sabato 21 gennaio 2023

Le mie città - 1









Credo di aver detto in diverse occasioni quanto sento di appartenere ai luoghi: case, quartieri, stazioni, paesi o città in cui vive qualcosa di me che ritrovo ogni volta che vi ritorno. Ambienti che mi hanno colpito per il loro fascino, ma anche perchè spesso hanno segnato episodi della mia vita o stati d'animo che custodisco nel cuore e che li hanno resi indissolubilmente miei.
È così per tanti luoghi visti dal vivo, per altri ammirati solo in qualche dipinto, o
talora anche inesistenti e nati dalla fantasia di un artista. Tuttavia, anche in questo caso riescono ugualmente a suscitarmi un sussulto di emozioni come se davvero fossi vissuta lì in un tempo lontano, o in un'altra vita.

Così, oggi inauguro una serie di città che sento mie con le immagini che, nel tempo, mi hanno più toccato. Lo faccio prima di tutto andando in Toscana, una regione alla quale - pur non avendo radici familiari - mi sento legata come se nel profilo delle sue colline, nei colori caldi della sua terra o nell'impianto medioevale di tanti suoi centri, abitasse da sempre una parte di me.
E torno a Siena che ho visitato diverse volte ma che, prima ancora che ci andassi, mi ha
suggestionato con il fascino di due celebri dipinti di Ambrogio Lorenzetti (1290 - 1348). Si tratta degli "Effetti del Buon Governo in città e in campagna", sezioni diverse del ciclo di affreschi conservato nella Sala della Pace del Palazzo Pubblico di Siena e intitolato appunto "Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo".

L'opera è molto ampia e dettagliata, animata da un intento didascalico col quale l'artista ha illustrato le conseguenze di un governo illuminato, o al contrario tirannico, con descrizioni minuziose fatte di figure simboliche e di immagini ora di felicità operosa, ora di rovina.
Tuttavia, qui non intendo parlare dell'intero
ciclo nei suoi svariati riferimenti. M' interessa invece fermarmi sulla rappresentazione di Siena e della campagna circostante negli "Effetti del Buon Governo", perchè ha sempre avuto su di me un forte impatto.

Questa che l'artista ha raffigurato non è una città nata dalla sua fantasia, e anche se può aver lavorato d'immaginazione, Ambrogio Lorenzetti ha descritto comunque la Siena della sua epoca con i suoi tratti architettonici e il suo impianto urbanistico.
Avrete certo riconosciuto nella foto qui a lato uno scorcio del Duomo con la cupola e il campanile a fasce marmoree chiare e scure.
Poi le tante case alte e addossate l'una all'altra,
la severa eleganza delle bifore alte e sottili, così come delle cornici sopra i tetti, delle altane e della cinta muraria.
E poi i colori tra i quali spicca il cotto di tanti palazzi, le torri, le vie interne che
non vediamo ma possiamo intuire strette e tortuose per seguire l'andamento delle colline, rompere l'urto del vento e al tempo stesso rendere difficoltosa un'invasione nemica. Ma tipici dell'architettura senese sono anche i tanti archi a tutto sesto sormontati da altri a ogiva che potete osservare nella foto poco più in alto, ancora oggi visibili in molti edifici del centro storico della città.

Un colpo d'occhio dal quale cogliamo una Siena ricca e operosa come quella del periodo comunale: un fervore di attività e insieme di piacevolezza del vivere testimoniati da un lato dai muratori che lavorano in cima a un tetto e dall'altro da quelle splendide fanciulle che danzano mollemente in cerchio. Ma anche da particolari come i vasi alle finestre, una gabbia per gli uccellini, fino al movimento di scambi commerciali tra campagna e città.
Indimenticabile, a questo riguardo, proprio
l'immagine della campagna che si stende a perdita d'occhio. Qui infatti l'artista non solo ci ha regalato un magnifico esempio di paesaggio agrario della Toscana medioevale, ma vi ha anche riprodotto in una splendida visione d'insieme i terreni coltivati, la dolcezza delle ondulazioni collinari e i casali sparsi qua e là.

Ma al di sopra di tutto, ad affascinarmi è sempre stato lo stile: la fusione di romanico e gotico, di solidità e raffinatezza, di sapienti incastri di muratura e insieme di linee morbide e sottili, ricche dell'eleganza tipica di tanta arte senese del Trecento. Basta osservare la complessità architettonica con cui Lorenzetti ha realizzato la città, ma anche la sinuosa leggerezza dei panneggi delle fanciulle danzanti. Immagini che per me hanno sempre avuto un che di fiabesco, a somiglianza delle illustrazioni di certe enciclopedie per bambini che mi erano rimaste dentro dall' infanzia come ricordi di un mondo di sogno a cui riandare.

