venerdì 28 febbraio 2025

In coro

Capita a volte nella varietà del quotidiano - tra eventi grandi e piccoli ai quali spesso non si fa più caso - che, proprio tra questi ultimi, ci raggiungano richiami o stimoli significativi, simili a incontri che ci attraversano la strada così, senza che noi li abbiamo cercati. Può essere che ci sfuggano, ma se vi prestiamo attenzione, a volte possiamo trovarvi veri e propri tesori. Succede con le persone, con i libri, con la natura e anche con la musica.

In questo modo diciamo casuale - ma esiste poi il caso? - ho scoperto il brano di oggi, un pezzo che non conoscevo ma che mi ha subito affascinato.
Leggi una locandina, trovi il programma di un concerto e al momento lo accantoni.
Poi, nell'apparente banalità del quotidiano, qualcosa t'incuriosisce. Ti dici: "Proviamo ad ascoltare!" e così gratuitamente, magari nel bel mezzo di una giornata storta, ti si capovolge il mondo e scopri il paradiso.
Ciò che incontri, infatti, non è solo la bellezza fuori di te in una delle sue molteplici manifestazioni, ma insieme una parte della tua anima che vi corrisponde e vi aderisce con tale intensità quasi in quelle note avesse trovato la radice del proprio essere, la propria nicchia, il proprio elemento originario, l'acqua sorgiva in cui nuotare.

Sto parlando del brano di Felix Mendelssohn Bartholdy (1809 - 1847) intitolato “Wie der Hirsch schreit” : cantata per soli, coro misto e orchestra sul Salmo 42.
Nonostante mi piacciano molto alcuni suoi corali, la mia conoscenza del suo repertorio sacro
è piuttosto limitata, mentre ho sempre dato la preferenza alle  Romanze senza parole, alla celebre sinfonia Italiana e al mirabile Concerto per violino. Il pezzo di oggi apre quindi per me uno squarcio nuovo sull'universo musicale del compositore.
Dei sette brani di cui si compone la Cantata, vi riporto quello di apertura che recita
così: "Wie der Hirsch schreit nach frischem Wasser, so schreit meine Seele, Gott, zu Dir" (Come un cervo anela ai corsi delle acque, così la mia anima a te, o Dio). È l'esordio del Salmo 42 che certo tanti ricordano e che ha un celebre precedente essendo stato musicato da Pierluigi da Palestrina nel mottetto "Sicut cervus". Inoltre, l'immagine con cui il pezzo si apre ricorre spesso nell'iconografia cristiana, come dimostra anche il mosaico della foto tratto dalla decorazione del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna.

È pacatissimo l'inizio di questa musica avviata dai contralti cui fanno seguito subito dopo i soprani. E mi ha colpito la dolce morbidezza con cui la melodia si allarga e sale sostenuta dall'orchestra per poi tornare alla luminosa quiete del Fa maggiore. Dopo il passaggio introduttivo in cui viene enunciato il tema, il coro si sviluppa in modo più animato, ora articolandosi nell'alternanza delle voci, ora in una architettura più complessa e talora drammatica. E se da un lato la musica può riecheggiare qua e là lo stile di Bach di cui Mendelssohn è stato grande cultore, dall'altro presenta risonanze nuove, che indugiano su sonorità e timbri sognanti che danno alle note un carattere di ampio respiro e intensa suggestione. Splendido anche il finale dove la melodia si fa più sommessa, smorzandosi nella luminosa dolcezza dell'ultimo accordo.

