Si cerca una cosa e se ne trova un'altra. Non è così?
È infatti ciò che mi è accaduto la volta scorsa, mentre mi aggiravo sul web tra le numerose e splendide nature morte con fiori di Jan Davidsz de Heem (1606 - 1684ca.), sperando di adocchiare la riproduzione di un bucaneve. In effetti l'ho trovato tra mazzi dalle più svariate tinte e sfumature.
Ma scorrendo le immagini delle opere dell'artista, ho scoperto altri dipinti all'apparenza molto differenti per colori e atmosfera, e tuttavia non privi di altrettanto fascino.
Ne vedete in alto e nel dettaglio qui a lato uno dei più significativi, intitolato "Natura morta con libri" e conservato presso il Rijksmuseum di Amsterdam.
Così pure, poco più sotto, ne troviamo un altro: "Natura morta con libri e un teschio", conservato presso la Galleria regionale di Luberec, in Cechia.
Mi ha sorpreso e incantato la genialità del pittore che ha rappresentato il tema della natura morta con oggetti così diversi: spesso fiori, frutta e bicchieri, ma anche libri, fogli, strumenti musicali, vasi e vassoi. È un raffinato gioco - permettetemi il termine - di accostamento e confronto tra materiali differenti come carta, legno, metallo, vetro, perchè uno prenda rilievo dalla vicinanza dell'altro e dalle rispettive differenze.
Ma mi ha affascinato anche la gamma di sfumature coloristiche nelle tonalità che dal bianco della carta vanno al beige della parete, scurendosi poi nel legno del mobile e dello strumento musicale. Ne deriva un'atmosfera talora sfocata e un po' polverosa, con i libri disordinati che creano profondità e quell'ombra obliqua - nel dipinto qui sopra più lieve, sotto invece più netta - che in qualche modo può rimandare al Caravaggio.
Tuttavia, c'è un altro aspetto che accomuna le rappresentazioni dell'artista, sia quelle ricche di fiori sgargianti, che queste dai colori più spenti e smorzati.
È il tema della vanitas, molto caro al Seicento pittorico per svariati motivi. Dopo il trionfo dell'ideale di bellezza classica e dell'uomo rinascimentale visto come artefice del proprio destino, la visione della vita inizia a mutare.
Si diffonde gradatamente il senso della precarietà dell'esistenza, anche a causa delle varie guerre ed epidemie che costellano il secolo XVII, e di una crisi economica che investe l'Europa dopo che, con la scoperta dell'America, il baricentro dei commerci si è spostato.
Tale nuovo senso di caducità e incertezza si esprime anche nell'arte figurativa che rappresenta ancora esempi di ridondante bellezza, ma segnata dai presagi del declino e di un destino di morte.
Il termine vanitas che deriva dal celebre versetto del Qohelet "Vanitas vanitatum, omnia est vanitas", indica infatti ciò che è vano, vuoto, il piacere effimero dei beni mondani destinati a non durare nel tempo.
Così, nelle nature morte di questo periodo, quel tutto è vanità va ad ingoiare la vivacità dei concerti negli strumenti musicali che restano abbandonati; l'orgoglio del sapere nei libri affastellati in disordine con le pagine che si accartocciano; lo splendore di un frutto nella buccia di un limone ormai secca; e infine la bellezza del corpo umano nell'inequivocabile richiamo del teschio al suo destino di morte.
E i fiori? Come si coniuga il loro splendore con tale discorso?
Al di là dei tanti significati simbolici che talora i fiori assumono proprio nelle nature morte, qui sono in vaso, quindi recisi e destinati prima o poi ad appassire. Ma, al di là di questo, su di essi è già attiva in maniera talora impercettibile l'azione che li distruggerà. Basti osservare con attenzione il dettaglio che trovate qui sopra, tratto da una sgargiante natura morta del nostro autore. Ci sono insetti che qua e là mangiano petali e corolle, vermi che strisciano sugli steli e foglie già in parte secche. E per quanto qui l'artista abbia dipinto solo fiori, non può non venire in mente la Canestra di frutta del Caravaggio che, in questo senso, è stato maestro di una rappresentazione della realtà del tutto nuova.
Così, nel momento di passare alla musica, mi è venuto subito in mente Branduardi con la sua canzone "Vanità di vanità" che sembrerebbe fatta apposta per questo tema. Tuttavia, l'accostamento con le immagini non mi ha del tutto convinto e ho preferito cercare altrove.
Di brano in brano, sono quindi approdata al compositore armeno Aram Khachaturian (1903 - 1978) e a un suo pezzo brevissimo e facile tanto che è suonato spesso dai principianti del pianoforte. Ma il fatto che una musica sia semplice non significa che non possa essere interpretata in modo da trarne meravigliose suggestioni.
Si tratta del celebre "Andantino" che apre il primo "Album for children" del musicista: una melodia cantabile, formata da una prima parte lenta e una seconda lievemente più ritmata, giocata su di un'ottava più alta, ma sempre ricca di bagliori nostalgici creati da alcune sapienti dissonanze.
Il suo incanto - a mio avviso - sta proprio in questo senso di nostalgia che vela, qua e là, la malinconica dolcezza del tema e che riecheggia piano nell'ultimo delicato accordo di quinta vuota. E mi fa pensare ai bellissimi dipinti di Jan Davidsz de Heem dove anche il variopinto splendore dei fiori è velato da un sottile, oscuro presagio.
Buon ascolto!
(Le foto sono prese dal web)
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