Ho visitato Siena per la prima volta a diciassette anni in gita scolastica.
Ma se da una parte è stato
ritrovare i tratti di un luogo conosciuto almeno nelle immagini, dall'altra di quel viaggio ricordo i ritmi più che mai serrati, la stanchezza e le scale...oddio quante scale! Per andare alla Pinacoteca Nazionale, al Palazzo Pubblico, per salire sulla Torre del Mangia...il Facciatone no, forse ci era stato risparmiato! Ma insomma, scale ovunque.
E poi il freddo. Era un aprile gelido: un
pomeriggio da Siena eravamo andati a Pienza e mentre la nostra insegnante di Storia dell'Arte davanti a Palazzo Piccolomini ancora spiegava - ed era ormai sera - si era messo a nevicare...

Gite bellissime, intendiamoci, professori per i quali ho sempre nutrito stima e profonda gratitudine, ma nei periodo dell'adolescenza non sempre sapevo apprezzare tutta la bellezza che avevo intorno e che la scuola ci insegnava a cogliere con un addestramento a dir poco rigoroso.
Sono tornata poi, negli anni successivi, a ripercorrere più volte - prima per conto
mio, poi facendo da guida ad altri - gli stessi itinerari delle gite scolastiche con una passione che mai avrei immaginato. Ho capito allora l'importanza della semina: quel lavoro paziente che non vede subito i risultati, ma che i nostri insegnanti avevano perseguito ostinatamente, senza lasciarsi scoraggiare dalla stupidera della nostra età, fiduciosi che - un giorno - quel seme sarebbe fiorito.

Siena per me è anche questo: una città fiabesca e severa, bellissima e aspra, legata indissolubilmente a ricordi di splendore e di fatica. Per quale motivo poi le sue pietre romaniche e gotiche abbiano trovato in me una consonanza così viva da risvegliare qualcosa di profondamente mio, resta un po' un mistero. Lo stesso mistero che ci porta ad apprezzare uno stile, un dipinto, un testo poetico, un brano di musica al di sopra di un altro e che - pur non escludendo affatto il valore di espressioni differenti - ci fa abitare in esso quasi vi ritrovassimo i pilastri segreti della nostra casa interiore.

Allora torno a Bach che non è italiano, tantomeno senese e neppure contemporaneo del Lorenzetti. Ma chi mi legge ormai mi conosce un pochino e sa quanto una musica debba suscitarmi uno scatto emotivo perchè la scelga, al di là della sua bellezza o della rispondenza a un contesto. Così sono stata molto indecisa ascoltando varie carole e ballate. Alla fine, avevo quasi optato per una delle "Antiche danze e arie per liuto" di Respighi dove il compositore rielabora dolci melodie medioevali. Tuttavia, si sarebbero accordate bene al cerchio delle fanciulle danzanti, ma non all'impronta di energia e vitalità che il dipinto mi aveva lasciato.
Non solo, ma al tempo in cui - appena diciassettenne - avevo visitato Siena,
ero già innamorata di Bach, studiavo ascoltando Toccate e Invenzioni, mangiavo pane e Brandeburghesi e la sua musica andava a legarsi con le mie giornate divenendo una sorta di filtro attraverso cui vivevo esperienze ed eventi, un po' come capita a tutti con i brani che amiamo.

Per questo, davanti a Siena torno ancora a Bach con una delle sue più celebri composizioni: il primo tempo, "Ouverture", della "Suite n.4 in Re maggiore BWV 1069". All'inizio solenne, grandioso ed energico, poi vivace e ritmato in terzine come una danza, nel suo concretissimo Re Maggiore il brano mi regala una suggestione simile a quella che mi offrono gli affreschi del Lorenzetti. Anche questa musica, infatti, ha un'architettura articolata e complessa, solida e raffinata, leggera e insieme profonda, e uno splendore che supera i secoli, capace di condurci per scale ripide o cammini scoscesi.
Da ultimo, mi piace ricordare che la Suite è stata scritta in tre versioni, una delle
quali Bach ha inserito nella "Cantata BWV 110" intitolata "Unser Mund sei voll Lachens" che significa "la nostra bocca sia colma di sorriso".
E anche questa mi pare una bella cosa.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

2 commenti:

Marina ha detto...

Perfetta la colonna sonora, mi fa immaginare la Siena che hai descritto e la vita in mezzo a quelle vie. Io non conosco la città, ma ho sempre voluto visitarla e giusto lo scorso autunno io e mio marito ne abbiamo parlato (sarà meta di una nostra gita futura). Quello che descrivi è condito dal ricordo di belle esperienze, il tuo slancio traspare e coinvolge. Mi piacerà questo tour fra le città attraverso arte e musica. Sempre interessante ciò che scrivi.

Annamaria ha detto...

Grazie Marina! Come scrivevo, ho impiegato un po' a scegliere la musica e la tua approvazione mi conforta.
Vai a Siena, mi raccomando! Io amo tutta la Toscana, dalla Val d'Orcia ad Arezzo e al Casentino. Ma ogni angolo di questa regione è magico.
Grazie del tuo apprezzamento per quello che sarà un tour fra le mie città. Spero di non deludere le aspettative. Buona serata!