martedì 9 agosto 2022

Stanze - 8


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'atrio spettacolare di una reggia? Il grandioso ingresso di una galleria d'arte? Lo scalone di un antico palazzo, l'abside di una sontuosa cattedrale o - perchè no? - la sala di accesso di una prestigiosa banca?
A colpo d'occhio, potremmo essere tratti in inganno dalla particolare, ricca architettura dell'ambiente che vedete: ampio, alto, articolato in più ordini e
loggiati, con nicchie e decorazioni che ricordano il fasto di tanti elementi rinascimentali e classicheggianti.
La seconda immagine mostra infatti in modo più chiaro i numerosi archi a tutto sesto che ritmano la costruzione e la copertura curvilinea a lacunari oltre la quale possiamo immaginare la grande cupola, tanto che - vista così - questa stanza potrebbe sembrare davvero l'interno di una chiesa.
Ma anche il salone delle feste di una
reggia dove in cima alla scala prendono posto i padroni di casa in attesa di dare il segnale perchè, nel grande spazio sottostante, si aprano le danze. Non vi pare ?
In realtà, si tratta dell'atrio della Stazione di Anversa Centrale,
edificio costruito tra il 1895 e il 1905 su progetto di Louis de la Censerie cui si deve proprio l'idea della cupola e dell'immensa sala di attesa che vedete.

Chi mi conosce sa quanto amo le stazioni ferroviarie, luoghi simbolo nel nostro essere in viaggio nell'esistenza, specchio delle tante vite che si sfiorano o s'intrecciano ogni giorno, costruzioni tanto significative da aver fatto talora da tema o da cornice a celebri film.
Le amo a cominciare da quella di Milano Centrale dove tante volte sono approdata
dagli anni della mia giovinezza, fino ad altre due affascinanti stazioni che tuttavia ho visitato solo di fretta: la St. Pancras di Londra, splendido esempio di neogotico vittoriano, e quella di Liegi progettata dall'architetto Calatrava in un'avveneristica struttura bianca che la fa più simile ad un'astronave. E insieme ai vasti ambienti interni, mi attirano anche gli spazi scanditi da grandi arcate in vetro e acciaio che coprono le zone riservate ai binari: spazi ormai simili in tante stazioni, da Milano a Berlino, a Lipsia e a Lisbona solo per citarne alcune.

Ma torniamo ad Anversa. Appena ne ho visto le foto sul web, questa particolare stanza mi ha preso subito per il suo aspetto sontuoso, le grandi dimensioni e la mescolanza di stili.
Si va infatti dai caratteri
neorinascimentali e neobarocchi di alcune strutture architettoniche, fino all'uso del vetro e ferro, materiali tipici dell'Art nouveau e quindi degli anni in cui la stazione è stata edificata.

Bellissima, a questo proposito, la vetrata semicircolare che chiude l'ambiente nella parte alta, illuminandolo e al tempo stesso fungendo da collegamento arioso con la zona retrostante dove arrivano i treni. Crea infatti una sorta di graduale alleggerimento della costruzione che, dalla muratura continua o quasi, passa alle gallerie e ai loggiati, per poi terminare col vetro della copertura dei binari che intravvediamo soltanto oltre l'arco centrale in cima alla scalinata.

Una complessità di ideazione e una monumentalità ancora molto lontane dall' architettura più lineare ed essenziale, ma non meno affascinante, di svariate stazioni contemporanee. E tuttavia interessante testimonianza di un'epoca di imponenza e di ricchezza quale è stata quella di Leopoldo II del Belgio, ricordato - oltre che per i tanti aspetti discutibili della sua gestione coloniale - anche come re costruttore

E, passando alla musica, quale brano potrebbe essere adatto ad una stanza così particolare come l'atrio di un stazione? In apparenza un non-luogo, in realtà un ambiente che si carica di volta in volta di vissuti intensi e di una sfaccettatura infinita di emozioni per i saluti, le attese, le malinconie e le gioie, le persone lasciate e ritrovate.
Così, ho pensato alla "Sonata in Mi bemolle maggiore n.26, op.81"
chiamata "Gli addii" di Ludwig van Beethoven. 

Gli addii, dunque, ma non solo quelli.
Infatti, i tre movimenti della composizione
evocano una storia: dal primo tempo intitolato "Das Lebewohl" (L'addio), al secondo "Die Abwesenheit" (L'assenza) fino all'ultimo "Das Wiedersehen" (Il ritorno). Una sonata che esprime quindi una pluralità di stati d'animo e di sentimenti. In questo caso partenza, assenza e ritorno sono quelli dell'Arciduca Rodolfo - allievo e protettore di Beethoven - costretto ad allontanarsi da Vienna durante l'occupazione francese nel 1809.
Qui vi riporto "L'addio": un Adagio - Allegro che esordisce con profonda malinconia, seguito però da una sezione più vivace e vigorosa, fino alla coda col suo moto discendente e ai due secchi accordi conclusivi.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

4 commenti:

Stefyp. ha detto...

Immagini spettacolari in cui l'occhio si perde. Mancano le parole per descrivere tanto splendore. Ottimo accostamento il brano di Beethoven, da ascoltare e riascoltare per coglierne tutte le sue sfumature.
Buona serata cara Annamaria, un forte abbraccio. Stefania

Annamaria ha detto...

Grazie mille, cara Stefania! Sì, si tratta di una "stanza" molto spettacolare che mi ha colpito subito un po' come tante altre stazioni che porto nel cuore. Il brano di Beethoven poi è ricco di sfumature, ora malinconiche, ora decisamente più energiche.
Grazie del tuo aspprezzamento e un forte abbraccio di buon pomeriggio!

Rehoboth ha detto...

Wonderful Post
Thanks

Annamaria ha detto...

Thank you, Rehoboth!!!