domenica 30 marzo 2025

Primavera in città

Non sono riuscita, nei giorni scorsi, ad andare a vedere le magnolie che stanno fiorendo in tanti angoli di Milano, ma soprattutto dietro l'abside del Duomo e in piazza Tommaseo. E so che dovrei affrettarmi perchè la magia dura poco e tra non molto i fiori cederanno il posto alle foglie.
Allora, sono andata a prendere la foto qui a
lato - tratta dal bel sito web "Milano da vedere" - per incantarmi almeno con un'immagine davanti allo splendore e l'eleganza di queste piante.

È la primavera che sta esplodendo in ogni città, viale e giardino, illuminando ogni anfratto dei suoi colori. Ma di fronte a tanta bellezza che sempre rinasce, non può non risultare stridente il periodo che stiamo attraversando, segnato più che mai da guerre, distruzioni e sconcertanti mutamenti internazionali che stanno investendo la vita di tutti, a iniziare da coloro che ne sono più direttamente coinvolti. Così, a proposito di primavera, cedo la parola a un grande. 

Si tratta di Lev Tolstoj (1828 - 1910) e dell'esordio del celebre romanzo "Resurrezione". Qui, in una pagina bellissima, lo scrittore descrive il risveglio della natura che, per quanto deturpata dall'uomo, fa ugualmente il suo corso regalandoci quella magnificenza che l'umanità non sa più contemplare, impantanata com'è nel tormentare se stessa e gli altri ideando continui sistemi di sopraffazione.
Avevo letto il romanzo nei miei anni universitari senza però riprenderlo più in mano, ma ne ho
sentito di recente la presentazione su youtube in una delle avvincenti "Passeggiate nella letteratura" tenute da Don Paolo Alliata. Così, ho ritrovato quella pagina che oggi mi piace condividere qui perchè, pur essendo stata scritta alla fine dell'Ottocento, è di grande attualità. Eccola:

“Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, cercassero di deturpare la terra su cui si accalcavano, per quanto la soffocassero di pietre, perché nulla vi crescesse, per quanto estirpassero qualsiasi filo d’erba che riusciva a spuntare, per quanto esalassero fiumi di carbon fossile e petrolio, per quanto abbattessero gli alberi e scacciassero tutti gli animali e gli uccelli, la primavera era la primavera anche in città. Il sole scaldava, l’erba, riprendendo vita, cresceva e rinverdiva ovunque non fosse strappata, non solo nelle aiuole dei viali, ma anche fra le lastre di pietra, e betulle, pioppi, ciliegi selvatici schiudevano le loro foglie vischiose e profumate, i tigli gonfiavano i germogli fino a farli scoppiare; le cornacchie, i passeri e i colombi con la festosità della primavera già preparavano nidi, e le mosche ronzavano vicino ai muri, scaldate dal sole. Allegre erano le piante, e gli uccelli, e gli insetti, e i bambini. Ma gli uomini - i grandi, gli adulti - non smettevano di ingannare e tormentare se stessi e gli altri. Gli uomini ritenevano che sacro e importante non fosse quel mattino di primavera, non quella bellezza del mondo di Dio, data per il bene di tutte le creature, la bellezza che dispone alla pace, alla concordia e all’amore, ma sacro e importante fosse quello che loro stessi avevano inventato per dominarsi l'un l'altro”.      

C'è un contrasto evidente tra la ricchezza feconda della primavera ("betulle, pioppi, ciliegi selvatici schiudevano le loro foglie", "i tigli gonfiavano i germogli"); la sua capacità di guardare al futuro ("i passeri...già preparavano i nidi"); la sua ribellione contro i tentativi umani di soffocare anche un semplice filo d'erba, e il triste grigiore di un mondo che, distolto lo sguardo dalla bellezza, sa solo di distruggere.
Interessante anche il fatto che, insieme alla natura che rinasce festosa con erbe,
piante, uccelli e insetti, vengano citati i bambini, mentre i grandi e gli adulti - come sottolinea lo scrittore - sono incapaci di avere le giuste priorità e di stupirsi davanti alla bellezza data da Dio per il bene di ogni creatura. Essa infatti non offre un puro godimento estetico, ma "dispone alla pace, alla concordia e all'amore".

