
nell'arte del secondo Ottocento - ne assorbe gli insegnamenti. Tuttavia, col tempo traccia una propria strada che la rende più autonoma e capace di creare uno stile personale all'interno di un ambiente e di una professione allora dominati da figure maschili.

A distinguerla dagli altri è la sua aderenza al vero e alla raffigurazione di una vita quotidiana fatta di piccole cose, ricche di una freschezza lontana dal rischio delle rappresentazioni di maniera.
I suoi tratti pittorici ci regalano infatti quella semplicità autentica
che nasce da uno sguardo acuto sul mondo, intrecciato però ad altrettanta leggerezza.
Osserviamo allora tali caratteri nel dipinto nel quale la donna ritratta è Jeanne,
sorella minore di Eva Gonzales, spesso riprodotta dall'artista anche altrove.

Mi colpisce in esso la prevalenza di tinte chiare: dal bianco di lenzuola, cuscini e tendaggi, a quelle dell'incarnato della fanciulla che sotto il tocco della luce assume tonalità dorate. Tinte messe in risalto dal contrasto con la chioma di capelli scuri, il legno del comodino e il mazzo di violette. Ma affascinante è anche la delicata morbidezza delle linee sinuose e vagamente sfumate, che seguono con estrema leggiadrìa il profilo del corpo e del viso della giovane.

Qui la scena rappresentata è il risveglio del mattino con la luce che illumina la stanza e le viole che fanno da timido e gioioso presagio di primavera. Tuttavia, nello sguardo della ragazza la pittrice coglie un'espressività nella quale possiamo leggere emozioni diverse.


 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse una lieve malinconia, forse un sospiro, un pensiero nostalgico che torna ad avvolgerla dopo il sonno, o ancora un vago ricordo che la lascia in quel molle e un po' pigro indugiare nel letto. È l'impressione di un sogno del quale la fanciulla tenta di riannodare i fili? O il pensiero di ciò che aveva letto prima di dormire? A ben guardare infatti, appena abbozzato tra le lenzuola si scorge un paio di occhiali e sul comodino, accanto ai fiori, c'è un libro.

Non sappiamo rispondere a tali interrogativi, ma possiamo affermare che  l'immagine che la luminosa pennellata ad olio ci restituisce nasce dalla particolare trasparenza alla luce frutto della lezione impressionista, che la Gonzales fa sua in modo tutto personale traendone sfumature di struggente dolcezza. È il miracolo di un tratto pittorico preciso, tanto da rendere con efficace realismo anche le pieghe del cuscino e la freschezza del mazzo di violette, ma al tempo stesso indefinito come gli occhi della fanciulla forse appena velati di pianto.
Uno sguardo incantevole proprio per la sua indeterminatezza e anche se il riferimento cronologico è
sfasato - l'opera infatti è del 1876 - potrebbe ricordare l'idea di bellezza nella poetica del vago e dell'indefinito del Leopardi.

Ma il pensiero del Leopardi mi ha riportato indietro verso il clima romantico, così ho associato all'immagine la "Consolazione n.3 in Re bemolle maggiore S.172" di Franz Liszt (1811 - 1886), pezzo tra i più famosi del musicista ungherese che avevo già pubblicato anni fa qui.
Lo so, il brano è del 1850 e presenta anch'esso una sfasatura cronologica rispetto al
dipinto, ma è una musica che fonde nelle sue note le mille percezioni del cuore, ora più limpide, ora più malinconiche senza ignorarne ogni minima sfumatura a somiglianza dello sguardo della fanciulla del quadro. Così, nella sua alternanza di tonalità maggiore e minore, mi è parso adatto a farle da colonna sonora più ancora di un pezzo impressionista.

Sono state le prime note a suggestionarmi, vagamente indolenti e carezzevoli che mi pare possano riprodurre l'atteggiamento e lo stato d'animo della fanciulla al suo risveglio. Il brano del resto ha l'indicazione di "Lento e placido" proprio a comunicare quella sensazione molle di chi riapre gli occhi dopo il sonno riannodando gradatamente il filo dei suoi pensieri e delle sue percezioni. E come per il passato, ve lo regalo col prodigioso tocco di Valentina Lisitsa che sembra accarezzare con le sue mani i tasti del pianoforte in un'interpretazione che di questa musica esalta la delicatezza e l'afflato nostalgico.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

sabato 11 gennaio 2025

Scorci di vita quotidiana

Sono tanti i particolari del nostro vivere quotidiano che, nel tempo, la pittura ci ha regalato. I vari artisti, infatti, sono entrati spesso nelle case per cogliere una miriade di dettagli, restituendoci oggetti, azioni, abitudini, gesti, sguardi talora simili ai nostri nei quali riconoscerci.
Tuttavia, se tali caratteri sono ravvisabili in diverse opere nell'arco dei secoli, a
me pare che sia la pittura del Medioevo e del primo Rinascimento ad avere quella particolare attitudine narrativa che racconta con squisito realismo alcuni aspetti del nostro vivere. Così, oggi mi piace fermare l'attenzione su di un'immagine che da tempo mi affascina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si tratta della "Natività della Vergine" del Maestro dell'Osservanza, identificato col senese Sano di Pietro (1405 - 1481), opera conservata presso il Museo d'arte sacra di Asciano. Come vedete nella foto qui sopra, il dipinto è un trittico, sormontato inoltre da tre riquadri con storie di Maria che, per problemi di spazio, non ho riportato. Nella rappresentazione dell'evento, possiamo ravvisare le varie stanze della casa: dalla camera a una zona retrostante e al giardino. Sant'Anna a destra - identificata anche dall'aureola come pure a sinistra Gioacchino - è a letto mentre alcune donne vestono la neonata e altri conversano. Nè manca un angioletto che scende a portare una corona per festeggiare la piccola Maria.
Interessante sul piano iconografico il fatto che i diversi ambienti
sembrano suddivisi dalle colonnine del trittico, mentre in realtà sono unificati dal medesimo impianto prospettico sottolineato dal bel pavimento a quadri.

