martedì 24 settembre 2019

Splendore polifonico di un rito

(Foto presa dal web)
Non mi è facile proseguire dopo aver pubblicato il brano della volta scorsa, non perchè non esistano musiche altrettanto sublimi, ma perchè fatico a staccarmi da una melodia di così grande intensità come quell'inno ortodosso.
Ma è anche perchè sono convinta che alle note di quel canto, nel loro profondo vibrare, non sia estranea una forte e rara valenza terapeutica.

Lo so, l' argomento è vasto e vi ho fatto cenno in passato in altri post, ma è un dato che mi sento di richiamare ancora una volta e a maggior ragione ora, dopo avere ascoltato a lungo quelle voci che ci attraversano l'anima per condurci alle soglie dell'infinito.
Per questo mi auguro che chi - anche solo per qualche momento - insieme alle immagini riportate nel post si è lasciato catturare dalla musica, ne abbia sperimentato il dono impagabile: un sorriso che nasce dal profondo. 
In quelle note, così come in quelle voci delicate e insieme robuste, abitano infatti una potenza e una concretezza che, se pure ci conducono in un paradiso dall'atmosfera rarefatta, non dimenticano la terra da cui proveniamo. E a mio avviso proprio qui sta il bello, perchè ci regalano la luminosa percezione che cielo e terra siano indissolubilmente fusi in un legame che supera ogni nostra capacità di immaginare.

Allora, prima di voltar pagina e passare ad altro, mi piace indugiare ancora per qualche momento su questi canti dall'aura così profonda e suggestiva.
La mia scelta di oggi si orienta su Piotr Ilic Tchaikovsky con un brano tratto dalla "Liturgia di San Giovanni Crisostomo op.41", liturgia eucaristica di rito bizantino - la cosiddetta messa ortodossa - diffusa nella Chiesa russa e celebrata nella maggior parte dei giorni dell'anno.

Il pezzo che ascolterete - il n.10 - si intitola "To Thee we sing", (A Te inneggiamo) e coincide col momento più alto del rito, quando viene invocato lo Spirito Santo sul pane e sul vino per la consacrazione.
Si tratta di un coro a cappella che ci immerge fin dall'inizio in un' intensa e ardente atmosfera di contemplazione che fa del canto non un'aggiunta facoltativa, ma una vera e propria parte integrante del rito. E la sua soavità, in alcuni passaggi, ricorda l'ancor più famoso "Inno dei Cherubini" - che potete ritrovare qui - scritto da Tchaikovsky per la medesima liturgia.
Singolare poi la fusione delle voci e l'armonia grandiosa e solenne che ne deriva, con tratti dall'ampiezza e complessità quasi orchestrale soprattutto nei vari passaggi di tonalità. Altrettanto singolare è la percezione d'infinito che questa musica ci offre attraverso dissonanze che accentuano il riverbero di ogni nota.
Ma affascinante anche il lunghissimo accordo finale che sfuma gradatamente  nella fusione delle diverse voci, alle quali si aggiunge poi - pacatissimo - il basso profondo.

Buon ascolto!

2 commenti:

Rossana Rolando ha detto...

Mi sembra davvero aderente a questo brano quello che tu affermi parlando degli inni ortodossi (che, mentre) "ci conducono in un paradiso dall'atmosfera rarefatta, non dimenticano la terra da cui proveniamo. E... proprio qui sta il bello, perché ci regalano la luminosa percezione che cielo e terra siano indissolubilmente fusi in un legame che supera ogni nostra capacità di immaginare".
In questo tenere insieme la fedeltà al cielo e la fedeltà alla terra si realizza la complessa esperienza dell'umano. Grazie, cara Annamaria. Un abbraccio e buona serata.

Annamaria ha detto...

Sì, cara Rossana, è proprio questa la percezione che mi lasciano gli inni ortodossi ai quali mi sto sempre più avvicinando. Ricordo, anni fa, un coro ascoltato in San Basilio a Mosca. Certo, non era una celebrazione ma erano cantori messi lì per i turisti. Tuttavia l'impatto di questa musica dal vivo e in quel particolare luogo era stato fortissimo. Non me ne sarei andata più. Quelle note e quelle voci sapevano fondere cielo e terra!
Grazie e un abbraccio di buona giornata!