Ma non mi dilungo oltre, lasciando a voi di scoprire il fascino di questa pagina, insieme alle note della musica che ho scelto.
Ancora una volta è Edvard Grieg (1843 - 1907) con un delicatissimo brano per
pianoforte solo che tanti già conosceranno, intitolato "Alla primavera op.43 n.6" e tratto dalla sezione di Pezzi lirici scritta dal musicista nel 1886.
Sono note ora lievi, ora impetuose e pervase da quella freschezza che è uno dei
tratti distintivi del compositore norvegese.
Il pezzo si apre quasi timidamente, come quei fiori che sbocciano piano lasciando
intravvedere gradatamente la loro corolla. Ma la melodia prende poi forza fino ad esplodere in sonorità più intense e al tempo stesso dispiegandosi con ineffabile dolcezza come un fiore che schiude tutto il suo incanto. Il brano per certi aspetti può ricordare l'altrettanto famoso "Mormorio di primavera" scritto da Christian Sinding dieci anni dopo - che anni fa avevo pubblicato qui - anche se quest'ultimo, con le sue cascate di arpeggi, sembra più che altro imitare l'impeto gioioso di un corso d'acqua al tempo del disgelo.

Ma in entrambi i casi, è una primavera che ammanta il mondo di magnificenza, facendo sgorgare in continuazione una pienezza di vita che va a sovrastare la morte. Così, mi vengono in mente due riferimenti.
Il primo è al cap.28 de "I Promessi Sposi" quando, parlando delle conseguenze della
 carestia, il Manzoni osserva: "Intanto però cominciavano quei benedetti campi ad imbiondire".
Il secondo è il versetto della sequenza pasquale che dice: "Vita e morte si sono
affrontate in un prodigioso duello". E le magnolie fiorite ce lo ricordano ravvivando la speranza!

Buon ascolto!

 

domenica 23 marzo 2025

Se lo sguardo è femminile - 3


 
Lo sguardo femminile di questo mese è quello di Plautilla Nelli (1524 - 1588) - al secolo Polissena de' Nelli - pittrice fiorentina, secondo quanto scrive il Vasari, tra le prime ad essersi affermata in città nonostante avesse passato la vita in convento. Entrata infatti a soli 14 anni tra le domenicane di Santa Caterina da Siena, aveva avuto tuttavia modo di coltivare la passione per la pittura facendo riferimento ad alcuni disegni che possedeva del pittore Fra' Bartolomeo, come pure ad opere molto conosciute di artisti che avevano operato alla Scuola di San Marco. Il che ci riporta subito a nomi famosi, primo dei quali il Beato Angelico. 

Non era facile a quell'epoca essere una donna pittrice, soprattutto poi se si viveva all'interno di un convento. Ma capacità tecniche e una notevole intraprendenza avevano portato Suor Plautilla a istituire una vera e propria bottega d'arte entro le mura del convento stesso, col pretesto che la vendita dei quadri prodotti avrebbe potuto contribuire al sostentamento della comunità di suore.
Così fu tanto apprezzata che - come scrive il Vasari - "dipinse per le case de’ gentiluomini di Firenze tanti quadri che sarebbe troppo lungo a volerne di tutti ragionare.”  Del resto, le sue opere di carattere sacro erano ben accette dalle famiglie fiorentine che con queste adornavano le loro cappelle private.

Il dipinto che ho scelto è una delle due "Annunciazioni" attribuite alla pittrice dal Vasari, ma recentemente anche dalla studiosa statunitense Catherine Turrill che di Plautilla ha rivalutato la figura artistica.
L'opera - scoperta a Firenze nei depositi di Palazzo Vecchio e restaurata nel 2017 - in
apparenza non è diversa dalle tante tavole sullo stesso tema realizzate nel corso del tempo e soprattutto nel Cinquecento. L'iconografia è quella che si osserva anche altrove: architetture rinascimentali inquadrano i due protagonisti dell'evento, a volte separati da una colonna, mentre lo sfondo si apre su di un morbido paesaggio e dall'alto piove la luce dello Spirito Santo.
Così è anche nella rappresentazione di Plautilla. Ma allora perchè l'ho scelta e che
cosa mi ha colpito in essa di tanto speciale?




















