Leggo su di un quotidiano la notizia della recente apertura di un nuovo rifugio sul versante francese del Monte Bianco.
Si tratta del Refuge du Gouter, costruito secondo i canoni più aggiornati dell'alta tecnologia e dell'ecocompatibilità, in uno stile avveneristico che - come osserva giustamente il giornalista - lo fa più simile ad un'astronave che ad una baita.
In effetti non è il primo, ma fa seguito ad altri rifugi rinnovati secondo nuovi criteri architettonici come - solo per fare qualche esempio - il Monzino e il Gervasutti sul Bianco, o la capanna (...si fa per dire!) Margherita sul Rosa.
E' l'aspetto più avanzato di una rivoluzione tecnologica che investe ormai ogni campo, un rinnovamento di forme e di strutture che, se garantisce comodità e sicurezza grazie alle nuove soluzioni high tech, cambia tuttavia drasticamente le vecchie immagini a cui eravamo abituati e che forse sono destinate a sparire.
A fronte di tali innovazioni decisamente avanguardistiche, c'è tuttavia un mondo di antiche tradizioni che costituiscono la vera ricchezza che la montagna presenta e la cui conservazione è giusto vada di pari passo con le novità.
Non si tratta solo del legno e della pietra invece che dei nuovi materiali da costruzione, ma di un intero patrimonio di memorie e di cultura importante da salvaguardare perchè è il fondamento attorno al quale si raccoglie il cuore vivo di una comunità.
Per impedire che tali memorie si perdano, sono sempre fiorite varie iniziative, ma la più significativa qui nel mio paesetto di vacanza sotto il Gran Paradiso - e un po' in tutta la Val d'Aosta - è quella che si celebra ogni estate e che chiamano la "Veillà", la veglia.
No, non è una notte bianca come quelle cittadine, ma è la rievocazione delle antiche veglie delle sere invernali, quando nelle stalle le famiglie si riunivano a svolgere piccoli lavori artigianali mentre si parlava, si raccontavano antiche storie o si pregava.
Oggi non è solo il motore economico a muovere questa iniziativa, ma la volontà di perpetuare certe tradizioni culturali che non vengono solo condivise con i turisti, ma tramandate di padre in figlio, insegnate ai bambini come fossero materie di scuola, dal lavorare i pizzi al suonare la fisarmonica, intagliare il legno, filare la lana ricavandone manufatti unici nel loro genere, e così via.
La bella notizia di quest'anno è che la Veillà, tradizionalmente organizzata da adulti e anziani del paese, è stata presa in mano dai giovani che se ne sono fatti promotori perchè tante attività non restino vive solo nei libri o in qualche bel documentario.
Come di consueto, ampia mostra di lavori artigianali e di antichi mestieri seguita da canti, balli e una ricca gastronomia. Bella la collaborazione degli alpini che, come ogni anno, hanno distribuito polenta concia, vin brulé, panna, formaggi e ottimo brodo caldo sempre particolarmente gradito dalla sottoscritta, soprattutto se la serata è fredda e ventosa.
Ma grazie alla presenza dei giovani, tutto è stato arricchito da un'atmosfera di entusiasmo che guarda al futuro perchè, insieme al giusto cambiamento, possa proseguire l'opera di conservazione e trasmissione di una serie di antichi saperi fatti di valori e abilità.
Diversamente, il rischio che peraltro corrono già un po' dovunque nell'arco alpino alcune tra le frazioni più piccole è quello del graduale spopolamento fino all'abbandono.
E' ciò che ci racconta Bepi de Marzi nel canto che segue intitolato "La Contrà dell'Acqua Ciara", dove descrive l'atmosfera di tristezza e solitudine che la progressiva emigrazione ha lasciato in un villaggio.
Non più fiori alle finestre, non più giochi di bambini, chiacchiere intorno alla fontana o racconti serali mentre si è intenti a filare. Non più allegria insomma, nè quei gesti che facevano di un paesetto una vera comunità, ma restano solo i vecchi a conservare antiche memorie destinate a perdersi.
Il canto si riferisce agli anni dell'industrializzazione in cui i giovani scendevano dai monti in pianura per trovare lavoro, ma anche se d'allora è trascorso del tempo, ci si augura che il fenomeno non si debba ripetere e che le piccole comunità montane possano continuare a vivere attingendo al loro patrimonio di cultura e di bellezza.
Buon ascolto!
6 commenti:
Questa è ricchezza che passa di cuore in cuore, il tessuto prezioso di gesti e storie che costruiscono la nostra memoria. Bello.
Bello questo post che, da amante della montagna quale sono, mi tocca particolarmente. E' una tristezza anche per noi turisti constatare lo spopolamento di certi luoghi e mi immagino cosa possano provare gli anziani quando vedono che le loro tradizioni son destinate a perdersi. Mi auguro davvero che i giovani possano finalmente progettare la loro vita all'interno di quelle comunità montane e portare avanti iniziative interessanti come quella che ci hai presentato. Buone vacanze, Annamaria!
Sì, Chiara! La vera ricchezza è proprio un patrimonio di vita e memorie che passa "di cuore in cuore".
Grazie!!!
E' vero, Ninfa! Spesso è una tristezza anche per i turisti constatare di anno in anno il progressivo abbandono di certi luoghi.
Ma qui c'è un fervore di vita e di iniziative che dà speranza.
Grazie, buone vacanze e un abbraccio!
Condivido in pieno!
sai che in vacanza e non solo, sono circondata da amanti dei canti di montagna?
di cuore in cuore, anche da noi che non abbiamo le Alpi ma la nostra Etna :D
Grazie della tua condivisione Merins!
Da nord a sud, di cuore in cuore!!!
Ciao!!!!!
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