Primi di febbraio: cielo coperto, aria fredda ma non gelida. Dicono che arriverà la neve: le previsioni ne parlano da tanto, ma in realtà solo in montagna è venuta copiosa.
Qui, nonostante il grigiore sono già comparse le primule con i loro colori smaltati, mentre a sera, da qualche giardino nascosto nell'oscurità, giunge inebriante il profumo del calicanthus che fiorisce proprio nel cuore dell'inverno: stagioni diverse che s'intrecciano nel segreto della terra, covando germogli inaspettati e sorprendenti.
Ma che cosa mi ha condotto a pensare proprio al bucaneve? È stata una musica dall'incedere lento e delicato che a me è parsa modernissima nonostante sia stata scritta nel 1763.
Si tratta del secondo movimento dell'opera "Les Boréades" di Jean Philippe Rameau (1683 - 1764), interpretato qui dal bravissimo Vikingur Olafsson che lo ha trascritto per pianoforte solo col titolo di "Le Arti e le Ore". Arti e Ore che hanno giustamente la maiuscola perchè sono personificate. Rappresentano infatti alcuni degli esseri mitologici protagonisti della composizione e in qualche modo simboleggiano l'eternità dell'arte, la sua capacità di superare la barriera del tempo rispetto alla durata della vita che invece è breve. E lo dimostra il fatto che siamo qui ancora oggi ad ascoltare un brano di musica barocca.
La rielaborazione è ricca di quella riposante lentezza che consente di apprezzare il timbro di ogni singola nota, soprattutto in confronto agli altri movimenti dell'opera improntati a danzante vivacità, e mi ha fatto pensare proprio ai piccoli fiori che nascono qua e là nella neve, timidamente, ricchi di una grazia assorta e riservata.
Ma il fascino di questa versione per me è legato anche al fatto che, in qualche passaggio, mi ricorda il Bach delle Variazioni Goldberg che probabilmente Rameau, pur essendo francese, conosceva. Non si tratta di un riferimento a un brano preciso, ma piuttosto di un'atmosfera che vi arieggia, un richiamo alla struttura armonica più che a una singola melodia.
Esistono poi pregevoli interpretazioni di questo brano anche per archi o per chitarra. Ma di seguito a quella di Olafsson, ho preferito riportare una bella versione orchestrale dove - a mio avviso - il riferimento alle Variazioni bachiane non si avverte, ma la musica ricorda più la solennità di un inno sacro. E ve la regalo sotto la pacatissima direzione di Marc Minkovsky.
Buon ascolto!
(Le foto sono prese dal web)
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