Ho visto in tv, lo scorso 30 dicembre, il film del regista tedesco Florian Baxmeyer intitolato "Bach - Il miracolo della musica".
Si tratta di una pellicola recentissima che vi consiglio vivamente di vedere, incentrata su di un difficile momento della vita del compositore.
Siamo nel 1734 e il comune della città di Lipsia, che gli aveva conferito l'incarico di Kantor presso la Thomaskirche, lo accusa di scrivere una musica che, lungi dal favorire la preghiera, soddisfa solo la sua vanagloria. Niente di più lontano dalle intenzioni di Bach, ma a ciò si aggiunge la reazione del compositore che col proprio temperamento irascibile finisce per pregiudicare i rapporti con le autorità cittadine. Ne consegue la proibizione di eseguire l'Oratorio di Natale al quale il musicista sta lavorando in prossimità della festa. Anche i tentativi della moglie Anna Magdalena e di Carl Philipp Emanuel di intercedere presso le autorità restano senza esito e la situazione si risolverà solo poi per merito di Gottfried, il figlio più giovane.
Non so fino a che punto l'intera vicenda narrata abbia radici storiche.
Resta vero però che il conflitto messo in luce dal film testimonia la serie di controversie che avevano realmente deteriorato nel tempo i rapporti tra le autorità di Lipsia e il compositore, sia per il suo carattere difficile che per la grettezza dei maggiorenti della città incapaci di comprendere a fondo il valore della sua musica. Al di là di questo, tuttavia, il film mi ha colpito anche per una serie di altri aspetti.
Innanzitutto la rappresentazione della figura di Bach che - dico la verità - in un primo tempo mi ha spiazzato. Ascoltiamo le sue note che ci conducono ad altezze vertiginose e poi troviamo un omone massiccio e collerico che, a mio avviso, mal si adatta a quello che il compositore è nell'immaginario collettivo, o forse solo nel mio. Tuttavia, il prosieguo della narrazione offre molti altri spunti che arricchiscono la sua personalità di sfaccettature e che mi hanno aiutato a comprenderne meglio la sostanza.
Emerge infatti il suo amore per la numerosa famiglia guidata con rigore inflessibile; emergono varie divergenze col figlio Carl Philip Emanuel che pure nutre per lui grande stima; affiora il dolore struggente per i bimbi morti in tenera età; ma al di sopra di tutto, a dominare è uno sconfinato amore per la musica come scintilla divina che tutto anima e motiva.
È quindi un Bach non idealizzato, ma visto nella profondità del suo genio e al tempo stesso nella concretezza dell'esistenza quotidiana, tra problemi pratici e relazionali, come capita a tutti noi. E la bellezza che poi ho colto nella sua figura sta proprio nel fatto che i due aspetti sono intrecciati: l'assoluta dedizione alla musica insieme alle esplosioni di ira nate dall'esigenza di dedicare ad essa il silenzio e la concentrazione necessari. Drammatica, a questo riguardo, la scenata che fa al figlio Gottfried a seguito della quale il ragazzino scapperà di casa. Dinamiche per cui, se in un primo momento può sembrare che l'impegno del musicista per la composizione sia così totalizzante da distoglierlo dai problemi familiari, poi emergerà il legame fortissimo che egli avverte con ciascuno di loro.
Appropriata, a mio avviso, anche la fotografia che ci restituisce un ambiente spoglio ed essenziale, specchio di una famiglia non ricca, dove il padre ha necessità di non perdere il proprio incarico anche per motivi economici. E interessanti le sequenze in cui tutti sono riuniti intorno al tavolo a scrivere la partitura dell'Oratorio di Natale mentre il compositore la detta, nota per nota.
Affascinante la figura della seconda moglie Anna Magdalena, pienamente consapevole della grandezza del marito. Donna forte e coraggiosa, della quale cogliamo anche il dolore struggente per la morte dei figli nella scena in cui porta giacinti sulla loro tomba.
