sabato 15 novembre 2025

Se lo sguardo è femminile - 11













Tra le opere delle artiste che nel corso del tempo hanno raffigurato altre donne, dopo averne pubblicate alcune ricche di gioiosa e ricercata eleganza, oggi ho scelto quelle di Käthe Schmidt Kollwitz (1867 - 1945), pittrice e scultrice tedesca che ci ha lasciato invece lavori decisamente crudi e drammatici, ma di schiacciante attualità.

In un arco di vita che comprende i due conflitti mondiali, la Kollwitz si è soffermata sul tema delle tragedie causate dalla guerra, focalizzando la sua attenzione sul lutto delle madri per la morte dei figli o sulla loro sofferenza. La maggior parte delle sue opere - sia che si tratti di litografie, xilografie o sculture - rappresenta infatti immagini angosciose di sopravvissuti logorati dalla fame e dall'orrore, insieme a madri strette in un abbraccio a difesa dei propri flgli o chiuse in un muto dolore di fronte alla loro morte. 

C'è molto di autobiografico in tali opere dato che la stessa Kollowitz aveva perso un figlio durante la prima guerra mondiale e del resto l'artista è sempre stata sensibile alle tante sofferenze del suo tempo. 
Lo testimonia la celebre "Pietà" che vedete qui
a lato, scultura in bronzo realizzata alla vigilia del secondo conflitto mondiale e conservata al Museo Kollwitz a Colonia, mentre una copia si trova alla Neue Wache di Berlino, monumento che commemora le vittime di guerra. Nel gruppo scultoreo, il legame viscerale col figlio morto è evidente nella posizione del suo corpo che sembra quasi rientrare nel grembo della madre tornando a far tutt'uno con lei.

Tuttavia, al di là del riferimento cronologico al lutto dell'autrice, il grido che riecheggia intensissimo dalle sue opere nella volontà di dar voce alla sofferenza, valica il tempo e riconduce alle tragedie che purtroppo si consumano ancora oggi in diverse parti del mondo. 

Solido e tenace l'abbraccio che vedete a lato nella xilografia intitolata "Le madri" conservata alla Tate Modern Art Gallery di Londra. Qui, tante madri fanno dei propri corpi una cosa sola, un blocco solidale a proteggere i loro piccoli. E come in altre opere, il contrasto tra bianco e nero dovuto alla tecnica usata si rivela efficacissimo per rendere l'immagine più incisiva in un espressionismo che cogliamo soprattutto nella raffigurazione di occhi e mani.

Gli stessi caratteri, ma più sfumati e addolciti dall'uso di una tecnica diversa vediamo nella foto grande in alto, disegno preparatorio di una litografia che doveva far parte della serie di sei tavole sulla guerra. Nella madre in primo piano che avvolge col suo abbraccio due bimbi, la Kollwitz ha rappresentato se stessa e i suoi figli in un'espressione di indicibile amore. Anche le altre figure femminili hanno un atteggiamento protettivo e ancora una volta, oltre ai volti, ci parlano le mani, grandi e talora sproporzionate mentre difendono i bimbi o, con gesto eloquente, coprono la faccia davanti all'orrore. 

Orrore che leggiamo anche nella xilografia qui a lato intitolata "I sopravvissuti". 
Sembra l'immagine di un
lager anche se la Kollwitz - invisa per le sue idee socialiste al regime hitleriano che le aveva tolto l'incarico di docente e le aveva impedito di esporre le sue opere - era riuscita a sfuggire alla deportazione. Sono visi scarni, figure di adulti senza più sguardo, bambini sui cui volti si legge la fame, e sempre in primo piano le mani di una madre serrate in un abbraccio protettivo.

E ad esprimere proprio la fame, efficacissima l'opera qui a lato intitolata "Brot!" (pane!), carboncino su carta conservato presso la Collezione Dorothy Braude Edinburg. Nella donna vista di schiena e curva su se stessa intuiamo il grido della disperazione, e così pure nel volto dei due piccoli dove pochi tratti appena accennati testimoniano il senso della tragedia e al tempo stesso la straordinaria potenza espressiva dell'artista nel rappresentarla. 

Uno sguardo forte e deciso il suo, perseverante e coraggioso, nel costante inabissarsi nei meandri del dolore umano. 
Uno sguardo che investe la sua arte, come lei
stessa ebbe a dire più volte: "Io devo esprimere il dolore degli uomini, un dolore che non ha mai fine e che ora è enorme. Questo è il mio compito, anche se non è facile assolverlo". E poi: "Non ho difficoltà ad ammettere che la mia arte ha uno scopo. Io voglio agire nella mia epoca, nella quale l'umanità è tanto priva di senno e bisognosa di aiuto". E ancora: "Il pacifismo non è un tranquillo stare a guardare, ma lavoro, duro lavoro".

Uno sguardo che desidero commentare con una musica che amo da tempo per il suo splendore e insieme per la toccante interpretazione del compianto Maestro Ezio Bosso. Si tratta della celebre "Melodia", parte centrale della "Danza degli spiriti beati" dall'opera "Orfeo e Euridice" di Christoph Willibald Gluck (1714 - 1787). 
Al di là del riferimento del brano orchestrale alla composizione in cui è inserito, mi hanno
 sempre colpito le tante trascrizioni per vari strumenti - e in particolare questa per pianoforte solo - che ne fanno un pezzo indipendente dal contesto originario. È proprio il caso dell'interpretazione di Bosso che lo include in una delle stanze del suo percorso esistenziale illustrato in note nell'album "The 12th Room" del 2015.
Qui, insieme ad alcuni suoi inediti, rielabora pezzi di Bach, Chopin, Cage e, appunto, 
la "Melodia" di Gluck. È un'aria delicatissima ma lontana da ogni tentazione romantica o sentimentale. Bosso ne fa emergere infatti una dolcezza spoglia, rigorosa, essenziale, simile a quella dimensione in cui dolore e amore vivono intrecciati. Drammaticità, tenerezza struggente, insieme alla malinconia del re minore coesistono in queste note dal ritmo lento la cui intensità Bosso calibra con l'anima prima ancora che con le dita. 
E mi fanno pensare all'amore tenace e disperato delle madri raffigurate dalla
Kollwitz, spiriti beati nel vero senso della parola per il loro cuore indomabile.

 Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

 

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