mercoledì 9 febbraio 2022

Bookshop

Ho sempre nutrito un'insana passione per i bookshop dei musei, quei negozi che, a fine percorso, consentono di acquistare non solo guide, libri d'arte e poster, ma anche articoli di cartoleria insieme a varia oggettistica relativa alle opere viste.

Qui, ho sempre fatto incetta soprattutto di cartoline perchè - anni fa - le usavo a scuola insieme ad altra documentazione, per illustrare agli studenti i vari periodi storico-artistici con immagini che fossero eloquenti ancor prima delle parole. In un cassetto della mia libreria, conservo infatti proprio le cartoline delle più significative opere d'arte conservate in tante città - Firenze, Venezia, Ravenna, Siena, Roma, Parigi, Vienna e altre ancora - insieme alle guide delle gallerie visitate.
Tornavo da ogni viaggio con un carico prezioso di materiale che avrei poi condiviso,
per ripercorrere lo splendore di un itinerario culturale.
E anche se oggi, ormai, la documentazione che mi porto a casa consiste soprattutto
in foto scattate col cellulare, non per questo la mia passione per i bookshop è venuta meno.

Ricordo - anni fa - il mio incanto al "Museo d'Orsay" a Parigi, davanti agli splendidi volumi sulla pittura impressionista; e in seguito al "Museo Condé " nel Castello di Chantilly di fronte a un testo, che avevo poi comprato, con le riproduzioni delle miniature del Ciclo dei Mesi dei fratelli Limbourg.
Al bookshop dell' Ermitage di San Pietroburgo invece, per la serie "E quando mi
capita ancora di venire qui?..." avevo indugiato un po' troppo.
Così ero rimasta in fondo alla comitiva e naturalmente ero uscita dalla parte
sbagliata: invece che nel grande piazzale d'ingresso, ero finita sul lato dove scorre la Neva e per ritrovare il gruppo avevo dovuto fare il giro dell'intero isolato...non so se mi spiego! Senza contare il fatto che la telefonata a mio marito per dire che stavo arrivando e che - per carità! - mi aspettassero al pullman, mi era costata un patrimonio.

Ma perchè queste divagazioni in libertà? Perchè tutti i santi giorni, quando sono davanti ai fornelli, ho sotto gli occhi la presina che vedete in foto e che - pure lei! - viene dal bookshop di un museo, precisamente del "Museo Nazionale Giuseppe Verdi" di Villa Pallavicino nei dintorni di Busseto.
C'ero stata qualche anno fa d'inverno e ricordo ancora il freddo di quelle sale.
In ognuna di esse erano ricostruite le scenografie originali delle opere del
compositore, insieme a costumi e dipinti dell'epoca, ma - dico la verità - non mi avevano poi affascinato più di tanto. Mi era piaciuta invece - quella sì! - la Sala di Musica col pianoforte a coda e un altoparlante dal quale erano diffuse note verdiane. Giuro che da lì, freddo a parte, non me ne sarei più andata.

Finito il giro, ero finalmente approdata al bookshop, piccolo ma strapieno di materiale: libri sulla
vita e le opere del compositore, testi di critica musicale, confronti con altri musicisti, cd con vari interpreti, partiture...insomma, avevo davvero l'imbarazzo della scelta. Ma, avete presente quando non si riesce a decidere? E per di più una vocetta segreta vi dice: "Ma sei sicura che poi leggerai 'sti libri senza accantonarli in un cassetto?"
Ecco, è stato questo dubbio a trattenermi. Cosi, me ne stavo andando a mani
vuote quando, davanti allo scaffale dell'oggettistica, lo sguardo mi è andato alla presina che vedete qui sopra e qualcosa, di colpo, mi ha bloccato:  

"Di quella pira l'orrendo foco"...??? Ma certo!!!

Verdi dovrà farsene una ragione, ma il collegamento tra le parole della celebre aria del "Trovatore" e la presina fatta apposta per non scottarsi mi è parso talmente azzeccato che non ho potuto fare a meno di comprarla subito, senza ripensamento alcuno. Detto e fatto dunque, anche se - sotto gli occhi allibiti della cassiera - ero stata colta da una crisi di irrefrenabile ilarità perchè io stessa mi rendevo conto di come alla fine, tra tutta la documentazione del bookshop, avessi scelto - dai diciamocelo! - la cosa più sciocca. Ma insomma, è andata così.
Del resto, la presina è graziosa e riporta pure le note iniziali del brano: mi
mi mi mifamifamiiiii, do do do sollasollasooool...e se volete potrei anche continuare ma forse è meglio di no. 

Allora, oggi facciamo una veloce incursione nella lirica, e per giunta con la voce del nostro grande Pavarotti che, nonostante la tragicità del momento in cui canta nei panni di Manrico, ha sempre un'energia capace di mettermi di buon umore.
Si tratta appunto dell'aria "Di quella pira..." dal terzo atto dell'opera "Il trovatore"
di Giuseppe Verdi (1813 - 1901).
Il brano è una celeberrima cabaletta - classico pezzo di bravura collocato di solito
nella parte finale di un atto o di una scena - che nel tempo ha dato modo ai vari tenori di mostrare la propria abilità e potenza vocale.
Qui, in particolare, Pavarotti ci dà la possibilità di apprezzare due splendidi do di
petto che riconoscerete facilmente, il primo sulla te di teco e il secondo alla fine nel grido all'armi. In realtà, tali acuti non sono previsti nell'originale partitura verdiana, tuttavia sono ormai entrati nella tradizionale prassi canora di tanti tenori al punto da essere sempre molto attesi dal pubblico, e anche dalla sottoscritta.

Buon ascolto!

 

4 commenti:

Stefyp. ha detto...

Bellissima, appassionante, coinvolgente interpretazione, è un Pavarotti eccezionale. Un ascolto molto gradito, grazie. Buona serata, cara Annamaria, un abbraccio a te, Stefania

Annamaria ha detto...

Sì, sì, cara Stefania, un Pavarotti proprio appassionante e coinvolgente. Hai sentito che energia nella sua voce? Non finirei mai di ascoltarlo!
Grazie di cuore e un abbraccio di buona serata!

Mr.Loto ha detto...

ti capisco, anche io acquisto sempre qualcosa... nello specifico segnalibri! Il mio preferito è quello comprato al National Gallery!

Annamaria ha detto...

Benvenuto qui Mr.Loto! Anche a me piacciono i segnalibri e alla National Gallery ho lasciato il cuore.