Ma al di sopra di tutti, il personaggio che mi ha restituito il più toccante senso di bellezza è il figlio Gottfried, affetto da una forma di disabilità mentale e tuttavia dotato di una sensibilità fuori dal comune. Una sensibilità che, nonostante il ragazzino parli poco, gli fa comprendere ciò che avviene in famiglia quasi fosse un'anima silenziosa che soffre per tutti esprimendo la propria l'intensità attraverso lo sguardo. Una sensibilità che gli fa cogliere dal profondo lo splendore della musica del padre che - per così dire - egli assorbe dal suo nascondiglio sull'organo dal quale osserva ogni cosa imparando anche a cantare.
Sarà proprio lui che, verso al fine della narrazione, quando la possibilità di eseguire l'Oratorio di Natale sembra definitivamente perduta, ne intonerà un'aria seguito dagli altri familiari, salvando così la situazione.
E sarà ancora lui che, durante il concerto in chiesa, sul ritmo dell'orchestra e del coro diretti maestosamente dal padre, si metterà a danzare lungo la navata tra la sorpresa e la commozione degli astanti, preso dal miracolo della musica. Una scena di toccante poesia, se consideriamo che tale moto dell'anima fiorisce nel figlio più fragile - peraltro disprezzato dai compagni come si vede all'inizio del film - ma che più di tutti avverte l'incanto di quelle note fino ad esprimerlo nello splendore di una danza.
Così, grazie a questo film, si può comprendere meglio quanto le creazioni di Bach ci avvicinino al senso profondo dell'esistenza nel suo legame col divino e quanto la musica abbia un afflato capace di raggiungere anche quelli che non ci sono più.
Affascinante naturalmente la colonna sonora a cominciare dalla "Cantata BWV 208" che risuona all'inizio del film e che avevo già postato qui in varie versioni. Ma il pezzo che vado a pubblicare oggi è tratto proprio dal grandioso "Oratorio di Natale BWV 248" formato da sei parti per tutte le solennità del periodo natalizio. Quello che trovate è il brano di apertura intitolato "Jauchzet,
frohlocket! auf, preiset die Tage" (Esultate, giubilate! Su, lodate questi giorni!).
Si tratta di una composizione gioiosa e altisonante che si avvale anche di trombe e timpani, in cui Bach ha rielaborato del materiale preesistente e in particolare quello della sua "Cantata BWV 214" scritta per il compleanno di Maria Giuseppa d'Austria. È questo il metodo della parodia, termine che qui ha un'accezione diversa da quella che usiamo abitualmente e che indica il riutilizzo di una musica in un contesto diverso da quello per cui era nata, indipendentemente dal fatto che l'ambito fosse sacro o profano. Procedura abbastanza comune nel periodo barocco e che Bach ha usato più volte.
Sostenuto da un'orchestra squillante e ritmata, il brano ci dà quindi l'idea luminosa della festa e rende gloria a Dio testimoniando ancora una volta la grandezza del suo autore.
Buon ascolto!
(Nella foto, presa dal web, vedete un'immagine del piccolo Gottfried interpretato nel film da German von Beug)
7 commenti:
Grazie mille per il suggerimento, lo vedrò sicuramente
Grazie Stefania! Spero anch'io di poterlo rivedere per gustarmelo di nuovo!!
Ottimo suggerimento!!!
Grazie, Giuseppe!!!
L'ho visto anch'io, quel film e molti dettagli biografici mi erano noti. In effetti, lo sceneggiatore ha calcato la mano sul suo carattere irascibile... D'altronde, tutti quei figli, le incombenze professionali, le mancate gratificazioni, i ragazzi del collegio da gestire: è impossibile che sia sempre stato irenico e contemplativo, qualche volta la pazienza l'avrà persa anche lui. E il notabile che tanto lo ostacolava, è ricordato per aver detto che a Lipsia occorreva un Kantor, non un Kapellmeister. Vabbè. Un film è un film. Forse occorre a più musica. PS: Hasse che gli capita in casa non me lo immagino...
Occorre a = occorreva, ho perso una v per strada... Grazie!
Sì, forse lo sceneggiatore su alcuni aspetti ha calcato la mano e certo occorreva più musica. Dopo la Cantata 208, ho sentito solo un accenno a un concerto brandeburghese mi pare, e poi l'Oratorio di Natale, ma non di più. Comunque, è un film che mi è piaciuto molto e che rivedrei volentieri. Grazie, Marco, e buonanotte!
Posta un commento