Ascoltandolo, immagino quale immensa gioia sarebbe riuscire a cantarlo in un coro, vivendone dall'interno lo splendore polifonico e percependone lo spessore nella fusione delle varie voci. Così, me lo sto sentendo e risentendo con calma su youtube, perchè diventi parte di me e possa fiorire spontaneo dal cuore magari un mattino, al mio risveglio.
Del resto, il Salmo 42 è preghiera e quale potrebbe essere approccio migliore a una
nuova giornata se non il desiderio d'Infinito espresso dal testo e interpretato dalla musica, simile a quello di un'acqua fresca che disseti e colmi il cuore? Un canto di struggente nostalgia dunque, che pur non ignorando lo sconforto della condizione umana, si apre a una fiduciosa serenità.
Me lo suggerisce anche l'andamento di questo primo brano col suo tempo di 6/4 che ha un dolce ritmo di danza.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

venerdì 21 febbraio 2025

Se lo sguardo è femminile - 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È di Sofonisba Anguissola (1532 - 1625) il dipinto sul quale mi soffermo oggi, tornando indietro nel tempo rispetto a quello del mese scorso.
Si tratta di una delle pittrici più celebri del tardo Rinascimento, apprezzata da artisti
coevi sia in Italia che in Europa, da Michelangelo a Van Dick, e autrice di numerose opere incentrate sul tema del ritratto.
In effetti, anche se il titolo del quadro che vedete - conservato al Museo di
Poznan - è "Partita a scacchi", l'opera potrebbe chiamarsi "Ritratto di famiglia in un esterno". Infatti, insieme a un'anziana governante, sono raffigurate le tre sorelle minori della pittrice - Lucia, Minerva e la piccola Europa - mentre due di loro stanno giocando a scacchi all'interno di un giardino.  

Notiamo subito la raffinatezza del tratto pittorico e insieme quella degli oggetti raffigurati: dalla scacchiera all'eleganza degli abiti dei quali la pittrice mette in luce preziosi dettagli, fino alla grazia di gioielli e coroncine che adornano il capo delle tre sorelle.
Ma i loro ritratti ci offrono anche il frutto di
un'acuta individuazione psicologica. Ciò che infatti mi ha colpito maggiormente, guidandomi nella scelta di quest'opera tra le tante di Sofonisba Anguissola, è proprio tale aspetto, rivelato da un duplice gioco, di sguardi e di età.

Gioco di sguardi, prima di tutto, in una sorta di meravigliosa circolarità.
È la più piccola, col suo sorriso spontaneo di bambina furbetta, a osservare la sorella un po' più grande la quale invece, molto seria, si rivolge alla maggiore con una mano alzata e un'espressione interrogativa. Incantevole il pallore quasi diafano del suo viso dal profilo sottile che si staglia contro il paesaggio sfumato dello sfondo.
A sinistra invece, la maggiore
si apre ad un sorriso lieve e pensoso ma già sicuro di sè mentre, dietro di loro, la governante osserva pacatamente la scena. E se vogliamo, anche le mani, morbide e affusolate, rivelano atteggiamenti diversi come se la pittrice, attraverso di esse, avesse voluto sottolineare i differenti stati d'animo delle tre sorelle.

Ma le quattro figure femminili mi fanno pensare anche ad un altro tema, quello delle età della vita.
Non so se l'artista avesse esplicita intenzione di
sottolinearlo, tuttavia - a mio modesto avviso - esso affiora in modo molto evidente nella caratterizzazione psicologica di visi e atteggiamenti.
Di solito, nei dipinti sia antichi che moderni su
questo argomento, le età raffigurate sono tre: la giovinezza, la maturità e la vecchiaia. Qui però la giovinezza si sdoppia, per così dire, tra infanzia e adolescenza.
È soprattutto dagli occhi che possiamo intuire ora la gioia ancora ingenua della bimbetta, ora l'ansia della fanciulla adolescente forse sorpresa da una mossa inaspettata dell'avversaria o timorosa di sbagliare. La sorella più grande invece, già adulta - e se non sapessimo chi è potremmo anche pensare che sia la madre - mostra una sicurezza più consapevole mentre la donna anziana, dietro di loro, sembra osservare quietamente ciò che accade.

Atteggiamenti diversi di fronte a una partita a scacchi, ma forse anche davanti al gioco della vita che ciascuno affronta con i tratti psicologici della propria età. Me lo suggerisce anche lo sguardo della sorella maggiore che - unica nel dipinto - si rivolge a noi, spettatori esterni, quasi a dire che quel gioco ci riguarda.