Si tratta di un elemento compositivo che il Maestro dell'Osservanza ha desunto dalla famosa "Natività di Maria" di Pietro Lorenzetti che vedete qui a lato, dipinta circa un secolo prima e conservata al Museo dell'Opera del Duomo a Siena.
Del resto, il tema della nascita della
Vergine ha avuto molta fortuna nel tempo con opere di Paolo Uccello, del Ghirlandaio, di Andrea del Sarto, Carpaccio, Beccafumi e via dicendo.
Ma è sul trittico del Maestro dell'Osservanza che intendo soffermarmi e in particolare
su quella figuretta di fondo riportata in alto. Figuretta in secondo piano certo, ma al tempo stesso centrale in quanto le direttrici prospettiche del dipinto vanno a convergere proprio su di lei. Chi può essere?

Forse un'ancella, o forse - a giudicare dall'eleganza dell'abito - una persona di famiglia che sta portando da mangiare alla puerpera e che ci offre un'immagine di semplicità e insieme di raffinatezza.
Mi colpisce il suo sguardo vivo, attento, presente a ciò che sta facendo e che - unico fra tutti gli altri - è
rivolto a noi che osserviamo.
Ma interessanti anche altri particolari come la bionda
acconciatura ordinata, il tessuto dell'abito simile al damasco, l'asciugamano drappeggiato sul braccio e soprattutto ciò che la donna porta nelle mani: un brodino da una parte e un polletto dall'altra, cibi leggeri per la madre che ha appena partorito. 

Ad incantarmi è stata proprio la meravigliosa concretezza dell'ultimo dettaglio, peraltro non ostentato dall'artista tanto che - a una prima occhiata - questa figuretta seria e bellissima che ci guarda dritto negli occhi potrebbe anche sfuggire alla nostra attenzione. Eppure essa testimonia la cura descrittiva e la ricchezza decorativa tipica del mondo cortese della prima metà del Quattrocento, periodo in cui il Maestro dell'Osservanza - non a caso anche miniatore - realizza il trittico.
La scena è vivacizzata dal rosso di alcuni abiti e arredi, in un insieme dove niente è lasciato al caso - ci sono persino i fiori nel giardinetto - perché dall'opera emerga lo splendore di un evento insieme a un senso di profonda pace.
Ma sono anche i gesti e gli sguardi delle ancelle
a restituircela nella loro calma e pacatezza, mentre scaldano i panni a un bel fuoco e si prendono cura della piccola, o mentre versano acqua sulle mani di Anna in un'atmosfera familiare dove ciascuno sembra essere serenamente al proprio posto.

È stato quest'ultimo aspetto a suggerirmi la scelta del brano di musica. Avevo pensato a lungo a quale pezzo associare alle immagini, incerta tra una composizione rinascimentale, un inno di lode per la nascita di Maria o un festoso Gloria. E invece no.
Senza far molto caso alla cronologia, sono andata oltre seguendo il fascino del luogo in cui l'artista ha ambientato la rappresentazione e la serenità dei gesti dei personaggi che la animano.

Allora mi è tornato in mente un brano di Anton Bruckner (1824 - 1896) che ho pubblicato più di dodici anni fa qui, e che mi permetto di riproporre. Perchè mai? Perchè si tratta del mottetto intitolato "Locus iste" scritto dal compositore - come leggerete sul vecchio post - per l'anniversario della dedicazione di una cappella della cattedrale di Linz. Il testo, facendo riferimento ad alcuni episodi biblici, dice infatti: "Locus iste a Deo factus est, inaestimabile sacramentum, irreprehensibilis est."

Ma quella sacralità che le parole esprimono e che Bruckner ci restituisce in musica riferendosi ad una cattedrale, mi pare si possa attribuire anche alla dimensione ordinaria del nostro vivere e ai luoghi in cui essa si dispiega, dimensione feriale, fatta di gesti semplici e quotidiani proprio come accade in una casa.
Nel vecchio post, commentando un affresco del Maestro di Tolentino, concludevo
dicendo che l'artista ci insegna che quel locus a Deo factus può essere ovunque e mi sento di ripeterlo oggi alla luce della "Natività della Vergine" del Maestro dell'Osservanza. Anche la quotidianità ha il valore inestimabile del tempo speso nel lavoro e nelle relazioni, dai gesti più eclatanti ai più piccoli ma non meno significativi come il prendersi cura di una neonata e di una puerpera alla quale portare un brodino e un polletto.

Buon ascolto! 

(Le foto sono prese dal web)