Il fatto è che, mentre Maria ricalca atteggiamento e movenze simili ad altre raffigurazioni, l'Arcangelo Gabriele no! È stato proprio lui a prendermi con quegli occhi spalancati e lo sguardo serio e attento che potete osservare nella foto in alto.
Nella posa composta che lo vede in ginocchio col giglio tra le mani, niente di nuovo
rispetto al passato; ma nella sua espressione sì, perchè essa comunica un moto di stupore insieme a un senso di attesa unito, forse, a una punta di ansia. Sembra quasi che, consapevole dell'importanza dell'annunzio che reca, Gabriele si stia per un attimo interrogando su quale sarà la risposta della Vergine e resti lì sospeso, per qualche secondo, in trepida attesa. 

Il quadro mi fa venire in mente uno dei Sermoni di San Bernardo in cui il Santo afferma proprio questo. Riferendosi infatti all'Arcangelo che aspetta una risposta, immagina che non solo lui, ma l'intera corte celeste sia rimasta per qualche istante in sospeso, aspettando con ansiosa impazienza il consenso di Maria che avrebbe aperto un nuovo capitolo per tutta l'umanità. Come se tutta la creazione per un momento avesse trattenuto il respiro, in attesa di quel fiat che avrebbe cambiato la storia.
Ecco, mi pare che Suor Plautilla, a differenza di altri artisti, abbia sottolineato tale
aspetto facendo affiorare dallo sguardo di Gabriele, insieme al suo stupore fanciullesco di fronte a Maria, anche una lieve ombra di apprensione, cosa che la pittrice avrà desunto non solo dalla conoscenza dei Sermoni di San Bernardo, ma forse anche dalla propria capacità introspettiva.

E per passare alla musica, vi propongo un antico quanto conosciutissimo brano, il cui testo risale secondo alcuni al VI e secondo altri al IX secolo. Si tratta di "Ave Maris Stella", inno che veniva e viene ancora oggi cantato nelle festività mariane e che mi sembra adatto a questi giorni che precedono il 25 marzo in cui si celebra proprio l'Annunciazione.
Tra i tanti compositori che, dal Rinascimento ad oggi, lo hanno musicato, ho
scelto Edvard Grieg (1843 - 1907) per la bella armonizzazione del cantico in una serie di passaggi più sommessi alternati ad altri più accesi. Luminoso il cambio di tonalità alla quinta battuta dall'inizio sull' atque e poi ancora nella ripresa sull'ut.
Ma a dar vita alle note del compositore norvegese qui è soprattutto lo splendido
gruppo corale dei VOCES8 che, con delicatezza e intensità, raggiunge un suono in cui cogliamo sia le sfumature delle singole parti che l'equilibrio complessivo in un' interpretazione di sublime trasparenza.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

domenica 16 marzo 2025

La melodia nascosta

Da giorni mi risuona dentro - ma potrei dire anche mi tormenta - il brano che vado a pubblicare oggi: il "Preludio in Re maggiore op.23 n.4" di Sergej Rachmaninov (1873 - 1943). 

Il compositore torna di tanto in tanto a incantarmi con le sue musiche ricche di suggestione che talora ho pubblicato in questo blog, e non ha quindi bisogno di presentazioni. I suoi pezzi sono infatti conosciutissimi, a cominciare dai concerti per pianoforte - soprattutto il secondo e il terzo! - insieme a sinfonie, romanze, preludi, ma anche inni sacri ispirati alla liturgia ortodossa. Ricordiamo infatti che, nonostante il musicista si fosse stabilito negli Stati Uniti, non ha mai dimenticato le proprie radici e diversi suoi brani sono venati dalla tipica passionalità e profondità dell'anima russa.