Così, andando ad associare una musica a queste immagini, nell'osservare la costruzione attenta del quadro in cui nulla è lasciato al caso, ma l'insieme riproduce una sequenza ordinata di espressioni e movenze, ho pensato subito a un pezzo di Bach.
Si tratta del "Preludio e Fuga n.7 in Mi bemolle
Maggiore BWV 876" dal II libro del "Clavicembalo ben temperato".

Perchè l'ho scelto? Per il suo andamento rigoroso e al tempo stesso elegante, ricco di una creatività che, dall'iniziale luminoso Mi bemolle Maggiore, piega poi verso tonalità minori: un cammino che può anche rappresentare il dipanarsi della vita in età diverse, con ombre, luci e tratti psicologici differenti. È un percorso che non solo testimonia il genio bachiano, ma può ricordare anche il procedere di un gioco: non necessariamente quello degli scacchi, ma ogni partita o evento in cui ad un'azione ne corrisponda un'altra, a mossa segua contromossa, a domanda risposta.

Provate ad ascoltare e, nel preludio come nella fuga, troverete tali simmetrie e corrispondenze espresse ora con piglio vivace, ora con toni più sommessi, dolci e delicati in una sapiente alternanza di forte e piano. Del primo vi invito a gustare il ritmo danzante e talora un po' giocoso dei 9/8, ma del secondo trovo stupenda la costruzione armonica che Tatiana Nikolayeva fa risaltare consentendoci di percepirne richiami e rimandi, ma soprattutto lo spessore polifonico.
Nonostante la grazia di tale interpretazione pianistica, ho sempre pensato che lo
strumento più adatto a far emergere lo splendore di questa fuga sia però l'organo. Allora, se volete dilettarvi ulteriormente, vi lascio il link di una bella esecuzione per organo, dove il brano acquista grandiosa solennità e verso la fine si avverte chiaramente il cambio dei registri.
Ma se all'inizio può sembrare che la fuga sia in realtà quella dell'organista che a un tratto
sparisce...niente paura: poi ricompare e suona!

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

 

giovedì 13 febbraio 2025

Vanitas



 

 

 

 

 

 

 

 

Si cerca una cosa e se ne trova un'altra. Non è così?
È infatti ciò che mi è accaduto la volta scorsa, mentre mi aggiravo sul web tra le numerose e splendide nature morte con fiori di Jan Davidsz de Heem (1606 - 1684ca.), sperando di adocchiare la riproduzione di un bucaneve. In effetti l'ho trovato tra mazzi dalle più svariate tinte e sfumature.

Ma scorrendo le immagini delle opere dell'artista, ho scoperto altri dipinti all'apparenza molto differenti per colori e atmosfera, e tuttavia non privi di altrettanto fascino.
Ne vedete in alto e nel dettaglio qui a
lato uno dei più significativi, intitolato "Natura morta con libri" e conservato presso il Rijksmuseum di Amsterdam.
Così pure, poco più sotto, ne troviamo un altro: "Natura morta con libri e un tes
chio", conservato presso la Galleria regionale di Luberec, in Cechia. 

Mi ha sorpreso e incantato la genialità del pittore che ha rappresentato il tema della natura morta con oggetti così diversi: spesso fiori, frutta e bicchieri, ma anche libri, fogli, strumenti musicali, vasi e vassoi. È un raffinato gioco - permettetemi il termine - di accostamento e confronto tra materiali differenti come carta, legno, metallo, vetro, perchè uno prenda rilievo dalla vicinanza dell'altro e dalle rispettive differenze.
Ma mi ha affascinato anche la gamma di sfumature coloristiche nelle tonalità che
dal bianco della carta vanno al beige della parete, scurendosi poi nel legno del mobile e dello strumento musicale. Ne deriva un'atmosfera talora sfocata e un po' polverosa, con i libri disordinati che creano profondità e quell'ombra obliqua - nel dipinto qui sopra più lieve, sotto invece più netta - che in qualche modo può rimandare al Caravaggio.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tuttavia, c'è un altro aspetto che accomuna le rappresentazioni dell'artista, sia quelle ricche di fiori sgargianti, che queste dai colori più spenti e smorzati.
È il tema della vanitas, molto caro al Seicento pittorico per svariati motivi. Dopo il trionfo dell'ideale di bellezza classica e dell'uomo rinascimentale visto come artefice del proprio destino, la visione della vita inizia a mutare. 