Il preludio che ho scelto è parte di una raccolta che - insieme a quelli dell'op.32 e op.3 - ne comprende 24 che vanno ad esplorare le varie tonalità come avevano fatto Bach, Chopin, Skrjabin e come in seguito farà Shostakovich sia pure con criteri differenti nella disposizione del materiale.
Si tratta di un pezzo pervaso da un'atmosfera sognante, nella quale avvertiamo subito la lezione di Chopin,
insieme ad altre suggestioni che le note ci restituiscono ora chiare, ora più velate, a somiglianza di quei fiori che, pur essendo ancora in boccio, già fanno presagire la loro grazia.
E mi pare significativo ricordare che tale preludio appartiene a un periodo di
rinascita dopo che, nel 1897, la prima Sinfonia del musicista aveva ricevuto una stroncatura tale da farlo cadere in una cupa depressione. Lo stesso Rachmaninov, riferendosi a quell'episodio, in seguito dirà: 

"La mia fiducia in me stesso aveva ricevuto un colpo improvviso. Ore trascorse agonizzando tra dubbi e tristi pensieri mi avevano portato alla conclusione che avrei dovuto abbandonare la composizione".

Chi avesse ascoltato lo splendore dei Sei momenti musicali op.16 scritti solo un anno prima di tale crisi, può comprendere quanto profonda essa sia stata per condurre l'artista a perdere fiducia in se stesso nonostante avesse dato alla luce brani di simile bellezza. Ma a partire dal 1901, nuovi germogli nasceranno dalla sua ispirazione che lo porterà a comporre non solo il celebre Concerto n.2 op.18, ma anche i Dieci preludi op.23 tra i quali troviamo il pezzo di oggi.
Si tratta di un andante cantabile che, nel tempo di 3/4, ci conduce nell'atmosfera tardoromantica tipica delle creazioni del musicista. Il tema, intimo e nostalgico, sostenuto da larghi arpeggi, si sviluppa lento per culminare in accordi più forti e vibranti e poi di nuovo andare a spegnersi piano in un andamento che alterna dolcezza a drammaticità.

Tuttavia, ciò che mi colpisce maggiormente nel brano è l'esistenza di due melodie: una che si dipana nelle prime 18 battute e la seconda che interviene dalla battuta 19 alla 36 sovrapponendosi alla precedente e intrecciandosi ad essa. Ne deriva un triplice piano di scrittura che potete osservare dal video: gli arpeggi di accompagnamento suonati in chiave di basso, mentre in chiave di violino la destra ci presenta il primo tema e insieme il secondo che ne diventa quasi una sorta di variazione e abbellimento. Dopodichè, la melodia verrà ripresa e rielaborata una terza volta attraverso una serie di accordi della mano destra, punteggiati da note sulle ottave più alte.

Ma perchè, all'inizio del post, scrivevo che questo preludio mi tormenta?
Perchè al di là del riferimento a Chopin, la melodia che si apre alla battuta 19
va a suscitare in me anche altre reminiscenze musicali alle quali però, da giorni, non riesco a dare un nome preciso. Non è un vero e proprio tema, ma un'atmosfera che vi aleggia e che ora mi riporta ad altri pezzi dello stesso Rachmaninov, ora a Shostakovich e in certi momenti anche a Grieg.

O forse sono semplici consonanze, somiglianze armoniche che affiorano da lontano, melodie nascoste, motivi già sentiti altrove che s'intrecciano liberamente in noi. Voi che dite?... Cosa vi suggeriscono quei dolci passaggi dalla battuta 19 in poi?

Vi lascio con questo interrogativo augurandovi buon ascolto!

(Nella foto, presa dal web, Ritratto di Rachmaninov di Konstantin Somov)

 

sabato 8 marzo 2025

Tentazioni...

Tentazioni?...Sì!
E qual è quella di oggi alla quale intendo cedere senza ripensamento
alcuno, nè timore di tediare voi che pazientemente ascoltate le musiche pubblicate qui dalla sottoscritta?