Si diffonde gradatamente il senso della precarietà dell'esistenza, anche a causa delle varie guerre ed epidemie che costellano il secolo XVII, e di una crisi economica che investe l'Europa dopo che, con la scoperta dell'America, il baricentro dei commerci si è spostato.
Tale nuovo senso di caducità e incertezza si
esprime anche nell'arte figurativa che rappresenta ancora esempi di ridondante bellezza, ma segnata dai presagi del declino e di un destino di morte. 

Il termine vanitas che deriva dal celebre versetto del Qohelet "Vanitas vanitatum, omnia est vanitas", indica infatti ciò che è vano, vuoto, il piacere effimero dei beni mondani destinati a non durare nel tempo.

Così, nelle nature morte di questo periodo, quel tutto è vanità va ad ingoiare la vivacità dei concerti negli strumenti musicali che restano abbandonati; l'orgoglio del sapere nei libri affastellati in disordine con le pagine che si accartocciano; lo splendore di un frutto nella buccia di un limone ormai secca; e infine la bellezza del corpo umano nell'inequivocabile richiamo del teschio al suo destino di morte.

E i fiori? Come si coniuga il loro splendore con tale discorso?


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al di là dei tanti significati simbolici che talora i fiori assumono proprio nelle nature morte, qui sono in vaso, quindi recisi e destinati prima o poi ad appassire. Ma, al di là di questo, su di essi è già attiva in maniera talora impercettibile l'azione che li distruggerà. Basti osservare con attenzione il dettaglio che trovate qui sopra, tratto da una sgargiante natura morta del nostro autore. Ci sono insetti che qua e là mangiano petali e corolle, vermi che strisciano sugli steli e foglie già in parte secche. E per quanto qui l'artista abbia dipinto solo fiori, non può non venire in mente la Canestra di frutta del Caravaggio che, in questo senso, è stato maestro di una rappresentazione della realtà del tutto nuova.

Così, nel momento di passare alla musica, mi è venuto subito in mente Branduardi con la sua canzone "Vanità di vanità" che sembrerebbe fatta apposta per questo tema. Tuttavia, l'accostamento con le immagini non mi ha del tutto convinto e ho preferito cercare altrove.
Di brano in brano, sono quindi approdata al compositore armeno
Aram Khachaturian (1903 - 1978) e a un suo pezzo brevissimo e facile tanto che è suonato spesso dai principianti del pianoforte. Ma il fatto che una musica sia semplice non significa che non possa essere interpretata in modo da trarne meravigliose suggestioni.
Si tratta del celebre "Andantino" che apre il primo "Album for children" del
musicista: una melodia cantabile, formata da una prima parte lenta e una seconda lievemente più ritmata, giocata su di un'ottava più alta, ma sempre ricca di bagliori nostalgici creati da alcune sapienti dissonanze.
Il suo incanto - a mio avviso - sta proprio in questo senso di nostalgia che vela, qua
e là, la malinconica dolcezza del tema e che riecheggia piano nell'ultimo delicato accordo di quinta vuota. E mi fa pensare ai bellissimi dipinti di Jan Davidsz de Heem dove anche il variopinto splendore dei fiori è velato da un sottile, oscuro presagio.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

 

mercoledì 5 febbraio 2025

"Galanthus nivalis"

Primi di febbraio: cielo coperto, aria fredda ma non gelida. Dicono che arriverà la neve: le previsioni ne parlano da tanto, ma in realtà solo in montagna è venuta copiosa.
Qui, nonostante il grigiore sono già comparse le
primule con i loro colori smaltati, mentre a sera, da qualche giardino nascosto nell'oscurità, giunge inebriante il profumo del calicanthus che fiorisce proprio nel cuore dell'inverno: stagioni diverse che s'intrecciano nel segreto della terra, covando germogli inaspettati e sorprendenti.