La tentazione è quella di proporvi di nuovo e per l'ennesima volta Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) del quale, per l'occasione, scrivo anche il nome completo per esteso.
Sì, immenso e inesauribile il nostro Giovanni
Sebastiano, tanto che i suoi brani non cessano mai di stupirci anche quando li avessimo ascoltati cento volte, compresi quelli più didattici, magari studiati a lezione di pianoforte da piccoli!

Quello di oggi infatti è uno dei pezzi scritti proprio a scopo didattico come il compositore aveva esplicitamente dichiarato nella dedica sul frontespizio del Clavicembalo ben temperato, che non è un puro e semplice manuale di esercizi, ma un vero e proprio monumento di creatività e maestria. Devo averla già citata in passato ma mi piace riportarla ancora una volta qui:

 «...per il profitto e l’uso della gioventù musicale desiderosa di imparare, così come per il diletto di coloro che sono già abili in questa arte» 

Profitto e diletto mi sembrano i termini più significativi che si completano a vicenda: non solo studio tecnico e abilità, ma anche gioia e piacere perchè è quello lo scopo, è lì che la musica deve condurre. Ma mi colpisce insieme quel desiderosa di imparare - qualche traduzione dal tedesco mette addirittura avida - riferito alla gioventù musicale e mi piace che l'impegno del suonare possa nascere da un ardente impulso del cuore.

Il brano di oggi, tratto appunto dal Clavicembalo ben temperato e in particolare dal secondo libro, è il "Preludio in fa minore n.12 BWV 881". L'avrete certamente già sentito se non addirittura suonato, e riconoscerete subito il suo andamento caratterizzato da un ritmo rigoroso che ne fa uno dei pezzi più conosciuti e rappresentativi dell'opera bachiana.
L'esordio ci offre un tema malinconico, a tratti angoscioso quanto può esserlo il fa
minore, scandito da accordi che qualche critico ha paragonato a singhiozzi e subito dopo rielaborato da brevi arpeggi. La melodia poi sale illuminandosi talora in tonalità maggiore ed articolandosi in diversi sviluppi, quasi fossero variazioni che la fantasia del compositore inanella intorno al tema portante. Il brano si dipana quindi a somiglianza di un cammino su di un sentiero ora erto, ora più piano con un ritmo che, nel suo rigore, non è tuttavia privo di qualche passaggio sincopato.

Ma perchè l'ho scelto? Non solo per la sua bellezza, ma anche per una particolare interpretazione che ho trovato su youtube tra mille altre.
Si tratta di un'esecuzione molto più lenta del solito forse anche perchè il video è un
tutorial, ma mi è piaciuta subito perchè proprio tale lentezza fa emergere inusitate risonanze capaci di conferire al preludio nuovo splendore. Insomma, fascino aggiunto a fascino! Lo sentiamo nei brevi arpeggi della parte iniziale dove ci sono note ora più accentate, ora invece più lente sulle quali il pianista sembra indugiare con dolcezza. Così pure in vari passaggi, oltre al tema della mano destra si avverte, bellissimo, il canto della sinistra.
Certo, il risultato è un Bach meno barocco e forse più romantico...cosa che farà magari
inorridire i puristi; tuttavia - a mio modesto avviso - incantevole.

Ma sull'onda del ritmo del brano a tratti quasi sincopato, ho anche un'altra tentazione: quella di proporvene l'arrangiamento fatto dal gruppo vocale dei miei mitici "Swingle Singers" e tratto dal primo e altrettanto mitico album intitolato "Jazz Sebastien Bach" del 1963.
Qui, il clima talora dolente del fa minore si dissolve trasformandosi in un andamento più leggero e danzante. Le voci infatti, accompagnate
dalla batteria, non solo fanno emergere la struttura polifonica del brano - e sentite che meraviglia sono i bassi! - ma sottolineano tutto lo swing già insito nella musica bachiana.
Ne deriva una versione accattivante che mi ha sempre suscitato un desiderio irrefrenabile
di cantare con loro!

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)