Ma non è meno affascinante il bucaneve
che spunta proprio dalla coltre bianca per portare il suo messaggio di rinascita e di bellezza. Esile, per nulla appariscente, eppure forte come pochi per la sua capacità di reggere alle basse temperature, non ha colori squillanti, ma la semplicità del bianco: Galanthus nivalis è infatti il suo nome botanico. Un fiore dal color del latte dunque, sul quale esistono svariate leggende che lo vedono come preludio di primavera o anche - nel mondo cristiano - simbolo della festa della Candelora appena celebrata perchè cade proprio il 2 febbraio. Ma insieme alle leggende, lo troviamo anche nei particolari di alcune riproduzioni pittoriche. Ne riporto tre.
 
Il primo dettaglio - che vedete poco più in alto - è tratto da una ricca composizione di Jan Philips van Thielen (1618 - 1667), intitolata "Ghirlande di rose, tulipani, narcisi, bucaneve, giacinti, con uva, spighe di mail e teste di mais". Il secondo particolare altrettanto splendido - qui a lato - è tratto da un'opera dell'olandese Jan Davidsz de Heem (1606 - 1684 ca.). In entrambi i casi, si tratta di artisti fiamminghi specializzati nel dipingere nature morte con fiori e frutta, all'interno di una tradizione molto diffusa in nord Europa nel Seicento, a cominciare dalla dinastia dei Brueghel. Sono immagini di grande opulenza e ricchezza anche coloristica, ma nell'insieme talora non manca il delicato candore del nostro Galanthus.

La terza riproduzione, intitolata "Blanzifiore", è invece dell'inglese Dante Gabriel Rossetti (1828 - 1882), considerato caposcuola dei Preraffaelliti. Qui, vediamo il ritratto della figura di Persefone che, secondo la mitologia, dopo aver trascorso autunno e inverno nell'oltretomba, tornava sulla terra per le altre due stagioni. E il fiore che ha nella mano simboleggia il ritorno della primavera.

Ma che cosa mi ha condotto a pensare proprio al bucaneve? È stata una musica dall'incedere lento e delicato che a me è parsa modernissima nonostante sia stata scritta nel 1763.
Si tratta del secondo movimento dell'opera "Les Boréades" di Jean
Philippe Rameau (1683 - 1764), interpretato qui dal bravissimo Vikingur Olafsson che lo ha trascritto per pianoforte solo col titolo di "Le Arti e le Ore". Arti e Ore che hanno giustamente la maiuscola perchè sono personificate. Rappresentano infatti alcuni degli esseri mitologici protagonisti della composizione e in qualche modo simboleggiano l'eternità dell'arte, la sua capacità di superare la barriera del tempo rispetto alla durata della vita che invece è breve. E lo dimostra il fatto che siamo qui ancora oggi ad ascoltare un brano di musica barocca.

La rielaborazione è ricca di quella riposante lentezza che consente di apprezzare il timbro di ogni singola nota, soprattutto in confronto agli altri movimenti dell'opera improntati a danzante vivacità, e mi ha fatto pensare proprio ai piccoli fiori che nascono qua e là nella neve, timidamente, ricchi di una grazia assorta e riservata.
Ma il fascino di questa versione per me è legato anche al fatto che, in qualche
passaggio, mi ricorda il Bach delle Variazioni Goldberg che probabilmente Rameau, pur essendo francese, conosceva. Non si tratta di un riferimento a un brano preciso, ma piuttosto di un'atmosfera che vi arieggia, un richiamo alla struttura armonica più che a una singola melodia.

Esistono poi pregevoli interpretazioni di questo brano anche per archi o per chitarra. Ma di seguito a quella di Olafsson, ho preferito riportare una bella versione orchestrale dove - a mio avviso - il riferimento alle Variazioni bachiane non si avverte, ma la musica ricorda più la solennità di un inno sacro. E ve la regalo sotto la pacatissima direzione di Marc Minkovsky.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)